Nel programma decisamente interessante proposto dal nuovo appuntamento dei Sabati del Conservatorio Cantelli di Novara, ieri, 26/04, troneggiava decisamente, benché collocato alla fine, un Trio un po’ particolare, inventato da Brahms nel 1865 e ripreso solo nel 1982 da Ligeti: si tratta del Trio per pianoforte, corno e violino op.40, un genere cameristico che anche oggi,
nonostante l’autorevole esempio di Brahms e Ligeti non sembra godere di grande fortuna. Lo stesso Trio brahmsiano op.40, benché si collochi senza discussione tra i capolavori del grande amburghese, non sembra molto eseguito nelle nostre sale da concerto. Al pianoforte sedeva il Maestro Mario Coppola, autorevole rappresentante della c.d. ‘scuola napoletana’, docente da anni al Cantelli e con significativa attività concertistica di successo, il corno era suonato da Vittorio Schiavone, primo corno in numerose orchestre, tra cui la Filarmonica della Scala e la London Symphony, e infine il violino era affidato a Leonardo Spinedi, oltre che violinista, chitarrista e compositore, con intensa esperienza concertistica, cameristica e solistica. La caratteristica che rende affascinante questa formazione è la sua particolare qualità timbrica, capace di svariare dai suggestivi bruniti chiaroscuri, alle sottili malinconiche atmosfere crepuscolari (in cui Brahms è notoriamente maestro), sino alla squillante fanfara. Una tavolozza di colori varia e di inesauribile ricchezza di sfumature, di cui il Trio brahmsiano in MI bemolle maggiore op.40 è esempio insuperato, dall’ispirazione complessiva fascinosamente varia e ricca di contrasti, dagli impasti timbrici sempre mutevoli e carichi di suggestione, cui Brahms sembra abbandonarsi quasi inebriato, scegliendo per il pezzo un taglio formale molto libero, quasi rapsodico: la forma-sonata è presente solo nel Movimento finale. Più che valida e riuscita l’interpretazione ascoltata ieri al Cantelli: una cura dei dettagli e delle
sfumature ammirevole nella trama fitta delle relazioni tra gli strumenti e i motivi, un fraseggiare di finissima delicatezza e perfettamente tornito anche nei momenti di più robusta energia. Splendida l’interpretazione della coda dell’Andante iniziale, ove il clima complessivamente idillico del movimento sfumava in tinte di un morbido pastello al limite dell’incantamento. Ma il banco di prova per gli interpreti di questo capolavoro è, come spesso accade, il tempo lento, l’Adagio mesto, in terza posizione, vero vertice dell’opera e uno dei pezzi più affascinanti che Brahms ci abbia lasciato. Qui domina una linea espressiva che richiama alla memoria il Requiem, quasi una meditazione sulla morte, dolente e ombrosa. Eccellente l’apertura pianistica del pianoforte, in cui Coppola è semplicemente perfetto nel trovare il ritmo di una melodia meditativa e il colore, di un brunito melanconicamente sfumato negli accordi arpeggiati, così come è perfetto nel tocco appassionato con cui scandisce gli accordi che, nel finale del movimento, riprendono questo stesso tema. Corno, violino e pianoforte sono poi da applauso nell’interpretazione del secondo
tema: il loro dialogo si carica via via, in crescendo, d’intensità emozionale, che sgorga dai vibranti tremoli del violino, dagli ampi accordi del pianoforte, dalla particolare sonorità di un corno che avvolge queste battute di un suono d’infinita mestizia. Un’interpretazione veramente da antologia, in cui la tecnica, in particolare nei chiaroscuri dinamici, e il modo di sfruttare le possibilità coloristiche offerte dalle tre palette degli strumenti è all’altezza delle esecuzioni migliori di questo pezzo. I tre strumenti, nel Finale, quasi un’uscita dalle tenebre, realizzano, ciascuno a suo modo, un suono di bellissima luminosità e chiarezza, grazie soprattutto alla condotta del violino di Spinedi e alla squillante fanfara del corno di Schiavone. Possiamo dire che questa esecuzione del Trio op.40 di Brahms è stata un’esperienza di contatto col Bello, come ha confermato l’entusiastico applauso del pubblico che riempiva l’Auditorium. Tre pezzi hanno preceduto questa meraviglia musicale. L’Adagio e Allegro op.70 per corno e pianoforte di R. Schumann, che apriva il concerto, è un altro gioiello timbrico-espressivo, in cui il corno di Schiavone ha dato prova eccellente della sua versatilità, con un timbro morbido e velato in tutta la sua estensione, in particolare nel cantabile di intensa tenerezza della prima sezione, e nel secondo couplet dell’Allegro in forma di Rondò, in cui il suono del corno raggiunge una carica evocativa di sognante profondità. Ma i complimenti vanno anche a Coppola, bravissimo nel gestire una parte pianistica densa di echi e rimandi in un dialogo polifonico incessante col corno. A seguire lo Scherzo in Do minore composto da Brahms nel 1853 per la Sonata F.A.E., opera collettiva composta con Schumann e con Dietrich. In questo Scherzo vi è un’apprezzabile parte pianistica, con una robusta scrittura nella zona grave della tastiera, sfruttata al meglio da Coppola, mentre la parte violinistica, peraltro eseguita con eleganza e colpi d’arco sempre condotti con sapiente finezza da Spinedi, è nel complesso un po’ debole, specie nel Trio. Infine, a precedere il Trio di Brahms, la Romanza per violino e pianoforte WWV 64 di R. Wagner, eseguita con suggestiva cantabilità e perfetto controllo delle sfumature timbriche e dei chiaroscuri dinamici dai due strumentisti. Gran successo di pubblico, strameritato dai tre bravissimi Maestri, ma niente bis.