Una magnifica Lili Farhadpour, attrice, giornalista e attivista iraniana, impersona Mahin, vedova settantenne alquanto in sovrappeso che vive sola in una bella casa di Teheran, arredata con gusto e dotata di un grazioso giardino di proprietà. I figli sono all’estero, con le loro famiglie; può solo sentirne la voce al cellulare. Trascorre le giornate in una monotona routine casalinga: dorme fino a mezzogiorno, innaffia le piante, cucina, guarda soap-operas in tv, ogni tanto s’incontra con alcune amiche sue coetanee che, a volte, essendo un’ottima cuoca, invita a cena.

È proprio in una di queste serate che si dipana a tavola un’interessante e gustosa conversazione, imperniata sulla condizione delle donne, sole o sposate che siano: e si svela il senso di isolamento e abbandono di Mahin, che ha perso il marito trent’anni prima e non ha più avuto un amore, un uomo con cui condividere la propria vita. Stimolata dal dialogo con le amiche, Mahin esce e gira per la città, recandosi in luoghi che aveva visitato anni prima (ma che trova irreversibilmente cambiati), alla ricerca di un incontro che la faccia rivivere. Casualmente s’imbatte in una ragazza che sta per essere arrestata dalla polizia morale per il fatto d’indossare male il velo (hijab), obbligatorio per legge in Iran e in Afghanistan e simbolo di un’inaccettabile repressione – che ha già mietuto molte vittime – nei confronti dei diritti delle donne. Mahin, coraggiosamente, affronta il poliziotto che la minaccia e sollecita la ragazza, evitandole l’arresto, a non farsi intimidire: “Devi imparare a difenderti, è una cosa che ho scoperto da non molto”, le dice. Sarà poi Faramarz (il bravissimo attore ottantenne Esmaeel Mehrabi), un anziano tassista, ex soldato, divorziato da anni e senza figli, a catturare la sua attenzione in un ristorante: e così lo aspetta fino a sera e riesce a salire sul suo taxi.

Scoprono subito di essere affini e di vivere la stessa solitudine; trascorrono insieme una serata meravigliosa in casa di lei, tra musica, balli e una cena in giardino, di nuovo illuminato dalle lampadine che lui riesce ad aggiustare. Bevono un vino delizioso che Mahin ha conservato di nascosto, essendo vietato il consumo di alcool, e brindano alla loro salute. Mahin si cambia d’abito due volte, si trucca, si profuma, fa in definitiva, in una sorta di inno alla libertà, tutto il contrario di quello che impone assurdamente alle donne il regime della Repubblica teocratica islamica che governa in Iran dalla Rivoluzione del 1979: e Faramarz la guarda affascinato e le dice che è bellissima. Lei, raggiante, prepara un dolce squisito all’arancia – “Il mio preferito”, dice -quasi simbolo della felicità di nuovo raggiunta: felicità che si rivela troppo effimera, dura il tempo di un sogno.

Il film, dal titolo internazionale My Favourite Cake, è stato scritto e diretto nel 2024 dai coniugi iraniani Maryam Moghaddam, attrice, regista e sceneggiatrice, e Behtash Sanaeeha, regista, sceneggiatore e produttore, ed è stato presentato alla 74^ edizione del Festival di Berlino: i due coautori, di grande valore e forza d’animo, non hanno potuto partecipare perché trattenuti in Iran (sono processati in questi giorni, con l’accusa di oscenità e di offesa alla morale, e in passato hanno subìto diversi arresti, come altri registi iraniani). Le loro sedie vuote, dopo la proiezione, hanno ottenuto una lunga standing ovation del pubblico. Il film è stato premiato dalla Giuria Ecumenica e da quella della Federazione internazionale della stampa cinematografica. Delicato e potente al tempo stesso, da vedere.