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NOVEMBRE 2019
Nel centro di Philadelphia,
in J.F.Kennedy Plaza, un monumento colorato
attrae i turisti che immancabilmente si fanno
fotografare con questo come sfondo. Si tratta
della "Love Statue", che non è altro che una
serie di
gigantesche
lettere colorate che compongono la scritta "I
Love Philly". "Philly" è il diminutivo
affettuoso della città, il cui nome è già molto
significativo: "Amore fraterno" è la sua
traduzione dal greco. Fondata nel 1682 dal
quacchero William Penn, con l'intendimento di
erigere un centro urbano simbolo di libertà e
tolleranza religiosa (ma intanto la
colonizzazione della zona, iniziata circa
quarant'anni prima dagli svedesi, aveva spazzato
via i nativi indiani della tribù dei Delaware!)
è la più grande della Pennsylvania: la città
conta più di un milione e mezzo di residenti,
mentre la conurbazione arriva a quasi sei
milioni di abitanti. E' una città bellissima e
ce ne siamo subito innamorati. Arrivando in auto
da Harrisburg, la capitale dello Stato - che
merita una visita!- abbiamo alloggiato tre notti
presso l'Holiday Inn Express (100 N Christopher
Columbus Blvd), un ottimo albergo della nota catena,
con parcheggio (a pagamento, un po' caro),
prenotato tramite Booking. La vista dalla nostra
stanza era strepitosa: il Ben Franklin
Bridge, magnifico ponte sul fiume Delaware, inaugurato
nel 1926, che unisce la città al New Jersey, si
mostrava in tutta la sua imponenza, essendo
l'hotel vicinissimo. Splendido il panorama
notturno, con il gigantesco ponte, lungo circa 3
km, illuminato di verde e blu. La posizione
dell'albergo, nella zona detta Penn's Landing,
con moli sul fiume diventati sede di ristoranti
etnici, mercatini e atelier di artisti, si è
rivelata strategica per la visita della città: a
pochi passi, camminando lungo Race Street, si
trova la famosa Elfreth's Alley, la via più
antica di Philadelphia, annoverata tra le undici
più belle strade degli Stati Uniti. Si entra
quindi subito nell'Old District. Elfreth's Alley
risale al 1706; percorrendo il suo selciato di
pietra si possono ammirare una trentina di case
costruite tra il 1738 e il 1836, tuttora abitate.
La nostra
prima
meta è stata l'Independence Hall,
nell'omonimo
parco storico. Tra la 5^ e la 6^street, su
Chestnut St., l'edificio in stile georgiano, in
mattoni rossi, risale alla metà del '700 e fu
sede, il 4 luglio 1776, della ratifica della
Dichiarazione d'Indipendenza, scritta da Thomas
Jefferson, documento che unificò le tredici
colonie di allora e le rese indipendenti
dall'Impero britannico, dopo la guerra iniziata
nel dicembre 1773 con il Boston Tea Party.
Questo fu un atto di protesta dei coloni
americani, nel porto di Boston, contro
l'innalzamento delle tasse imposte
dall'Inghilterra, e segnò di fatto l'inizio
della rivoluzione. Tra i partecipanti alla
ratifica della Dichiarazione d'Indipendenza,
nella sala del Congresso, sedevano George
Washington e Benjamin Franklin. La nascita degli
Stati Uniti d'America - che
celebrano la loro festa nazionale il 4 luglio -
risale quindi ufficialmente a quell'illuminato
testo, anche se l'anno successivo i firmatari
dovettero
fuggire a causa
dell'occupazione
inglese, che però terminò nel 1778. Nel 1787,
nella stessa Independence Hall, si completò la
carta della Costituzione, che andò in vigore nel
1789. La visita guidata, obbligatoria, è
decisamente interessante e vale l'attesa in coda
fuori dall'edificio; occorre un biglietto
d'ingresso, gratuito (ma i posti sono limitati)
da ritirare nel vicino Independence Visitor
Center, che conserva nei pressi la famosa
campana che suonò l'adunata per la lettura della
Dichiarazione, la Liberty Bell. Chi ha tempo e
vuole approfondire la storia americana può
visitare anche il vicino Museum of American
Revolution. Proseguendo per Chestnut St.
o anche per la parallela Market St. si arriva
all'ottocentesco
City Hall, il municipio della città, con la sua
torre-campanile di 167 m, passando prima per il
Reading Terminal Market, famoso mercato agricolo
coperto straripante di prodotti alimentari e di
ristorantini.
Ovunque
si decida di andare, si trovano angoli piacevoli,
giardini, palazzi, modernissimi shopping
centers, grattacieli dall'architettura
interessante: volendo spendere 15 $ a testa si
può salire al 57° piano dell'One Liberty
Observation Deck (1650 Market St., accesso dal
centro commerciale Liberty Place), per
vedere la
città dall'alto. Rittenhouse square è elegante,
con un bellissimo parco, ed è il cuore
dell'omonimo quartiere. Lungo l'alberata
Benjamin
Franklin
Parkway
ci si dirige verso la zona dei musei più
importanti, la cui visita richiede senz'altro
almeno una giornata: imperdibili sia il
vastissimo Philadelphia Museum of Art, cui si
accede salendo la scenografica scalinata
immortalata da Rocky, sia la preziosa - e
stupefacente, per la ricchezza delle collezioni,
soprattutto di dipinti impressionisti e post-impressionisti-
Barnes Foundation. Il dottor Albert Barnes,
vissuto tra il 1872 e il 1951, fece fortuna con
l'industria farmaceutica e investì i suoi
guadagni in numerosissime opere d'arte, mettendo
poi il suo patrimonio di capolavori a
disposizione della città. La nostra visita è continuata
verso la periferia: una piccola casa-museo si
trova infatti fuori dal centro, al 532 N 7th St.
Si tratta dell'Edgar Allan Poe National Historic
Site, suggestiva costruzione in mattoni rossi
dove abitò nel 1843 il famoso scrittore,
originario di Boston. Si trovano libri,
ricostruzioni di ambienti, oggetti appartenuti a
Poe. Un'altra meta godibilissima è lo Science
History Museum al 315 di Chestnut St., con
un'ampia sala ricca di strumenti e giochi
interattivi dedicati alla chimica, alla biologia
e all'ingegneria. E al 317 si trova Il Benjamin
Franklin Museum: si ripercorre la vita del
geniale inventore del parafulmine- ma fu anche
giornalista, tipografo, scrittore, diplomatico,
politico, attivista, scienziato - nato in una
famiglia poverissima nel
1706,
quindicesimo di diciassette figli. Fu l'unico
dei cosiddetti Padri Fondatori a partecipare
alla stesura di tutti i documenti fondamentali
che stanno alla base degli Stati Uniti d'America
(Dichiarazione d'Indipendenza, Articoli della
Confederazione, Costituzione americana) ed è
diventato il personaggio-simbolo di
Philadelphia. Nel museo si possono leggere i
suoi scritti, si ammirano e si usano le copie di
alcune sue invenzioni, come l'armonica a
bicchieri, si sfogliano documenti, si resta
davvero sbalorditi della versatilità e
dell'intelligenza creativa, animata anche da
profondo spirito umanitario, di Franklin, vera
incarnazione dell'illuminismo. Nei pressi, si
passa accanto al Christ Church Burial Ground,
cimitero dove si trova la sua tomba: morto a
Philadelphia nel 1790, fu sepolto accanto alla
moglie Deborah. La lapide è visibile dalla
strada attraverso l'inferriata. E dopo la nostra
bellissima visita, alla fine del nostro viaggio
negli States, ci sembra che proprio una frase di
Benjamin Franklin possa essere per noi una
conclusione particolarmente significativa: "L'investimento
in conoscenza paga sempre l'interesse più alto".
23 novembre 2019 Anna Busca OTTOBRE 2019 di Anna BuscaGli Stati Uniti ospitano le istituzioni universitarie più prestigiose del mondo: ben quattordici dei suoi atenei compaiono nel World Top 20 Universities Rankings For 2019. Progettando un viaggio negli Stati Uniti orientali, è d'obbligo un percorso associato alla cosiddetta "Ivy League", lega d'edera, appellativo nato negli anni '50 e associato ai gruppi sportivi dei college, con il quale oggi si indicano le Ancient Eights, ossia le otto più antiche università statunitensi, tutte in posizioni molto alte nella classifica delle "World Top". Noi abbiamo scelto di visitare Yale, Harvard, e la Cornell University di Ithaca. Per ragioni di tempo, abbiamo "saltato" le settecentesche Brown University di Providence, Columbia University di New York, Princeton University, il Darmouth College di Hanover, l'Università della Pennsylvania. Ci siamo regalati però una visita al MIT, che non appartiene alla mitica lega ma si trova al primo posto nella classifica... Dopo una sosta di tre giorni a New York, avendo noleggiato un comodissimo SUV della Mazda presso l'Avis Rent a car di Manhattan (220 W 31st street), ci siamo diretti alla volta di New Haven, Connecticut, raggiungibile in meno di due ore grazie all'Interstate 95 North: qui ha sede la famosa Yale ( www.yale.edu ). Tramite Booking avevamo prenotato una stanza al Quality Inn East Haven, 30 Frontage Road, in una posizione molto comoda per raggiungere rapidamente in auto il centro della città e la zona universitaria. Fondata nel 1701 come "Collegiate School" assunse il nome Yale vent'anni dopo, in onore del ricco mercante gallese Elihu Yale, che era stato uno dei suoi generosi benefattori. I fondatori erano calvinisti, e l'università mantenne a lungo una forte impronta religiosa: alla fine del '700 l'ebraico divenne un insegnamento obbligatorio, in modo che gli studenti potessero leggere i testi biblici originali! Il motto di Yale, Urim ve Tummim, è in ebraico, e si riferisce a pietre divinatorie ("Luce e Verità") citate nell'Esodo. Attualmente Yale è l'università della Ivy League con la percentuale più bassa di studenti ammessi sui richiedenti (mediamente il 9%, circa 2000 studenti l'anno). La popolazione studentesca complessiva ammonta oggi a circa 13000 iscritti. Molti presidenti degli Stati Uniti hanno studiato qui; e dalla Yale School of Drama sono usciti registi, attori e attrici di fama mondiale. Il campus è molto esteso, una sorta di città nella città, con splendidi edifici storici affacciati su prati verdi o viali alberati. Per preparare la visita si può scaricare la mappa (interattiva) dal sito, da consultare anche per conoscere gli orari di apertura degli edifici e di eventuali visite guidate. Le strade più interessanti sono senza dubbio Elm St e Chapel St (che delimitano l'Old Campus), High St, perpendicolare alle precedenti, che lo attraversa, Rose Walk, che passa per l'adiacente Cross Campus, College St e Wall St. L'imponente Sterling Memorial Library, biblioteca con circa 4 milioni di volumi, i neoclassici Woolsey Hall e Schwarzman Center, il neogotico Sterling Law Building sono tra gli edifici più appariscenti, ma anche gli eleganti Silliman College e Vanderbilt Hall e le costruzioni in mattoni rossi, residenze degli studenti (vi sono ben dodici college residenziali), colpiscono piacevolmente il visitatore immergendolo nell'atmosfera austera e al contempo giovane e stimolante dell'università. Affascinanti il Trumbull College e il Branford College, quest'ultimo con una torre neogotica, la Harkness Tower, alta 66 m, che spicca nel panorama degli edifici universitari. Al 1111 di Chapel St una visita imperdibile: la Yale University Art Gallery (www.artgallery.yale.edu ), una costruzione moderna di Louis Kahn che ospita un'ampia sala di lettura al pianterreno e un museo, a ingresso gratuito. Ricchissima la collezione di dipinti di pittori americani (splendidi i ritratti di Homer Winslow e i quadri di Hopper); capolavori di Manet, Degas, Modigliani, Kokoschka, ma anche di Botticelli, Rembrandt, Bosch, Van Gogh, splendidi reperti antichi egiziani, greci, romani, opere d'arte contemporanea rendono la visita decisamente interessante. Di fronte, al 1080, un altro indirizzo importante: lo Yale Center for British Art (www.britishart.yale.edu ). Qui sono esposte - e spesso vi sono intere pareti tappezzate di quadri - splendide opere di artisti inglesi (spiccano i quadri di Turner), molti ritratti di re, regine, aristocratici (numerosi di Rubens e di Van Dick), fotografie, porcellane, libri antichi: un omaggio prezioso al Regno Unito e alla sua storia.Lo Yale Bookstore è oltre Elm St, poco dopo l'incrocio con York St, su Broadway: qui si possono comprare felpe, tee-shirts, berretti, borse, penne, quaderni, cartellette e ogni genere di oggettistica con il marchio Yale; vi si trova anche una libreria della catena Barnes & Noble. Lasciata Yale, dopo un piacevole tour a Cape Cod (la visita fino a Provincetown, distante circa 350 km da New Haven, richiede almeno un pernottamento) abbiamo raggiunto Boston, dove ci siamo fermati tre giorni. Sempre tramite Booking avevamo riservato una camera al Ramada by Wyndham Boston a Dorchester, un quartiere a sud della città (800 Morrissey Boulevard). Un ottimo indirizzo, dato che un servizio gratuito di navetta organizzato dall'hotel ci portava in pochi minuti alla più vicina stazione di metropolitana (JFK/UMass, sulla Red Line) e da qui, in un tempo altrettanto breve, si arriva in centro. La bellissima capitale del Massachusetts è notoriamente problematica in quanto a traffico e parcheggi, quindi è meglio muoversi a piedi o con i mezzi: le linee della metropolitana (detta T, la più antica degli Stati Uniti, risalente al 1897) sono molto efficienti e più facili da usare di quelle di New York. E' inoltre possibile acquistare la Charlie Card, su cui si può caricare un abbonamento giornaliero o settimanale, che consente di risparmiare rispetto ai singoli Charlie Ticket. Sulla linea rossa, in direzione Alewife, a dieci fermate da JFK/UMass, si trova Harvard ( www.harvard.edu ), la nostra seconda meta del percorso dell'Ivy League: è l' università più antica degli Stati Uniti, essendo stata fondata nel 1636, e forse la più nota. Il nome deriva dal primo benefattore del College, il giovane pastore protestante inglese John Harvard, che morì nel 1638 lasciando in eredità all'istituto la sua biblioteca di 400 libri e metà della sua casa. Nel 1836 fu ideato lo stemma di Harvard, con la parola latina "Veritas" scritta su tre libri; il colore ufficiale è il rosso cremisi. Attualmente l'Harvard College è frequentato da circa 6700 studenti. Gli edifici universitari delle varie facoltà occupano una vasta area a Cambridge, nella conurbazione settentrionale di Boston, attraversata dal Charles River. Scendendo alla fermata Harvard della T occorre attraversare Massachusetts Avenue per entrare nella parte più storica del campus, attraverso il Johnston Gate: prati e viale alberati circondano edifici prevalentemente di mattoni rossi, ma vi sono anche imponenti costruzioni in stile neoclassico, come la grande biblioteca. Molto scenografica la Memorial Hall, in stile neogotico. Si incontrano gruppi di visitatori guidati da studenti, ma la visita è libera. Conviene anche in questo caso scaricare la mappa dal sito per non perdersi e trovare agevolmente il luogo da vedere. La Memorial Church dal campanile bianco e sottile ha come sfondo il bellissimo Sanders Theatre; dalla parte opposta rispetto all'edificio che ha davanti la statua di John Harvard, opera di Daniel Chester French, (fotografata da molti turisti che lo scambiano erroneamente per il fondatore dell'università, come d'altra parte è riportato sul basamento!) sorgono gli Harvard Art Museums (32 Quincy St, www.harvardartmuseums.org ), da visitare assolutamente. L'ingresso è gratuito per studenti con tessera identificativa e per i minori di 18 anni, altrimenti costa 15 dollari. La spesa è assolutamente compensata dalla bellezza e dalla vastità delle collezioni esposte. Si tratta in effetti di tre musei uniti (il Fogg, il Busch-Reisinger e l'Arthur M.Sackler), e l'edificio è stato ampliato grazie a un progetto di Renzo Piano. Se si ha tempo, ci si può spingere oltre l'Harvard Yard per vedere altri edifici interessanti, come la Harvard Law School e il Museum of Natural History (26 Oxford St), o l'Harvard Business School dall'altra parte del fiume. L'Harvard Book Store è al 1256 di Massachusetts Av.: non è solo libreria ma anche negozio di abbigliamento e oggettistica con marchio Harvard. Magliette, felpe e borse vanno a ruba, anche se i prezzi sono alti: se i guadagni vanno all'università, è certamente un bel business. Per la cronaca, la quota d'iscrizione annuale media di uno studente si aggira intorno ai 45.000 dollari, che possono scendere a 20.000 se ci sono borse di studio o agevolazioni. Chi aspira a studiare tra queste mura deve presentarsi non solo con il massimo dei voti in uscita dalla scuola superiore, ma anche con una notevole disponibilità finanziaria!A Cambridge si trova anche il MIT, ossia il Massachusetts Institute of Technology: fondato a Boston nel 1861, si trasferì qui nel 1916 (per questa ragione non può essere considerato nell'Ivy League). Motto: Mens et Manus, il che è già tutto un programma. Vanta ben novanta Premi Nobel e quasi duecento vincitori di riconoscimenti nazionali o internazionali. Gli studenti che devono laurearsi attualmente sono circa 4600 (e quelli nei corsi post lauream sono circa 6500). L'ingresso per i visitatori è nel neoclassico e scenografico Rogers Building al 77 di Massachusetts Avenue, davanti a un'ampia zona verde, dove si trovano il moderno Stratton Student Center, con ristoranti e caffetterie, e altri edifici, nonchè campi sportivi e strutture ricreative. Salendo la scalinata e varcando la soglia del Rogers Building sembra davvero di entrare in un tempio! Nella grande hall quattro pannelli colorati mettono subito in evidenza gli obiettivi fondamentali del MIT: "Innovazione, Passione, Educazione, Ricerca. Per un mondo migliore". Si attraversa un lunghissimo corridoio sul quale si affacciano aule e sale di studio affollate di studenti. Si esce poi in una parte più moderna, dove si vedono edifici dall'architettura notevole, come il Ray and Maria Stata Center (laboratori sull'intelligenza artificiale), il Koch Biology Building, il Landau Building (chimica), il Whitaker Building (Scienze della salute). Da una piazzetta si può passare in Main St. e da qui spostarsi verso altre zone del campus, che si affacciano anche su Vassar St. In grandi edifici si trovano i laboratori di scienze ambientali (Parsons Laboratory), i centri di ricerca sul cervello (BCS, Brain and Cognitive Sciences), gli istituti di astrofisica e di scienze aerospaziali (McNair Building)... Anche in questo caso si ha la percezione della vastità dell'area dedicata alla ricerca e dell'imponenza dei finanziamenti necessari a sostenerla. Il nostro tour nelle università degli Stati Uniti orientali si è concluso una settimana dopo a Ithaca, nello stato di New York. Situata nella bella regione dei Fingers Lakes, sulla riva meridionale del lago Cayuga, la città è circondata da paesaggi verdi e rocciosi, ricchi di corsi d'acqua e cascate, e si presta ad essere una comoda tappa per organizzare escursioni naturalistiche nei dintorni. Abbiamo alloggiato in un motel, il Super 8 by Wyndham Ithaca, 400 S Meadow St, in posizione comoda per raggiungere downtown e l'Ithaca Falls Natural Area. Qui ha sede la Cornell University ( www.cornell.edu ), che ospita in tutto circa 20.000 studenti. Si tratta di un'università prevalentemente scientifica, fondata nel 1865, con un campus molto esteso nel verde, intorno al Beebe Lake: vi si trovano edifici storici ma anche strutture molto moderne, come l'Herbert F. Johnson Museum of Art. Grandi campi sportivi, con piste d'atletica, interrompono il susseguirsi dei dipartimenti di ricerca. Abbiamo dedicato la nostra visita prevalentemente ai bellissimi Cornell Botanic Gardens. Un edificio in vetro e legno, il Nevin Welcome Center, ospita un gift shop con oggetti e libri legati ai temi botanici, nonchè pubblicazioni scientifiche e guide di tassonomia vegetale. Qui si può prendere una mappa per la visita. Gli itinerari nei giardini sono molto piacevoli e portano a scoprire angoli suggestivi, con scorci sul lago e su cascate. Vi è anche un arboreto. Cinquanta specie di quercia, aceri, conifere, faggi, piante tropicali, oltre 500 varietà di erbe, collezioni di rododendri, un giardino roccioso...quasi impossibile riuscire a esplorare tutti i giardini. E' sicuramente l'Ivy più green! Cultura e natura in uno splendido binomio. Se ci fosse un ranking per la bellezza del luogo, sarebbe al primo posto...15 ottobre 2019 Anna Busca SETTEMBRE 2019 NEW YORK NEW YORK di Anna BuscaUn viaggio negli States è sempre un bellissimo tuffo in mille realtà diverse, ma se si vuole gettare lo sguardo sul futuro e sull'evoluzione di una città verticale non si può non passare - qualsiasi itinerario si sia deciso di percorrere - qualche giorno a New York. Dunque, acquistati convenienti biglietti aerei andata/ritorno da Milano Malpensa a New York JFK (tariffa Basic Economy American Airlines sul sito di Easy Jet, www.easyjet.com ), ottenute le indispensabili autorizzazioni ESTA (https://esta.cbp.dhs.gov ), prenotato l'hotel grazie a Booking (il bellissimo SpringHill Suites by Marriott di Manhattan, 338 West 36th Street), siamo pronti per ammirare di nuovo la Grande Mela, per noi punto di partenza e di arrivo di un percorso circolare di esplorazione del New England. Non è infatti la nostra prima visita di questa incredibile metropoli: decidiamo quindi, avendo solo pochi giorni a disposizione, di scegliere luoghi e attività il più possibile "nuovi", escludendo visite già effettuate in passato.La nostra prima meta è anche in realtà un percorso: la High Line ( www.thehighline.org ), un vero parco pubblico che si snoda lungo una strada ricavata da una vecchia linea ferroviaria sopraelevata, nella zona ovest di Manhattan, salvata dalla demolizione grazie ai residenti, che videro accolta la loro richiesta di trasformarla in uno spazio utilizzabile verde e multifunzionale. Inaugurata nel 2009, via via si è arricchita di piante e opere d'arte. E' un vero piacere camminare tranquillamente tra grattacieli, nuovi cantieri, palazzi, visti da una certa altezza, in mezzo a fiori ed essenze profumate (tanti i giardinieri all'opera! E' tutto molto curato) sedendosi su comode panchine a guardare il panorama e a fare due chiacchiere. Noi siamo saliti all'inizio, all'altezza della 30th Street, verso il fiume Hudson, e poi scesi al termine, all'incrocio tra Gansevoort St. e Washington St. Un bel tratto di Manhattan, senza traffico e folla. Molte le opere e le installazioni d'arte contemporanea, prima fra tutte la Brick House, di Simon Leigh: un enorme busto di bronzo di una donna africana, con il torso a forma di gonna/capanna d'argilla, tra la 30th St. e la 10th Ave.In Gansevoort St., al 99, si trova la nuova sede di uno dei musei storici tra i più interessanti: il Whitney Museum of American Art (chiuso il martedì), fondato nel 1931 dalla scultrice Gertrude Vanderbilt Whitney nel Greenwich Village, poi spostato, nel 1966, nella 75th St, e infine trasferito qui, dal 2015, nel bell'edificio progettato da Renzo Piano ( www.whitney.org ). Migliaia le opere ospitate, con collezioni preziosissime spesso frutto di donazioni, come quella della vedova di Edward Hopper. La visita è interessantissima e davvero un "must". Dalle terrazze si possono ammirare scorci particolari di Manhattan. L'ingresso è gratuito per i minori di 18 anni, mentre è piuttosto caro per gli altri visitatori (dai 18 ai 25 euro). Il venerdì sera, dalle 19 alle 21.30, è però possibile accedere con la formula "Pay what you want": naturalmente la coda per la biglietteria in questo caso diventa presto interminabile...Continuando la nostra passeggiata verso la Lower Manhattan, si può fare una sosta riposante su una comoda panchina dell'Hudson River Park, attrezzato anche con giochi per bambini. Bella la vista sul fiume e sui quartieri di Jersey City e Union City, collegati a Manhattan da un paio di ponti. Sempre costeggiando l'Hudson arriviamo alla meta senz'altro più simbolica ed emozionante del nostro soggiorno newyorchese: il grattacielo dell'One World Trade Center - più noto come Freedom Tower, su progetto dell'architetto David Childs - al 285 di Fulton St., inaugurato nel 2014, che domina con i suoi 416 m (541 m se si considera l'antenna/guglia) il World Trade Center 9/11 Memorial. Chi lo desidera può salire, con una spesa minima di 35 $ a biglietto (!), al 102° piano, per godere una vista tanto spettacolare quanto costosa... Il Two World Trade Center, progettato da Norman Foster, è in costruzione e sarà inaugurato l'11 settembre 2021. Il commovente National September 11 Memorial & Museum, al 180 di Greenwich St., ci aspetta per rinnovare ricordi e riflessioni su quello che fu l'evento più spaventoso e tragicamente emblematico dell'inizio di questo secolo. Nel luglio 1995 eravamo saliti all'Osservatorio della Torre Sud (WTC2), al 107° piano; e mai avremmo immaginato che, solo sei anni dopo, di quello straordinario complesso di grattacieli e palazzi (erano sette, fu tutto demolito visti i danni causati dal crollo delle Twin Towers) sarebbero rimaste solo macerie e rovine. Nell'estate 2009 avevamo visitato Ground Zero, con il cantiere e le fondamenta dei nuovi edifici in costruzione; all'epoca fotografie e documenti erano esposti in una specie di galleria ricavata nel cantiere stesso. Erano trascorsi otto anni dall'attentato dell'11 settembre e i lavori di ricostruzione fervevano senza sosta. Ora al posto delle torri si trovano due grandi vasche di marmo nero (North e South Pools) colme d'acqua, che scorre dalle pareti fino a un'apertura quadrata centrale; sulla cornice esterna sono incisi i nomi delle 2572 vittime dell'attentato. La Memorial Plaza, lastricata di granito chiaro, è piantumata di querce e molto bella. Tra gli alberi, il Survivor Tree: un pero (Pyrus calleryana, originario di Cina e Vietnam) che si salvò dal crollo delle torri, fu recuperato e curato da botanici esperti e ora fiorisce in primavera con magnifici petali bianchi, simbolo di speranza e resilienza. Il progetto del nuovo WTC, Reflecting Absence, è dell'israeliano Michael Arad e dello statunitense Peter Walker. Accanto, l'Oculus: a forma di una bianca colomba, il bellissimo edificio di acciaio e vetro di Santiago Calatrava ospita un elegante centro commerciale, collega tra loro con passaggi sotterranei gli edifici del WTC e il molo di Battery Park, ed è sede di una stazione dove si incrociano treni del Port Authority Trans Hudson e ben undici linee di metropolitana. L'interno lascia stupefatti: di marmo bianco, simile a una cattedrale, luminosissimo, dal candore quasi accecante. Dopo aver camminato in silenzio nella piazza, tra una folla di visitatori commossi, abbiamo visitato il museo ( www.911memorial.org ). Si scende in un ampio spazio sotterraneo, che conserva documenti e reperti, filmati, fotografie: si rivivono i momenti terribili degli attacchi terroristici, si leggono e ascoltano testimonianze drammatiche, si rinnova il ricordo delle vittime e dei loro ultimi istanti di vita. Grandi pannelli esplicativi, un camion dei pompieri schiacciato dalle macerie, resti degli aerei, oggetti ritrovati...E l'11 settembre 2001, purtroppo, sembra ieri.La nostra visita è proseguita nella zona di Battery Park, dove si trova l'imbarco per Staten Island, un'isola di poco più di 250 km2, che è uno dei cinque quartieri di New York. Pochi sanno che proprio qui, in un'enorme discarica, vennero portati i due milioni di tonnellate di detriti di Ground Zero; chiusa nel 2002, l'ex discarica si trasformerà a breve nel parco pubblico più grande della città. Noi ci siamo limitati a restare nella zona dell'arrivo del traghetto, lo Staten island Ferry, gratuito (misura resa necessaria dal fatto che non ci sono linee di metropolitana che colleghino l'isola a Manhattan). Ci si trova in una specie di centro commerciale diffuso, con negozi e caffè, scalinate, fiori, panchine: molto piacevole per una sosta e per ammirare il panorama, davvero unico. Avendo tempo varrebbe senz'altro la pena fermarsi qui una giornata intera per visitare i vari quartieri, popolati in particolare da italo-americani: vi si trova anche il Garibaldi-Meucci Museum, in una casa abitata prima da Giuseppe Garibaldi e poi da Antonio Meucci. Ci siamo ripromessi di farlo nel prossimo viaggio! La traversata, di circa 8 km e della durata di 25 minuti, consente di ammirare la statua della Libertà a una distanza abbastanza ravvicinata. Il traghetto è attivo ogni giorno, per 24 ore, a orari variabili (ogni 15 minuti nelle ore di punta, altrimenti ogni mezz'ora) e non trasporta automobili.Abbiamo nuovamente lasciato Manhattan, in seguito, per recarci a Brooklyn, ma questa volta abbiamo percorso a piedi il famosissimo ponte d'acciaio sull'East River, costruito nel 1883 (ma iniziato esattamente 150 anni fa), che ha un bel percorso ciclopedonale, molto scenografico e piuttosto affollato. Anche Brooklyn merita senz'altro una visita ad hoc, essendo un quartiere vastissimo all'estremità occidentale di Long Island, con quartieri interessanti e uno dei musei d'arte più grandi degli USA. Noi, sempre per ragioni di tempo, ci siamo limitati a restare nel Brooklyn Bridge Park, piacevolissimo spazio verde con grandi prati e percorsi ciclabili. Il panorama è splendido, molti si fermano per un pic nic o per attività sportive. Un altro celebre ponte, quello di Verrazzano, unisce Brooklyn a Staten Island. Volendo goderci anche il verde di Manhattan, non potevamo non ritornare a Central Park, visitato anche nei viaggi precedenti ma sempre imperdibile. Questa volta siamo riusciti a dedicare un intero pomeriggio, molto rilassante, a questo meraviglioso spazio nel cuore di Uptown, aperto nel 1856 su progetto di Olmsted e Vaux. Il paesaggio sembra tutto naturale, e invece è il risultato di un grandioso lavoro di bonifica e piantumazione. Laghi, sentieri, rocce si susseguono tra gli alberi. E intorno, lontani e al contempo vicini, gli altissimi grattacieli di Midtown. E' sempre troppo presto lasciare il parco e avviarsi sulla strada del ritorno. Vicino alla famosa statua di Alice in Wonderland, nel Conservatory Water, opera dello scultore José de Creeft (1959), vengono in mente le parole scambiate tra Alice e Bianconiglio: "Per quanto tempo è per sempre?" "A volte, solo un secondo". Milano, 20 settembre 2019
SOLE E MARE DI FINE AGOSTO di Anna BuscaUna bella vacanza nell’ultima settimana di agosto si può improvvisare all’ultimo momento, seguendo le previsioni meteorologiche in modo da evitare la pioggia, e risultare piacevolissima. Siamo partiti in auto da Milano diretti verso la costa adriatica, che doveva essere più soleggiata di quella tirrenica, garantendoci quindi bagni e abbronzatura: e così è stato. Prima tappa, per un pranzo veloce, al Fico di Bologna, che non avevamo mai visto e che invece merita senz’altro più di una visita: l’acronimo significa “Fabbrica Italiana Contadina” ed è il nome di un grandissimo parco tematico alimentare ( www.eatalyworld.it ), aperto tutti i giorni, a ingresso libero. L’interno è concepito come una sorta di Expo del cibo e dei prodotti italiani: ottimi ristorantini regionali – noi ci siamo fermati all’abruzzese “Gli Arrosticini”- interessanti botteghe di artigianato e spazi espositivi si alternano a zone didattiche dove si spiega l’origine di prodotti, come ad esempio l’olio, il vino, la birra, l’acqua minerale, i formaggi etc. Ogni giorno si organizzano (iscrizione a pagamento) tour guidati tematici e corsi di cucina tenuti da esperti chef; molte le iniziative per i bambini. Si resta incantati ad osservare, dietro una grande vetrata dello spazio Balocco, il robot che sistema nelle teglie da forno i biscotti… Lasciato Fico, abbiamo ripreso l’autostrada: avevamo prenotato tramite Booking una comoda stanza con colazione inclusa (A Due Passi dal Mare B&B, via Colle Piceno 6) a Numana, dove abbiamo pernottato e cenato, non senza esserci goduti un bagno pomeridiano alla spiaggia vicina. Bellissima Numana alta, il centro storico, che si raggiunge dopo aver salito una scenografica scalinata. Da una grande terrazza, il panorama sulla baia è stupendo. Avevamo già trascorso, negli anni passati, belle vacanze sulla Riviera del Conero, ma questa volta abbiamo deciso di proseguire verso sud, dove il meteo prometteva cielo sereno più a lungo. Ed eccoci - dopo una sosta rinfrescante nelle acque di Pedaso, in provincia di Fermo, dove il Lungomare dei Cantautori è a un minuto dal casello dell’autostrada (incredibile ma vero!) - arrivare a Termoli, in Molise, città che ricordavamo, per una tappa durante un viaggio estivo, come molto graziosa e interessante. E la memoria non c’ingannava: è davvero splendida! Ha un centro animatissimo ricco di negozi e ristoranti, con tavoli all’aperto nei vicoli, gelaterie e pasticcerie; strade eleganti e pulite, le più importanti decorate, alla sera, da bellissime luminarie colorate di verde e viola che aumentano senz’altro il fascino delle passeggiate notturne. L’antico castello svevo e la magnifica cattedrale romanica di Santa Maria della Purificazione sono presso il porto, davanti al mare e alla lunga spiaggia sabbiosa di Sant’Antonio. Bagni in acque trasparenti, passeggiate e ottimi piatti della cucina molisana (ma anche i locali napoletani servono pesci e pizze doc!) rendono il soggiorno assolutamente piacevole: ci siamo fermati tre giorni in un elegante appartamento vicinissimo al centro storico (Dependance Ludovica, via XXIV Maggio 6) e ci sono sembrati troppo pochi… Il tempo soleggiato ci ha convinto a organizzare un’escursione alle Tremiti, arcipelago pugliese appartenente al Parco Nazionale del Gargano, la cui bellezza viene sempre decantata. E’ stata in effetti la giornata più indimenticabile di tutta la vacanza, per l’incanto delle isole e l’acqua dalle sfumature blu e verde smeraldo. Siamo partiti alle 8.40 dal porto, utilizzando la compagnia NLG (44 euro a persona AR, purtroppo non abbiamo trovato nulla low cost!!!) e in circa un’ora il traghetto ha percorso i 45 km che separano le Tremiti da Termoli, approdando a San Domino, l’isola più grande, ricoperta da una folta pineta. Seguendo i consigli di un gentilissimo habitué dell’isola abbiamo evitato l’unica spiaggetta, Cala delle Arene, già affollata, e ci siamo diretti, attraversando parte della pineta, verso Cala dello Spido, una delle trentacinque calette di San Domino. Si raggiunge, non senza qualche difficoltà data l’assenza quasi completa di segnaletica, percorrendo tra bellissimi pini d’Aleppo un sentiero che però si fa via via più stretto e ripido e a tratti è perfino a strapiombo: occorre prudenza per evitare cadute rovinose sugli scogli. Una volta giunti, sistemati sulle rocce i teli da mare e indossate le indispensabili scarpine, ci si può immergere e nuotare in acque cristalline, in un paesaggio incantevole. Per il pranzo, non avendo con noi la colazione al sacco come la maggior parte dei turisti, abbiamo seguito ancora le indicazioni ricevute: con una barca e l’esborso di 5 euro a testa (andata e ritorno) ci siamo spostati dal porto nell’isola di fronte, San Nicola (tragitto di circa 2 minuti, in genere ogni ora). Qui vale assolutamente la fatica della salita sotto il sole la visita al complesso abbaziale fortificato di Santa Maria a Mare, dell’XI secolo: si gode un panorama stupendo anche sull’isola di Cretaccio, una specie di grande scoglio argilloso disabitato. Vicino all’approdo abbiamo gustato ottimo pesce al ristorante L’Architiello, frequentatissimo da Lucio Dalla, che qui aveva una casa e considerava le Tremiti uno dei luoghi più belli al mondo, fonte d’ispirazione per le sue canzoni. Abbiamo lasciato l’arcipelago, vera perla dell’Adriatico, nel pomeriggio, ripromettendoci di tornare in un futuro non troppo lontano per un soggiorno più lungo, magari a giugno o a settembre.Abbiamo poi deciso di prolungare il viaggio verso la Puglia: solo un centinaio di km separano Termoli da Peschici, punto di partenza per il periplo del promontorio del Gargano. Vieste è certamente un gioiello: abbiamo incontrato un gruppo di turisti francesi, nel centro storico, che commentavano con aggettivi entusiastici i luoghi e i panorami che fotografavano, quasi increduli di tanta bellezza. Vicoli, scalinate, archi, chiese antiche, rocce calcaree, case bianchissime incorniciate da bougainville viola che si stagliano nel cielo azzurro e sul mare blu… Una meraviglia! Tutta la vegetazione del promontorio, soprattutto pini, rende l’aria balsamica e profumata. La Foresta Umbra è meta di trekking e passeggiate. La meta finale del nostro giro del Gargano è stata Monte S.Angelo, dove abbiamo pernottato (B&B Gli Arcangeli, via Castello 2) davanti all’incredibile Santuario di San Michele. Si tratta di un sito antichissimo, risalente al V secolo, fondato sulla leggenda di un toro che sarebbe stato trovato misteriosamente inginocchiato in una grotta dal suo padrone; questi gli scagliò contro una freccia, che tornò indietro ferendolo... Un prodigio chiaramente riferibile a un mito, dato che la grotta sotterranea era molto probabilmente un luogo di culto già sotto i Greci. Fu trasformato in miracolo cristiano grazie a ben tre successive apparizioni dell’arcangelo Michele (!) e quindi fu considerato meritevole della costruzione di un santuario, raggiunto da pellegrini devoti. La via Micaelica lo congiunge a Castel sant’Angelo, a Roma. Dal 2011 è Patrimonio dell’Unesco, e in effetti una visita è d’obbligo: una lunga scalinata porta dal livello superiore a quello inferiore, dove la grotta è stata adattata, in modo stupefacente, a chiesa. Lungo la discesa uno schermo tv mostra in streaming la celebrazione della messa, se è in corso: così i pellegrini, se troppo numerosi, possono assistervi seduti sui gradini! L’ingresso è gratuito. Tutta Monte S.Angelo è comunque una sorta di “miracolo”: a circa 800 m di quota, si raggiunge grazie a una strada estremamente tortuosa; il paese è molto arroccato, ricco di scale e stradine ripide, un po’ faticoso da visitare. Suggestivo il castello, con mura possenti che circondano parte della sommità del monte. Molto carini i negozietti dove comprare prodotti di artigianato locale (soprattutto oggetti in legno), olio, liquori, biscotti e squisiti dolci del Gargano. Passando da San Giovanni Rotondo, spinti dalla curiosità di vedere un altro santuario, quello di padre Pio da Pietrelcina (al secolo Francesco Forgione) progettato da Renzo Piano, abbiamo avuto sentore di un vero e proprio business dei pellegrinaggi: decine di parcheggi costellano la zona del santuario, con parcheggiatori che si contendono gli automobilisti e i pullman in arrivo. Molti gli hotel, in contesti spesso poco curati ( abbiamo purtroppo notato qua e là cumuli di immondizia per strada). Il flusso di denaro in tale luogo è sicuramente notevole e fa gola a molti… Sulla strada del ritorno, abbandonata la Puglia, e poi attraversati il Molise e l’Abruzzo, non senza rimpianti, abbiamo concluso il nostro splendido tour italiano con una tappa nelle Marche, a Montemarciano, in provincia di Ancona. Abbiamo pernottato in una villa storica, Villa Bufarini, adattata ad albergo (Tenuta Villa Colle Sereno, via IV Novembre 78), immersa in un bel parco, con un bellissimo panorama collinare e il mare come sfondo. L’ottima cena a bordo piscina, sotto le stelle, è stata accompagnata dolcemente da canzoni degli anni passati. Abbiamo chiesto al cantante, molto disponibile, “Caruso” di Lucio Dalla: e le note del famoso brano, “Qui dove il mare luccica e tira forte il vento…” sono risuonate nella notte come un bellissimo congedo. 4 settembre 2019, Anna Busca
LUGLIO 2019 Le incisioni rupestri della Val Camonica di Giovanni SaccarelloMolto spesso noi Italiani ci dimentichiamo di essere seduti sopra la più gran cassaforte di tesori artistici del mondo. E non basta: siamo anche zeppi di luoghi di interesse naturalistico e antropologico, fino alle epoche più lontane. Quello dell'arte rupestre in Val Camonica è stato addirittura il primo sito italiano ad essere riconosciuto come patrimonio mondiale dell'Unesco. Un indirizzo basilare per le informazioni: www.turismovallecamonica.it Non voglio però descrivere qui le attrattive del parco: c'è in circolazione un'enorme mole di dati sulla materia, corredati da fotografie precise e dettagliate. Desidero solo indicare al visitatore alcuni suggerimenti, sia sulle strade per arrivare che sulla visita vera e propria, e di segnalargli alcuni inconvenienti. Come arrivare Tutte le località con parchi che contengono incisioni rupestri sono concentrate nella sezione della Val Camonica fra Darfo ed Edolo, in provincia di Brescia. La valle è percorsa da una superstrada che proviene dal capoluogo, e va quindi preferita per chi arriva da sud o dal Veneto. Un'altra viene da Bergamo lungo la Val Cavallina e confluisce a Darfo; è la più breve da Milano o dal Piemonte, ma non è completa: per un certo tratto lungo il lago d'Endine si devono attraversare i paesi. Queste strade sono scorrevoli ma non troppo ”super”: hanno quasi sempre una sola carreggiata ed il sorpasso è aleatorio; in genere si viaggia bene, ma guai se c'è qualche intoppo. Quella della Val Cavallina, poi, va assolutamente evitata al ritorno in una giornata festiva, specie nella buona stagione: chi scrive si è trovato bloccato in una coda interminabile nei paesi lungo il lago d'Endine; certo, si ha tutto il tempo di ammirare il laghetto, ma si rischia anche di odiarlo. Un'alternativa può essere di raggiungere Brescia da Milano con la Brebemi (A35): il percorso è più lungo e quell'autostrada costa il doppio dell'A4, quella classica di Bergamo, ma si paga in pratica un sovrapprezzo per assaporare lo smisurato ed ormai raro piacere di correre su un'autostrada quasi deserta, anche nelle peggiori giornate feriali o di esodo, quando l'altra è ingorgata. Inoltre serve solo per chi abita nella zona est di Milano o nella banlieue verso l'Adda (Linate, Gorgonzola, Cassano, ecc.). Si può raggiungere la zona anche in treno, da Brescia; ma i treni sono molto lenti e per chi viene da lontano è sconsigliabile. Forse la cosa migliore è affidarsi ad un viaggio organizzato. Particolarità della visita Mi riferisco alla località di maggiore interesse, e cioè il parco di Naquane a Capo di Ponte, dove c'è la massima concentrazione di incisioni. Tanto per cominciare, i parcheggi sono inadeguati: i due più vicini, presso la chiesa, sono microscopici, e se sono pieni si deve lasciare l'auto giù in paese e salire a piedi, cosa inevitabile poi se si arriva in treno. Non mi risulta che ci siano autobus fra il paese ed il parco. L'unica cosa favorevole è che il luogo non è così frequentato come ci si aspetterebbe; ma anche se questo facilita un po' il parcheggio, in realtà non è bello constatare che il parco non è apprezzato come merita: è più facile vedere giri turistici stranieri che nazionali, e questo non depone a favore di come in Italia sia considerato questo luogo; ma stendiamo il solito velo pietoso. La salita a piedi dal paese comunque non è drammatica: il dislivello non arriva a cento metri. La stradina da fare a piedi per raggiungere la biglietteria presenta subito un bivio alle ultime case della frazione: bisogna prendere a destra, ma la cosa non è segnalata minimamente. Alla biglietteria ci sono, come ovvio, tutte le informazioni, ed il personale ne è prodigo; ma una cosa sorprende: chi si è portato da mangiare può farlo solo nelle aree attrezzate, e fin qui tutto bene, ma queste aree attrezzate semplicemente non ci sono! Le regole sono state stabilite in generale; poi la situazione particolare del luogo è un'altra faccenda. Anche in questi piccoli dettagli ci si sente veramente in Italia. In compenso, di bar o ristoranti lì presso neanche l'ombra; c'è solo un distributore di bibite! Una volta entrati, comunque, i diversi punti sono ben segnalati e documentati dai cartelli, fra l'altro necessari per individuare una quantità di piccole incisioni che altrimenti nessuno che non sia del mestiere saprebbe cogliere. È indispensabile farsi dare alla cassa un dépliant con i diversi percorsi, tutti facili poi da trovare essendo ben segnalati. Una cosa importante: meglio evitare le ore centrali della giornata, specie d'estate, perché il sole a picco non fa ombre e i segni non si vedono bene: l'ideale è di arrivare al mattino presto, per sfruttare la luce radente. La luce del pomeriggio invece non funziona altrettanto bene per via dell'orientamento. Meglio quindi essere mattinieri; sarà anche più facile parcheggiare, si potrà mangiare in paese dopo la visita, e se si deve tornare verso Bergamo si potrà perfino passare per Endine prima che cominci il rientro. 1 luglio 2019 G.S.
GIUGNO 2019 di Giovanni SaccarelloQuesta piccola crociera fluviale segue il fiume Brenta fra Padova e Venezia. Poiché il fiume non tocca direttamente le due città, il battello segue anche il canale Piovego fuori Padova, e attraversa la laguna. Si viaggia su un'imbarcazione moderna battezzata Burchiello come la barca tipica usata nei secoli passati sul Brenta, il Burcio. I nababbi veneziani, che si erano costruiti la villa sul fiume come residenza estiva, per raggiungerla usavano una barca tutta decorata, quindi il Burcio bello. Lungo il fiume c'è una concentrazione notevole di ville patrizie, e la spiegazione è che nei tempi andati era più comodo costruirle lì perché ogni via d'acqua, anche modesta, era sempre preferibile a qualunque strada. Non è il caso di parlare qui di Venezia: la città merita un viaggio a sé, ed anche impegnativo: secondo una mia vecchia guida TCI, “dieci o dodici giorni sono necessari per una visita non affrettata; almeno quattro per chi vuol limitarsi a uno sguardo rapidissimo”. Dal battello la si vede per neanche mezz'ora. Quella sul fiume può essere una bella escursione nei dintorni, per chi è già in visita alla città. Lo stesso vale per Padova, il cui centro storico resta invece fuori vista dal tragitto del battello. Si può naturalmente fare lo stesso percorso in auto, ma in battello è un'altra cosa: la bassa velocità, che su strada si potrebbe tenere solo in bicicletta, permette di catturare una quantità di particolari altrimenti impossibile, e di godersi la vista con tutta calma. Il paesaggio è vario e bucolico verso Venezia; altrove è un po' disturbato dalla frequenza degli abitati e dalla presenza della strada che costeggia il fiume in diversi tratti. Un posto a sé merita ovviamente il passaggio a Venezia sul canale della Giudecca e sulla laguna. Se poi si viaggia verso Venezia, questo è il modo più spettacolare di arrivare nella città lagunare, consigliato dalle guide al posto dell'usuale ponte della Libertà che arriva a Venezia dalla parte meno scenografica. Perciò va suggerito ai visitatori, specie a chi non sia mai stato a Venezia; ci sono anche vaporetti regolari da Fusina, lo sbocco del fiume in laguna, dove si può lasciare l'auto. Nella zona c'è una buona quarantina di ville; durante il viaggio se ne vedono almeno una trentina sul fiume e se ne visitano tre: la grandiosa villa Pisani a Strà, la massima della zona, e le piccole ville Widman a Mira e Foscari o Malcontenta nell'omonima località. Quest'ultima è l'unica palladiana; il circuito delle ville palladiane vere e proprie è un'altra faccenda. Le ville si trovano in genere entro un parco più o meno esteso, altre volte fianco a fianco delle normali case. Hanno quasi sempre la facciata principale rivolta verso il fiume, che rappresentava la strada d'accesso. Si viaggia a giorni alterni secondo il senso; noi abbiamo compiuto il tragitto da Venezia a Padova. C'è stato anche tempo per un breve giro a piedi in piazza S. Marco; purtroppo la scena è stata guastata dal passaggio d'una grande nave da crociera; ed il bello è che non molti giorni dopo c'è stato un incontro ravvicinato fra uno di quei mostri deturpanti ed un battello turistico! Si parte dal pontile S. Zaccaria, sulla Riva degli Schiavoni, a pochi passi dalla piazza S. Marco. Si ha subito perciò una vista unica al mondo, con tanto di palazzo Ducale, campanile, scorcio della piazza e dell'imbocco del Canal Grande; di fronte, l'isola di S. Giorgio Maggiore. Si segue quindi il canale della Giudecca con viste continue sulla città da entrambi i lati; spicca a sinistra il colossale mulino Stucky, finalmente restaurato anche se convertito in albergo di lusso. Poi il paesaggio perde tono, con zone relativamente insignificanti, e si esce dalla città. La vista si apre quindi sulla laguna; pur in quella vastità d'acque il battello deve seguire un canale zigzagante delimitato dalle caratteristiche briccole. Si sfiora a sinistra l'isoletta fortificata di S. Giorgio in Alga; altre isole lontane si notano appena, e l'orizzonte è chiuso dalla sottile linea della costa. Purtroppo la vista è rovinata a destra dalle lontane strutture portuali e industriali di Marghera. Si raggiunge la foce del Brenta nella minuscola località di Fusina; qui inizia il percorso fluviale e poco dopo s'incontra la chiusa di Moranzani, la prima delle cinque del tragitto. Lungo il percorso fino a Dolo si incontrano anche una dozzina di ponti stradali mobili, antichi e moderni, che vengono aperti davanti al battello e richiusi alle spalle, con una bella varietà di meccanismi: girevoli, levatoi e retrattili. Passata la chiusa segue un tratto a zig-zag nella campagna, la parte più agreste del percorso,fino all'abitato di Malcontenta, con l'omonima villa, la prima da visitare. La villa ha la classica struttura palladiana, a pianta quadrata con pronao ionico nella facciata sul fiume ed una struttura che lo richiama, sul retro. È stata un po' manomessa dagli Austriaci che l'avevano usata nell'800 come ospedale militare: hanno demolito le balaustre delle scalinate d'ingresso (bisogna quindi fare attenzione) perché ostacolavano il passaggio delle barelle, e costruito i camini che mancavano, essendo come tutte una residenza estiva. Ma il peggio è che per riscaldarla hanno bruciato la mobilia; la cosa più rimarchevole all'interno sono perciò gli affreschi, a soggetto mitologico come era normale ai tempi. Bello anche il piccolo parco sul retro. Stranamente il nome Malcontenta ha una doppia origine. La località si chiama così perché qualche volta nei secoli passati la piena del Brenta in quella zona era “mal contenuta”. La villa invece prende il nome dal fatto che il proprietario Foscari, ormai vecchio e sempre in giro per affari, aveva pensato bene di chiudere a chiave nella villa la giovane e bella moglie, per via di un certo prurito in testa. E la poverina era comprensibilmente “poco contenta” della situazione; di conseguenza il nome già dato alla località è sembrato calzare a pennello. A fianco della villa c'è la barchessa, edificio di servizio con arcate: era in origine il ripostiglio per le barche, ma poi si è evoluto come deposito per gli attrezzi agricoli; le barche venivano ricoverate e riparate nello squero, che però qui non esiste più. Nel ripartire verso Padova la villa sfila a sinistra. La riva settentrionale (sinistra idrografica, destra nel nostro senso) è seguita a tratti dalla strada statale, che in altri punti si allontana lasciando il posto a case sparse e giardini; tutto il paesaggio, pur quasi continuamente abitato, è verdeggiante e mai monotono. Più avanti s'incontrano a destra le ville Mocenigo, dalla lunga e bassa facciata, e Gradenigo, più compatta. Appena dopo, il pilone del Termine segnava l'antico confine fra i territori di Padova e Venezia. Entrando ad Oriago il fiume è rettilineo, con un'infilata di ponti stradali mobili. A destra, il palazzo Moro, considerato la villa più antica della serie, accanto alla chiesa; appena dopo, un ponte pedonale retrattile. Ci si ferma un'ora ad Oriago per il pranzo; il ristorante convenzionato (opzionale) è sulla riva del fiume. Si raggiunge il lungo paese Mira, dove forse c'è la massima concentrazione di ville. Alla prima frazione del paese si fa tappa alla villa Widman, esternamente poco appariscente. Dentro però è un piccolo gioiello; lo stretto ingresso è quasi tutto occupato da un colossale lampadario in vetro di Murano, che arriva così in basso da richiedere attenzione ai più alti per non rasentarlo (chissà il Foscari della Malcontenta). Segue un salone più alto che largo, tutto sovraccarico di decorazioni, affreschi e tendaggi, con balconata al primo piano, alla quale si può poi salire, destinata ad alloggiare i suonatori durante le feste da ballo. Anche questa villa è fiancheggiata dalla barchessa ed ha un piccolo parco boscoso sul retro, con alberi che emergono curiosamente dal laghetto. Un ponte levatoio moderno precede la squadrata villa Querini a sinistra. Poi si lascia a destra il corso originale del fiume, che descrive un'ansa, e si imbocca un canale rettilineo che la taglia superando una chiusa. Al di là si riprende il fiume e si lasciano a destra le ville Alessandri e Contarin dei Leoni, con due obelischi sul tetto. Poi sfilano a sinistra le ville Corner e Bon-Tessier, questa perpendicolare al fiume. Ancora a destra la Varisco-Levi-Morenos. Nel centro di Mira si vedono confluire altri canali, da entrambi i lati. Più avanti a sinistra la minuscola villa Selvatico, detta la Bomboniera, e a destra, in rapida successione, la Venier-Contarini con sopralzo sul tetto, la grande e nascosta Venier e la piccola Toscanina. Si esce infine da Mira e si entra a Dolo, altro paese esteso per chilometri e ben fornito di ville; i due abitati sono in successione, ma abbastanza sparsi. A sinistra si vede il rudere della villa Conon, in rovina da tempo; invece, a destra, la villa Ducale è oggi un albergo, unico caso di riconversione fra le ville visibili dal fiume. Più oltre la villa Fini è anch'essa in rovina, stavolta per una tempesta di pochi anni fa, che invece ha risparmiato, sulla riva opposta, le ville Velluti e Tito e più in là, una di fronte all'altra, le Badoer-Fattoretto e Grimani. A destra sfila l'antica e massiccia Locanda alla Posta e poi la villa Tron; a sinistra, la Ferretti-Angeli. Si abbandona ancora il fiume, come a Mira, per entrare in un canale che taglia un'ansa nel centro del paese: un luogo pittoresco non visibile dal battello, ma che val la pena di ammirare passando dalla strada. Sul tratto artificiale si raggiunge un'altra chiusa; appena dopo, una passerella girevole “d'antiquariato”, con decorazioni in ferro battuto e manovrata a mano. Segue un lungo tratto agreste, una volta tanto privo di ville. Ma tra Fiesso d'Artico e Strà la serie riprende: a destra la villa Zucconi-Recanati, con vari pinnacoli, poi a sinistra la Pisani-Giustinian detta Barbariga, che una volta tanto rivolge al fiume il retro, un po' male in arnese, ed è preceduta da una curiosa dépendance color ocra. Di fonte, la villa Soranzo, dalla facciata affrescata. Sono l'antipasto per il boccone più grosso del viaggio: la villa Pisani vera e propria, in bella mostra sulla destra al centro di una lunga curva del fiume che le gira intorno fiancheggiato dalla strada. Ha una facciata lunga e scenografica, un po' “fuori scala” rispetto alle altre ville; l'impressione della vastità è accresciuta dallo spazio sapientemente lasciato vuoto tutt'attorno. È la terza tappa. Al piano terra c'è anche qui un salone altissimo, con balconata circolare per l'orchestra, come alla villa Widman, ma con misure proporzionate alle dimensioni del complesso. Pareti e soffitto sono pieni di affreschi di vari artisti fra cui il Tiepolo, sempre a base di divinità e personaggi della mitologia greca, che a quanto pare piacevano parecchio, misti a figure d'altro genere. E fra queste si vede un elefante; ma forse la fisionomia elefantesca non era conosciuta bene, ed il pittore gli ha raffigurato le zampe con lunghe dita, come una grossa scimmia. Al piano superiore si visitano le diverse stanze, in sequenza come nelle regge; spicca una tavola imbandita con stoviglie fantasiose, fra cui due obelischi in miniatura. Anche Napoleone ha dormito qui; nel passare da queste parti si è scelto non per niente la residenza più fastosa. Le guide non mancano di far notare il letto col baldacchino, la vasca da bagno a filo del pavimento, con la scaletta per entrarvi, e naturalmente il cesso imperiale, che come tutti gli arnesi del genere attrae l'attenzione molto più degli altri mobili. Anche il parco sul retro è molto più vasto degli altri visitati prima, ed è dotato delle immancabili vasche, di cui una lunga e diritta che conduce sullo sfondo a quella che sembra un'altra villa monumentale, ed è solo la scuderia. Insomma tutto il complesso sembra una reggia in miniatura, come certamente volevano far credere i proprietari. Purtroppo salta l'ultima parte del viaggio fluviale: le ultime piogge, che già ci hanno tormentato oggi a tratti, hanno gonfiato fiumi e canali e non c'è lo spazio di sicurezza sotto i ponti. Già prima ci avevano fatto scendere dal tetto panoramico del battello per non picchiar la testa sotto un paio di ponti. Dobbiamo perciò fare gli ultimi 8 km sull'autobus messoci a disposizione. Peccato, ma la parte rimanente era comunque quella meno spettacolare del tragitto, svolgendosi lungo il canale Piovego, rettilineo e monotono, con due altre chiuse, e “solo” altre tre o quattro ville sulle rive. Soltanto l'ultimo km sul Bacchiglione, lungo le mura di Padova, è abbastanza pittoresco. Notizie pratiche Vi sono in servizio sia il Burchiello (con maggiore capienza) che il Burchiellino, che fa anche viaggi notturni. Si può compiere il viaggio completo oppure iniziarlo o terminarlo in punti intermedi: Strà, Dolo, Oriago o Malcontenta. Naturalmente anche altri battelli fanno escursioni sul fiume. Nessun viaggio il lunedì, giorno di riposo delle chiuse. La villa Widman a Mira non si può visitare nei mesi invernali. Ogni viaggio fra Padova e Venezia o viceversa occupa una giornata intera, comprese le visite alle ville e la pausa pranzo; perciò il battello fa un solo viaggio al giorno, risalendo o scendendo il fiume a giorni alterni con partenza al mattino e arrivo alla sera. Bisogna quindi provvedere al viaggio di ritorno, o di andata, secondo i casi. Per muoversi fra le due città c'è il treno oppure gli autobus SITA. Se si deve partire o arrivare in punti intermedi ci vuole la linea di autobus 53E dell'ACTV, che segue da vicino il fiume e si ferma un po' dappertutto; le corse che passano per la Malcontenta fanno però capolinea a Dolo. Questa linea, pur lenta per le infinite fermate, ha corse frequentissime (quindi si adatta ad ogni situazione) e presenta anche un vantaggio “turistico”, perché segue il fiume permettendo di vederne il pittoresco tratto che attraversa Dolo, e che i battelli devono invece evitare. Tutti gli autobus fanno capolinea nelle vicinanze delle stazioni delle due città. Per spostarsi a Venezia fra il piazzale Roma, i parcheggi o la stazione, ed il pontile S. Zaccaria, capolinea della crociera, la linea di vaporetti più rapida è la 5.1 ogni 20', che passa per la Scomenzera e la Giudecca, in 20' circa, più o meno lo stesso tempo che a piedi. La linea 1, che segue il Canal Grande, è più frequente e certamente più scenografica, ma fa così tante fermate che ne val la pena solo se non si è tirati con gli orari. A Padova fra l'attracco e la stazione c'è circa un km e mezzo; nessun autobus raggiunge il pontile ma tutti passano nella vicina via Tommaseo, fermandosi a 200 m di distanza. Il pranzo al ristorante è opzionale; in ogni caso la sosta ad Oriago è di un'ora. Ogni informazione, compresi i mezzi di trasporto nelle diverse combinazioni per i viaggi parziali e le varie formule dei pranzi, sui siti www.ilburchiello.it o www.burchiellino.com.Molte ville sono comunque visitabili per conto loro, al di fuori cioè delle escursioni sul fiume, e sono ovviamente attrezzate per gli immancabili eventi: matrimoni, convegni & feste assortite. 13 giugno 2019 G.S. UN GIORNO IN MOVIMENTO CON TRENORD di Alberto Guzzardella Incredibile quello che si può fare con soli 16.50 €! Per la giornata del 1°giugno avevo preso l’iniziativa di spostarmi in treno per una giornata intera usando l’abbonamento giornaliero Io Viaggio Ovunque, comodamente stampato alle macchinette automatiche dell’ATM di una stazione della metropolitana di Milano. Ha inizio intorno alle 9 quella che si sarebbe profilata una giornata molto dinamica, su un treno TiLo (treni regionali Ticino-Lombardia) delle ferrovie di stato svizzere, comodi ed estremamente puliti, con destinazione Chiasso. Dopo 45 minuti circa di viaggio, l’arrivo nella cittadina. Chiasso è una tipica città di confine, a mio avviso non particolarmente interessante sotto il profilo urbanistico, ma gode di una posizione privilegiata per fare delle passeggiate nell’area collinare immediatamente sottostante. Essendo attaccata all’Italia gode delle tariffe regionali lombarde, senza pagare i sovrapprezzi, comunque non eccessivi (data la convenzione tra le FFS svizzere e Trenord pensata per agevolare i frontalieri) che si pagano per raggiungere le altre destinazioni del Canton Ticino. Esattamente dietro alla stazione si percorre Via Sottopenz, da cui si diramano una serie di sentieri in un’area vitivinicola particolare. I comodi sentieri, tra cui annovero il salutare Percorso Vita sponsorizzato dalla nota compagnia assicurativa Zurich, hanno come mete la vicina Pedrinate, luogo di vendemmie e località più a sud della nazione, e, passeggiando tra fitti boschi, il punto più a sud dell’intera svizzera, indicato con un cippo. Da segnalare inoltre la presenza continua di originali sculture di legno che ricordano vagamente il Sentiero delle Espressioni, nella vicina provincia di Lecco. Finita la passeggiata, durata un paio d’ore, un salto in centro. La città, che si può ammirare dall’alto nella sua completezza, non suscita un particolare interesse, come già dicevo, ma comunque è estremamente vivibile e ha qualche elemento architettonico interessante come il Centro Culturale di Chiasso, sulle cui panchine mi sono fermato una buona mezz’ora a leggere un libro che mi ero portato dietro. Verso le 13 il rientro a Milano. Dopo aver mangiato a casa mia, sono ripartito alla volta di un’altra gita, da tutt’altra parte, in Veneto. L’obiettivo erano le spiagge di Peschiera del Garda, località all’estremo oriente del vasto lago oggetto di un grande flusso turistico, specie tedesco. Arrivato dopo un viaggio di un’ora e mezza sulla linea RE Milano Centrale-Verona, mi sono diretto verso la spiaggia del Lido dei Cappuccini, dopo mezz’ora di passeggiata su un incantevole lungo lago. Una spiaggia direi quasi marittima per il contesto. Si fanno fatica a scorgere elementi sulla sponda opposta del lago. Sembra dunque un mare. La giornata molto calda (30°C) aveva invogliato molti, turisti e locali, a fare il bagno in questa spiaggia libera. Io mi sono limitato a sdraiarmi e a prendere il sole per una buona oretta. Verso le 18.30 il ritorno alla stazione e il treno, puntualissimo, che mi ha riportato a Milano. Alle 20.45 ero a casa mia, poco sotto il centro della città. Una giornata di questo tipo la consiglierei da fare ogni tanto, anche da soli (come ho fatto io), per apprezzare le meraviglie di una regione e la comodità del trasporto ferroviario a una cifra pressocchè irrisoria. Molto spesso ci lamentiamo dei numerosi disagi di Trenord ma in questo caso mi viene da ringraziarla per avermi concesso di staccare la spina e ripartire carico di energie per la settimana seguente. A.G. 7 giugno 2019 MAGGIO 2019 Anche a Vicenza c'è stata una funicolare di Giovanni SaccarelloÈ di aprile la notizia che è arrivato l'o.k. per demolire la cosiddetta ovovia sul ponte della Costituzione a Venezia, il ponte Calatrava. L'impianto, limitato ad una sola cabina (quindi non una vera e propria ovovia), era stato installato nel 2013 sul ponte, che aveva allora 5 anni di vita, per il trasporto dei disabili. Era un sistema innovativo, studiato apposta con una combinazione di movimenti orizzontali e verticali; ma era nato disgraziato: guasti e problemi tecnici ogni momento, finché, dopo un paio d'anni appena dall'apertura, due turisti sono rimasti a bollire dentro l'ovetto immobilizzato sotto il sole per l'ennesima volta: era la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, e si è deciso di fare a meno di quell'arnese. E non è neanche l'unico caso: gli ascensori sistemati nel 2006 sul ponte Longo alla Giudecca non han dato miglior prova e sono stati chiusi anche loro fra le inevitabili polemiche. Sembra che in Veneto gli impianti per la mobilità urbana con tecnologie nuove non abbiano molta fortuna; 136 anni fa c'è stato un altro insuccesso nel settore, a Vicenza. Forse in pochi sanno che a Vicenza è esistita una funicolare, che saliva alla basilica di Monte Berico correndo lungo i portici. Questo impianto è degno di nota per un paio di particolarità. La prima è che è durato veramente pochissimo: dieci giorni, sicuramente un record! Così non ha fatto in tempo a lasciar traccia di sé, neanche nella memoria collettiva. La seconda è che si è trattato di una funicolare stradale, cioè non su rotaie come siamo abituati a vedere.
Il settore superiore dei portici in una cartolina d'inizio '900. Non c'è già più traccia della funicolare Siamo attorno al 1880. La funicolare, almeno come la intendiamo oggi, non era ancora ben definita e si sprecavano le bizzarrie dei costruttori. In realtà l'idea di rimorchiare un carico per mezzo di una fune è antichissima, e rimonta ai vari sistemi ideati nelle miniere per smaltire il materiale estratto. Le primissime ferrovie utilizzavano qua e là delle funi mosse da macchine fisse per superare le rampe più ripide, dove le locomotive o i cavalli non ce la facevano: qui essi cedevano il posto ad una fune che tirava in salita, o tratteneva in discesa, i vagoni sulla rampa. In altri casi la locomotiva rimaneva al suo posto e la fune serviva solo ad aiutarla. Poi la potenza delle locomotive è cresciuta ed ha consentito di eliminare queste funicolari ausiliarie, almeno su rampe non troppo ripide. Questo sistema è stato abbastanza diffuso in Inghilterra, dove le ferrovie sono ben più antiche che altrove, ma le altre nazioni, che hanno iniziato più tardi, lo hanno bypassato grazie alle locomotive più moderne e potenti. In Italia si era pensato di utilizzarlo sui Giovi, ma poi le locomotive più perfezionate hanno permesso di evitarlo. La funicolare pareva ormai una soluzione sorpassata. Invece verso la fine dell'800 è tornata in auge, stavolta come impianto isolato, non connesso ad altre linee, ad uso quasi esclusivo dei passeggeri ed in aree urbane o turistiche, per superare forti dislivelli accettando pendenze impossibili agli altri mezzi: in realtà, più che ad una ferrovia, la funicolare è concettualmente simile ad un ascensore, che scorre su un binario inclinato invece che verticale, ed in genere con una seconda vettura in funzione di contrappeso. Ma prima di arrivarci i tecnici hanno brancolato in varie direzioni. La prima funicolare italiana è stata quella del Vesuvio, nel 1880; usava una monorotaia di legno su cui stava a cavalcioni la vettura. Non è durata a lungo in questa forma perché le varie eruzioni hanno costretto a rifare l'impianto più volte, passando via via ai sistemi più moderni nel frattempo affermatisi; l'ultimo esistito era una seggiovia. Tre anni dopo arriva la seconda funicolare, quella di Vicenza. Qui il suo costruttore, Alessandro Ferretti, pioniere italiano nel settore, decide, sempre nell'incertezza di modelli stabiliti, di fare a meno dei binari e di far correre la vettura su strada. Si tratta di riservarsi un settore della carreggiata, largo qualche metro, davanti ai portici. Ma come fa il vagoncino a tenere la corsia? Semplicemente è dotato di uno sterzo o piuttosto di un timone, come i carri agricoli, e c'è a bordo un guidatore che provvede a seguire la pista, indicata dalla fune e dai frequenti rulli su cui deve scorrere. Fune e rulli, anche se alloggiati entro nicchie sotto il piano stradale, sporgono un po' al di sopra e rappresentano quindi un pericolo per veicoli e pedoni. il settore superiore dei portici, oggi; sullo sfondo la basilica La funicolare si sviluppa da un'estremità all'altra dei portici; percorre perciò due distinte rampe separate da una forte curva e si arresta all'estremità inferiore, senza quindi scendere fino alla quota della città. Viene mossa da una piccola macchina a vapore fissa, collocata ai piedi del campanile della basilica. La fune esce dal tamburo mosso dalla macchina, sul quale è avvolta, passa sotto la strada e riemerge davanti ai portici, dove inizia il percorso della funicolare. La vettura è una sola e quindi non ce n'è una seconda che faccia da contrappeso, viaggiando in senso inverso; ciò significa un maggior sforzo, quindi una maggior spesa di combustibile; in compenso la discesa avviene per gravità. Su strada inoltre c'è più resistenza al moto che su rotaia, a causa del maggiore attrito delle ruote sulla superficie, e questo aumenta ulteriormente il consumo energetico; in compenso si è risparmiata la spesa per costruire una sede riservata per un binario, nonché quella del metallo per le rotaie. L'esercizio dovrà dimostrare se questa scelta è stata oculata.
la curva alla spianata del Cristo, a metà percorso dei portici La funicolare entra in funzione il 24 agosto 1883; il giorno dopo, in occasione della grande processione votiva annuale, ha un successone. Per la prima volta a Vicenza un veicolo per il trasporto pubblico urbano è mosso da un motore; i tram verranno l'anno dopo e per un bel pezzo saranno solo a cavalli. La partenza dal basso ha tutto un suo rituale: i due capilinea sono nascosti l'un l'altro dalla curva a metà strada, non ci sono telefoni e si è voluto risparmiare anche sul telegrafo. Così al momento di partire, per avvertire il macchinista su in alto di mettere in moto, il conduttore suona la sua cornetta, un cantoniere alla curva raccoglie il segnale, ne dà conferma e lo rimanda con un campanello al macchinista, il quale risponde a sua volta per conferma, e così la funicolare parte in mezzo ad un concerto per trombe e campanelli. Alla discesa probabilmente basta un segnale a mano.
il settore inferiore dei portici Ma la funicolare è nata sotto una cattiva stella. Già nei collaudi si sono avuti degli scarrucolamenti alla svolta, dove c'è una forte curva e ci sono anche problemi in discesa per la poca pendenza: allora non c'era il viale Dante e lo spiazzo era più pianeggiante; spesso ci voleva la spinta a braccia. Poi, pochi giorni dopo l'apertura, si rompe la fune; però i freni tengono. Ma il 2 settembre, durante una discesa, altra rottura; stavolta i freni non ce la fanno. Al conducente non resta che puntare contro i portici, come uno sciatore che ha perso il controllo e deve scegliere un albero per fermarsi. Nessuno ci lascia la pelle, ma in quattro vanno all'ospedale e la prefettura sospende il servizio per sicurezza. Non sarà più riaperto; evidentemente le perizie non han dato buoni risultati, e in poco tempo tutto è smantellato. Si torna a salire a piedi, chi può in carrozza o a dorso di mulo, e non ci saranno più mezzi pubblici per Monte Berico fino all'avvento degli autobus. Per inciso, di lì in avanti tutte le funicolari saranno costruite con le caratteristiche che conosciamo oggi. Non ci saranno più esperimenti stravaganti, ma la sfortunata funicolare di Vicenza merita comunque un posticino fra le curiosità nella storia dei trasporti. 4 giugno 2019 di Giovanni SaccarelloAll'imbocco del Val Sarentina, appena dopo le ultime case di Bolzano, c'è il Castel Roncolo (Runkelstein), uno degli oltre 800 castelli altoatesini. Non è in posizione scenografica: lo si scopre solo all'ultimo, in una strettoia della valle; ma ha la fisionomia inconfondibile di tanti manieri della zona. La poca distanza dalla città permette di raggiungerlo in bicicletta o anche a piedi su un percorso ciclo-pedonale; e questo ha il suo vantaggio perché il parcheggio ai piedi della breve salita che porta al castello ha pochi posti. È normalmente chiuso il lunedì, ma l'abbiamo trovato aperto eccezionalmente a Pasquetta. Non ne riassumerò qui le vicende storiche, ricche come sempre di passaggi di mano e di periodi di decadenza, crolli e ricostruzioni compresi. Da più d'un secolo appartiene al comune di Bolzano ed è stato riaperto una ventina d'anni fa, dopo gli ultimi restauri. Non mancano neanche le leggende di contorno, fra cui il tesoro che sarebbe nascosto sotto il castello, vigilato dall'immancabile fantasma che scaccia chiunque tenti di impadronirsene. È formato da tre edifici principali: il palazzo occidentale, quello orientale che lo fronteggia, e quello d'estate che chiude il cortile sul lato nord. L'ala orientale è sormontata dalla torre, da cui si ha un panorama d'insieme. L'interesse maggiore è negli affreschi che decorano varie sale ed un ballatoio esterno. Sono pitture murali di argomento cavalleresco, basate su temi legati al ciclo di re Artù e della Tavola Rotonda, e trovano posto fra i migliori affreschi non religiosi del medioevo o rinascimento, un po' come quelli del castello della Manta vicino a Saluzzo. Al primo piano del palazzo occidentale, dopo un'antisala con stemmi, si entra nella “stanza da bagno”, che deve il nome alla presenza di alcuni personaggi nudi che si affacciano da una galleria a colonne, con drappi pendenti. In realtà pare che si tratti solo di figure non terminate: l'artista non ha fatto in tempo a disegnare i vestiti. Compaiono anche animali assortiti ed il soffitto è una volta stellata. Al piano superiore è affrescato un gran torneo cavalleresco, con tanto di dame spettatrici che si affacciano dai balconi di un piccolo castello a lato. Sotto, sulla sinistra, un corteo di personaggi danzanti e a destra altri che giocano a palla, oltre a scene di caccia. Sul fianco del palazzo d'estate corre una veranda coperta ed affrescata all'esterno con grandi figure, riunite a tre a tre e chiamate perciò Triadi. Ci sono i cavalieri: Parsifal, Gavino, Ivino; i condottieri: Artù, Carlo Magno, Goffredo di Buglione; gli innamorati (qui le figure sono tre coppie, il triangolo amoroso non essendo previsto): Tristano & Isotta, Guglielmo & Aquilea, Guglielmo d'Orléans & Amelia; e per finire addirittura le spade: quelle di Sigfrido, di Teodorico e di Amedeo di Stiria. All'interno s'incontra la sala con la saga di Tristano e Isotta, un affresco monocromo verde, poi l'altra con la saga di Garello nuovamente policroma; in questa sala c'è anche un bel camino gotico. S'intende che trascrivo i nomi dei personaggi così come vengono indicati nelle spiegazioni, e sfido chiunque a riconoscerli, a parte i quattro o cinque più noti. Le sale del palazzo orientale, quello sotto la torre, sono adibite a mostre e contengono anche pezzi provenienti da altri castelli o santuari della regione, fra cui alcune pale d'altare. 12 maggio 2019 G.S. APRILE 2019 ALLA SCOPERTA DEL DELTA DEL PO di Anna Busca Dedicare qualche giorno alla splendida zona tra Veneto ed Emilia Romagna, che si estende tra Rovigo, Chioggia, Ravenna e Ferrara e comprende il vasto delta del nostro fiume più lungo (652 km), deve essere considerata una scelta obbligata per chi ama scoprire le bellezze dell’Italia. Si tratta infatti di una regione ricca di storia che riserva magnifiche sorprese naturalistiche e artistiche. Noi abbiamo sfruttato quattro giorni delle vacanze pasquali: la primavera è in effetti la stagione migliore per la visita, si evitano le zanzare e si può ammirare un paesaggio già verdeggiante, senza soffrire l’afa. Il viaggio in auto da Milano, lungo l’A4, prevedeva una sosta per il pranzo a Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona, per una prima immersione nei colori e nei profumi di un parco: quello di Sigurtà (www.sigurta.it) davvero splendido in questa stagione per la fioritura di migliaia di tulipani, che spiccano nei grandiosi prati all’inglese. E’ aperto tutti i giorni dall’8 marzo al 10 novembre 2019, dalle 9 alle 19 da aprile a settembre, fino alle 18 negli altri mesi. Una passeggiata di circa tre ore tra le bellezze di questo parco-giardino, un vero locus amoenus che si estende su un’area di 60 ettari, riconosciuto nel 2015 come il secondo più bello d’Europa, ci ha garantito un inizio piacevolissimo del nostro viaggio. La nostra prima meta era Chioggia (Venezia), raggiunta nel tardo pomeriggio. L’alloggio, la Domus Clugiae di Calle Luccarini 825, tel.0415500973, prenotata tramite Booking come gli alberghi successivi (camera molto ampia in una struttura confortevole, ben gestita e altamente consigliabile), ci ha consentito, grazie alla posizione centralissima, di muoverci solo a piedi per una visita accurata e una visione dei canali e dei monumenti sia notturna – molto romantica! -che alla luce del sole, la mattina successiva. La città sorge su un gruppo di isolette collegate tra loro da numerosi ponti, e confina con la laguna di Venezia a nord-ovest e con il delta del Po a sud. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, descrive questa zona come “terra dei fiumi”. Il Sal Clugiae, il sale estratto dalle saline di Chioggia, ora scomparse, era considerato in antichità come il più pregiato. Dell’epoca romana è rimasto l’antico cardo, ossia il Corso del Popolo, lunghissima via che attraversa tutto il centro e sulla quale si affacciano tutti i monumenti e le chiese principali, oltre a negozi e ristoranti. Carlo Goldoni, che vi abitò per alcuni anni, ambientò qui Le baruffe chiozzotte, notissima commedia che fu rappresentata per la prima volta a Venezia nel 1762. Nella prefazione Goldoni scriveva: “Chiozza è una bella e ricca città, venticinque miglia distante da Venezia, piantata anch’essa nelle Lagune…”. E’ chiamata “Piccola Venezia”, e non a torto, perché il paesaggio dei canali e dei ponti è molto simile, e anche i palazzi storici sono interessanti, con belle facciate, che però necessitano di restauri. Gli angoli di Chioggia sono suggestivi e ricchi di fascino. Da visitare la Cattedrale, la Basilica di San Giacomo, la Chiesa di Sant’Andrea (si può salire in cima alla Torre dell’Orologio – salita solo la domenica, h 10.30-12.30- per ammirare il bel panorama della città e della laguna), la Chiesa di San Domenico, il ponte Vigo sul Canale Vena. Per cenare o pranzare c’è solo l’imbarazzo della scelta, anche se è opportuno prenotare in anticipo un tavolo vista l’affluenza. Noi abbiamo cenato ottimamente al ristorante-pizzeria “Vecio Foghero” in Calle Scopici. Da Chioggia ci siamo quindi spostati verso sud. Passando da Rosolina, Porto Levante, Scanarello, Boccasette, tra acqua e terra, abbiamo percorso in auto strette strade prive di traffico, dove sembrava di essere soli in un paesaggio incredibile, verde e azzurro. Un ecosistema straordinario, patrimonio dell’UNESCO, protetto come Parco Regionale del Delta del Po. Aironi cinerini, garzette, svassi, cormorani, cigni si avvistano facilmente e si comprende bene perché questa zona sia il regno del birdwatching (oltre 370 specie vi nidificano o migrano regolarmente). A Porto Tolle, nel cuore del delta, abbiamo pranzato velocemente per poter imbarcarci per un’escursione fino alla foce: da Ca’ Tiepolo, sulla motonave Venere (www.marinocacciatori.it , tel.0426.380314/ 3347035765), lungo il ramo principale (il “Po di Venezia”) che si dirama in tre foci prima di sboccare nell’Adriatico (Busa di Tramontana, Busa Dritta, Busa di Scirocco), abbiamo viaggiato per tre ore tra golene, canneti, scanni, ascoltando i racconti e le spiegazioni validissime della guida. Abbiamo appreso che le cabane (capanne simili a palafitte, fatte con materiali di recupero) sulla riva del fiume servono come depositi ai proprietari di batane (barche a fondo piatto, per i fondali bassi), e che le gnocche sono formazioni di sedimenti portati dal fiume; qui si coltiva un ottimo riso IGP, davvero speciale, e si allevano cozze e vongole… Benché il Po sia stato considerato qualche anno fa il “fiume più inquinato d’Europa”, l’ambiente golenale del delta contribuisce a diminuire la concentrazione di pesticidi e altre sostanze tossiche e a migliorare significativamente la qualità dell’acqua. Una crociera fluviale molto piacevole e interessante, dunque, che porta fino al mare. Se si trascorrono più giorni nell’area, è possibile optare per altre escursioni che portano a visitare garzaie e lagune, oppure abbinare un itinerario in bicicletta (formula bike & boat). E’ anche possibile navigare per un’intera giornata dalla Mesola fino a Goro, con ingressi in centri culturali, al museo della Bonifica in un’ex idrovora, bell’esempio di archeologia industriale, e ad oasi di grande bellezza, oppure concordare un’escursione personalizzata su barche da 5 o 10 persone: l’ideale per gli appassionati di fotografia naturalistica! A Porto Tolle abbiamo pernottato presso Alloggi Italia di via G. Giolo 3, una buona sistemazione con ottimo rapporto qualità/prezzo, in posizione sicuramente strategica. Cena all’Officina 405, a due passi, bel locale dall’atmosfera molto gradevole, dove si possono scegliere pizze e hamburger gustosi, da accompagnare con ottima birra. La statua dedicata a Ciceruacchio, nella piazza omonima, ci ha ricordato che proprio nella golena di Ca’ Tiepolo, la notte del 10 agosto 1849, fu fucilato dagli Austriaci il popolano romano Angelo Brunetti, detto appunto “Ciceruacchio”, insieme ai due figli e ad altri sei patrioti. Volevano raggiungere Venezia, che ancora resisteva agli Austriaci, insieme a Giuseppe Garibaldi, ma caddero in mano al nemico. Passando al Castello estense di Mesola (chiuso il lunedì) una delle “delizie” degli Este, fatto costruire da Alfonso II nel 1578-83 come residenza di caccia nel vicino Bosco (chiuso lunedì, mercoledì, giovedì), dove la Strada Romea attraversa il Po di Goro, si è proseguito l’itinerario con una sosta obbligata alla magnifica Abbazia di Pomposa. Sorta verso il VI-VII secolo su quella che era un’isola (l’Insula Pomposiana) circondata dal mare e dalle acque del Po di Goro e del Po di Volano, portata a compimento intorno al 1026 come complesso benedettino, è considerata uno dei più importanti monumenti romanici in Italia. Nell’XI secolo raggiunse la sua massima espansione: comprendeva tra i vasti possedimenti anche una salina di Comacchio ed era tra i più famosi centri religiosi e culturali. Qui Guido monaco, noto anche come Guido d’Arezzo, priore di Pomposa intorno al 1040, ideò la moderna notazione musicale: le sette note e il tetragramma – in seguito sostituito dalle cinque righe del pentagramma – servivano ad aiutare i monaci cantori, cui insegnava, che avevano difficoltà ad apprendere i canti gregoriani e la ritmica della musica. La sua opera più nota di teoria musicale è il Micrologus, diffusissimo nel Medioevo. A Pomposa era anche attiva una scuola di amanuensi. L’impaludamento della zona, causato dalla deviazione dell’alveo del Po nel 1152 (rotta di Ficarolo), e la malaria che imperversava tra monaci e contadini contribuirono purtroppo a un declino inarrestabile. La visita comprende, oltre a parte del monastero, il refettorio, la sala capitolare, il Museo Pomposiano, la basilica di Santa Maria, con un bellissimo ciclo di affreschi trecenteschi di scuola bolognese che rappresentano scene dell’Antico e Nuovo Testamento e dell’Apocalisse di san Giovanni. In una teca si trova una tibia, considerata una reliquia di Guido monaco. La torre campanaria, alta 48 m, eretta nel 1063, svetta rispetto al resto dell’edificato, ed è una meravigliosa testimonianza dell’arte romanico-lombarda, con i suoi ordini successivi di monofore, bifore, trifore e quadrifore che alleggeriscono la struttura e danno sempre più luce all’interno. Si può salire fino alle campane, ammirando dalla cima il panorama del complesso abbaziale, circondato da prati. Lasciata Pomposa, ci si dirige verso Comacchio, sorta dall’unione di tredici piccole isole. Nel centro storico, in via Agatopisto, nello splendido palazzo neoclassico del settecentesco ex Ospedale degli Infermi, è stato inaugurato nel 2017 un museo archeologico che è diventato il gioiello della città: Il Delta Antico, la cui visita ci fa ripercorrere la complessa e interessantissima storia della regione, vero crocevia di culture e popolazioni mediterranee (www.museodeltaantico.com, tel.0533.311316). Quasi duemila reperti e validissime ricostruzioni e filmati evidenziano i cambiamenti dell’ambiente naturale dell’area deltizia, che ha visto l’alternarsi nel tempo di paesaggi molto diversi, quali tundre, foreste, lagune. I detriti del Po hanno provocato nei secoli l’avanzamento della linea di costa, l’interramento di porti e la nascita di nuovi territori. Due sezioni sono dedicate all’area di Spina, dall’età del Bronzo finale all’età classica. Spina, città etrusca, porto di fondamentale importanza per il commercio con il Mediterraneo orientale, aveva fitti rapporti con i Greci, i Celti, i Veneti. In età imperiale era sede della flotta adriatica, centro per i collegamenti tra Roma e il nord. Nel 1981, nella Valle Ponti di Comacchio, è stata ritrovata una nave romana sommersa risalente al I sec. d.C., con tutto il suo carico di anfore e merci, rari tempietti votivi e 102 lingotti di piombo con bolli commerciali che hanno consentito una precisa datazione di età augustea (12 d.C), esposti al piano terra del museo. Una scoperta davvero eccezionale. Oltre al museo, Comacchio merita la visita perché ha un centro molto grazioso e vivace, con chiese, canali, ponti (famoso il Trepponti) e scorci di notevole fascino. In auto ci siamo poi recati alla Salina, famosa per una colonia di fenicotteri rosa, che purtroppo non abbiamo avuto modo di osservare. E’ possibile esplorare le Valli di Comacchio in canoa, in barca e in bicicletta (www.podeltatourism.it , oppure vallidicomacchio@parcodeltapo.it , tel.3402534267). Essendo vicinissimi a Lido di Spina, frazione di Comacchio, in pochi minuti di auto siamo arrivati alla spiaggia – larghissima, di sabbia fine – e alla Casa-Museo del pittore Remo Brindisi (1918-1996). Si tratta di un edificio bianco, cilindrico, molto particolare, dell’inizio degli anni Settanta, progettato dall’architetto e designer Nanda Vigo; in mezzo ai pini e quasi di fronte alla spiaggia serviva a Brindisi sia come casa di vacanza che come studio; fu aperto al pubblico nel 1973 come “Museo Alternativo” (MARB, via N. Pisano 51, tel.0533.330963). Ospita la sua interessante collezione di opere del Novecento (da Warhol a Fontana, da Picasso a De Chirico e molti altri artisti), tra le quali spiccano grandi tele (i “quadroni”) e altri lavori di Brindisi stesso. Abbiamo alloggiato, per la terza e ultima notte, all’Hotel Julia di Lido degli Estensi, altro lido ferrarese adiacente a quello di Spina: un albergo elegante e confortevole, sicuramente un valido indirizzo (viale Giacomo Leopardi 4, www.juliahotel.it ), a due passi dal viale principale, lunghissimo e fiancheggiato da pini maestosi. Ottimo pesce al ristorante Setaccio, al 48 di viale Carducci. Tappe conclusive del nostro indimenticabile giro sul delta del Po sono state Adria e Fratta Polesine, entrambe sedi di interessanti musei archeologici nazionali che integrano e completano la visita al Delta Antico. Il Polesine è una sorta di striscia di terra tra Adige, Po e Adriatico, e ha subito nel tempo ampie modifiche nel territorio proprio in seguito all’azione dei due fiumi; è stato devastato da numerose alluvioni, come quella catastrofica del 14 novembre 1951, che provocò più di cento vittime e quasi duecentomila sfollati. Adria era uno scalo importante già nel Paleolitico; nel VI secolo vi giunsero gli Etruschi, che convissero pacificamente con le popolazioni già insediatesi e incrementarono i commerci. Tra il V e il IV secolo a.C. divenne l’emporio principale dei Greci e centro terminale della via dell’ambra che partiva dalle regioni del nord Europa. Fu conquistata nel IV secolo a.C. dai Siracusani, poi occupata dai Galli; dopo il 49 a.C. divenne Municipio romano e conobbe un nuovo splendore. Furono realizzate due importanti strade consolari, la via Annia e la via Popilia. E’ l’unica città ad avere dato il proprio nome a un mare, l’Adriatico, appunto. Dopo alterne vicende, nel XV secolo si legò a Venezia. Tra i reperti del museo (www.polomusealeveneto.beniculturali.it via G. Badini 59, tel.0426.21612) testimonianze delle varie culture presenti sul territorio e della vivace attività commerciale, si ammirano anfore, crateri dipinti, vasellame, oggetti di uso quotidiano in vetro dipinto e ceramica, statuine, lapidi; spicca quanto trovato nella tomba di un uomo che doveva essere di notevole importanza – tomba purtroppo violata, priva dei resti del defunto, ma riconosciuta come sepoltura celtica – ossia i cerchioni delle ruote di un cocchio insieme agli scheletri completi di tre cavalli. Ad Adria è possibile anche ammirare il ritratto di Luigi Groto (o Grotto), il famoso “Cieco d’Adria”, drammaturgo del XVI secolo considerato da alcuni l’ispiratore di Shakespeare. Il dipinto è attribuito a Jacopo Tintoretto (ma forse, almeno in parte, è opera di bottega) e si trova nell’ufficio del Sindaco: per vederlo si può chiedere il permesso al personale di servizio all’ingresso del palazzo municipale. Siamo stati accompagnati da un gentilissimo custode, che ci ha mostrato anche i quadri delle altre stanze. Il dipinto desta grande interesse per l’inusuale scelta del pittore di mostrare esplicitamente gli occhi spenti del poeta, senza dissimularli; l’intento era certamente quello di richiamare la figura di Omero, e anche quella di Tiresia, l’indovino cieco al quale lo stesso Groto amava paragonarsi sfoggiando doti di chiaroveggente. Pare infatti che proprio Groto, nel 1569, dopo aver illustrato con stupefacente chiarezza la geografia fluviale del Polesine, avesse suggerito al doge Pietro Loredan di scavare un canale nei pressi di Porto Viro per far defluire le acque del Po, salvando Adria da piene devastanti e Venezia da un progressivo interramento. L’opera ingegneristica fu realizzata dalla Serenissima nel 1600-04 e si rivelò vincente. Nello stemma del comune di Taglio di Po, dove fu compiuto lo scavo, è raffigurato il Cieco d’Adria: ha come sfondo il Monviso, dove si trovano le sorgenti, ed Eridano, la divinità greca fluviale associata al fiume mitologico in cui morì Fetonte, da alcuni identificato con il Po. E il motto che compare nello stemma è anche nel ritratto del Tintoretto, da Ovidio: Multo(multum) animo vidit, lumine captus erat (“Vide molto con lo spirito, anche se privo della luce degli occhi”). A Fratta Polesine il museo archeologico(https://polomusealeveneto.beniculturali.it/musei/museo-archeologico-nazionale-di-fratta-polesine), inaugurato nel 2009, è ospitato in un’ala (barchessa sinistra) della magnifica Villa Badoer, opera del Palladio risalente al 1570; si trova davanti a un canale e nei pressi di un’altra villa in stile neoclassico, la settecentesca Villa Molin-Avezzù, in un contesto di grande eleganza e somma tranquillità. E’ sede di una vasta e preziosissima raccolta di reperti di una necropoli che è ritenuta essere la più grande dell’Età del Bronzo (XI-IX sec. a.C) in Europa, quella dell’antica Frattesina, i cui scavi non si sono ancora conclusi. Sono state trovate finora circa 2000 tombe, e nelle vetrine del museo sono esposti i corredi completi di molte: in quelli femminili ecco collane in ambra e pasta vetrosa, portaprofumi, pettini, oggetti d’uso quotidiano; in quelli maschili vasi, anfore, ceramiche, in numero e bellezza proporzionali all’importanza del defunto, e una spada di bronzo in un paio di tombe, evidentemente di guerrieri valorosi. I corredi infantili comprendevano statuine zoomorfe, oggetti portafortuna, vasetti… Le inumazioni contemplavano sia sepolture che incinerazioni; le ceneri e le ossa venivano raccolte in urne biconiche, interrate insieme al corredo funerario. Il museo è davvero eccezionale per il numero e lo stato di conservazione dei reperti e l’unicità del luogo. Qui gli insediamenti erano numerosi proprio per la presenza di un ramo del Po. Una sezione del museo mostra manufatti e oggetti, testimonianze di vita e attività artigianali, di agricoltura, caccia e pesca. Venivano lavorate con grande perizia corna di cervo e ossa di animali; probabilmente si esportavano merci in quantità. Un bel video in computer graphic ricostruisce in modo particolareggiato quello che doveva essere il rito di sepoltura nella necropoli, che prevedeva anche il trasporto della salma su un’imbarcazione per attraversare il fiume. All’uscita, oltre un ponte sulla sinistra, scopriamo una Casa-Museo (www.casamuseogiacomomatteotti.it ): ma questa volta non di un artista, bensì di un uomo politico di cui si celebrerà il 10 giugno 2024 il centenario della morte, o meglio del suo assassinio. Giacomo Matteotti nacque a Fratta Polesine nel 1885 e qui fu sepolto, dopo il ritrovamento del suo cadavere in un bosco presso Roma il 16 agosto 1924. Il deputato del Partito Socialista Unitario era stato sequestrato e ucciso dopo un suo famoso discorso in Parlamento, il 30 maggio, in cui denunciava brogli elettorali e numerose violenze fasciste in occasione delle precedenti elezioni del 6 aprile, nelle quali la Lista Nazionale, ossia il partito fascista, aveva ottenuto il 60% dei voti. Ne chiedeva pertanto, con coraggio, l’annullamento. Dopo il suo intervento, spesso interrotto da urla e proteste degli avversari, disse ai suoi compagni di partito: “Io ho fatto il mio discorso, ora preparate voi quello per il mio funerale”. Gli assassini appartenevano alla Ceka, la polizia segreta fascista; furono individuati e arrestati, ma il processo si trasformò presto in una sorta di farsa. Si potrebbe pensare ancora a Ovidio: Nec vincere possis flumina, si contra quam rapit unda nates. Non puoi sconfiggere i fiumi, se nuoti contro l’impeto dell’onda. Oppure a Seneca: Corpora nostra rapiuntur fluminum more, I nostri corpi sono trascinati via come l’acqua dei fiumi. Ma potrei anche dire, come metafora che ritengo più adatta e che può servire come conclusione del nostro viaggio nella geografia e nella storia di questa regione, che chi perde la propria vita in difesa della giustizia e della verità è come un corso d’acqua purissima che entra nel mare… 26 aprile 2019 A.B. NOVEMBRE 2018 PROFUMI DI LANGA di Anna Busca La Fiera del Tartufo di Alba ( www.fieradeltartufo.org ) attrae ogni anno migliaia di visitatori, molti dei quali arrivano appositamente da Francia, Svizzera, Germania, ma anche da Olanda e Inghilterra e Paesi ancora più lontani. Quest’anno era l’88^ edizione: iniziata il 6 ottobre, si conclude domenica 25 novembre. E’ un’occasione per comprare magnifici campioni di Tuber magnatum, il pregiatissimo tartufo bianco, e per gustare le specialità della gastronomia locale, delizia di ogni palato. Tajarin, ravioli al plin, brasati, carne cruda, funghi, torte di nocciole e bunet, squisiti budini al cacao e amaretti… Anche per i vini c’è solo l’imbarazzo della scelta. Un Barbaresco, un Dolcetto, un Barolo d’annata possono esaltare magnificamente i sapori e lasciare davvero in estasi. Alba è anche una bella sorpresa per il turista che non l’avesse ancora visitata, con le sue torri medioevali, le chiese barocche, il Duomo, la via Maestra, su cui si affacciano lussuose vetrine (ma ospita anche, il sabato mattina, un mercato molto affollato). Si può anche esplorare, su prenotazione, la città sotterranea. Nella zona ovest domina una delle industrie dolciarie più famose del mondo: la Ferrero, una multinazionale che con le sue merendine e soprattutto con la Nutella fattura più di 10 miliardi di euro l’anno e dà lavoro a quasi 35.000 persone.Per arrivare ad Alba da Milano si può percorrere l’autostrada A7per Genova, prendendo l’A21 per Torino e poi l’A33 Asti-Alba. In alternativa si può uscire dall’A21, per un itinerario molto valido paesaggisticamente, al casello di Alessandria Sud. Da qui si sceglie la direzione Nizza Monferrato-Canelli. Si attraversano dolci colline e paesi con piccoli centri arroccati; a Santo Stefano Belbo è d’obbligo una sosta alla casa natale di Cesare Pavese, sede di un piccolo museo ( www.centropavesiano-cepam.it ).Se si è deciso di trascorrere un week end sulle Langhe, invece di una domenica “mordi e fuggi”, si può pensare a un pernottamento in un paese attraversato dal Sentiero dell’Alta langa, un percorso di trekking molto seguito e suggestivo, tra boschi e vigneti. Si trova sulla cresta tra Valle Belbo e Valle Bormida, con panorami suggestivi che spaziano su un versante fino al Monviso e dall’altro verso Roccaverano, Cortemilia, Perletto. Fenoglio scelse questo borgo per ambientarvi un episodio de Il partigiano Johnny, e la cascina del Pavaglione in una sua frazione, San Bovo, per l’azione centrale de La Malora; Pavese vi andava spesso (famosa una sua foto, del 1932, seduto su un muretto sullo “stradone” insieme a Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e l’editore Carlo Frassinelli). Stiamo parlando di Castino ( www.comune.castino.cn.it ) paese che vantava più di mille abitanti negli anni ’30 e che si è lentamente spopolato, giungendo ai circa trecento di oggi. Pavese scriveva di Castino: “…un paese sempre battuto da un vento frizzante e di là si vedono fumi lontani, piccini, nei vapori. Verso sera, specialmente, pare di essere in cielo”. Il romanzo di Corrado Bertinotti “Ecco venire la notte” è ambientato qui. La tranquillità regna sovrana, sembra quasi che il tempo si sia fermato. Siamo quasi a 600 m di quota, il clima è piacevole e invita a belle passeggiate fino alle seicentesche cappelle di San Rocco e dell’Annunziata; più impegnativa la salita fino ai fitti boschi di castagni, pini e querce della Casa Rossa (Ca’ Rusa). Nel paese si visitano la parrocchiale di Santa Margherita e il Monastero. Si può prenotare tramite Booking.com all’Eremo Pace e Gioia di via Negro o alla Casa dei Ricordi di piazza Mercato. Se in estate i concerti dei grilli dominano la notte, nelle altre stagioni sarà un silenzio profondo, al quale non si è abituati, a cullare i sogni di chi dorme su queste colline.Per la cena la Trattoria del Peso, un’insegna storica del luogo, vi può offrire piatti della cucina piemontese con un ottimo rapporto qualità/prezzo. E se lasciate questa terra con un po’ di malinconia e col desiderio di avere a disposizione una specie di locus amoenus in cui tornare per disintossicarvi dalla città, ricordatevi che qui si possono acquistare rustici o case da ristrutturare a prezzi abbordabilissimi: basta consultare i siti delle agenzie immobiliari locali, ricchi di annunci di vendita. E così avrete anche voi la vostra casa in collina da cui osservare, in una notte di una bella estate, la luna e i falò. Anna Busca, 24 novembre 2018 OTTO GIORNI IN POLONIA di Giovanni Saccarello Siamo ritornati in Polonia a completare la visita con le regioni settentrionali trascurate l'anno scorso: Stettino, Danzica ed i laghi Masuri. Sono zone appartenute alla Germania fino alla prima guerra mondiale, ed in parte anche fra le due guerre; si tratta fondamentalmente della Pomerania e della Prussia orientale. Se ne avverte l'origine soprattutto nella fisionomia delle case d'epoca e più ancora nei castelli, chiese ed edifici storici in genere. Si riconosce anche una certa continuità stilistica in molte architetture, specie nei frontoni delle cattedrali, sulle torri, ecc., che alternano mattoni e malte o cornici bianche, e sono corredate di torricelle e tipici archetti ciechi stretti, alti ed affiancati. Tutti i luoghi visitati, Varsavia esclusa, fino a cent'anni fa avevano un nome tedesco, a volte del tutto diverso: basti pensare che l'odierna Lidzbark Warmiński era Heilsberg. L'ultima guerra ha pestato duro un po' dovunque; i centri storici sono stati in genere ricostruiti fedelmente (tipico quello di Varsavia), ma molto spesso sono anche deturpati da orrendi casamenti da “realismo socialista” degli anni '50 o '60. Non abbiamo più trovato le caratteristiche chiese di legno (solo qualche campaniletto); in compenso, nidi di cicogne a volontà, specie nella zona dei laghi. Ripeterò qui qualche nota sulle grafia e pronuncia polacche. A veder certi nomi terrificanti, uno si chiede come facciano i polacchi a pronunciare tutte quelle "z" in mezzo ad altre consonanti; eppure, a sentirli parlare, è tutta una sfilza di suoni dolci tipo ciò, sci, je (francese). La "z" si sente, ogni tanto, ma viene da tutt'altra parte, cioè dalla "c" (purché senza accento e non seguita dalla “i”), come nelle altre lingue slave: ulica (viale) si dice uliza (z dura come in nazione). La zeta nella scrittura invece serve il più delle volte a modificare la pronuncia della consonante che la precede. Poi ci sono i segni diacritici sulle consonanti e le lettere speciali, come la L tagliata, "Ł", che va detta come una u leggera: il nome del papa polacco va pronunciato Voitiua e non Voitila. Ci vorrebbe uno specchietto con tutte le regole, ma qui non è il caso; e comunque non è facile: a volte bisogna fermarsi a ragionare. La mia maggior difficoltà è nel digramma RZ che suona come la j francese; e solo quest'anno abbiamo scoperto come si pronuncia veramente il castello di Książ visitato l'anno scorso: è come un'ipotetica parola "siange" pronunciata da un francese. Forse il massimo della differenza fra grafia (loro) e pronuncia (nostra) si ha nella città di Łódź che suona all'incirca Uug' (g dolce): neanche una delle lettere che noi diremmo. Comunque, ad evitare inutili fatiche userò qui i nomi italiani almeno delle città principali (Varsavia, Danzica, Stettino) e le traduzioni italiane dei luoghi. Le strade sono molto variabili, come già sperimentato. Sui grandi itinerari è tutto un alternarsi di tratti di superstrada, velocissimi, e di altri rimasti come un secolo fa, lenti, tortuosi e dentro i paesi. I continui lavori sono un altro intralcio: nel giungere a Danzica siamo capitati su una strada con ben dodici tratti successivi a senso unico alternato per i lavori; forse ce n'erano anche di più, ma dopo il dodicesimo abbiamo pensato che erano abbastanza ed abbiamo cambiato strada. Certamente le nuove opere sono un sollievo per l'automobilista, ma sono squallide e tristi perché inevitabilmente staccate dalle foreste (e sotto il sole dell'estate, che non scherza neanche qui, questo non aiuta); ed ogni tratto di comoda superstrada significa anche che è sparito un corrispondente tratto più “agreste”, spesso sotto un tunnel di alberi. Per fortuna non abbiamo più trovato gli ingorghi e le code dell'anno scorso, ma eravamo anche in zone meno frequentate. Alcuni tratti sono un po' malandati, e sulla strada, pur di grande importanza, verso Malbork, abbiamo trovato ancora un tratto in pavé di almeno tre chilometri, peraltro alberato, sul quale bisognava andare piano, essendo pure sconnesso. Stettino si trova presso il confine tedesco. Basta un mezza giornata per la visita, che si può limitare alla zona centrale. È bello il castello dei duchi di Pomerania, ed anche i più moderni museo nazionale e palazzo del Voivodato, in posizione panoramica sul fiume Odra (l'Oder tedesco, che più a sud fa anche da confine). Anche la cattedrale merita, pue se ricostruita del tutto dopo l'ultima guerra, come d'altronde la gran parte della città. Stargard Szczeciński è meglio conservata. Si trova a poca distanza da Stettino (di cui contiene il nome) e la si può includere nella trasferta a Danzica. Le mura medievali, quasi complete, sono punteggiate da diverse porte e torri. Fra le più belle, le torri del Ghiaccio e del Mar Rosso e la porta di Pyrzyce, ad ovest, la torre Testabianca e la porta dei Bastioni ad est; il pezzo più pregevole è però la porta del Mulino, a nord, che ha la singolare caratteristica di scavalcare pure il fiumicello che attraversa la città e che faceva da via di comunicazione. La cinta è anche costeggiata da un anello esterno sistemato a parco, che rende più suggestivo l'insieme. Il centro presenta l'immancabile Rynek (la piazza del mercato, rettangolare) con cattedrale e municipio. Danzica è sicuramente il pezzo forte del viaggio. Fra città e dintorni, vanno dedicati almeno due giorni. È carica di storia; tra l'altro ha fatto parte della Lega Anseatica, con le altre città baltiche. Il centro storico può distinguersi in due parti, quella slava a nord e quella teutonica, la principale, a sud. Quest'ultima presenta in centro non il classico Rynek quadrato, ma una piazza oblunga divisa in due parti, la Via Lunga ed il Mercato Lungo. Qui sono concentrati i principali palazzi ed il Municipio. Vi si entra da ovest attraverso due porte consecutive, quella Superiore (che ospita il museo dell'ambra ed è seguita da un'antiporta) e quella d'Oro; si esce ad est con la porta Verde: queste costruzioni completano il magnifico quadro generale. A poca distanza c'è l'enorme chiesa di Maria (non cattedrale), la massima in Polonia; li vicino spicca il Grande Arsenale, palazzo manierista in site olandese. Più a nord c'è un'altra chiesa notevole, quella di S. Nicola, Sw. Mikołaja: mi ci è voluto un po' per capire che Mikołaj non è Michele, ma Nicola, e quindi la M si è sostituita alla N; un'altra stranezza del polacco. La porta Verde sbuca sulla Motława, un canale della Vistola bordato di altri bei palazzi; tra gli altri si nota subito la gigantesca gru, una costruzione in legno incastrata fra due torri in muratura, che serviva a caricare e scaricare le merci dalle barche. Contiene ancora gli argani originali, a mano, ed oggi è un museo; è divenuta ormai un simbolo della città.
La parte slava del centro racchiude varie vecchie case ed un suo proprio municipio, il tutto concentrato attorno al Grande e al Piccolo Mulino, due caratteristici edifici lungo un piccolo canale fra le case. Fra i sobborghi settentrionali di Danzica, Oliwa ospita la cattedrale cittadina; l'abbazia accanto ha l'aspetto di un palazzo principesco ed è circondata da un bel parco, ottimamente curato. Sopot è invece il centro balneare della città, una specie di Viareggio polacca, ed è ricco di palazzi e grandi alberghi belle époque, tornati in auge dopo un periodo un po' grigio sotto l'ancien régime, e anche di fantasiose costruzione eclettiche più moderne, che però non siamo riusciti a vedere. Nei dintorni sudorientali di Danzica, il castello di Malbork sovrasta tutte le altre mete. Si tratta del più vasto castello gotico d'Europa (vale a dire del mondo), ed in realtà è un complesso di fortezze, torri, mura, ponti levatoi, insomma tutti gli elementi dell'immaginario a proposito di castelli. Dentro c'è di tutto: saloni di rappresentanza, alloggi di personaggi illustri, convento con dormitori, refettorio e cucina (tutti ambienti arredati), museo con armi, armature ed una sezione dedicata all'ambra (siamo nella zona della lavorazione), torri d'ogni sorta, fra cui una riservata alle latrine, quella più verso Danzica, città rivale perché appartenente all'ordine teutonico. Per un disguido alla cassa, mi sono ritrovato l'audio-guida per il percorso di 7 ore, e non riuscivo a tagliare qualche capitolo per passare rapidamente al successivo. Ho visitato fedelmente tutto, riuscendo comunque ad abbreviare un po' la tiritera; ma alla fine ero stravolto. Pelplin, con la sua cattedrale, e Gniew, col suo castello a dominare la Vistola, si sono invece rivelate un po' deludenti. Il castello ha il cortile interno coperto da una tettoia moderna trasparente, per potervi tenere delle manifestazioni; ma così non circola l'aria e vi fa un caldo tremendo. Frombork si trova sul Baltico, o meglio su un lago costiero, che però rimane fuori vista. L'interesse sta nella cittadella episcopale, sul colle, piena di ricordi di Copernico, che qui ha trascorso l'ultima parte della vita. Il piccolo complesso è fortificato con mura e comprende cattedrale, palazzo vescovile e varie torri di cui una dedicata all'astronomo, che (forse) aveva lì il suo studio. Per il museo di Copernico, purtroppo, c'è solo la visita guidata in polacco. A poca distanza c'è il minuscolo ospedale trecentesco, oggi museo storico della medicina con cimeli curiosi. La Masuria è una zona di laghi, laghetti e corsi d'acqua d'ogni genere, sparpagliati in un ambiente molto vario di foreste e colline, non di paludi come immaginavo, che richiama il paesaggio medio finlandese. Ovviamente abbonda in parchi naturalistici, ed è l'ideale per le escursioni in canoa o in bicicletta, ed in generale per chiunque ama la natura; in effetti la regione è molto frequentata, anche se la clientela è quasi solo locale, tanto che spesso si fa fatica a trovar qualcuno che parla inglese (va appena meglio col tedesco). Da questa regione viene la Mazurka. Mragowo non ha un interesse particolare; è un puro centro di villeggiatura su uno dei vari laghi, ed in effetti abbiamo alloggiato lì, in un resort (Mercure) attrezzato con piscine, “centri benessere” et similia, ma che è pure un luogo di vacanze per famiglie, con viavai di bambini. Mikołajki e Giżycko sono le principali basi di partenza per girare in battello o noleggiare barche o canoe sui laghi e fiumi; tutte le escursioni offrono una sequenza continua e mai monotona di panorami su acque e foreste. Olsztyn è una grande città con un minuscolo centro storico, quasi sperduto in mezzo ai quartieri più moderni, comunque dotato dei soliti elementi (Rynek, municipio, cattedrale) sempre interessanti, e d'un castello in bella posizione sul fiume. Lidzbark Warmiński ha un bel centro storico con case a graticcio, una bella porta e soprattutto un grandioso castello vescovile, che pare sproporzionato rispetto alla cittadina. Ci siamo fermati a Reszel perché era sulla strada; lì di appena interessante c'è solo il castello, vescovile pure questo, di aspetto possente e con un curioso arco d'ingresso, altissimo. Święta Lipka è essenzialmente un luogo di pellegrinaggi, ma con un santuario dalla facciata arancione che, visto al tramonto come nel nostro caso, si presenta scenografico.Una curiosità, non spettacolare ma interessante per ricordi storici, è la Wolfschanze (in tedesco tana del lupo: è riportata sui cartelli anche col nome originale), cioè il quartier generale tedesco della zona nell'ultima guerra. Sui libri di storia il luogo è citato come Rastenburg, il nome tedesco della vicina città di K ętrzyn. Qui c'è stato l'attentato fallito ad Hitler del luglio '44. Oggi il luogo ha qualcosa di spettrale, coi ruderi dei bunker e dei vari alloggi e uffici che affiorano qua e là in mezzo alla foresta. Della baracca dell'attentato (il luogo di maggior interesse) resta solo la base. Sul binario, oggi in disuso, che costeggia il complesso era arrivato in visita Mussolini col suo treno personale, per puro caso poche ore dopo il botto; sicuramente gongolava fra sé e sé: “Vedi che succede anche a te!”. Forse si può rischiare di trovare dei nostalgici in posti del genere, ma ci è andata bene.Già che avevamo Varsavia sulla via del ritorno, non ci si poteva far scappare i due grandi parchi periferici Łazienki e Wilanów, scartati l'anno scorso.Il primo è un bel polmone verde punteggiato di varie costruzioni, dal palazzo settecentesco al padiglione liberty, all'immancabile finto tempietto dedicato a qualche divinità della mitologia greca, fino all'originale teatro all'aperto con la scena su un isolotto del laghetto e le gradinate a riva. L'altro era la residenza estiva, una piccola Versailles. Troppo tardi per visitare il palazzo, era giocoforza limitarsi al parco: è stata un po' una delusione, perché la parte sistemata a giardino è limitata, e anche perché la terrazza posteriore, pur ben curata, non ha più tutta la vegetazione che ricordavo in un quadro del Bellotto, visto alla recente mostra a Milano.
2 novembre 2018 G.Saccarello SETTEMBRE 2018 di Anna BuscaScegliere Parigi come meta d’agosto, per trascorrervi alcuni giorni, può rivelarsi una decisione molto valida. La città è sempre la “capitale d’Europa”, e non è necessario elencare i motivi che la rendono tale; inoltre è godibilissima perché, nonostante il flusso turistico, molti residenti sono in vacanza e quindi l’affollamento e il traffico sono decisamente ridotti rispetto agli altri periodi dell’anno. Fino a tre anni fa i parcheggi in strada erano ovunque gratuiti in questo mese; purtroppo questa agevolazione non esiste più – la gratuità è solo domenicale/festiva e notturna - ed è l’unica pecca da segnalare a chi, come noi, arriva a Parigi in auto. Siamo stati obbligati a lasciare la nostra vettura in un garage a pagamento (il più economico che abbiamo trovato vicino al nostro albergo), al costo di 25 euro al giorno. Chi alloggia una settimana in un hotel senza parcheggio deve dunque sempre prevedere una spesa supplementare di circa 150-200 euro da considerare nel proprio budget. Tramite l’ormai collaudatissimo Booking.com abbiamo prenotato cinque notti all’hotel Prince Albert Wagram, in Passage Cardinet, nel XVII arrondissement. E’ un piccolo albergo elegante, ben gestito, in una zona molto tranquilla di cui abbiamo apprezzato i boulevard alberati, i parchi, i bellissimi palazzi, la vicinanza al centro. Un indirizzo assolutamente consigliabile. Abbiamo scelto di dedicare il nostro tempo soprattutto a luoghi che non avevamo mai visitato precedentemente, trascurando volutamente i musei più noti e importanti. Abbiamo così evitato code alle biglietterie e l’inevitabile “sindrome di Stendhal” che colpisce ogni turista in visita al Louvre, al museo d’Orsay, al Centro Pompidou, al museo Rodin e alle innumerevoli gallerie, mostre ed esposizioni parigine, viste magari freneticamente quasi tutte insieme. Certo l’imbarazzo della scelta è sempre notevole, ma in ogni caso difficilmente si resta delusi. La nostra prima tappa è stata il famoso cimitero Père Lachaise, nel XX arrondissement, aperto nel 1804, che ospita le tombe di molti personaggi importanti ed è meta di “pellegrinaggi” di turisti, anche se in numero minore rispetto ad altri luoghi parigini. Ci aspettavamo qualcosa di simile al nostro Cimitero Monumentale milanese, invece ci sbagliavamo: i sepolcri si presentano un po’ ammassati e disordinati, in tanti stili, in maggior parte semplicissimi oppure decorati – senza particolari capolavori, tranne qualche eccezione- in stile neoclassico, neobarocco, neogotico, perfino in un evidente stato di abbandono, il che tuttavia finisce per accrescere il fascino e l’emozione della visita. Si sale lungo scale o stradine su una collina, si passa a fatica tra le tombe e la vegetazione, scoprendo per esempio che vicino a Frédéric Chopin è sepolto Michel Petrucciani (commovente!), oppure che c’è ancora la tomba di Gioacchino Rossini anche se il corpo è stato poi traslato in Santa Croce a Firenze. Molto visitata la tomba di Jim Morrison. Un consiglio: prima di recarsi al Père Lachaise è opportuno stampare una mappa del cimitero scaricandola da internet, altrimenti si può acquistare in qualche edicola (ma non all’ingresso); girare senza mappa rende quasi impossibile trovare i sepolcri che si desidera vedere, perché non è facile passare da un’area numerata ad un’altra. Lasciato il cimitero, abbiamo ripreso la metropolitana e dopo una decina di fermate siamo scesi per salire in alto alla Basilica del Sacré-Cœur. In una giornata di sole, la scalinata e le terrazze sono un meraviglioso punto di vista panoramico su tutta Parigi, assolutamente da godere; e una crèpe in place du Tertre è sempre piacevole, nonostante la folla di turisti attratti anche da una miriade di negozietti pieni di souvenirs. Scendendo, lungo la strada, ecco il cimitero di Montmartre, o Cimetière du Nord, del 1825: e una visita, per quanto veloce, è a questo punto irrinunciabile. Qui, per continuare con le sepolture di musicisti e compositori famosi, giace Hector Berlioz ; ma si trovano anche Stendhal, Degas, Heinrich Heine, Emile Zola… Una mappa su un cartello all’ingresso, se fotografata sullo smartphone, può essere sufficiente per muoversi con una certa sicurezza senza vagare a caso tra le tombe. Abbiamo deciso di rimandare la visita al cimitero di Montparnasse- anch’esso dell’inizio dell’Ottocento, a sud della città, e senz’altro interessante - al prossimo viaggio a Parigi, per non rendere il nostro tour eccessivamente monotematico… e forse un po’ funereo! Ed eccoci quindi, a metà pomeriggio, alla scintillante Fondation Louis Vuitton, aperta al pubblico nel 2014 al Bois de Boulogne e raggiunta con una bella passeggiata di poco più di un’ora dal nostro albergo. Si tratta di un edificio progettato da Frank Gehry, architetto californiano, docente a Yale, che, tra le sue numerose opere, vanta lo straordinario Guggenheim di Bilbao. Questa costruzione non è da meno: 13500 m2 di vetrate e 1500 tonnellate di acciaio per realizzare una sorta di gigantesco veliero con 12 vele trasparenti, tra vasche d’acqua limpidissima, specchi che riflettono all’infinito, cascate, scalinate, terrazze panoramiche. E’ un’opera d’arte lo stesso museo, che al suo interno ospita, su un’area di circa 11000 m2, un auditorium, numerose gallerie e grandi spazi per valide esposizioni di arte contemporanea. Intorno, un bellissimo giardino. Una visita d’obbligo! Per qualche ora di totale relax nel verde, tra una passeggiata e l’altra durante le nostre giornate parigine, abbiamo utilizzato un delizioso parco a dieci minuti a piedi dall’hotel, lo storico Parc Monceau, che Monet usò come soggetto in sei suoi quadri, dipinti tra il 1876 e il 1878. Gli ingressi sono scenografici, con preziose cancellate in ferro battuto e una Rotonda neoclassica antistante; all’interno prati, aiuole fiorite, stagni, statue, il Pavillon Courcelles – un colonnato che si specchia nell’acqua – la Pyramide, un obelisco, un romanticissimo ponte in stile veneziano. Il parco fu voluto dal duca di Chartres, Luigi Filippo II di Borbone-Orléans, nel 1778, che lo commissionò a un tale ingegner Louis Carrogis detto Carmontelle, con l’incarico di rappresentarvi ogni luogo e ogni periodo storico possibile; per questo motivo ci sono costruzioni che richiamano l’antica Grecia e l’antico Egitto, la Repubblica di Venezia etc., con evidenti richiami a simboli massonici, essendo il duca anche Gran Maestro del Grande Oriente di Francia. Il parco fu presto battezzato “la follia di Chartres”! E’ anche un luogo di memoria “proustiana” perché lì vicino, in boulevard Malesherbes, visse fino al 1900 la famiglia di Marcel Proust, che da bambino lo frequentava per giocare con i compagni. Un altro parco nei dintorni, più piccolo ma altrettanto valido per una pausa piacevolissima, è lo Square des Batignolles, oltre Rue de Rome, simile a un giardino all’inglese. Risale al 1862 e lo volle Napoleone III. Un ruscello con cascatelle e laghetti, percorso da anatre e anatroccoli, lo attraversa in tutta la sua lunghezza tra fiori, prati e alberi curatissimi. Sedersi qui su una panchina all’ombra è una meraviglia. A pochi passi un altro parco, molto grande e moderno, attrezzato con giochi e piste per skate board, stagni, viali alberati: è il Martin Luther King, in mezzo a uno straordinario quartiere tutto nuovo, dall’incredibile architettura contemporanea pensata da urbanisti, paesaggisti e ingegneri di altissimo livello. Il “Clichy-Batignolles”, in fase di completamento insieme al nuovo scalo ferroviario, viene considerato un progetto urbanistico residenziale all’avanguardia, un vero e proprio eco-quartiere attento alle scelte energetiche ed ambientali, a “emissioni zero”. Nel tempo a nostra disposizione non potevano comunque certo mancare passeggiate nelle zone più note di Parigi, tutte raggiungibili a piedi o in poche fermate di metro: l’Arc de Triomphe e gli Champs-Élysées, Notre-Dame e l’Île Saint-Louis, la Tour Eiffel e il Quartiere latino sono sempre mete stupende. Nella zona della Gare Saint-Lazare – altro soggetto amato da Monet – siamo saliti all’ultimo piano dei magazzini Printemps, dove si trova un bel ristorante-bar terrazzato, per qualche foto panoramica. Lungo la Senna ci siamo fermati a visitare due musei: il Palais de Tokyo, sede di mostre di arte contemporanea con installazioni molto originali – fino al 9 settembre l’affascinante exhibition “Enfance- Encore un jour banane pour le poisson-rêve” – e l’adiacente Museo d’arte moderna della città di Parigi, a ingresso gratuito per la collezione permanente, con opere di Picasso, Chagall, Modigliani, Matisse. Quasi un’intera giornata è stata dedicata alla Défense. Ricordavamo un quartiere di uffici, un po’ grigio e spento, e ci siamo dovuti ricredere. Un enorme centro commerciale – Les Quatre Temps – circondato da altri grandi magazzini, ristoranti, caffè, attira molti turisti oltre ai numerosissimi impiegati nelle pause di lavoro. Il grigio è anche interrotto da un vasto prato all’inglese in fase di completamento e da una vasca la cui acqua riflette le sagome dei grattacieli. Siamo saliti con uno dei quattro ascensori di cristallo trasparente (proibito a chi soffre di vertigini!) in cima alla Grand’Arche, possibilità che è rimasta preclusa fino al giugno 2017, quando si è di nuovo consentito al pubblico di accedere, al modico –si fa per dire!- prezzo di 15 euro. Oltre a uno spazio per mostre temporanee e a un caffè, si trova una grande terrazza, dove si possono organizzare eventi, aperitivi, ricevimenti: l’altezza (110 m) consente una visuale molto ampia e assolutamente straordinaria. Si coglie perfettamente l’asse Grand’Arche- Arc de Triomphe, si ammira il grande stadio e si scopre anche un quartiere interessante. Infatti si notano verso nord-ovest grattacieli curiosi, cilindrici, colorati in modi diversi, tutti raggruppati, con finestre a oblò. Sono le Tours Aillaud (dal nome del progettista Emile Aillaud), a Nanterre, nella banlieu parigina. Costruite tra il 1973 e il 1981, sono residenze nel quartiere Pablo-Picasso, e sono anche dette “Tours Nuage” per i colori pastello dei mosaici in pasta di vetro che le decorano, opera dell’artista Fabio Rieti. Due torri sono alte 105 m, con trentanove piani, le altre sedici hanno dai tredici ai venti piani. Saranno presto oggetto di restauro. L’ultima nostra visita ha riguardato la Basilica di Saint-Denis. L’abbiamo raggiunta in automobile, ma ci siamo presto pentiti della nostra scelta. A parte il notevole traffico che si incontra sulla tangenziale di Parigi, il boulevard Périphérique, una volta raggiunta Saint-Denis, a nord, ci siamo resi conto dell’impossibilità di entrare in centro, riservato ai residenti (sulla strada compaiono dissuasori mobili a scomparsa, che bloccano l’accesso) e anche dell’estrema difficoltà nel trovare un parcheggio. Lasciata quindi l’auto a notevole distanza, ci siamo recati a piedi alla Basilica, percorrendo un lungo marciapiede che costeggia le alte mura di un grandissimo parco (stranamente senza ingressi se non, evidentemente, dalla parte opposta!). La Basilica è considerata il primo edificio gotico in assoluto, modello per i successivi: risale al 1143 e sorge su un’area occupata anticamente da una necropoli gallo-romana, sulla quale erano state costruite cappelle, l’ultima delle quali consacrata nel 775 da Carlo Magno. Restaurata dopo i danni subiti nella seconda guerra mondiale, la cattedrale è imponente, con uno splendido rosone sulla facciata, e forse ancora più bella di Notre-Dame. Dal 1996 è Patrimonio culturale dell’Umanità per l’UNESCO. Ma ciò che la rende unica è il fatto di essere il magnifico mausoleo dei re e delle regine di Francia: tra transetto, presbiterio e cripta sono esposte una cinquantina di tombe–o forse più – di sovrani, principi e principesse, vissuti in un periodo di circa cinque secoli. Tra questi Filippo il Bello, Carlo V di Francia, Luigi XIV – il Re Sole – Luigi XVI e Maria Antonietta, Caterina de’ Medici. Davvero splendido il monumento funebre di Anna di Bretagna e del coniuge Luigi XII. Durante la Rivoluzione francese, nel 1792-93 i sepolcri furono profanati e in parte distrutti; i resti riesumati (circa centosettanta corpi, compresi quelli di circa venticinque abati) furono gettati in due fosse comuni, chiamate Valois e Bourbon (Borbone) perché le spoglie venivano divise in base alla dinastia. Nel 1817, sotto la seconda restaurazione, Luigi XVIII diede l’ordine di ricercare e disseppellire le salme. Furono quindi riportate nella cattedrale, insieme ai monumenti funebri che si erano salvati dalla distruzione, anche se le operazioni di recupero e riconoscimento furono per lo più molto difficili: purtroppo diversi resti, polverizzati o corrosi dalla calce, e anche oggetto di mutilazioni per alimentare un macabro commercio di reliquie, andarono perduti. Concludere un soggiorno parigino in mezzo a sepolcri, così come lo si è iniziato, può sembrare una scelta curiosa: ma si tratta di opere di altissimo valore artistico, da ammirare come se si fosse in uno straordinario museo; ed è davvero una suggestiva immersione nella storia di Francia! Parigi è anche un tempio della gastronomia e non si può certo trascurare questo piacevole lato di ogni visita, per quanto breve possa essere. Ci siamo avvalsi dell’app The Fork (La Fourchette per i francesi) che non solo ci ha consentito di apprezzare la cucina di numerosi ristoranti (due della catena Le Grand Bistro, due indiani, Royal Indien e Bombay’s, davvero eccellenti, e altri) ma anche di avere un notevole risparmio, dal 30 al 50% di sconto sui piatti, bevande escluse. A meno che si desideri réserver une table chez Maxim’s… 3 settembre 2018, Anna Busca AGOSTO 2018 A dieci km da Pisa sorge un magnifico complesso monumentale che non ha la fama e la rilevanza che meriterebbe nei circuiti turistici, perché poco segnalato e pubblicizzato: la Certosa di Calci (più spesso denominata appunto “di Pisa”), straordinario ex monastero certosino di origine trecentesca, successivamente più volte rimaneggiato, che vanta preziose opere del Seicento e del Settecento. E’ la terza Certosa più grande d’Italia, dopo quelle di Pavia e di Padula. Fondata nel 1366 in Val Graziosa, in mezzo alla campagna, grazie ai finanziamenti di ricche famiglie pisane, ospitò monaci certosini in clausura, dell’Ordine di San Bruno, fino al 1969, anno in cui fu definitivamente abbandonata dai religiosi dopo una serie di alterne vicende, in particolare la chiusura in epoca napoleonica e poi ancora sotto i Savoia. Si giunge alla Certosa attraverso due possibili percorsi, ossia due viali tra loro perpendicolari, che consentono entrambi di cogliere il grande edificio nella sua prospettiva di doppia facciata, una esterna, più bassa, che era destinata a funzioni aperte al pubblico (come la farmacia) e una interna separata da un’ampia corte a prato. Su questa spicca la facciata barocca della chiesa, in marmo, con una doppia scala molto scenografica e il timpano decorato sulla sommità da un gruppo scultoreo dell’Assunta tra gli angeli. La visita è obbligatoriamente guidata, a gruppi; gli orari di apertura sono consultabili sul sito del polo museale della Toscana. Al momento della nostra visita (domenica 26 agosto 2018) si poteva entrare solo alle 9, alle 10.30 e alle 12; in altri giorni anche al pomeriggio. Sono aperti al pubblico i chiostri (tranne uno in ristrutturazione, dove i lavori sono cominciati cinque anni fa e poi ahimè interrotti), la chiesa, le cappelle, il refettorio, gli ambienti della vita monastica, la foresteria granducale. Si cammina per lunghi corridoi, si ammirano tele e affreschi, si ascolta la guida, molto preparata, che racconta la storia dell’Ordine di san Bruno e le regole cui dovevano sottostare i fratelli e i padri: regole rigorose di silenzio, meditazione e preghiera. Si visita una delle quindici celle dei monaci, affacciate sul chiostro grande. I religiosi non potevano lasciare i locali loro assegnati, comprendenti un giardinetto con un pozzo per l’acqua e una piccola cappella personale per la preghiera, e ricevevano il cibo attraverso una finestrella; infatti soltanto la domenica mangiavano in refettorio – sala splendida, decorata magnificamente, con un affresco dell’Ultima Cena - nel più assoluto silenzio, rotto solo dalla preghiera di un orante o del priore. Potevano conversare tra loro solo una volta alla settimana in una stanza apposita, dove dovevano parlare a voce alta, sotto sorveglianza. I chiostri erano privi di vegetazione, tutto doveva essere simile a una sorta di deserto, luogo ideale per l’eremita. Immaginando la vita di questi monaci di clausura non si può non pensare a qualcosa di molto simile a una sorta di prigionia sado-masochistica davvero difficile da comprendere. La gerarchia che vigeva all’interno del monastero è comunque ancora ben evidente: l’appartamento del priore, la sua cappella e il suo giardino erano decisamente più lussuosi e confortevoli… Il priore decideva tutta la vita del convento e assegnava incarichi, lavori, perfino celle e cappelle a turno ad altri monaci o nobili che venivano ospitati, tramite un curioso dispositivo: una specie di bacheca di legno con segni mobili, che gli interessati dovevano consultare giornalmente. La regola del silenzio così non veniva infranta! Molto belle e ricche di decorazioni sono le stanze in cui veniva ospitato il granduca, che si recava periodicamente al monastero. Nella farmacia, ultima tappa della visita, si possono ammirare vere e proprie bilance di precisione a due piatti, che servivano al padre speziere per dosare gli ingredienti dei preparati medicinali. Peccato che non si possa entrare anche nella Biblioteca, nell’Archivio, nella Sagrestia, sicuramente di enorme interesse. E tutta un’ala importante della Certosa, che comprendeva locali di servizio come un gigantesco granaio, le lavanderie, il frantoio, i cortili per le attività agricole, è stata occupata dal Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa verso la fine degli anni ’70. La scelta della sede di tale museo suscita qualche perplessità, non solo perché non c’entra nulla e risulta isolato dal contesto, ma anche perché un monumento come la Certosa andava senz’altro mantenuto nella sua totale integrità per ragioni storico-artistiche. Ma la nota ancora più dolente è la politica dei prezzi che applica l’Università di Pisa per l’ingresso: il costo del biglietto intero è di 14 euro; se si opta per una visita parziale (per esempio Acquario + Dinosauri) il costo è di 8 euro. Le riduzioni sono ridicole ( 1 euro in meno!) e le agevolazioni sono riservate sostanzialmente ai locali. Per una famiglia di turisti costituita da quattro adulti la spesa per entrare sarebbe di ben 56 euro! Confrontando tali costi con quelli di altri Musei di Storia Naturale di maggiore rilevanza ci si rende conto di quanto siano assurdamente esorbitanti. Purtroppo il museo non è statale ma gestito da un’università che evidentemente pensa di più ai guadagni immediati che all’utenza… Essendo invece la Certosa per fortuna un museo statale (Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci), le riduzioni e le gratuità seguono le normative vigenti; il biglietto intero costa 5 euro, il ridotto 2.50. E la spesa per l’ingresso è ampiamente ricompensata dal senso di meraviglia e di piacere che si ha nel visitare questo monumento straordinario, assolutamente imperdibile. Auspichiamo dunque che arrivino subito finanziamenti e sostegni necessari che consentano alla Certosa di Calci di mantenere la sua bellezza per gli anni a venire; e speriamo che questo gioiello venga opportunamente segnalato e pubblicizzato per consentire il flusso turistico che merita. Non si capisce perché in Italia il turismo, risorsa fondamentale, non venga adeguatamente gestito con razionalità e lungimiranza! Spostandosi più a sud si trova un altro angolo del territorio pisano, confinante con il livornese, che meriterebbe una gestione turistica più oculata, questa volta soprattutto dal punto di vista naturalistico. Siamo a Chianni, borgo collinare a neppure 300 m d’altezza, in posizione piuttosto strategica per visitare luoghi interessantissimi della Toscana e per recarsi al mare sulla costa di Castiglioncello o Cecina. Il paese è circondato da fitti boschi: non si possono predisporre passeggiate, sentieri segnati, anche solo per brevi escursioni, da proporre ai turisti? Noi abbiamo cercato di raggiungere le Cascate del Ghiaccione, unica meta, indicata anche da un cartello sulla strada carrozzabile, che ci sembrasse facilmente raggiungibile. Ci siamo invece dovuti arrendere dopo neppure dieci minuti di camminata sul greto del torrente e qualche tentativo fallito su sentieri che finivano nel nulla. In altri Paesi europei, e non solo, si cerca di incentivare il turismo sul territorio in ogni modo, non di scoraggiarlo…Ultimo appunto: la Riserva Naturale Biogenetica dei Tomboli di Cecina (Livorno), istituita nel 1977, è di fatto un’enorme pineta a ridosso della lunga spiaggia di Marina di Cecina, bellissima; si stende per circa 15 km, su un’area di circa 405 ettari, è davvero un patrimonio di vegetazione, una foresta con migliaia di alberi pregevoli (Pinus pinea, Quercus suber…), attraversata da molti sentieri , attrezzata con aree per il pic-nic e comunque ben preservata. La pineta è frutto di un progetto ottocentesco di piantumazione – avviato nel 1839 dal Granduca Leopoldo II – per proteggere da vento e salsedine le colture retrostanti e prossime alla costa. Ho provato a seguire il percorso didattico detto “della staccionata”, inaugurato lo scorso anno, a cura dell’Ufficio Territoriale Carabinieri per la Biodiversità di Cecina, nei pressi della località “Andalù”. Circa 600 m di sentiero “natura per tutti”, pensato anche per chi ha disabilità motorie o visive, con pannelli aventi “mappe visuo-tattili”, o formelle che riproducono animali e piante. L’obiettivo era interessante, peccato che il percorso, nella sua realizzazione, sia davvero povero: un paio di pannelli con qualche scheda elementare su animali o piante e troppi pannelli che continuano a dire (peraltro poco chiaramente) “Sei qui”, quando, per la brevità del sentiero, tale informazione risulta inutile e perfino fastidiosa. Troppo misere le informazioni per le “scolaresche in visita”, e comunque insufficienti e banali per chiunque. Perché le amministrazioni locali non affidano progetti di valorizzazione naturalistica della Riserva – e in generale delle zone d’interesse botanico e faunistico - ad enti scientifici o ad associazioni competenti come il WWF? Sempre nell’ottica di fornire un servizio di alta qualità – e non superficiale o approssimativo - a chi giunge per visitare gli splendori della nostra Italia. 29 agosto 2018, Anna Busca LA VACANZA PERFETTA di Anna Busca Dieci giorni tutti “italiani”, ad agosto, per una coppia che abbia bisogno di disintossicarsi dal lavoro e dalla vita cittadina senza spendere un capitale: ecco una proposta che concilia diverse esigenze e che consente il meritato relax. Tutte le prenotazioni alberghiere si possono fare molto comodamente – e con grande sicurezza – tramite Booking.com. La meta principale è l’isola d’Elba, splendida perla del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. La prima tappa, partendo da Milano, può essere in Lunigiana, una regione ricca di fascino, tranquilla, nel verde, sul confine tra Toscana e Liguria: noi abbiamo soggiornato in un magnifico agriturismo, il Podere Magaiana, a Filattiera. Un tuffo in una bella piscina in mezzo a un grande prato, una romantica cena all’aperto a base di salumi e formaggi locali, con un buon piatto di testaroli al pesto e vino Rosso Toscano della casa: e la vacanza comincia benissimo. Dopo un’ottima colazione, la mattina seguente si lascia la Lunigiana per raggiungere Piombino, dove è d’obbligo ritagliarsi un po’ di tempo per girare il bel centro storico, fermandosi magari per uno spuntino alla Merenderia Paguro in via Ferruccio Francesco, davanti al Palazzo del Comune (ottima la frittata di patate e cipolle!). Si giunge quindi al porto per l’imbarco (noi abbiamo prenotato, con pochi giorni di anticipo, sul sito della Direct Ferries, www.directferries.it, un conveniente traghetto della Blu Navy, con partenza alle 13.45,diretto a Portoferraio, a circa 120 euro andata/ritorno per due passeggeri e automobile). Se si è in anticipo si può aspettare in una confortevole struttura climatizzata antistante i moli, a due piani, dotata di caffè, qualche negozio, totem con prese per caricare i cellulari, toilette, sedie e panche. Dopo la traversata di un’ora, si sbarca sull’isola, per una settimana piena di sole e di mare.Si può “spezzare” il periodo di vacanza scegliendo due diverse località: noi abbiamo optato per tre giorni iniziali sulla costa settentrionale e per i restanti quattro giorni su quella meridionale. Abbiamo così potuto muoverci, per visitare spiagge e luoghi, senza difficoltà o perdita di tempo. Il primo hotel in cui abbiamo soggiornato è stato il bellissimo Hotel Brigantino di Procchio ( www.hotelbrigantino.com, tel.0565907453), a pochi minuti a piedi dalla spiaggia (e con una breve passeggiata lungomare, con numerosi ristorantini e pizzerie lungo il tragitto, si può raggiungere il paese, dove si trovano localini e negozietti). Con un ottimo rapporto qualità/prezzo, in mezza pensione, abbiamo trascorso tre giorni piacevolissimi. Il mare è stupendo e non abbiamo mai trovato eccessivo affollamento perché la spiaggia è piuttosto lunga. In albergo un bel giardino curato, con una piscina, e spazi comuni freschi ed elegantemente arredati nei toni del bianco e del celeste consentono il relax, nella tranquillità più totale. Un punto di forza dell’albergo è sicuramente la cucina: abbiamo cenato benissimo.Per cambiare spiaggia si può scegliere l’adiacente La Biodola, sempre di sabbia, molto bella. Da Procchio poi si può andare agevolmente a Poggio (borgo arroccato, con magnifico panorama), a Marciana (chi lo desidera può salire dalla località Pozzatello con la cabinovia, in circa venti minuti, sul Monte Capanne, ma occorre avere buone calzature per il sentiero da percorrere poi fino alla cima, purtroppo rovinata da grandi antenne), a Marciana Marina (spiaggia La Fenicia, attenzione però alle meduse). Chi ha tempo può anche visitare la Villa di san Martino, museo nazionale, una delle due eleganti residenze di Napoleone, in esilio all’Elba tra il maggio 1814 e il febbraio 1815. La seconda località che abbiamo scelto è stata Fetovaia, famosa baia a sud-ovest dell’isola, con una bellissima spiaggia sabbiosa alle cui spalle si stende una magnifica pineta. Acque trasparentissime nonostante la folla di bagnanti rendono molto piacevoli bagni e nuotate: è consigliabile tuttavia scendere in spiaggia piuttosto presto, per poter stendere i teli da mare comodamente nella zona libera. In tarda mattinata purtroppo si fatica a camminare tra sdraiette e ombrelloni e c’è piuttosto caos. Il nostro albergo era l’Hotel Lo Scirocco, una bella struttura da cui è facile scendere al mare grazie a una scaletta posta proprio di fronte, dall’altra parte della strada. La colazione a buffet è servita in una splendida terrazza, il Garden Cafè, e dalla nostra stanza il panorama era davvero stupendo. Il luogo è molto tranquillo, con alcuni alberghi, poche case sparse sulla collina, un paio di ristoranti quasi sul mare e null’altro. Noi abbiamo cenato per due sere al Barbatoja, molto carino, con un pizzaiolo decisamente bravo (pizze squisite!). Una sera invece ci siamo inerpicati in auto per una strada ripidissima (via Vallebuia) della vicina Seccheto: in dieci minuti si raggiunge un agriturismo isolato, dove abbiamo potuto gustare ottimi piatti di pesce su una terrazza panoramica. Anche Fetovaia è in posizione strategica per girare un po’ l’isola: siamo andati a Chiessi per un bagno in acque smeraldine e per prendere il sole sdraiati su rocce piattissime; si possono raggiungere Pomonte, Cavoli, Lacona, Marina di Campo. Da qui ci siamo imbarcati per un’escursione di una giornata all’isola di Pianosa, prenotando due giorni prima perché i turisti sono “a numero chiuso”. Traghetto Aquavision A/R e biglietto d’ingresso costano 38 euro a persona. L’isola stessa non è percorribile liberamente: l’accesso individuale è consentito solo al paese – molto interessante, con edifici storici, purtroppo abbandonati e assolutamente meritevoli di restauro prima che crollino - e all’incredibile spiaggia di Cala San Giovanni, dal mare turchese, meraviglioso e indimenticabile, ricco di pesci come salpe e mormore. Per addentrarsi all’interno dell’isola è obbligatorio quindi iscriversi, anche direttamente sulla barca, a escursioni guidate, a pagamento: si va dallo snorkeling nella Baia dei Turchi, al trekking archeologico, alla gita di 11 km in mountain bike. Ogni attività dura 1-2 ore al massimo e costa mediamente 15-16 euro a persona. Noi abbiamo scelto, visto il caldo notevole, l’opzione più comoda, ma non meno interessante: il giro di una parte dell’isola in carrozza scoperta, trainata da un possente cavallo da tiro. La guida del Parco ci ha illustrato durante il tragitto i vari edifici, decisamente fatiscenti e abbandonati, che caratterizzavano l’antica colonia penale. Pianosa (Planasia) deve il suo nome al fatto di essere molto piatta: l’altitudine massima è 29 m! Nell’isola fu esiliato nel 7 d.C. il diciannovenne nipote di Ottaviano Augusto, Marco Vipsanio Agrippa Postumo, che fu ucciso da un centurione sette anni dopo, nel periodo immediatamente successivo alla morte di Augusto. Alcuni resti archeologici testimoniano la presenza dei Romani. Nel 1858 venne istituita qui dal Granducato la “colonia penale agricola” per detenuti anche condannati all’ergastolo, che dovevano occuparsi di lavori nei campi; nel 1884 vi furono portati, da tutta Italia, carcerati malati di tubercolosi. Molti morirono, ma si registrarono anche casi di cronicizzazione o di guarigione. Negli anni ’30 fu utilizzata per i prigionieri politici; anche Sandro Pertini vi trascorse un periodo di detenzione in quanto antifascista. Negli anni ’80 si pensò di chiudere la colonia, ma le stragi del ’92 di Capaci e di via D’Amelio portarono a riconsiderare l’isola come una fortezza inespugnabile per tenere in prigione i detenuti mafiosi. Divenne così un carcere di massima sicurezza, inaccessibile, fino al 1997, quando l’ultimo boss fu trasferito in un’altra struttura. L’isola fu quindi, dal 1998, restituita alla regione Toscana come gioiello del parco nazionale, fruibile dai turisti, anche se resta molto protetta dal punto di vista ambientale. Circa trenta detenuti del carcere di Porto Azzurro godono del regime di semilibertà e collaborano alla gestione del bar-ristorante e del piccolo albergo di Pianosa, il “Milena”. Tra questi, abbiamo incontrato all’ingresso delle Catacombe (molto interessanti, del IV secolo), Rachid Khamassi, tunisino, in carcere dal 1999, che ha pubblicato una sua raccolta di poesie davvero bellissime (“Dentro” – Scritti e poesie di un detenuto). Da visitare assolutamente anche la mostra di fotografie d’epoca “Pianosa com’era”, nell’antico edificio delle Regie Poste (ingresso libero), a cura dell’Associazione per la Difesa dell’Isola di Pianosa onlus ( www.associazionepianosa.it ). I volontari dell’associazione aspettano da anni gli interventi necessari per salvaguardare un prezioso patrimonio storico e architettonico che non può essere perduto per incuria e indifferenza: facciamo nostro l’appello “Salviamo Pianosa!” allo Stato e alla Regione.Rientrati all’Elba, si può completare l’itinerario meridionale salendo a Capoliveri, a sud-est, un paese con un centro storico animatissimo, ricco di locali e negozietti, in cima a un rilievo da cui si gode un ampio panorama. La spiaggia di Zuccale si raggiunge con un comodo sentiero da un grande parcheggio sterrato sovrastante. Si può anche fare un salto a Porto Azzurro, sulla costa orientale, centro grazioso non distante da Capoliveri. Il giorno della partenza si può approfittare di qualche ora per una visita a Portoferraio, sovrastata da fortezze medicee –faticose da raggiungere se la giornata è molto calda - e in parte ancora chiusa da mura fatte appunto costruire da Cosimo de’ Medici. La Villa dei Mulini, residenza napoleonica “in città”, è un museo interessante, con dipinti, mobili e arredi dell’epoca. E’ conservato in una vetrina posta al centro di una sala un mantello in velluto verde, molto raffinato, che indossava Paolina Bonaparte, sorella dell’imperatore, che era venuta a passare un periodo sull’isola a tenere compagnia al fratello esiliato. Paolina aveva portato con sé una piccola corte e organizzava feste e intrattenimenti. Belli i giardini, a picco sul mare. Una mostra multimediale inaugurata a maggio (“Napoleone Bonaparte. L’esilio dell’aquila”) e aperta fino al 13 ottobre 2018, nel vicino piazzale de Laugier, consente di ricostruire in una sorta di “viaggio esperienzale”, tramite filmati e reperti, i dieci mesi all’Elba dell’imperatore ed è sicuramente imperdibile per gli appassionati di storia. Dopo un’attesa al caldo, quasi insopportabile– non esiste a Portoferraio una sala d’aspetto climatizzata per i turisti in procinto d’imbarcarsi: si sta sotto il sole vicino alle auto! Incredibile carenza per l’isola d’Elba… - siamo saliti sul traghetto Acciarello della Blu Navy, lo stesso dell’andata, giungendo a metà pomeriggio a Piombino. Da qui si può rientrare direttamente a Milano oppure, come abbiamo preferito noi, fare un’ultima tappa, per esempio nell’elegante Montecatini Terme, centro di vacanze aristocratiche nell’Ottocento e nel primo Novecento. Abbiamo pernottato al Grand Hotel Tettuccio, in una camera ampia dall’arredo raffinato, con un rapporto qualità/prezzo davvero eccellente. L’albergo è storico, in viale Verdi, vicino alle terme omonime, bellissime, circondate da un magnifico parco. La sera, a piedi, abbiamo raggiunto la funicolare che sale in pochi minuti a Montecatini Alto, borgo medioevale con un castello e una piazzetta incantevole che ospita ristorantini perfetti per una cena tutta toscana. I numerosi turisti, soprattutto russi, tedeschi e giapponesi, si mostrano deliziati dal viaggio in funicolare, la più antica d’Europa, inaugurata nel 1898. La mattina, dopo un’ottima colazione nell’elegantissima sala dell’hotel, siamo riusciti a visitare un’interessante mostra al MO.C.A. (Montecatini Contemporary Art) che ha sede nel bel Palazzo Liberty del Comune, dedicata a graffitismo e street art. Fino al 4 novembre 2018, con ingresso gratuito, si possono ammirare opere di diversi autori, tra cui Banksy, raccolte sotto il titolo “Geniale! Gli invasori dell’arte”. Un’ultima sosta a pranzo, a conclusione della “vacanza perfetta”, nella bella Pontremoli, ancora in Lunigiana. L’Osteria della Bietola, nel centro storico, è molto consigliabile per finire in bellezza, dal punto di vista gastronomico; e tutta Pontremoli, attraversata dal Magra, con i suoi ponti e le sue case di pietra, evoca un’atmosfera magica e antica, in sintonia con tutte le emozioni e i ricordi di questo viaggio. 12 agosto 2018 Anna Busca
LUGLIO 2018 UNA CAMMINATA SUL BELLISSIMO "SENTIERO DELLE ESPRESSIONI" In questa stagione così calda, chi, tra coloro rimasti in città, non sogna di trascorrere una giornata nel verde? A circa un’ora e mezza da Milano, in Val d’Intelvi, si può percorrere un itinerario piacevole in una fresca foresta di antichi faggi, fino ad arrivare a un punto panoramico a 1200 m – cima del Monte Comana - dal quale si ammira il lago di Como; e da qui si può proseguire fino a completare un anello – calcolare mediamente tre ore di cammino - che ci riporta al punto in cui abbiamo lasciato l’auto: se poi si aggiunge che questa magnifica passeggiata consente di ammirare decine di statue lignee, intagliate negli alberi da artisti straordinari, e di gustare prodotti locali squisiti in un alpeggio che è un vero locus amoenus, ecco che la proposta diventa quasi un must. Espressioni artistiche, gastronomiche, paesaggistiche: non manca nulla! Da Milano si sceglie quindi la direzione per Como, verso Menaggio e poi verso Argegno. La meta da segnare sul navigatore è Schignano, raggiungibile con numerosi tornanti dal lungolago, ma in realtà il sentiero non parte da qui; bisogna attraversare il paese, seguire la strada – stretta e con qualche frana - per almeno una decina di minuti e giungere in località Posa. Qui si può lasciare l’auto, anche se lo spazio è ridotto e si finisce per parcheggiare sul bordo della strada… Comunque il traffico è scarso, almeno in un giorno feriale (meglio evitare la domenica!). A questo punto si calzano scarponcini da trekking e si inizia la salita. Se si segue l’indicazione del cartello “Sentiero delle Espressioni” (inaugurato nel 2014) si comincia subito a percorrere una mulattiera sassosa e ripida, davvero faticosa. Meglio optare per la stradina carrozzabile che parte un po’ più avanti, sempre sulla sinistra, più lunga ma decisamente facile, che comunque si ricollega all’itinerario. Si giunge infatti, dopo al massimo un’ora di cammino, all’Alpe Nava, dove si possono trovare mucche al pascolo, con il loro tipico scampanio. Qui un cartello, posto all’inizio del Sentiero, segnato in modo chiaro sempre da pietre o indicazioni gialle, mostra una sorta di mappa con le statue e i nomi degli artisti; subito si vedono due opere, lo Gnomo Pacio e il Mais; più avanti gli emozionanti Allattamento e Il Dono della Vita; Il Cesto Goloso, Paternità, Il Guardiano. Sembra di essere in un luogo magico. Si giunge quindi tranquillamente in un pianoro al cui centro si trova, vicino a un laghetto, il Ristoro La Pratolina (www.agriturismopratolina.it ), -chiuso il mercoledì-molto ben gestito, con tavoli di legno all’aperto – ma anche interni, in caso di maltempo. Gli escursionisti possono rifocillarsi qui con ottimi taglieri di salumi e formaggi, polenta, squisite crostate casalinghe; da non perdere il “gelato agricolo”, una delizia ottenuta da latte appena munto (naturalmente opportunamente pastorizzato). Intorno, silenzio, alberi, il verde dell’erba, il colore e il profumo dei fiori, il cielo azzurro. La città è lontanissima!! Si riprende il cammino, attraversando, poco oltre il laghetto, un’installazione intitolata “ Passaggio per l’Infinito” (molto significativo!). Si sale attraverso faggi secolari fino alla cima del Monte Comana, ammirando Saggezza, Magia, Enigma, Il Pensatore… In vetta “Il corso della Vita”, un trittico ligneo rivolto verso il magnifico panorama del lago. Si prosegue in cresta, ma sempre nella frescura di una bella vegetazione. I faggi sono stupendi e si possono immaginare i colori del bosco in autunno... Se si vuole, per ragioni di tempo, accorciare l’itinerario, si può cominciare la discesa all’altezza del Roccolo di Messo; altrimenti si procede fino alla Colma di Binate – fine del Sentiero - e si scende da qui. Due suggerimenti: 1) portarsi una borraccia con l’acqua (non ci sono sorgenti e la sete può farsi sentire); 2)in auto, cercare di evitare il breve tratto di Pedemontana a pagamento, a meno che non abbiate il Telepass. Per pagare un pedaggio di neppure 2 euro ho faticato parecchio, dato che il sito di pedemontana.com non funzionava. Si risparmiano minuti al casello (che non c’è) ma poi si sprecano ore per cercare di pagare e per evitare le sanzioni di mancato pagamento… link youtube www.youtube.com/watch?v=LOewrQOTSXw&t=304s 31 luglio 2018, Anna Busca Dall’afa milanese si può fuggire in molti modi: suggeriamo un paio di mete – molto diverse - raggiungibili in un’ora di automobile, una verso nord-est e l’altra verso sud. La prima proposta può essere accolta da chi desidera abbinare la ricerca di refrigerio a una facilissima passeggiata nel verde: si va verso Lecco, alle cosiddette Pozze di Erve. Siamo davanti al Resegone, sopra Calolziocorte; il paese di Erve, a circa 600 m di quota, in Valle San Martino, si raggiunge seguendo una strada un po’ tortuosa, in una sorta di forra. Si attraversa tutto l’abitato e si arriva a un parcheggio piuttosto ampio, sul torrente Galaveso. Qui si lascia l’automobile e si comincia la camminata. Si attraversa un bel ponte in pietra e si segue una sorta di larga mulattiera, resa più facile in alcuni punti da gradini e spesso ombreggiata dalla vegetazione. Il torrente è sulla destra e regala un piacevole mormorio di cascatelle d’acqua. Le pozze che si creano – poco profonde, adatte ai bambini, che vi sguazzano allegramente - sono davvero cristalline, ed è facile scendere, sedersi su qualche sasso e rinfrescarsi gambe e piedi. C’è chi s’immerge totalmente: una seduta di wellness assolutamente naturale, adatta però solo ai pochi che gradiscono un bagno gelido… Se si prevede di sfruttare al massimo questa possibilità occorre naturalmente avere costumi e asciugamani, e anche scarpette da scoglio, perché è facile altrimenti scivolare sui sassi. Noi abbiamo optato per semplici pediluvi, che ci hanno fatto comunque dimenticare subito la calura estiva. In mezzo ai prati e sopra il torrente, si incontra il ristoro “Due camosci”; sotto un pergolato, seduti a tavoli di legno, si possono mangiare salumi, formaggi, verdure, torte ancora calde di forno… Una meraviglia. Aperto tutti i giorni fino al 30 settembre (tel.0341607879, sig. Alberto Valsecchi). Il sentiero prosegue verso la sorgente San Carlo, nel bosco, a 750 m. L’acqua è freddissima e leggera, si può bere utilizzando il classico bicchierino di metallo che viene lasciato lì, attaccato a una catenella. Ci sono anche un paio di tavoli con panche su cui sedersi, perfette per un picnic al fresco. Chi desidera proseguire (ma deve essere attrezzato con scarponi adatti) può dirigersi al Rifugio Capanna Alpinisti Monzesi (1173 m), da cui si può ammirare la cima del Resegone (www.capannamonza.it ). La meta alternativa, che non prevede alcuna attività escursionistica ma permette ugualmente di trascorrere ore piacevoli e rinfrescanti, in perfetto relax, si trova vicino a Pavia. Nel centro Sporting Ponte Becca, nella località omonima, dove sorge il ponte costruito tra il 1910 e il 1912 nel punto in cui il Ticino confluisce nel Po, si trova una splendida piscina in mezzo al verde (www.piscinapavia.it ). Se si evitano i giorni di sabato e domenica, sicuramente più affollati, ci si ritrova in una situazione molto gradevole, anche per famiglie con bambini, e per questo merita di essere segnalata. Ci si può stendere a prendere il sole sull’erba oppure su una specie di “isola” collocata nella vasca, piuttosto grande e curata, articolata anche in una sorta di “canale” in cui si nuota tranquillamente. Nel Bar Cone, ricavato da un vero barcone in disuso e ristrutturato, si possono mangiare insalate e piatti leggeri seduti quasi in riva al fiume, davanti al ponte. Se si sceglie la fascia oraria tra le 12 e le 15 c’è un notevole sconto, e si può poi sfruttare il pomeriggio per un breve giro e un gelato nella splendida Pavia.31 luglio 2018, Anna Busca
MARZO 2018 Dramatram: un giro fra le curiosità di Milano di Giovanni Saccarello Si mettono insieme uno spettacolo teatrale e un giro turistico per la città, e si ottiene una serata originale. Le attrattive cittadine danno lo spunto per raccontare una serie di aneddoti e curiosità, non sempre conosciute dai milanesi, e fra loro cucite in un continuo dialogo fra i due attori protagonisti. Fa da teatro ambulante un tram noleggiato appositamente, che nel suo girovagare porta attori e spettatori da una scenografia all'altra. Il tram è un mezzo un po' originale per un giro turistico a Milano, anche se ha dei limiti perché i binari oggi sfiorano appena certi luoghi d'interesse, come il Duomo o la Galleria, o non li toccano più, come le chiese di S. Ambrogio o S. Marco o la zona di Brera, o non li hanno mai toccati, come la Ca' Granda od il palazzo Borromeo. Ma per gli altri luoghi va benissimo, a condizione di accontentarsi di vederli sfilare senza visitarli, perché il tram non può fermarsi fuori ad aspettare. D'altronde anche così è impensabile vedere tutta Milano in un'ora e mezza, ed una selezione è inevitabile. Si viaggia sul 1503, uno di quei gloriosi e indistruttibili tram entrati in campo fra il 1929 ed il '30 (i primi due in prova già dal '27 e '28) e che da allora hanno dominato il paesaggio milanese, anche per la quantità: numeri di servizio dal 1501 al 2002, fate il conto. Dunque il nostro è uno dei primi: ha fatto in tempo a vedere i navigli interni non ancora coperti, ed ormai, alla vigilia di compiere 90 (novanta) anni di servizio, avrà scarrozzato almeno quattro generazioni di milanesi. Tanti di noi l'avranno preso chissà quante volte, come il centinaio o poco più di suoi fratelli tuttora in servizio attivo, ormai monumenti di sé stessi. L'interno però è stato riportato alle condizioni d'origine, cioè col “salottino” in coda (che era riservato ai fumatori, cosa oggi improponibile) e naturalmente col banco del bigliettaio, che molti di noi rimpiangono, anche se lo ricordano nella posizione “classica” presso la porta posteriore, che qui manca, come in origine. Gli ultimi sedili, poi, sono imbottiti e rivolti nel senso di marcia, una specie di “prima classe” in confronto alle solite panche di legno longitudinali che per tanti anni hanno deliziato le natiche dei passeggeri. L'itinerario comincia e finisce in piazza Fontana. Si percorrono la via Larga ed il corso Italia, raggiungendo la porta Ludovica e poi la Ticinese; si continua sul corso omonimo e poi sulle vie Torino ed Orefici. Quindi sulla via Meravigli e tutto il corso Magenta, svoltando poi sulla circonvallazione per via Ariosto, l'Arco della Pace, il corso Sempione e via Procaccini fino al Monumentale. Infine si chiude il cerchio per le vie Bramante, Legnano, Tivoli, Broletto, Orefici, Mazzini e Larga. Questo percorso dà lo spunto per parlare di svariate curiosità a proposito del Verziere, della chiesa di S. Giovanni in Conca, o piuttosto di ciò che ne resta, di S. Eustorgio coi re Magi. Si continua con la darsena ed il sistema ormai perduto dei navigli interni e del Laghetto, le Colonne di S. Lorenzo e S. Satiro. Poi è la volta di di S. Maurizio al Monastero Maggiore, delle vigne di Leonardo, di S. Maria delle Grazie col Cenacolo. Un po' più lontano si trovano altri soggetti per sviluppare lo spettacolo itinerante: l'Arco della Pace ed il corso Sempione, l'Arena, il Piccolo Teatro, il Castello Sforzesco e per finire la galleria V. Emanuele. Certamente i vari luoghi si succedono in modo irregolare, perciò non è facile parlarne in modo continuo. Ma anche nei maggiori intervalli fra l'uno e l'altro, specie lungo la circonvallazione, ci sono sempre i personaggi storici, le tradizioni e la cucina, oltre a curiosità diverse (chi di noi sa dire quante statue della Madonnina ci sono in giro?), per riempire i vuoti. Una serata istruttiva, curiosa e divertente. Si svolge però una sola volta al mese, l'ultimo mercoledì. L'Associazione Culturale Dramatrà unisce teatro e visite turistiche; organizza comunque vari eventi, anche "su misura". Per saperne di più: www.dramatra.it/dramatram – info@dramatra.it - tel.340-11270357 marzo 2018 Giovanni Saccarello
FEBBRAIO 2018 A Human Adventure di Giovanni Saccarello Questa mostra racconta la storia dell'esplorazione dello spazio; è centrata principalmente, come è facile immaginare, sulla storia della Nasa, anche se non viene ignorata la concorrenza, soprattutto nella prima parte. Si tiene allo Spazio Ventura 15 a Lambrate, alla periferia di Milano (l'indirizzo coincide con la ragione sociale) fino al 4 marzo '18. A quel che ho visto, ha riscosso certamente un grande successo; ma per questo motivo è meglio evitare le ore più comode del sabato e della domenica, perché si fa una certa coda, e non è la stagione migliore per aspettare una mezz'ora fermi in strada. Queste mie non sono note “tecniche” (non sono affatto uno specialista nel settore), ma piuttosto osservazioni su alcuni particolari che danno spunti di riflessione. Si entra nella mostra percorrendo una riproduzione della passerella usata dagli astronauti per accedere al loro abitacolo in cima al razzo Saturno 5. Naturalmente loro la percorrevano a cento metri d'altezza e non raso terra come i visitatori, inoltre loro andavano un po' più lontano; ma direi che sia l'ingresso più consono che si poteva trovare. Si passa quindi nella sezione dei Sognatori: dagli scrittori più antichi che immaginavano viaggi sulla Luna ma potevano far viaggiare solo la fantasia, a quelli più moderni, aiutati dalle scoperte scientifiche avvenute man mano. Molto interessante il film di Fritz Lang Frau im Mond (La donna sulla Luna, del 1929; è l'ultimo film muto del regista) di cui viene proiettata la parte del lancio, certamente la più memorabile (il resto è un polpettone). Vi si vede il conto alla rovescia (pare che ne sia il primo documento storico) ed i protagonisti, più passeggeri che astronauti, sdraiati su lettini. Ci sono particolari tecnici reali, come l'effetto dell'accelerazione che schiaccia i protagonisti ed il razzo a più stadi (c'era la consulenza dello scienziato Oberth, progenitore della V2), misti però ad altri di ingenua fantasia: sono tutti in abiti civili, nessuno indossa caschi o respiratori ed il quadro di comando sembra quello d'una comune cabina elettrica. Ci sono quindi in mostra i progenitori, sia uomini che macchine: ovviamente primeggia il razzo tedesco V2, un'arma tremenda di guerra, che nessuno poteva fermare perché nessuno la vedeva arrivare, ma anche del tutto inaffidabile: ne andava a segno una ogni 20. Giunta troppo tardi, nel 1944, non c'era modo (per fortuna) né di costruirne tante né di provarle con calma. Sarebbe stato meglio approfondire un po' più la figura del suo genitore, Von Braun, passato agli USA con disinvoltura dopo la guerra. Certamente non era un nazista, a lui interessava soltanto lo sviluppo della tecnologia e doveva fare ciò che gli comandavano; ed è anche facile accusarlo, per chi non era al posto suo. Ma gli si può senz'altro rimproverare di aver chiuso gli occhi su quel che vedeva attorno a sé, specie su come erano costretti a lavorare per lui i prigionieri, e certo gli stessi Americani non erano poi troppo interessati a ricordarglielo. Degni di nota anche vari libri, fumetti e riviste di fantascienza, un genere che ha avuto un boom a cavallo fra gli anni '50 e '60 (chi ha i capelli bianchi se ne ricorda bene), in concomitanza coi primi lanci, e che invece era stranamente già in declino una decina d'anno dopo, con l'uomo ormai sulla Luna. Non poteva mancare lo Sputnik 1, la sorpresa dell'ottobre '57: i Russi erano riusciti a tener segreti i loro studi. Ovviamente è una replica; l'originale è andato in briciole in capo a tre mesi perché non si sapeva ancora come gestire il rientro. Questo ha dato il via alla corsa allo spazio: gli Americani non potevano star lì a guardare, nel bel mezzo della guerra fredda, ed il prestigio di essere i primi vale più di una battaglia vinta. Manca invece un cenno al primo lancio USA, due mesi dopo: il razzo Vanguard si è alzato regolarmente per qualche metro, poi si è fermato e si è accasciato a terra esplodendo e guadagnandosi una serie di appellativi (Flopnik, Spruttnik, ecc.) che finivano tutti in -nik. Certamente gli Americani erano verdi di bile, tanto più che i Russi andavano avanti: lo Sputnik 2, appena un mese dopo, aveva già a bordo il primo essere vivente, la famosa cagnetta Laika, poi pietosamente soppressa con un'iniezione, dato che neanche lei poteva rientrare. Ma la tecnologia andava avanti ed in capo a tre anni e mezzo, ancora con gran scorno degli USA, è partito Yuri Gagarin, di cui non manca un'ampia rassegna delle imprese. Però non è stato lui il primo astronauta; pare proprio che più d'uno lo abbia preceduto, ma lui è stato il primo a rientrare vivo e vegeto; dei suoi sfortunati predecessori non si saprà mai niente. Pure questo è un tema che si doveva approfondire. Gli USA han messo sotto pressione Von Braun (era il loro asso nella manica) e sono comunque riusciti a rimontare rapidamente; sono esposti abbondanti reperti dei loro primi voli. Per tutti gli anni '60 continua la corsa, col rapidissimo progresso tecnologico da ambo le parti, sotto la spinta dell'affanno ad essere i primi sulla Luna; Kennedy ha promesso di arrivarci entro il decennio. C'è anche un modello del razzo Saturno 5, non certo a grandezza naturale: l'originale era alto poco meno del Pirellone (!) e perfino il modello in scala 1:10 deve aver dato problemi di trasporto e collocazione. Molto interessante per il visitatore “normale” la sezione sugli aspetti per così dire più “umani” della vita degli astronauti: le tute che indossavano, quel che mangiavano (bello il confronto fra il menù americano e quello russo), il rasoio per radersi, il kit di sopravvivenza; ed anche suscitano curiosità, inutile negarlo, i sistemi per ovviare alla mancanza del WC a bordo. Naturalmente il clou della mostra è lo sbarco sulla Luna, la promessa di Kennedy mantenuta. Pare che la notte della diretta tv si siano azzerati furti e rapine. Pure gli studenti hanno per qualche giorno disertato manifestazioni e cortei. Ricordo che la notizia era anche sui giornali specializzati in tutt'altri settori: nelle edicole si vedevano i fogli rivoluzionari parlare di una “conquista di sangue” (l'impresa era targata USA e si era nel pieno della guerra del Vietnam), e perfino una rivista pornografica (c'erano già le prime) presentava sulla copertina in primo piano un astronauta che strizza l'occhio al lettore, e dietro la Luna che piange; titolo di scatola: “Violata!”. Ciascuno insomma la vedeva a modo suo, ma non poteva fare a meno di parlarne. Eppure, come detto, la fantascienza non era più così in auge, ed in capo a pochi anni è subentrata quasi un'assuefazione alle imprese spaziali. Fra i vari pezzi in mostra spicca il Lunar Rover, la prima automobile extraterrestre; ci sono poi i vari moduli lunari, scudi termici, capsule, ed i loro componenti, compresi strumenti e macchinari, che naturalmente a noi profani dicono poco. Ma qualcuno è notevole: fra gli strumenti campeggia un comunissimo regolo calcolatore, e pare incredibile che gli astronauti dell'Apollo lo usassero nel '66; fa poi tenerezza la scheda di memoria per il computer di bordo, che arriva a qualche Kbyte, quando noi oggi possiamo comprare in un negozio una chiavetta USB ben più piccola ma che ha milioni di volte quella capacità. Forse il pezzo più imponente è la riproduzione del muso frontale della navetta spaziale, che si sviluppa su due piani: sopra, la cabina di pilotaggio con la sua selva di strumenti; sotto, un abitacolo con degli strani sedili; e la scala a pioli che mette in comunicazione i due ambienti. Ormai gli astronauti non sono più bloccati in stretti spazi,e si muovono liberamente dentro un'astronave, come ci si immaginava ancora negli anni '50; ma quanto c'è voluto! Per chi ne ha voglia c'è anche il simulatore della centrifuga: naturalmente è roba all'acqua di rose (in fondo non si può infliggere agli spettatori della mostra l'allenamento di un vero astronauta), ma per provare il brivido nel frullatore ci vogliono un biglietto ed una coda supplementari. E si giunge al presente, con la riproduzione del telescopio Hubble, che tuttora ci gira attorno fotografando, scrutando e misurando tutto quel che dalla Terra sarebbe impossibile. Ormai questo fa parte della “normalità” quotidiana e forse non ha più nulla del fascino che emana dal passato di una tecnologia che era rivolta al futuro, ma che ormai ha già il profumo delle cose lontane. 17 febbraio 2018 Giovanni Saccarello GENNAIO 2018
L' Orrido di Ponte Alto in Trentino
di Giovanni Saccarello OTTOBRE 2017 DODICI GIORNI IN POLONIA di Giovanni Saccarello Non si va in Polonia a cercare grandi meraviglie; non si troveranno né piramidi né colossei né grandi canyon. Ci sono invece tante piccole cose carine: belle città, belle chiese, anche di legno, castelli in bella posizione, paesaggi verdeggianti, parchi naturali. Direi che sia un ottimo posto per chi ama la “cara vecchia Europa”. Cara nel bene e nel male: la Polonia ne ha viste di ogni, nella sua storia; però è anche questo turbolento passato, ed i continui rivolgimenti, che la fanno ricca di interesse. Abbiamo visitato la zona centrale e sudoccidentale del paese, toccando Varsavia, Cracovia, Breslavia (cioè Wroc ław), Poznań e Toruń.Non descriverò qui i tesori d'arte: questo è compito delle guide; dirò solo delle impressioni e delle curiosità. Ci sarebbero molte passeggiate nei parchi naturali, soprattutto sui monti Tatra; ma non eravamo in vena di sgambate ed abbiamo preferito la visita delle località come escursioni in auto da Cracovia, senza così cambiare albergo. Per i parchi naturali è meglio cercare alloggi in zona. Le autostrade sono ancora scarse, ma stanno cercando di ricuperare il ritardo: si vedono lavori un po' dappertutto. Su certe strade normali c'è rischio di ingorghi e code senza fine; ma in genere si viaggia bene. Parlando dei luoghi, ci vuole una piccola digressione sulla grafia e pronuncia. A veder certi nomi terrificanti, uno si chiede come facciano i polacchi a pronunciare tutte quelle "z" in mezzo ad altre consonanti; eppure, a sentirli parlare, è tutta una sfilza di suoni dolci tipo ciò, sci, je (francese). La "z" si sente, ogni tanto, ma viene da tutt'altra parte, cioè dalla "c", come nelle altre lingue slave: ulica (viale) si dice uliza (z dura come in nazione). La zeta nella scrittura invece serve il più delle volte a modificare la pronuncia della consonante che la precede. Poi ci sono i segni diacritici sulle consonanti e le lettere speciali, come la "Ł" che va detta come una u leggera: il nome del papa polacco va pronunciato Voitiua e non Voitila. Forse il massimo della differenza fra grafia (loro) e pronuncia (nostra) si ha nella città di Łódź che suona all'incirca Uug': neanche una delle lettere che noi diremmo. Perciò, finché parlavamo tra di noi, per non sbagliarci citavamo i vari luoghi così come li leggiamo noi. Per una ragione analoga userò qui la traduzione italiana dei luoghi, se c'è, rinunciando al nome originale. L'emblema della Varsavia del dopoguerra, nel centro moderno, è il palazzo della Cultura & della Scienza, assolutamente sovietico nell'aspetto e nelle smisurate dimensioni; io lo direi l'ecomostro di Varsavia. Oggi è un po' oscurato da altri grattacieli vicini, più moderni ma non meno pretenziosi. La zona è tutta a palazzi enormi, ma l'ambiente non è affatto soffocante: c'è molto spazio fra l'uno e l'altro. Tutta la città è ricostruita dopo la guerra, ma il centro storico è stato replicato fedelmente, anche usando i quadri settecenteschi del Bellotto! Bastano un paio d'ore per il centro storico, bello ma non eccezionale . Una stranezza: nel Rynek (piazza del mercato centrale) c'è la statua di una sirenetta, che la leggenda dice sorella di quella di Copenaghen e protettrice di Varsavia. Al di là della Vistola c'è il quartiere Praga (si chiama proprio così), rimasto intatto dalla guerra: c'erano già i Russi su questo lato, al momento della rivolta che ha causato la distruzione del centro città da parte tedesca. Perciò questa parte di Varsavia è più "vera", anche se malandata, post-sovietica e post-industriale; ma è in ripresa e perciò un po' "alternativa". Una curiosità è il Bazar Rózyckiego, non in sé (non ha niente di caratteristico), ma per la merce in vendita in almeno metà delle bancarelle: abiti da sposa! Naturalmente non mancano lo sposo, gli invitati e perfino i bambini-paggi, per i quali ci sono vestitini incredibili. Mai vista merce simile nei mercatini nostrani. Fa un caldo bestiale: si arriva a 36°, ed è pure umido; tante centinaia di km verso nord non sono servite. Ci si divertono solo i bambini che sguazzano seminudi nelle fontane, e a volte anche quelli cresciuti. Una curiosità che ci colpisce subito, e che troveremo ancora, anche in centri minori, è la quantità di notai che espongono le loro insegne per strada, come se fossero tabaccai o salumieri. Cracovia è scampata alle distruzioni belliche, e questo ha il suo peso nell'aspetto e nel fascino che emana. Da noi questa città è molto più conosciuta del resto della Polonia, e si vede subito dalla frequenza di Italiani che incontriamo; altrove ne troveremo pochi. Affacciato sulla Vistola, il Wawel, complesso fortificato, racchiude la cattedrale, il castello e vari edifici storici. L'interno della cattedrale sorprende perché è più piccolo di quel che ci si aspetta. Fra le cappelle non sorprende di trovarne una dedicata al papa Woitiła; avrebbero voluto che fosse sepolto lì, ma al rifiuto del Vaticano si sono dovuti accontentare di una reliquia, e ne hanno trovata una originalissima: un campione di sangue usato per un esame clinico! Per le belle vie Kanonicza e Grodzka sbuchiamo nella centrale piazza del mercato (Rynek), che presenta subito la chiesetta isolata di S. Adalberto. Nella grande chiesa di S. Maria c'è un polittico che rimane chiuso al mattino e aperto nel pomeriggio, per mostrare le ricche decorazioni su entrambi i lati. L'imponente piazza è animatissima, molto più di quel che ricordavo dal mio viaggio di 18 anni fa. La vicina piazza Szczepański presenta edifici liberty: il teatro vecchio, rifatto in stile eclettico, ed il palazzo secessionista Sztuki, con davanti un'altra fontana completa di bambini seminudi che si rinfrescano. C'è pure il “Bunker dell'Arte”, unico edificio di epoca sovietica nel centro città, brutto ma a modo suo pure significativo. Nel museo Czartoryski si conserva la Dama dell'Ermellino; ma l'abbiamo già vista in Italia e la escludiamo. Lì presso si raggiunge un tratto di mura, percorribile, e la porta Floriańska; all'esterno, circondato dal verde, si trova il barbacane, corpo avanzato di difesa analogo a quello di Varsavia. Nei paraggi c'è un bel museo del sottosuolo, che, partendo dai reperti trovati negli scavi sotto il Rynek, ricostruisce la storia delle trasformazioni urbanistiche, usando anche sistemi multimediali. Merita anche il caratteristico quartiere ebraico, col cimitero che direi meno sgangherato di quello di Praga. La successione delle varie sinagoghe è spezzata dalla chiesa del Corpus Domini, tutta circondata da un alto muro: d'altronde è un'isola cattolica nel ghetto, un'isola nell'isola! La cucina locale comprende ottime zuppe di funghi e, strano a dirsi, grandi ravioli (pierogi) che non ci si aspetterebbe di trovare fuori dall'Italia. La prima chiesetta di legno che visitiamo è a Debno, verso i monti Tatra: piccola, carina, isolata dal paese e circondata da un basso recinto, sempre ligneo. Molto belle le tegole tondeggianti che seguono le curvature. L'interno è tutto dipinto con decorazioni che sembrano ricami finissimi. Poco più ad est c'è il castello Dunajec di Niedzica, in magnifica posizione sopra un lago artificiale circondato dalle foreste. Solo visite guidate, ed in polacco; fortuna che ci sono abbondanti cartelli in inglese. Questa regione, presso il confine slovacco, è ricca di escursioni naturalistiche. Si può fare il “rafting” sul fiume (in realtà su barche normali: non ci si bagna), ma è un po' lungo il ritorno in autobus. Le rocce fra i meandri del fiume non sono poi così eccezionali: chi frequenta i paesaggi alpini è abituato a ben altro. A Lipnica Murowana troviamo un'altra chiesa di legno; è ancora aperta malgrado l'ora tarda, e c'è dentro gente in preghiera: una cosa che sorprende è il diffuso fervore religioso. Il monastero di Jasna Góra a Częstochova, un po' rialzato sulla città, è un complesso di chiese e alloggi per i pellegrini, preceduto da un vastissimo piazzale per cerimonie all'aperto: lo troviamo deserto, ma è facile immaginarlo zeppo di gente in certe occasioni. Dentro invece la folla c'è, specie ovviamente per la Madonna Nera; colpisce lo spessore che separa il dipinto su legno, scuro, dal contorno argenteo aggiunto poi. A Pieskowa Skała il castello fa da museo: vi si trovano le opere trasferite dal castello di Cracovia. Si trova in bella posizione, dentro una gola stretta e pittoresca di un parco naturale che comprende lì accanto anche la “clava di Ercole”, un originale roccione isolato. La miniera di sale di Wieliczka richiede tempi lunghi a causa dell'affollamento, più che mai nei giorni di Ferragosto, anche se è a poca distanza da Cracovia. Le visite sono solo guidate, e in più lingue; ma in italiano sono solo tre al giorno, come quelle in francese, spagnolo, ecc., e quindi bisogna imbroccare l'orario; invece ne parte una in inglese ogni venti minuti. Si comincia scendendo 540 gradini; fa subito fresco, ma non molto: non metterò mai il maglione di riserva. Cercando notizie in rete, avevamo notato che fra la varie FAQ sulla miniera c'era chi chiedeva se si possono leccare le pareti per accertarsi che si tratti veramente di sale: che idea! Eppure adesso c'è nel gruppo un tale che fa questa domanda! La risposta della guida, ben abituata, è lapalissiana: “fate conto che ogni anno nella miniera passano un milione e rotti di visitatori: vedete voi”. Le prime gallerie non sono eclatanti, ma poi, scendendo con altre scale a livelli più bassi, subentrano alcuni ambienti grandiosi, che culminano nella vastissima chiesa sotterranea. Qua e là ci sono degli “effetti speciali” un po' hollywoodiani: scoppio di grisou, varie scene animate di minatori e laghetto con musiche di Chopin di sottofondo. Naturalmente nel finale ci sono bar, ristoranti, saloni per feste e quant'altro. Un'ulteriore seccatura: la coda per l'ascensore al ritorno; comunque si può salire a piedi, se uno se la sente. A Kalvaria Zebrzydowska c'è un convento con annessa Via Crucis sulla collina, come fa capire il nome; pare che sia il 2° luogo di pellegrinaggio polacco dopo Częstochova. Le 42 cappelle sparse nel bosco sono a volte delle vere chiese; tutto il complesso è affollato da comitive in preghiera, e c'è pure un tale vestito da Gesù, con la Croce e tutto. Lo spettacolo più che dal luogo è dato dai pellegrini. Poco oltre, a Barwałd, troviamo un'altra chiesetta di legno, sempre entro un recinto stavolta in muratura.
Breslavia (Wrocław; ho preferito il nome tedesco italianizzato: quello reale suona all'incirca Vrozuav) è carina nell'immancabile Rynek, col suo municipio scenografico, e nei vari palazzi qua e là, come l'università ed il rosseggiante Ossolineum, biblioteca nazionale. Ma è graziosa soprattutto nella zona attorno al fiume Odra (l'Oder tedesco, che più a nord fa da confine), che si ramifica e divide il quartiere in varie isolette. Su una di queste sorge la cattedrale; il ponte che vi arriva è zeppo all'inverosimile di lucchetti. Tutta la zona ha un'aria “riposante”, come secondo me è normale dove ci sono specchi d'acqua fra le case. Una curiosità di questa città: chi va in giro col naso in aria rischia di inciampare nelle statuette bronzee degli gnomi, diffusi un po' ovunque nel centro e alti meno di mezzo metro. Derivano da un bonario movimento di protesta nato negli ultimi anni dell'ancien régime. A Swidnica è notevole la chiesa di S. Trinità: è la più grande chiesa di legno, e può contenere 7.500 persone! Si tratta di una delle “chiese della pace”, concesse ai protestanti dopo la pace di Westfalia del 1648, ma a certe condizioni: fuori mura, niente campanili e soprattutto usare esclusivamente il legno. Tra l'altro è in graticcio, raro in Polonia. Anche dentro tutto è di legno, perfino gli altari che sembrano in marmo lucido e i grandiosi palchi. Sono escluse solo le canne dell'organo e la luce elettrica, sfuggita alle limitazioni seicentesche. A poca distanza c'è il castello di Ksiąz, in magnifica posizione nella foresta, a strapiombo sul fiume. Abbiamo dovuto pure qui prendere una visita guidata in polacco; non si capisce un'acca, ma la guida ogni tanto ci fa un breve riassunto in inglese: siamo gli unici non polacchi del gruppo. Ci sono cartelli in inglese, ma non dappertutto, e nessuno nelle gallerie scavate dai Tedeschi nell'ultima guerra per trasformarlo in fortezza, visitabili in parte.
A Poznań, tanto per cambiare, il centro è il Rynek, con bei palazzi attorno ed in mezzo i suoi bravi mercato e municipio, quest'ultimo insolitamente chiaro ed irto di torrette con cupole color verderame. A mezzogiorno non bisogna perdersi lo show dell'orologio; si tratta del solito carillon con figure animate, però questo è originalissimo. Non sono i soliti santi che sfilano: alle 12 si apre una porticina e ne escono due capre, che poi si girano l'una contro l'altra e si pigliano a cornate! Finiti i dodici scambi di cortesie, mentre le capre rientrano compare un trombettiere (vero) che suona un po', poi saluta tutti e lo spettacolo è finito. La scena ricorda un scontro caprino realmente avvenuto, illustrato pure in un monumento presso la chiesa di S. Stanislao; il trombettiere ricorre anche in altri casi, come nella torre della chiesa di S. Maria a Cracovia. Colpisce il finto castello Królewski, sull'altura presso la chiesa dei Francescani: rifatto da zero nel 2012, è in stile polacco, un intruso in mezzo ad una città che è stata prussiana fino al 1918 (si chiamava Posen), e quindi di impronta tedesca. Varie zone sono post-industriali: un gran birrificio è diventato un centro commerciale; è il solito riuso consumistico, ma almeno la bella struttura si è salvata. La cattedrale si trova su un'isola fra due bracci del fiume, in posizione che ricorda quella di Breslavia, ma molto meno pittoresca. Più oltre c'è un piccolo quartiere di artisti, con la chiesetta di S. Margherita. Come quelle di legno, anche questa è recintata ma l'unica entrata è chiusa, il muro è alto e non si vede niente. La cosa più interessante nella piazzetta è un enorme trompe-l'oeil con figure di case caratteristiche. Nelle foreste fra Gniezno e Toruń si vedono centinaia e centinaia di alberi schiantati: dev'esserci stato un uragano, e anche di recente. Si scoprirà che ha fatto 5 morti, 8 giorni fa, nella zona di Tuchova, un centinaio di km a nord di qui. A Gąsawa c'imbattiamo in un'ennesima chiesa di legno. Come al solito è in mezzo ad un recinto, ma su un fianco le è stata aggiunta una cappella in muratura, per di più bianca in un insieme scuro! Proseguiamo per Biskupin, dove c'è un museo archeologico che ricostruisce un insediamento protostorico. Non ne siamo interessati, ma mi fermo lo stesso a guardare da fuori: hanno ricostruito un villaggio di capanne col tetto di paglia; è una cosa un po' finta, ma può interessare gli appassionati. Siamo in una bella regione di laghi e foreste, queste ultime sempre scorticate qua e là. A Wenecja presso la stazione di una piccola ferrovia turistica ci sono i pochi ruderi di un castello, con ricostruzioni (pure qui) di macchine da guerra medievali. Si pronuncia Venezia, e non è un caso: vuole indicare un abitato in mezzo alle acque, ma il paesaggio attorno più che veneziano è finlandese. Bello l'arrivo a Toruń dal ponte sulla Vistola. La città ha un centro diviso in due parti, la Città Vecchia e quella Nuova (nuova in senso relativo: è del 1264), ciascuna con un Rynek per conto suo. Naturalmente il clou è nel Rynek di quella Vecchia, col bel municipio al centro e bei palazzi attorno. Siamo nella città di Copernico, e non ne poteva mancare il monumento: mi piace la sintetica definizione “terrae motor, solis caelique stator”. Sulla piazza invece di uno gnomo c'è una statuetta di bronzo che raffigura un cane, abbastanza realistica da ingannare un cane vero che le abbaia contro; quando poi il padrone divertito accarezza il cane finto, quello vero non ci vede più e si avventa sulla statua, nell'ilarità generale! Meglio del carillon delle capre. La Città Nuova è meno interessante. Sono ben conservate le mura lungo la Vistola, che hanno, all'angolo sud-ovest, una torre pendente: direi che penda molto di più di quella pisana, ma è molto più bassa e non isolata, essendo parte delle mura, perciò è poco appariscente. Riattraversiamo la Vistola davanti alla prossima meta, Płock (questa sembra facile da pronunciare, una volta tanto; in realtà dovrebbe suonare all'incirca Puozk). La veduta della città dal ponte è scenografica. Anche qui l'orologio del municipio sul solito Rynek ha il carillon animato, stavolta con un tizio che posa la spada sulla spalla di un altro: sarà la scena di un'investitura, ma non ne conosciamo i particolari. La scena è conclusa pure qui dal suonatore di tromba. Stavolta però nella piazza siamo in quattro gatti, non la folla di Poznań: a quanto pare è un centro poco conosciuto. La città è affacciata sulla Vistola da una certa altezza, e perciò con vaste vedute. Una torre dell'ex castello fa da campanile alla bella cattedrale. Lungo la strada, presso Goławin, troviamo l'ultima chiesetta di legno. Poi rimane solo da raggiungere l'aereo per rientrare a casa.
7 ottobre 2017 Giovanni Saccarello
SETTEMBRE 2017 Una bella vacanza di una decina di giorni in Croazia, piuttosto economica visto il cambio abbastanza conveniente ( 1 euro vale circa 7.46 Kune), può essere organizzata anche all’ultimo momento, perfino in agosto. E’ quello che abbiamo fatto, decidendo il 31 luglio di partire il giorno dopo in auto da Milano, dopo aver prenotato la prima notte in Friuli su Booking. Lungo l’A4, nelle vicinanze di Verona, optiamo per una sosta di notevole interesse culturale: il castello di Soave, che non si può fare a meno di notare, tanto è imponente, passando in autostrada ( www.castellodisoave.it). L’orario estivo prevede l’apertura dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18.30 (chiuso il lunedì). Fondato agli inizi del X secolo, passò a diverse famiglie feudali, poi agli Scaligeri, ai Visconti, agli Asburgo, ai Veneziani, fino a perdere il suo prestigio di fortezza per essere adibito a fattoria, subendo un grave degrado. Nell’Ottocento fu acquistato da una famiglia –tuttora proprietaria – che lo restaurò e poi lo aprì al pubblico. Attraverso un ponte levatoio si accede a una serie di tre cortili circondati da una bella cinta muraria, con un interessante torrione, un pozzo, un’abitazione medioevale che ospitava la guarnigione. Vale sicuramente la visita! Inoltre, è un bell’inizio “tutto italiano” di una vacanza oltre confine.Il pernottamento alla Bajta Fattoria Carsica, un agriturismo nel verde in Località Sales, sopra Trieste, è piacevole e rilassante. Ripartiamo la mattina, entrando in Slovenia (attenzione alla vignetta obbligatoria se si sceglie l’autostrada!). In Croazia, a poco più di 60 km da Fiume, ci aspetterà un secondo castello: quello di Segna (Senj), la cinquecentesca fortezza Nehaj, su un’altura che domina la città e il mare. Molto panoramica la vista dalle torri; ci si può pure fermare a mangiare un boccone, perché all’interno vi è un’osteria, con tavoli anche all’aperto. La nostra prima meta croata tuttavia non è Senj ma Skradin, delizioso paese all’ingresso del Parco Nazionale di Krka. La camera, prenotata grazie a Booking presso la Guesthouse Ivan (dr.Franje Tudmana 15), si rivela molto graziosa, e si è in pieno centro, a due passi da localini dove si mangia benissimo spendendo poco. Si è vicini anche al porto: in realtà un porto fluviale, anche se la foce del fiume Krka (Cherca) non è distante e sembra di essere su un’ampia baia, paradiso di uccelli acquatici (numerosi i cigni). Molti yacht lussuosi sono ormeggiati qui, accanto a piccole barche di pescatori. Si può effettuare la visita del Parco utilizzando una motonave da Skradin (biglietteria al porto) il cui costo comprende l’ingresso: si risale un tratto di fiume, si sbarca e si inizia un magnifico percorso nel verde su un sentiero di circa 2 km, che porta ad ammirare le splendide cascate di Scardona (Skradinski buk, ): qui si può anche fare il bagno. In realtà esistono numerose altre possibilità di escursioni, sia in nave, che in bicicletta, o con affascinanti trekking, per esempio fino al lago di Visovac, con un’isola famosa per il suo quattrocentesco monastero francescano, oppure al monastero di Krka o ad altre cascate più all’interno. Più di mille specie di piante, anfibi, rettili, specie endemiche di pesci, uccelli migratori popolano il Parco, la cui area si estende per circa 109 km2 ( www.npkrka.hr).Giunti a Spalato – già visitata in un viaggio precedente e imperdibile per il suo straordinario centro storico -ci imbarchiamo per l’isola di Brač. La meta è Supetar, la città più grande dell’isola (4000 abitanti), raggiunta in circa 50 minuti di navigazione su un traghetto della compagnia Jadrolinija (biglietteria al porto, quattordici partenze dalle 5.15 alle 23.59 a luglio e agosto). L’albergo prenotato è Villa Britanida (Hrvatskih velikana 26), una struttura semplice, pulita, con una convenzione per un parcheggio privato –gratuito- proprio davanti, e a poche decine di metri da graziose calette dove fare il bagno in acque trasparentissime. Con una breve passeggiata si raggiunge il centro e il suo elegante lungomare. Una bella chiesa barocca, la parrocchia dell’Assunzione di Maria, si trova in cima a una scenografica scalinata . Negozi, taverne (konobe) e gelaterie, molto frequentate, rendono l’atmosfera vivace e piacevole. Camminare nei vicoli, tra case di pietra, consente di scoprire opere d’arte inaspettate come l’“Allegoria della mente” , bel bronzo del 1886 di Ivan Rendić, eccellente scultore nativo di Supetar. E sulle sue tracce intraprendiamo un percorso suggestivo, dalla Galerija Ivan Rendic, un piccolo museo con busti in bronzo e in marmo – opere davvero interessanti - fino al cimitero, sulla punta San Nicola, dove si trovano altri suoi pregevoli lavori di arte funeraria, in particolare teste di Cristo, angeli, una Pietà, fini bassorilievi. La tomba di Rendic (1849-1932) è all’ingresso, semplice e quasi simbolica nella sua purezza. Intorno, il cielo e il mare azzurrissimi e il verde dei pini marittimi. Dall’arte alla natura il passo è breve: attraversando l’isola in auto abbiamo ammirato paesaggi rocciosi e una bella vegetazione mediterranea. Una breve sosta nel paesino di Škrip ci ha consentito di vedere la chiesa di sant’Elena (XVIII sec., foto 6) e l’interno di un antico castello in rovina. A Bol ci siamo fermati nella famosa spiaggia del Corno d’Oro : una lingua di costa coperta da ghiaia fine, circondata da meravigliose acque color smeraldo chiaro (foto 7). Si può anche stare all’ombra di grandi pini e prendere uno spuntino nei numerosi centri di ristoro. L’unico problema può essere l’affollamento: meglio arrivare presto! Ci siamo fermati a Brač cinque giorni, riuscendo a fare splendidi bagni in diverse località. Tra queste, Splitska ci è piaciuta molto, tranquilla e raccolta intorno a una bella baia. Tornati a Spalato, ci siamo diretti a nord, oltre Šibenik, verso Tisno, sull’isola di Murter (foto 8 e 9). In realtà il paese è tagliato in due da uno stretto canale, ed è solo il grazioso centro storico realmente sull’isola: si raggiunge comunque con facilità grazie a un piccolo ponte. Tisno è nota per un Festival Musicale che si svolge proprio in agosto: temevamo di trovare folla e confusione, invece la sede del festival è a un paio di chilometri di distanza e si gode della massima tranquillità. Inoltre, ottime konobe consentono di gustare la migliore cucina dalmata, naturalmente a base di pesce. A pochi chilometri si raggiunge Murter, il capoluogo dell’isola. Da qui partono crociere di un giorno per il Parco Nazionale delle Kornati: le cosiddette isole “Incoronate” sono circa centocinquanta, anche se poco più della metà costituiscono il Parco. Splendide rocce calcaree affiorano creando un arcipelago davvero unico . La maggioranza delle isole è disabitata e pressoché priva di vegetazione. La nostra crociera sulla nave “Il Re del Mare” è durata circa sette ore; prevedeva il pranzo a bordo (squisito il pesce arrosto) e una sosta di un paio d’ore in un’isola, dove abbiamo potuto nuotare in acque assolutamente cristalline. A Tisno abbiamo trascorso tre giorni, sufficienti per conoscere Murter e organizzarci per la visita al Parco, soprannominato, non a torto, la “Polinesia croata”. Sulla strada del ritorno abbiamo fatto una breve sortita all’isola di Krk, raggiungibile tramite un ponte a pagamento. Krk appartiene all’arcipelago del Quarnero ed è la seconda isola più grande. Dista solo 120 km da Trieste. Abbiamo visto belle spiagge ed eleganti strutture turistiche, nel complesso ci è sembrata interessante. Le dedicheremo senz’altro più tempo nella nostra prossima vacanza croata!
Milano, 25 settembre 2017 Anna Busca
AGOSTO 2017 SPIAGGE DI PERLE, MARE DI SMERALDO di Anna Busca Una vacanza di dieci giorni in Sardegna, l’isola-gioiello, nel mese di luglio: possibile anche last-minute e… low cost. Siamo in tre e cominciamo a organizzarci il 10 luglio navigando online. Primo passo: ricerca di un traghetto a prezzi accettabili. Troviamo la soluzione con la Moby Lines: partenza da Piombino il 16 alle 14.30, arrivo ad Olbia cinque ore dopo. Il ritorno, da Olbia, il 26 alle 8.15. Tre biglietti A/R, compresa l’automobile, ci costano poco più di 300 euro, perché usufruiamo dello sconto “partenze intelligenti”... Dobbiamo solo raggiungere Piombino: da Milano sono circa quattro ore di autostrada (anche meno se il traffico è scarso) e partendo alle 8 si giunge verso mezzogiorno. L’unico problema, alla partenza, sarà il ritardo di un’ora del traghetto (abbiamo aspettato l’imbarco in un edificio del porto, con negozi, bar e sale d’attesa un po’ affollate; ma siamo anche riusciti, un po’ prima, a visitare l’interessante Museo Archeologico di Piombino, con preziosi reperti etruschi dell’area di Populonia, ottimizzando i tempi di attesa). Booking.com ci viene poi in aiuto per la prenotazione degli alloggi: troviamo un albergo per la prima notte ad Olbia (Hotel Royal, viale Aldo Moro 333), uno per quattro notti ad Arzachena (Hotel Citti, viale Costa Smeralda 197), un appartamento per quattro notti ad Orosei (Villa Marina, via Giotto 4) e infine ancora un albergo per l’ultima notte ad Olbia (Hotel Ristorante Terranova, via Garibaldi 3). Costo totale: circa 1000 euro. Considerando che negli hotel la colazione è sempre compresa, la spesa di poco più di 33 euro al giorno per ciascuno di noi (in stanza tripla) ci sembra ragionevole. Prenotati alloggi e traghetto, siamo pronti per la nostra vacanza. Ci imbarchiamo sulla Moby Wonder e il viaggio risulta piacevole, le sale e i luoghi di ristoro danno un buon comfort nonostante l’elevato numero di passeggeri. Sbarcati ad Olbia intorno alle 20.30, raggiungiamo in breve il nostro albergo, dove ceniamo con un ottimo menù a prezzo fisso (15 euro a testa) che include un delizioso piatto di pesce e il croccante pane carasau. L’inizio è davvero eccellente! La mattina dopo raggiungiamo il centro di Olbia per una breve visita. Restiamo affascinati dalla chiesa di S. Simplicio (XI-XII sec.), in alto, in puro stile romanico. Il centro è grazioso e vivace: si percorre corso Umberto I, fiancheggiato da caffè e negozi, si ammira la cupola policroma della chiesa di San Paolo e si giunge al porto, dove un magnifico veliero è ormeggiato tra imbarcazioni di lusso e barche di pescatori. Si parte prima di pranzo e arriviamo in poco più di mezz’ora ad Arzachena, che dista solo una trentina di chilometri. Troviamo una situazione di assoluta tranquillità: la cittadina sembra quasi deserta; il centro, che si raggiunge facilmente percorrendo alcune vie in salita, non ha né traffico né turisti. Eppure la posizione è invidiabile e strategica: sia i siti archeologici che le splendide spiagge della Costa Smeralda sono vicini; in auto vi si arriva velocemente senza problemi. Ed eccoci sdraiati sulla sabbia dorata delle spiagge più note: Liscia Ruia, Poltu di li Cogghji, Piccolo Pevero, Capriccioli, del Principe, Mannena, L’Ulticeddhu… In quattro giorni siamo riusciti, cambiando facilmente località mattina e pomeriggio, a nuotare nelle incredibili acque cristalline sia della Costa Smeralda che del Golfo di Arzachena. In spiaggia non c’è mai molta gente, si trova sempre il parcheggio e posti isolati per godersi sole e riposo. Il paesaggio è bellissimo, pinete e vegetazione mediterranea rendono l’aria ancora più profumata. Facile anche raggiungere Baia Sardinia, Cannigione, Porto Cervo: quest’ultimo centro, pur essendo tra i più noti, ci è parso molto “artificiale”, con case, piazzette e negozietti che potrebbero essere ovunque, eleganti e ordinati ma senz’anima, davanti a decine di yacht e barche che sembrano essere lì solo come vuoti emblemi di ricchezza. Una delusione. In cima al villaggio si trova però una chiesetta bianca, Stella Maris, che riserva qualche sorpresa piacevole a chi cerca nel luogo qualcosa di artistico: l’architetto Michele Busiri Vici, negli anni ’60, volle costruire un edificio singolare, bianco,in stile “mediterraneo”, con un campanile a cono, finestre decorate, un porticato sorretto da sei monoliti; lo scultore Luciano Minguzzi è l’autore delle bellissime porte in bronzo, di opere e arredi all’interno. Spicca in una nicchia un dipinto di El Greco, Mater dolorosa. Ne risulta un piccolo capolavoro, da cui si può oltretutto ammirare un magnifico panorama. Da Arzachena ci siamo spostati nei siti archeologici più famosi della Gallura: abbiamo visitato il complesso nuragico La Prisgiona, del II millennio a.C., con un grande nuraghe complesso a tholos (ossia con una sala circolare e una pseudocupola) e resti di altre costruzioni intorno (circa un centinaio), un pozzo, la “capanna delle riunioni” con un sedile ad anello; a breve distanza ecco la Tomba dei Giganti Coddu ‘Ecchjiu, poi la necropoli Li Muri e un’altra Tomba dei Giganti (Li Lolghi). Tutti monumenti straordinari, interessantissime testimonianze di una civiltà di circa quattromila anni fa, che utilizzava massi e lastre di granito per costruire capanne, villaggi e sepolcri collettivi ricchi di simboli. Anche l’enorme roccia granitica che domina Arzachena, detta il Fungo, dalla quale si gode un bel panorama, veniva utilizzata come luogo di riunioni e rituali. Siamo poi saliti, con una passeggiata di mezz’ora, in qualche punto un po’ erta e faticosa (occorrono buone scarpe) al suggestivo Tempietto Malchittu, risalente all’Età del Bronzo Medio (1600-1300 a.C.).Molto ben conservato, circondato dalla vegetazione, destinato probabilmente a riti sacri e offerte votive, ma anche in altri momenti a riunioni di carattere non religioso. Una visita davvero imperdibile. All’ufficio turistico, all’ingresso di Arzachena e presso il sentiero per il tempietto, si possono acquistare convenienti biglietti cumulativi per tutti i siti archeologici, da utilizzare anche in più giorni. Santa Teresa di Gallura, con le sue case colorate, la cinquecentesca torre aragonese – dalla quale si può ammirare la costa della Corsica, sulle Bocche di Bonifacio – e il magnifico Capo Testa, con un mare dalle acque trasparentissime, è un’altra meta obbligata. Da Palau abbiamo preso un traghetto che ci ha portato all’isola della Maddalena (ogni mezz’ora circa ci sono partenze dal porto, www.delcomar.it , poco più di 50 euro A/R per auto e tre passeggeri); attraversando poi un ponte siamo giunti a Caprera. Abbiamo compreso pienamente le ragioni che spinsero Giuseppe Garibaldi a trascorrere più di un quarto di secolo della sua vita su questo isolotto granitico: il mare, l’aria balsamica, il silenzio, la pace, la vita semplice sedussero l’Eroe dei Due Mondi, forse deluso, amareggiato e stanco di battaglie sanguinose, guerre, momenti effimeri di gloria, perfino di una fama a volte fastidiosa. Il Compendio Garibaldino è visitabile: si entra nella casa, obbligatoriamente in gruppo, e la guida illustra i momenti salienti della vita pubblica e privata di Garibaldi, i suoi oggetti personali, la quotidianità a Caprera, la sua malattia, la sua morte. Garibaldi spirò qui il 2 giugno 1882, a 74 anni, circondato dai famigliari: volle che negli ultimi giorni di agonia (aveva una grave e dolorosa artrite reumatoide) il suo letto fosse posto davanti alla finestra, per vedere quel mare meraviglioso che amava, prima di chiudere gli occhi per sempre. Lasciata Arzachena – ma saremmo rimasti ancora almeno una settimana, se avessimo avuto il tempo – siamo partiti per Orosei. Prima di dirigerci a sud abbiamo deciso di salire sul Monte Moro (422 m) per ammirare dall’alto il panorama della Costa Smeralda: la strada tuttavia a un certo punto non è più asfaltata e presenta buche e pendenze tali che solo un fuoristrada può proseguire in sicurezza. La nostra utilitaria rischiava di subire qualche danno e siamo riusciti a parcheggiarla in qualche modo su uno spiazzo, per proseguire poi a piedi verso la meta. Una fatica davvero notevole, sotto il sole a picco, premiata però dalla vista che si può godere dalla cima, raggiunta tramite una scaletta di pietra, tra costruzioni abbandonate e antenne televisive. Il vento lassù è fortissimo, sembra di essere in alta quota. Scesi dal Monte Moro, siamo poi passati per la bella San Pantaleo, Golfo Aranci, Porto Rotondo. Siamo capitati ad Orosei nei giorni della festa di San Giacomo, patrono della città, quindi l’atmosfera era del tutto diversa da quella di Arzachena. Folla di turisti nelle vie del centro storico, feste e mercati nelle piazze, concerti (anche Enrico Ruggeri!), manifestazioni: insomma una città molto vivace, accogliente, con l’imbarazzo della scelta per gelaterie, bar, taverne, negozi di artigianato. L’attività balneare è favorita anche qui da spiagge stupende, in oasi naturalistiche – paradisi per gli ornitologi - come quella della vicina Su Barone (www.oasisubarone.it )o, più a nord, di Biderosa (www.oasibiderosa.com ,da prenotare se si vuole entrare con l’auto , a 12 euro + 1 euro/persona; altrimenti una comoda navetta, dal parcheggio esterno, attraversa la pineta e porta i turisti in prossimità del mare, a 10 euro/persona). Bellissima Cala Liberotto; belle anche le spiagge più a sud, verso Cala Gonone, ma qui il mare è subito profondo e le onde possono dare qualche problema a chi non è un nuotatore provetto. Chi lo desidera può pagare da qui circa 30 euro a persona per una crociera di qualche ora che porta i turisti a visitare la vicina grotta del Bue Marino e due calette molto graziose (Cala Luna e Cala Mariolu), raggiungibili facilmente solo via mare, o altri luoghi caratteristici del golfo di Orosei. Noi abbiamo considerato la proposta troppo cara per il nostro viaggio low cost e anche molto”turistica”: parecchie agenzie diverse, ognuna con il suo chioschetto, proponevano la gita allo stesso prezzo e non era possibile contrattare... Abbiamo preferito visitare una grotta nei pressi, quella di Ispinigoli, davvero splendida, con una maestosa stalagmite di 30 metri, considerata la più alta d’Europa, nel centro di un antro molto ampio e profondo (ingresso 7.50 euro), e fare il bagno nelle acque smeraldine della spiaggia di Berchida, bella e accessibile. A Dorgali il Museo Archeologico (www.museoarcheologicodorgali.it )espone una bella collezione di vasi e manufatti antichi, dal IV-III secolo a.C. fino all’età romana e ad epoche più recenti, trovati nelle zone circostanti, presso resti nuragici, grotte, scavi nel territorio. Ma anche Orosei stessa offre spunti per visite interessanti: il centro, con i suoi vicoli e piazzette, è ricco di palazzi storici, da Sa Prejone Vetza – dove abbiamo visitato l’originale mostra dell’artista Giovanni Paddeu, di Mamoiada, autore di pregevoli opere in ferro – al Museo “Nanni Guiso” a Palatzos Vetzos, con una bellissima collezione di teatrini in miniatura e costumi del ‘700-‘800, al complesso monumentale di Sant’Antonio Abate, alle numerose chiese. Durante i festeggiamenti di san Giacomo abbiamo avuto il privilegio di assistere, nella piazza centrale, a una “Gara poetica”, antica tenzone in lingua sarda tra poeti, su un tema a loro proposto. Magnifico Bernardo Zizi, che a 89 anni ha ancora una voce dolce e possente al tempo stesso e riesce a sostenere egregiamente la gara, contro concorrenti molto più giovani. Da Orosei, prima di ritornare a Olbia per l’ultima notte e per prendere il traghetto del ritorno, ci siamo diretti verso Nuoro: una città particolare, arroccata, con un centro piuttosto elegante, pieno di negozi, caffè e ristorantini. La nostra meta era principalmente il MAN, il Museo di Arte contemporanea di Nuoro: la mostra che abbiamo visitato, molto valida, era “Amore e Rivoluzione”- Coppie di artisti dell’Avanguardia russa, con belle opere di Rodchenko, Stepanova, Larionov, Goncharova, Popova e Vesnin (fino al 1 ottobre 2017). Associato al MAN il Museo Francesco Ciusa, eccellente scultore nuorese (1883-1949), di cui sono esposte opere, soprattutto in gesso, che suscitano grandi emozioni, come Dolorante anima sarda (1910-11), La madre dell’ucciso (1907), Il bacio (1927), Il cainita (1913-14), La filatrice (1908-09). Indimenticabili! Ci siamo poi recati alla casa natale della poetessa e scrittrice Grazia Deledda (1871-1936), vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 1926, a tutt’oggi unica donna italiana ad aver ricevuto tale riconoscimento (“per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale”). La casa è diventata il Museo Deleddiano (via G. Deledda 42, chiuso il lunedì) che conserva mobili e oggetti a lei appartenuti. E’ una bella occasione per ricordare la sua biografia, per riflettere sulla sua poetica e per leggere alcuni suoi versi o brani tratti da lettere, romanzi e opere teatrali. Scriveva: “Il nostro grande affanno è la lenta morte della vita. Perciò dobbiamo cercare di trattenere la vita, di intensificarla, dandole il più ricco contenuto possibile. Bisogna cercare di vivere la propria vita, come la nube sopra il mare”. Molto soddisfatti della nostra tappa nuorese, ci siamo spostati a Orgòsolo, a circa 15 km. Paese straordinario, un tempo associato al brigantaggio (basti pensare al film-documentario girato da Vittorio de Seta nel 1961, Banditi a Orgosolo, premiato alla Mostra di Venezia di quell’anno), ora invece attrazione turistica unica per le centinaia di murales che affrescano le case. Nel cuore della Barbagia del Supramonte, in un territorio affascinante dal punto di vista naturalistico e archeologico, con diversi siti nuragici e panorami stupendi, è una meta sicuramente da non mancare. I murales raccontano la storia locale ma anche episodi avvenuti in Italia e nel mondo, oppure riguardano personaggi famosi, politici, scienziati. Spesso sono veri manifesti di protesta e di lotta popolare, tutti interessanti ed evocativi. Un murale recente cita il poeta greco Konstantinos Kavafis (1863-1933)e la sua poesia “Itaca”: Quando parti per fare il viaggio verso Itaca, devi pregare che il cammino sia lungo, pieno di avventure, pieno di conoscenze……Tieni sempre nel cuore l’idea di Itaca. E ci sembra che questa esortazione sia proprio per noi. 31 agosto 2017, Anna Busca SPAGNA DEL NORD: GALIZIA E PAESI BASCHI di Giovanni Saccarello Questo viaggio comprende un po’ tutta la Spagna del nord, esclusa la zona pirenaica. L’itinerario è grosso modo il triangolo Madrid - Galizia (Santiago, Vigo) – Paesi Baschi (Bilbao) – Madrid, includendo Burgos. Volo e auto a nolo, più un volo interno Bilbao – Madrid; in tutto 14 giorni (13 notti) e 2.300 km in auto. Abbiamo dedicato un giorno a Madrid, che non era lo scopo del viaggio, ed il resto al giro vero e proprio. A tutte le altre città è stata dedicata solo mezza giornata, arrivando quasi sempre verso sera, per trovare il centro storico illuminato, quindi dedicare la mattina successiva alla visita, e ripartire dopo pranzo. A nessuno di noi è passato per la testa di fare a piedi neanche una minima parte del cammino di Santiago. Per farlo bisogna o aumentare i giorni o diminuire le tappe.Non descriverò qui i tesori d'arte: questo è compito delle guide; segnalerò più che altro le curiosità. In questo viaggio si può far mare, ma noi ci siamo riusciti a mala pena per colpa del tempo infame. Uno non lo crederebbe, in Spagna di Luglio; ma la costa atlantica non ha il clima del resto della Spagna: perciò qualche maglia non guasta. Subito una difficoltà a Madrid, con la prima colazione: nella zona della stazione del Principe Pío, alle 9 passate del mattino non c’è verso di trovare bar aperti, e non è domenica; ci si riesce finalmente alla stazione, ma ce ne sono voluti, di tentativi. Avendo già visto l’essenziale in città, andiamo all’Escorial, che ancora mi mancava, in autobus: prenderemo l'auto nel partire da Madrid, per risparmiare giorni e non avere intralci nei parcheggi. Al pomeriggio, visita del monastero delle “Descalzas Reales”, molto interessante: si entra a gruppi, con la guida. Questa parla solo spagnolo, ma lentamente e chiaro, tanto che si riesce a capire tutto o quasi. Peccato però l’attesa fuori, in coda sotto il sole, tanto che per cercare un po’ d’ombra si finisce per ingombrare la strada, sulla quale devono pure passare le auto. A Segovia meritano senz’altro l’acquedotto, l’Alcazar e la posizione complessiva della città; delude invece la facciata della cattedrale. Il bello di Avila sono la cattedrale ma più ancora le mura, che si vedono bene da un punto panoramico messo apposta all’uscita dalla città, sulla strada per Salamanca. Salamanca è notevole per la cattedrale, la plaza Mayor, vivacizzata dai numerosi universitari, e vari palazzi concentrati nel centro storico. Qualche particolare delle decorazioni esterne della cattedrale è moderno: a cercar bene, fra le figurine compare un astronauta! Lungo la strada si vedono sempre più frequenti nidi di cicogne; fiancheggiando un elettrodotto si può dire che ogni pilone sia coronato da un nido, con o senza abitanti. Forse proprio la presenza delle cicogne, e delle rane di cui sono ghiotte, è all’origine delle effigi di rana (si pronuncia “rrrana”) che si trovano dovunque a Salamanca, anche sull’antico cancello dell’università. Anche a León tutto è concentrato nel centro storico (in primis la cattedrale), tranne la chiesa di S. Marco, un po' periferica. L’interesse di Astorga si riduce quasi alla sola stravagante casa di Gaudí; val la pena di fermarsi più che altro perché è sulla strada, ma se si ha fretta la si può saltare. Si lascia la Castiglia e si passa in Galizia; il paesaggio si allontana sempre più dallo stereotipo spagnolo fatto di pianure assolate e aride, come finora, e diventa sempre più verde, come sapevo già essere per la Spagna settentrionale. Spariscono i nidi di cicogne. Anche il sole sparisce dietro le nuvole e tutto assume un’aria più centro-europea.A Lugo c’è da visitare essenzialmente la cattedrale e le mura medievali, tutte percorribili. Sulla strada per Santiago cominciano a vedersi sempre più frequenti gruppi di camminatori; prima non li si vedeva perché il tracciato dei vari cammini non passa per Lugo, né ovviamente per l’autostrada.La piazza della cattedrale è affollata di pellegrini; per di più è domenica e c’è la funzione più importante (“messa del pellegrino”). Questa cerimonia è interessante, anche per chi non bada all’aspetto strettamente religioso, per lo spettacolo del “botafumeiro”, l’incensiere gigante che viene fatto dondolare per il transetto appeso al soffitto della crociera: ci si mettono in otto a spingerlo. Non visitiamo Vigo ma facciamo il giro delle varie baie, le “Rías Bajas”. Questa costa si rivela un po’ deludente; è anche molto costruita. A Cangas abbiamo trovato i primi “horreos” (come in latino!), granai galiziani in pietra; di qui in poi li si vedrà spesso nelle campagne: sono casette in pietra che sembrano cappellette, anche perché il tetto è di solito ornato da una croce, ma hanno pareti forate, sono stretti, lunghi e soprelevati su una specie di palafitta per difenderli dai topi e dall’umidità . Bella anche la chiesetta di Hio, con deposizione dalla Croce antistante; anche questo è un motivo ricorrente in questa zona, come pure quello del crocefisso col pellegrino uno di spalle all’altro. Ci starebbe bene un po’ di mare, così ci fermiamo sulla spiaggia ad ovest del Cabo de Udra (prima di Bueu) per un bagno: fa caldo ma l’acqua è freddissima e la spiaggia quasi deserta. Diciamo che il tuffo nell’Atlantico aperto è stato fatto. Saltiamo anche Pontevedra e, sempre lungo il mare, entriamo nella penisola del Grove fino alla Toja, centri turistici famosi e celebrati, a sentir le guide, ma secondo noi niente di che; anche la chiesetta rivestita di conchiglie, tanto decantata, è roba moderna. A Noia è molto bella la vista sulla baia; grazie al fuso orario uguale all'Italia ed alla posizione molto più ad ovest, c'è un bel tramonto quando manca un quarto alle dieci! Continuando sempre lungo il mare, verso nord, il paesaggio è molto bello ed in certi punti ha un che di scandinavo, con molto verde e continue insenature. Peccato il tempo nuvoloso. Sosta a Muros, paese di pescatori interessante, con mercatino per le vie. Deviazione a Carnota per vedere l’”horreo” più grande che ci sia: è solo più lungo, ma largo come gli altri. Il luogo è bello, con una chiesetta accanto che ha lapidi funerarie (anche moderne!) sul sagrato. Il Cabo Finisterre, come previsto, è del tutto insignificante: l’unico suo merito è di essere il punto più occidentale della Spagna (quello più occidentale dell’Europa continentale è in Portogallo, poco sopra Lisbona). Per di più le nuvole basse riducono la vista del mare aperto; è una situazione simile al Capo Nord, in Norvegia: ci si va semplicemente per poi poter dire di esserci stati. Le guide reclamizzano una deviazione per vedere Malpica, che invece ci sembra una fregatura. Può andar bene se si fa mare, ma oggi non ne è il caso: piove e siamo sui 20°. La Coruña non ha grandi tesori d’arte, ma sono molto interessanti le verande in legno delle case che si affacciano sul porto: queste continue vetrate fanno il loro effetto, soprattutto in condizioni buone di luce, ed in effetti adesso c’è un bel tramonto, con bei riflessi sulle vetrate. Andiamo a vedere la Torre d’Ercole (antico faro), alla periferia della città: con questo tempaccio (non piove, ma ci sono nuvole basse) non dice niente. Ci fermiamo a Betanzos: paese molto bello e colorito; fascino medievale e poco turismo, che si vede anche nei prezzi. La costa è alta e dirupata; bei panorami sia verso il mare che all’interno. Bello il ponte presso Ribadeo, che attraversa una specie di fiordo (foce dell’Eo): qui si esce dalla Galizia e si entra nelle Asturie. Il paesaggio non cambia; cambiano gli “horreos”, che adesso sono di legno, e più rari. Deviazione per Cudillero, pure porto di pescatori; l’arrivo è brutto (c’è un gran porto moderno), ma girata una punta si presenta un bel paesino raccolto, con un’aria quasi da Cinque Terre. Ad Oviedo l’interesse è concentrato nel centro storico, attorno alla cattedrale; belle anche diverse case liberty qua e là. Una curiosità di tutt’altro genere che ci colpisce è un gigantesco centro congressi, nella zona ovest, con ali a sbalzo impressionanti, da vertigine. Diversi quartieri si presentano rinnovati e anche messi bene. A quanto pare è una città in piena espansione; ma molte città spagnole danno questa impressione. Una particolarità dei ristoranti asturiani è il sidro, ma non tanto in sé quanto per il modo in cui i camerieri lo versano: con una mano tengono il bicchiere più in basso possibile, e con l’altra la bottiglia più in alto possibile; il tutto con una posa statuaria, a gambe larghe e guardando altrove. Il getto fa quindi un bel po’ di strada ma non manca il bersaglio; però è inevitabile che ci siano schizzi per ogni dove. Può essere che tutto questo abbia il suo scopo (ossigenare bene il sidro?); ma di certo il risultato è che si rischia di scivolare passando vicino ai tavoli, visto lo stato del pavimento. Poi è la volta delle “iglesias prerromanicas” (si scrive proprio con 2 “erre”) nei dintorni. . Ed infine la chiesa di S. Julian de los Prados, molto bella; peccato che le passi di fianco l’autostrada e che la zona attorno, che doveva essere tutta campagna fino a non molto tempo fa, adesso sia uno squallido quartiere di periferia. In questa zona si potrebbe fare un’escursione sui monti “Picos de Europa” (parco naturale), ma quei nuvoloni bassi ci fanno cambiare idea. Santillana del Mar è bella ed anche molto turistica e quindi affollata, ma era prevedibile. Casette ben curate, in pietra e legno a vista, gerani alle finestre, tanto verde, prati smeraldini e pioggerella sottile: ma siamo in Spagna d’estate o in Trentino d’autunno? Il bello è che, a veder i telegiornali, sembra che il resto della Spagna stia andando a fuoco o quasi . La visita al chiostro della collegiata è particolare: al di là dell’interesse in sé, si scopre che si svolge non con una guida “umana”, bensì con una voce registrata che esce da altoparlanti nascosti, partendo ad orari fissi, e che spiega i vari dettagli ai visitatori. Niente male; ma cosa diranno quelli che abitano lì attorno, a sorbirsi tutta la tiritera ogni giorno? Santillana è famosa per le vicine grotte di Altamira; ma, come si sa, queste sono tabù: ci sarebbe il museo da visitare, ma nessuno di noi ne è interessato. Arriviamo a Santander dall’Avenida Reina Victoria, lungo il mare: ambiente belle époque, con casinò, eccetera. Di bagni, neanche a parlarne, tanto per cambiare. La cattedrale è l’unico interesse artistico; vi troviamo due matrimoni contemporanei, di cui uno nella cripta: lo spettacolo in realtà è nelle invitate che in queste occasioni hanno l’abitudine di indossare abiti da gran sera in pieno giorno. Uno dei due matrimoni comprende anche uno spettacolo folkloristico con danze tradizionali. Da Santander a Burgos si scavalcano i monti Cantabrici e si rientra in Castiglia. Riprende il clima estivo “classico” della Spagna: sole e caldo; però tira vento: sarà un riflesso del maltempo sull’altro versante. Nell'interno della cattedrale di Burgos è curioso lo show del Papamoscas, un automa associato all'orologio, che apre la bocca al battere delle ore, e quindi “mangia le mosche”; ma vediamo alcuni turisti che lo applaudono, cosa che ci pare fuori luogo. La giornata ventosa rende l’aria tersa e ci sono ottimi colori al tramonto. Il castello in cima alla collina è un rudere; vale solo per il panorama, ma comprende dei sotterranei che si possono visitare con guida; c’è comunque un museo che ne racconta la storia. Il monastero de las Huelgas, dove sono sepolti i bambini della famiglia reale, in più punti sembra proprio una moschea. Ed eccoci nei paesi baschi: il paesaggio è di nuovo boscoso, il clima è fresco; i toponimi sono bizzarri, la lingua locale è incomprensibile, ma tutti i cartelli sono bilingui. Bilbao è una città rinata dopo l’abbandono delle industrie negli anni ’70-’80, e di certo gran parte del merito va al Guggenheim, che ora è l’attrattiva principale . Il guaio è che sono “rinati” anche i prezzi. Ancora difficoltà coi bar per la prima colazione, come a Madrid. In mattinata, liberi tutti: chi va al museo, chi a spasso, chi a far compere. Al pomeriggio, visto il bel tempo, si decide di far mare: lo cerchiamo, in auto ovviamente, al di là di Getxo. Si riesce a parcheggiare ragionevolmente vicino alla spiaggia, che non è troppo affollata. Una cosa interessante nei dintorni è il “ponte trasbordatore” di Portugalete: credo che sia l’unico del genere rimasto in Europa. Ormai, più che servire al suo scopo (portare uomini e cose al di là del fiume e lasciar passare anche le navi con alberature alte), è un monumento a se stesso; ma è anche un buon punto panoramico. Io però l’avevo già visto; agli altri non interessa e così non ci andiamo. Il rientro in Italia si nota subito. All'aeroporto, la ricerca dell’autobus per Milano è un po’ problematica, data l’ora tarda; nessuno sa bene quale autobus parte e quando, e ciascun interpellato risponde con la sua teoria (la stessa situazione sperimentata mille e mille volte nelle nostre ferrovie). Ci sarebbe qualche reclamo da fare alla Spagna (orari per la prima colazione, qualche cartello stradale poco chiaro, ecc.); ma anche diversi complimenti: ottima organizzazione dei servizi, strade ottime, quasi mai ingorghi, città in ripresa. Avevo visto la Spagna per la prima volta nell’81: era trent’anni indietro; oggi siamo noi che siamo indietro. Le cose che funzionano male si vedono subito, e quelle che vanno bene no; ciò vuol dire che tutto ciò che non ci ha colpito per il malfunzionamento si può mettere fra i complimenti. 24 settembre 2017 Giovanni Saccarello di Anna Busca Se si ha a disposizione un weekend “lungo” o comunque almeno quattro giorni, e si desidera un’immersione nella bellezza di luoghi fiabeschi non lontani da Milano, si può scegliere il tour dei castelli bavaresi di Ludwig II, perfetto per una coppia di innamorati ma anche adattissimo a famiglie con bambini e perfino agli amanti di Wagner. Settembre può essere il mese ideale. Il bellissimo Ludwig II, dall’alta statura e dall’aspetto davvero aristocratico, figlio del re Maximilian II e della regina Maria di Prussia, nato nel 1845 e divenuto monarca a soli diciannove anni dopo la morte del padre, ebbe una vita travagliata: insofferente alle regole di corte, impossibilitato a manifestare apertamente la sua omosessualità (ma in grado di rompere, suscitando grande scalpore, un fidanzamento imposto con la cugina Sophie, sorella dell’amica principessa Sissi), di profonda cultura e sensibilità, che lo isolavano dal suo ambiente perché incompreso, generoso mecenate di Richard Wagner, che quasi idolatrava da quando era appena sedicenne, nostalgico del passato glorioso delle monarchie assolute europee ma considerato incapace di governare… Morì annegato nel lago di Starnberg: aveva quarant’anni, era stato appena deposto perché considerato pazzo (come il fratello Otto), e forse non si trattò di un suicidio né di un incidente. E sulla sua morte permane a tutt’oggi il mistero: un enigma, come proprio lui voleva apertamente essere. Di lui ci restano testimonianze affascinanti: e sono proprio alcuni castelli, frutto del suo immaginario storico-artistico, che lasciano stupefatti per la ricchezza degli arredi e delle decorazioni, e soprattutto perché rievocano l’originalità del suo pensiero e la sua vita davvero unica, che ispirò anche a Luchino Visconti il magnifico film del 1973, “Ludwig”, con Helmut Berger e Romy Schneider, vincitore del David di Donatello. Partendo da Milano in mattinata si raggiunge comodamente nel pomeriggio, attraversando Svizzera, Liechtenstein e per breve tratto anche l’Austria, la città di Füssen im Allg ӓu, sul fiume Lech. Noi abbiamo alloggiato al Ruchti’s Hotel und Restaurant di Alatseestrasse 38, www.hotel-ruchti.de , immerso nel verde, a pochi minuti a piedi dal centro storico, dominato da un bel castello affrescato, antica residenza dei principi-vescovi di Augsburg. Bellissima anche la chiesa barocca di S. Mang con il monastero annesso; nell’isola pedonale si possono ammirare palazzi storici, piazzette, fontane, campanili; camminando tra i vicoli si ripercorre il tessuto urbano del borgo medioevale. Füssen è all’inizio della Romantische Straße, un itinerario tra i più amati della Germania, che si conclude a Würzburg, a quasi 400 km di distanza, attraversando paesaggi e città spesso dichiarati dall’Unesco Patrimoni culturali dell’umanità. Füssen è a soli 5 km dai primi due castelli che visiteremo: Hohenschwangau e il più famoso Neuschwanstein, praticamente di fronte, a breve distanza tra i boschi. Si lascia l’auto in uno dei quattro grandi parcheggi a pagamento e ci si avvia ai Ticket Center. Noi abbiamo trovato, alle 9.30 circa, già una coda interminabile di turisti: il mese di agosto è certamente il periodo di maggior affollamento! Solo qui si vendono i biglietti per la visita; è comunque possibile, con un supplemento di 1.80 euro, prenotarli on line un paio di giorni prima e avere così uno sportello riservato dove la coda è molto più ridotta. Abbiamo optato – esistono diverse possibilità -per il biglietto combinato della visita a entrambi i castelli; sul ticket è stampigliato l’orario, perché è obbligatoria la visita guidata (con audioguida o guida anche in italiano) in gruppi di 15-20 persone circa e si può dunque entrare, obliterando il biglietto, solo quando nel display all’ingresso compare l’ora e il numero del gruppo cui si è stati assegnati. Siamo riusciti a visitare Hohenschwangau in mattinata e Neuschwanstein nel primo pomeriggio. Ogni visita dura 35-40 minuti. Sono purtroppo vietate le fotografie all’interno. Abbiamo raggiunto Hohenschwangau a piedi, con una breve passeggiata nel verde, vicino a un lago dove si possono osservare anatre e cigni; il paesaggio intorno è montuoso, con vaste faggete e abetaie, di notevole fascino. Il castello, dove Ludwig trascorse infanzia e adolescenza, è piuttosto imponente e il suo colore giallo spicca tra la vegetazione; ha un arredo originale in puro stile bavarese, con stanze dalle pareti affrescate e colorate in modo vivace; divani rossi, tappeti, stucchi, ori, tendaggi verde smeraldo, lampadari di cristallo; gli ambienti sono luminosi e accoglienti. Da qui il giovane Ludwig poteva, con un cannocchiale, seguire i lavori di costruzione dell’altro castello, quello “nuovo” da lui fortemente voluto e sognato, e annunciato a Wagner con una lettera del maggio 1868 in cui manifestava il suo desiderio di far sorgere, in un luogo “dei più belli che si possano trovare, sacro e inavvicinabile” , “nello stile autentico delle antiche fortezze dei cavalieri tedeschi”, un castello degno del grande compositore, che vi avrebbe ritrovato reminiscenze del Tannhӓuser e del Lohengrin. Neuschwanstein si raggiunge a piedi con un percorso più lungo rispetto al precedente, un po’ in salita; chi teme la fatica può utilizzare, a pagamento, un bus-navetta o una più romantica carrozza trainata da una pariglia di robusti cavalli. Noi abbiamo scelto la passeggiata nel bosco, in realtà molto rilassante e piacevole. Si passa anche davanti a qualche caffè, sotto il castello, dove si possono gustare all’aperto squisiti piatti bavaresi come le classiche salsicce bianche (Weißwurst) o Würstel mit Kraut, accompagnati da ottima birra. Un viaggio in Baviera dà sempre anche grandi soddisfazioni gastronomiche! Il castello ideato da Ludwig non ha nulla di kitsch, come a volte sembra di intuire da alcune descrizioni. E’ vero che è stato fonte d’ispirazione per gli architetti di Disneyland, ed alcune immagini lo fanno apparire come un improbabile castello delle fate, ma in realtà è un sogno fattosi pietra, la meravigliosa visione di un giovanissimo re di metà Ottocento, immerso nella musica di Wagner e nella mitologia nordica, nella poesia medioevale e nella religione cristiana, in un mix quasi allucinatorio e sicuramente fantastico. Un capolavoro dell’eclettismo. Indimenticabile la sala del trono, una sorta di basilica con un’abside in cui, al posto dell’altare, doveva appunto essere collocato il trono, mai realizzato a causa della morte precoce di Ludwig. Si evince che si riteneva monarca per grazia divina, una sorta di ponte tra terra e cielo. La camera da letto, le cui pareti hanno affreschi ispirati a Tristano e Isotta, è davvero sontuosa. Ogni ambiente lascia il visitatore stupefatto. Si attraversa perfino una piccola grotta artificiale illuminata con suggestivi effetti cromatici, che rievoca la scenografia del Tannhaüser. Si esce dal castello con la sensazione di essere entrati in un luogo magico ed evocatore, di fatto nello spirito di Ludwig, che tuttavia vide l’edificio, mai concluso, fondamentalmente solo come cantiere in costruzione. L’emblema di un’illusione, di un sogno spezzato dalla sua tragica morte. Per godere di una magnifica vista del castello e del panorama circostante si può raggiungere, con una bellissima passeggiata nel bosco, il Marien-brücke, uno stretto ponte in legno e acciaio che scavalca un profondo burrone, che non è altro che la valle del torrente Pӧllat. Inutile dire che occorre aspettare un po’ in coda, vista la folla di visitatori! Ci siamo quindi spostati in auto, attraverso paesaggi incantevoli, in una seconda cittadina bavarese, la splendida Oberammergau, alloggiando presso il grazioso Hotel Garni Antonia, in Freikorpsstrasse 5 (www.hotel-antonia.com ), gestito dalla gentilissima Erika Kühl. Oberammergau è famosa in Germania per le stupende case affrescate nel ‘700, con soggetti per lo più religiosi: la più bella è sicuramente la Casa di Pilato, ma numerose sono quelle degne di ammirazione che si incontrano passeggiando per le vie del centro storico. Ogni dieci anni (prossimamente nel 2020) si celebra qui la Passione di Cristo, della durata di quasi otto ore, che coinvolge un migliaio di abitanti: nel Teatro della Passione appositamente costruito viene illustrato una sorta di Calvario vivente, che richiama moltissimi turisti. La manifestazione è storica ed è legata a un evento considerato “miracoloso”: nella seconda metà del ‘600 il paese fu uno dei pochissimi villaggi a non essere coinvolto in una terribile epidemia di peste, il che fu ovviamente interpretato all’epoca come una grazia divina! La chiesa principale ha un elegantissimo interno barocco. Oberammergau è nota anche per essere la patria dei migliori intagliatori di legno tedeschi: nelle vetrine dei negozi di artigianato spiccano opere straordinarie, soprattutto statue del presepio, ma anche di animali e di altri soggetti. Chi vuole un orologio a cucù ha solo l’imbarazzo della scelta (ma alcuni raggiungono prezzi proibitivi…). Qui ci si trova a pochi chilometri dal castello di Linderhof, l’unico realizzato in modo completo da Ludwig (fu terminato nel 1878). Il re amava questi luoghi, tra montagne, laghi, torrenti e foreste, e vi soggiornò a lungo, uscendo spesso in carrozza o a piedi anche di notte, in inverno incurante della neve e del freddo. Questa volta il modello è francese: un magnifico edificio bianco, simile a un castello della Loira, immerso in un grande parco, con fontane, scalinate, giardini a terrazze, sentieri, padiglioni… Parcheggiata l’auto negli spazi predisposti, sempre a pagamento, dopo una coda (breve, questa volta!) alla biglietteria, ci si avvia verso l’ingresso. Anche per questo castello è obbligatoria la visita guidata – si può scegliere in lingua italiana- in gruppo. L’arredo è ricchissimo, decorazioni, stucchi e dipinti sono preziosi: il trionfo del rococò più raffinato. Ovunque richiami alla mitologia, alla storia antica, alle monarchie. Semplicemente meravigliosa la Sala degli specchi, dove la propria immagine può essere riflessa all’infinito e gli spazi sono dilatati senza limiti, con effetti grandiosi; ma anche la Sala delle udienze e la camera da letto del re, vastissima, sono splendide. Deliziose alcune costruzioni nel parco, che in qualche parte è una vera foresta di altissimi abeti: il Chiosco moresco, la Capanna di Hunding (realizzata secondo la scenografia del primo atto della Valchiria di Wagner), il vicino Eremo di Gurnemanz (foto), ispirato al Parsifal, la Casa marocchina all’entrata. La Grotta di Venere, associata al Tannhӓuser, addirittura con un lago sotterraneo tra stalattiti e stalagmiti artificiali illuminate da luci policrome, era purtroppo chiusa per lavori di restauro e non siamo riusciti a visitarla. Avendo più giorni si può chiudere il tour dei castelli di Ludwig recandosi più ad est ad Herrenchiemsee, sull’isola al centro del lago Chiemsee, ispirato alla reggia di Versailles. Noi abbiamo rinviato la visita ad un altro viaggio, non disponendo del tempo necessario. Magari l’abbineremo a una tappa sul lago Starnberg, presso il castello di Berg (proprietà privata, non visitabile) dove Ludwig trascorse le sue ultime ore. Sul luogo in cui furono ritrovati i corpi del re e del suo medico personale, il dottor von Gudden, anche lui misteriosamente annegato nel lago, è stata eretta una cappella votiva e sorge un’alta croce di pietra. Nella piccola Rosensinsel, l’Isola delle Rose, spesso si incontravano Ludwig e la cugina prediletta, Sissi. Qui lei era solita lasciare poesie o lettere, alle quali Ludwig rispondeva con piacere. In una di queste, Sissi si considerava un gabbiano, e chiamava il cugino “aquila”. E Ludwig le aveva risposto con questi versi: Al nido dell’aquila, dalla remota spiaggia/è arrivato il saluto del gabbiano/portando con lieve battito d’ali/il ricordo dei tempi lontani (….)/ Verso la cima del monte l’Aquila fa ritorno (…)Milano, 29 agosto 2017 Anna Busca GENNAIO 2017 Si può festeggiare il nuovo anno anche dedicando tre giorni alla bellezza dell’arte italiana: un tour tanto breve quanto ricco nella zona del ferrarese e del padovano. Una vera immersione nella raffinatezza, una “boccata d’ossigeno” per occhi e cervello. Prima tappa Cento, paese natale di Francesco Barbieri, più noto come il Guercino (1591-1666). Purtroppo il sisma del maggio 2012 ha lasciato il segno: la Pinacoteca e la Chiesa del Rosario sono tuttora inagibili, sono ancora evidenti i danni ad alcuni edifici, anche se i lavori di restauro proseguono. I dipinti del Guercino, dopo essere stati esposti in numerose mostre in giro per il mondo (anche in Giappone) sono ora temporaneamente collocati nella chiesa di San Lorenzo, aperta solo il venerdì, il sabato e la domenica (per aperture in altri orari tel. 051.6843334, o consultare www.comune.cento.fe.it ). Si possono ammirare l’Assunta (1622), appesa in alto nella navata, straordinariamente prospettica; Cristo risorto appare alla Vergine (1629), il Miracolo di San Carlo Borromeo (1614) e altri splendidi capolavori. In fondo alla via principale, corso del Guercino, dove si tiene un affollato mercato settimanale il giovedì mattina, sorge la trecentesca Rocca di Cento, sede della biblioteca civica, visitabile. Interessanti anche alcuni palazzi ed edifici storici, come il Palazzo del Governatore. Da Cento a Ferrara si percorre in auto una quarantina di chilometri: la città estense è sempre una meraviglia. Occorre ricordare –per evitare multe salate! - che se si alloggia in un hotel del centro storico si hanno agevolazioni per l’ingresso in ZTL e la sosta, a patto che l’albergatore segnali alla Polizia municipale, entro 48 ore dall’arrivo, la targa della vettura, che così entra nella cosiddetta white list (per informazioni http://servizi.comune.fe.it/4336/clienti-hotel-e-strutture-ricettive-collocate-in-ztl ). Fino al 29 gennaio 2017 si può visitare, nel magnifico Palazzo dei Diamanti, la bellissima mostra “Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi” (informazioni e prenotazioni 0532.244949, oppure www.palazzodiamanti.it ). Un percorso, con audioguida compresa nel biglietto, tra opere pittoriche, sculture, testi antichi, oggetti (splendido l’Olifante detto Corno d’Orlando, dell’XI secolo) dell’universo ariostesco, in occasione del quinto centenario della prima edizione del poema (1516). Capolavori di Raffaello (“Ritratto di Tommaso Inghirami detto Fedra”),di Giorgione (“Ritratto di guerriero con scudiero detto Gattamelata”), di Mantegna (“Minerva che scaccia i Vizi dal giardino delle Virtù”), di Tiziano (“Il baccanale degli Andrii”), portano il visitatore ad immergersi in splendide immagini, evocative delle figure ariostesche di cavalieri eroici e meravigliose fanciulle, di paesaggi mitologici, di scene dell’Orlando. Usciti dalla mostra, davvero imperdibile, si ha solo l’imbarazzo della scelta. Si possono seguire gli itinerari suggeriti dalla mappa turistica della città: il centro medioevale e il ghetto ebraico, oppure l’addizione rinascimentale, dimore e chiese rinascimentali… Dipende soprattutto dal momento della giornata e dal tempo meteorologico. Nel tardo pomeriggio si può anche scegliere semplicemente di passeggiare intorno al Castello Estense (che ospita, fino al 4 giugno, una mostra delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea dedicata a Previati, Boldini, De Pisis) e al Palazzo del Municipio, visitando la bella Cattedrale, la piazza Trento e Trieste e le vie adiacenti. Una buona cena a base di cappellacci di zucca (per esempio al ristorante “Il gatto bianco” di via Mayr, con buon rapporto qualità/prezzo) può concludere piacevolmente il giro. La mattina successiva, prima di lasciare Ferrara, si riesce a visitare Palazzo Schifanoia; il ciclo di affreschi quattrocenteschi che decora il famoso Salone dei Mesi è di rara bellezza e grande fascino. [Hotel suggerito a Ferrara: Albergo San Romano, via S.Romano 120, tel.0532-760170, www.hotelsanromano.it ) Da Ferrara ci si sposta a Stra, in provincia di Venezia (circa ottanta chilometri, si viaggia sull’autostrada A13, con bella vista, sulla sinistra, dei rilievi vulcanici dei Colli Euganei): la meta è ora Villa Pisani (www.villapisani.beniculturali.it ), la più bella tra le ville venete della Riviera del Brenta, che non sfigura affatto se messa a confronto con un castello della Loira. Immenso parco, con serre, fontane, vasche, una collina-ghiacciaia, un boschetto, un magnifico labirinto di siepi. La villa fu costruita dalla ricchissima famiglia patrizia dei Pisani, che diedero un doge a Venezia, e fu terminata nel Settecento; subì varie vicissitudini, fu venduta nel 1807 a Napoleone, allora re d’Italia, che poi la cedette al figliastro Eugenio de Beauharnais. Dopo la disfatta di Waterloo del 1815 la villa passò agli Asburgo e divenne amatissimo luogo di villeggiatura dell’imperatrice d’Austria, che vi ospitò i reali di Spagna, di Napoli, di Grecia, perfino lo zar di Russia Alessandro I, mantenendo dunque sale e giardini, dove si susseguivano feste e danze, al massimo splendore. Quando il Veneto fu annesso al Regno d’Italia nel 1866 la villa diventò proprietà dello Stato e non dei Savoia; cessò il suo ruolo di rappresentanza e si trasformò in un museo. Un museo nazionale preziosissimo: la sala da ballo con il soffitto affrescato da Tiepolo (“La Gloria della famiglia Pisani”) è stupenda; l’appartamento napoleonico, con parti dell’arredo originali, e le altre sale visitabili, una trentina, contengono decori e pitture di grande eleganza e raffinatezza. Non stupisce apprendere che la villa veniva spesso visitata da D’Annunzio e Wagner!Lasciata Villa Pisani, si raggiunge in circa mezz’ora la splendida Padova. A Palazzo Zabarella (www.zabarella.it )si trova un’altra interessante mostra aperta fino al 29 gennaio: questa volta il protagonista è il pittore Federico Zandomeneghi, di cui si celebra il centenario della morte, avvenuta a Parigi nel 1917. Nato a Venezia nel 1841, figlio e nipote di scultori di fama, Zandomeneghi fu l’unico italiano a raggiungere nella capitale francese, a trentatrè anni, il gruppo degli Impressionisti, diventando amico di Degas, Pissarro e Renoir, dopo un periodo trascorso a Firenze, dove aveva frequentato i Macchiaioli. La sua pittura, fondata su un eccezionale talento naturale stimolato dagli ambienti artistici in cui aveva vissuto, mostra uno stile particolare; i soggetti sono molto spesso le donne, ritratte in momenti della loro quotidianità, con espressioni assorte, o divertite, o malinconiche, mai banalizzate o superficiali, anzi colte con grande sensibilità e attenzione. A Padova le mete da visitare sono dietro ogni angolo, e in un soggiorno così breve è opportuno selezionarle, anche in anticipo. Per chi non l’avesse mai vista, sicuramente è imperdibile la Cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto (1303-1305); è comunque obbligatoria la prevendita del biglietto, fino a un giorno prima della visita (www.cappelladegliscrovegni.it ). Imponente la basilica di Sant’Antonio, con il grande Prato della Valle vicino, magnifico il Palazzo della Ragione, bellissima anche la basilica di santa Giustina , e il duomo, il Battistero…Se si vuole dare alla visita anche un “taglio” scientifico, nessun problema: qui insegnò Galileo, e la sua cattedra di legno è ancora visibile nell’antica sede dell’Università, il Palazzo Bo, che conserva un magnifico Teatro Anatomico. Sempre a Padova si laureò in Medicina Andrea Vesalio, autore del De corporis humani fabrica (1543), cui il Musme (Museo di Storia della Medicina, www.musme.it ) dedica la sua esposizione “Il corpo scoperto: l’anatomia da Vesalio al futuro”, fino all’8 gennaio. [Hotel suggerito a Padova: Hotel Igea, via Ospedale 87, tel. 049-8750577, www.hoteligea.it )Ultima tappa proposta, raggiungibile il terzo (e ultimo) giorno del tour, è la Villa Contarini, a Piazzola sul Brenta - nei luoghi che diedero i natali ad Andrea Mantegna - considerata la più maestosa e scenografica delle ville nobiliari del padovano (www.villacontarini.eu ). I Contarini erano una famiglia potentissima a Venezia: ben otto dogi e quarantotto procuratori tra i suoi membri. La villa era la loro casa “di campagna”, lussuosa residenza estiva, costruita nel XVI secolo, su disegno del Palladio, e ampliata successivamente con edifici laterali per accogliere i numerosi ospiti. La visita alle sale è possibile solo con la guida, mentre nel parco, molto vasto, con un enorme prato all’inglese, un lago e canali, si può passeggiare a piacimento. Abbandonata nell’Ottocento, depredata dei suoi arredi, usata come magazzino o deposito di legname, invasa e occupata da militari durante la Seconda Guerra Mondiale, la villa rischiava di diventare un edificio fatiscente, destinato alla distruzione. Fu un medico, il prof. Giordano Emilio Ghirardi, a occuparsene, ad acquistarla nel 1969 e a trovare fondi e appoggi per il restauro. Dal 2005 appartiene alla Regione Veneto, che dovrebbe farne un fiore all’occhiello per il turismo! E’ invece a mio parere ancora poco pubblicizzata, anche se aperta a ricevimenti e convention, che in genere si svolgono nella bella Galleria delle Conchiglie, a pianterreno. Durante la visita alla villa si attraversano magnifiche sale: al primo piano la sala dell’Altalena, delle arti e delle scienze, dei Baccanali, del mosaico…La sala da ballo o degli stucchi, bellissima, la scala dei Giganti…Al secondo piano la biblioteca, ricca di libri antichi, la sala degli specchi con uno straordinario effetto ottico, il salottino dei pastelli, raffinatissimo. Ma è al terzo piano che si scopre un “segreto”: durante le feste, ma anche in altre occasioni, si diffondeva la musica suonata da orchestre collocate qui, in una sala a forma di chitarra rovesciata, tutta rivestita di legno, dall’acustica perfetta, che fungeva da “amplificatore”. Il suono riflesso dalle pareti era convogliato in una grande apertura ottagonale al centro della sala e “scendeva” ai piani sottostanti, fino alla sala dell’Auditorio e oltre…Una soluzione davvero geniale: si potevano dunque ascoltare note o voci senza vedere alcuno strumento o cantante, quasi una magia! E magico questo luogo lo è davvero. Indimenticabile. Milano, 4 gennaio 2017 Anna Busca
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