La statunitense Ellen Kuras, sessantacinquenne, dal 1987 direttrice della fotografia – pluripremiata – di numerose pellicole di successo, ha esordito nel 2008 come regista; nel 2023 ha diretto un film ispirato alla biografia di Elizabeth “Lee” Miller (1907-1977), considerata una delle più grandi fotografe del XX secolo. Protagonista è la bravissima e splendida Kate Winslet, che ha partecipato anche alla produzione.

Il fil rouge del lavoro corre su un’intervista – in realtà immaginaria – cui si sottopone la fotografa, ormai anziana, malata e debilitata anche da un eccesso di alcool e di fumo, a lei necessari per combattere la depressione. Ripercorre dunque nel suo racconto, tra una sigaretta e l’altra e numerosi bicchieri di whisky, le tappe principali della sua vita.
Nata nello stato di New York da una famiglia benestante, a 7 anni Lee subisce il gravissimo trauma di una violenza sessuale, seguita da un’infezione. Di se stessa scriveva: “Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina”. Compie studi artistici e va a Parigi per un anno; tornata a New York, viene notata per la sua bellezza e diventa una famosa modella di Vogue.

Ha solo vent’anni ed è richiesta dai migliori fotografi dell’epoca. In un secondo soggiorno parigino incontra Man Ray: non sarà per lui solo modella, musa e amante, ma diventerà anche una sua allieva di eccezionale talento, tanto che alcune loro foto sono indistinguibili. Frequenta artisti come Picasso, Dalì, Max Ernst, Jean Cocteau. Apre un suo studio a Montparnasse, viene dipinta come “fotografa surrealista”. Lascia Ray nel 1932, riapre uno studio a New York, e per qualche tempo lavorerà per Vogue sia come modella che come fotografa. L’incontro in Francia, nel 1937, con il pittore britannico Roland Penrose (1900-1984), con cui intreccia subito una relazione, sarà per lei fondamentale. Si trasferisce quindi con lui a Londra due anni dopo, proprio quando scoppia la guerra. Qui continua la collaborazione con Vogue, diventando amica di Audrey Withers, giornalista ed editrice della rivista. Riesce, con audacia e determinazione, sfruttando la sua cittadinanza americana, ad andare al fronte come corrispondente di guerra: ed ecco che dal dicembre 1942 la sua produzione diventa una straordinaria testimonianza fotografica di tragici eventi bellici.

Bombardamenti, battaglie, corsie di ospedali militari, soldati mutilati e feriti, macerie, cadaveri, tutto l’orrore viene ripreso dai suoi occhi attraverso la sua macchina; è sua l’immagine che dimostra il primo utilizzo del napalm, nel corso dell’assedio di Saint-Malo. Collabora con il fotografo statunitense David Scherman, che la ritrae nella vasca da bagno dell’appartamento di Adolf Hitler a Monaco di Baviera, occupata dagli americani, nel 1945.


Insieme entrano nei lager di Buchenwald e Dachau e documentano lo spaventoso sterminio, con immagini che Vogue non pubblica subito, suscitando l’ira di Lee, che voleva che tutti sapessero che cosa era successo a milioni di persone, vittime dei nazisti.

Il film si concentra soprattutto su questa parte, ossia sull’attività di Lee come fotoreporter negli anni del secondo conflitto mondiale: un’esperienza che la lascerà fortemente traumatizzata. “Esistono ferite – dirà – che non si possono vedere”. I dettagli biografici – la violenza subìta, il matrimonio con Roland dopo la guerra, la nascita del figlio Antony, l’abbandono della fotografia e la nuova passione per l’arte culinaria – sono svelati verso la fine. Ne nasce un affresco particolare, che sottolinea gli aspetti più interessanti e singolari di questa incredibile figura di donna coraggiosa, affascinante, di grande intelligenza, libera e disinvolta in un mondo di uomini spesso prevaricatori; Lee Miller ha saputo fornire preziose testimonianze di indubbio valore storico, lasciando una traccia indelebile della sua sensibilità, del suo talento e della sua sofferenza personale. Molto valida l’interpretazione di Kate Winslet, candidata al Golden Globe 2025.
