Serata unica e molto interessante, al Teatro Parenti, quella di martedì 15 aprile: l’attore-regista torinese Fabrizio Coniglio, cinquantenne, ha portato in scena il suo bellissimo lavoro, “Il viaggio di Nicola Calipari” (2009), insieme alla brava attrice romana Laura Nardi.


Sia lui che la Nardi impersonano in modo convincente, con un dialogo serrato, diverse figure protagoniste della tragica vicenda che causò la morte del dirigente del Sismi Calipari, il 4 marzo 2005, vent’anni fa, nei pressi dell’aeroporto di Baghdad.

Fu ucciso da colpi di mitragliatrice a un posto di blocco: un brutale e inspiegabile omicidio da parte del “fuoco amico” statunitense, mentre si apprestava a partire per Roma con la giornalista Giuliana Sgrena, appena liberata dai suoi sequestratori iracheni, un gruppo armato di Jihadisti, dopo un mese di prigionia. Calipari aveva voluto recarsi di persona a prelevarla, avendo coordinato un faticoso e complesso lavoro di intelligence che aveva avuto il successo sperato, nonostante alcune intromissioni indesiderate – per esempio della Croce Rossa – e qualche ambiguo tentativo di depistaggio da parte di altri membri dei Servizi. Quando l’auto su cui viaggiavano – e che aveva rallentato – fu fatta oggetto di ben 58 colpi e attraversata da 11 proiettili, Calipari si gettò sulla Sgrena per proteggerla, sacrificando la sua vita. Molto lucida e rigorosa è la ricostruzione dei fatti nel testo teatrale, a partire dal sequestro dell’inviata de “Il Manifesto”, giunta in Iraq per scrivere resoconti sulla guerra in corso, iniziata due anni prima con l’invasione del Paese da parte degli U.S.A. e poi trasformatasi anche in guerra civile e di resistenza.

Coniglio si è avvalso di relazioni ufficiali, interviste, inchieste degli anni successivi, fino alla decisione della Cassazione, nel 2007, di non procedere – per questioni di giurisdizione – nei confronti del soldato americano accusato di aver sparato, Mario Lozano, che era processato in Italia in contumacia per omicidio. Evidenti furono le pressioni degli Stati Uniti affinché Lozano fosse prosciolto. Il caso fu dunque quasi archiviato e dimenticato; solo alcuni giornalisti mantennero viva la memoria di Calipari. Tra questi, il compianto Andrea Purgatori.

Al termine dello spettacolo è salita sul palco Giuliana Sgrena, per una sua testimonianza personale. Ha sottolineato il valore de “Il viaggio di Nicola Calipari”, affiancandolo anche al recente film “Il Nibbio” del regista Alessandro Tonda ( Nibbio era il nome in codice di Calipari). Entrambi i lavori hanno il merito, nel ventesimo anniversario, di riaccendere i riflettori su quello che lei definisce un vero agguato, non un semplice incidente. Lei fu ferita alla spalla sinistra, riportando fratture ossee e una lesione pleurica. Si salvò anche il maggiore del Sismi Andrea Carpani, che era alla guida, e poté così testimoniare che la loro Toyota Corolla non viaggiava affatto ad alta velocità, come sosteneva Lozano: non poteva quindi essere stata scambiata per un’autobomba con a bordo terroristi kamikaze. Inoltre Calipari aveva avvisato sia l’ambasciatore che il personale addetto alla sicurezza del loro arrivo imminente all’aeroporto. Perché dunque spararono (e soprattutto sulla parte posteriore dell’auto)? Le perizie balistiche suggerivano anche un secondo sparatore, mai identificato, oltre a Lozano.

La Sgrena ha rivelato che la morte di Calipari, che aveva conosciuto solo venti minuti prima e che l’aveva salvata due volte – dai sequestratori e dagli americani – le ha lasciato sensi di colpa indelebili. Non lo dimenticherà mai. Ha poi sottolineato che il mestiere degli inviati di guerra viene ancora considerato più maschile che femminile, e alle donne non si perdona nulla: dopo il suo sequestro, molti commentavano malevolmente con un “se l’è cercata”. Enzo Biagi scrisse che “sarebbe stato meglio se fosse rimasta a casa a far la calza”. La giornalista ha ribadito che, al di là degli inaccettabili stereotipi sessisti, sono la preparazione e la capacità le competenze necessarie per essere inviati di guerra. Lei era stata ben sette volte in Iraq; l’anno successivo si recò in Afghanistan, ed era stata mandata più volte anche in Somalia, in Medio Oriente, in Algeria. Non stava chiusa in un albergo ad aspettare notizie, come altri giornalisti, voleva essere sul campo, testimone di quanto accadeva, nonostante i rischi. E una persona intelligente e coraggiosa come Nicola Calipari, pur senza conoscerla, non aveva esitato a salvarla, a costo della propria vita. Un eroe, che non ha avuto ancora giustizia.

Molti gli applausi, profondamente sentiti, a tutti.