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DICEMBRE 2019 Il balletto acrobatico KATAKLÒ al Teatro Carcano Una miscellanea musicale ben articolata quella scelta dall'Athletic Dance Theatre KATAKLÒ, compagnia della coreografa e direttrice artistica Giulia Staccioli. Lo spettacolo Eureka è strutturato in due parti ed oltre ad avere cinque ballerini principali e altri che intervengono in molti "quadri scenici" , utilizza anche cinque giovani partecipanti, selezionate ed istruite poco prima dello spettacolo che con maschere, travestimenti e movimenti studiati di volta in volta, anticipano la messinscena girando per la sala come a creare un sistema unitario tra pubblico e scena. Lo spettacolo, moderno ed accattivante, mi è sembrato in crescendo con una seconda parte nettamente superiore dal punto di vista della creatività e dell'unità di svolgimento. Brani classici, da Liszt a Vivaldi, di ottimo Jazz, dei Beatles e di Celentano, disco anni '80 e moltissimo ancora, ispirano gli ottimi performer in movenze atletiche a volte acrobatiche, molto aderenti allo spirito musicale scelto. Alcune trovate sceniche con luci ad hoc, cerchi, specchi e tessuti avvolgenti, generano coreografie straordinarie, degne dei migliori spettacoli di Broadway. Il Teatro Carcano ieri sera era straboccante di spettatori, per un successo pienamente meritato. Altamente consigliabile e perfetto per un intrattenimento di queste festività. Repliche fino al 6 gennaio 2020. Da non perdere. 31 dicembre 2019 Cesare Guzzardella La pianista Irina Zahharenkova in Conservatorio per Serate Musicali La pianista estone , di origine russa, Irina Zahharenkova, per la prima volta in Sala Verdi ha tenuto un valido concerto pianistico con un'originale impaginazione. Nella prima parte Mozart e Rameau, nella seconda Prokof'ev e Čaikovskij. La nota Fantasia in re minore K.397 ha introdotto il recital seguita, senza soluzione di continuità, dalla Suite in la minore del francese, suite celebre soprattutto per la Gavotta conclusiva con le sue splendide variazioni. In Rameau, la pianista , ha mostrato indubbie affinità attraverso un'interpretazione molto dettagliata e dal timbro clavicembalistico preciso e accentuato. L'originalità della seconda parte univa in una specie di "grande suite", le rare "stagioni" di Prokof'ev tratte da Cenerentola, ovvero l'Op.97 n.1,2,3,4 con le più note Stagioni op.37 a di Čaikovskij, in alternanza e in un ordine diverso dal consueto, partendo dal mese di marzo, inizio della Fata primavera di Prokof'ev.. Un'interpretazione dove la sintesi discorsiva sostenuta da una tecnica di primo livello, precisa e dal carattere improvvisatorio, ha portato ad un risultato complessivo molto interessante ed ammirevole. Splendido il bis concesso con un entusiasmante Impromptus n.5 op.5 di Sibelius. Un'ottima pianista Irina, vincitrice di importanti Concorsi internazionali tra i quali il "J.S.Bach" di Lipsia (2006) e il "Casagrande" di Terni (2006) che merita un riascolto attento, speriamo presto. Da ricordare.24 dicembre 2019 Cesare GuzzardellaIl balletto "Vivaldiana" con lo Spellbound Contemporary Ballet La spettacolo coreutico visto ieri al Teatro Carcano di Milano s'intitolava Vivaldiana, una selezione di rilevanti brani di Antonio Vivaldi resi in danza dal coreografo Mauro Astolfi per i ballerini del gruppo Spellbound Contemporary Ballet. Indubbiamente la grande musicalità del compositore veneziano, giocata su una struggente componente di melodie armonizzate all'interno di strutture ritmiche spesso molto accentuate, favorisce la creatività dei coreografi moderni. È proprio la modernità della musica settecentesca vivaldiana - ripresa nei primi del '900 nello stile di un Malipiero o di un Respighi, poi parzialmente dai minimalisti e negli anni '70 anche da molti gruppi del rock progressivo per via delle modalità compositive marcate e ben scandite - che trova successo anche nel mondo della danza. La valida operazione fatta da Astolfi è quella di presentare i nove ballerini presenti in scena, cinque donne e quattro uomini, in un gioco di parti e di rapporti ben delineati e sapientemente costruiti. La "massa umana" si sviluppa in articolazioni ritmiche di assoluta libertà nelle quali anche ogni singolo ballerino d à sfoggio di grandi capacità di libero movimento corporeo. Ma è soprattutto la visione complessiva nei movimenti volumetrici che interessa ad Astolfi nei suoi numerosi lavori. La poca luce che avvolge i corpi in movimento dà una omogeneità al tutto e ci fa concentrare maggiormente nelle "architetture" complessive in un'interazione con la parte musicale che risulta essenziale. Certamente non è facile capire i contenuti delle vicende umane nascoste nelle sensuali movenze coreutiche, vicende che vorrebbero raccontare la vita esuberante del grande musicista veneto. Il racconto risulta oscuro e di non semplice comprensione. Ma l'impatto scenico, anche se a volte ripetitivo nella cifra stilistica, è indubbiamente di efficace resa espressiva. L'estetica delle forme risulta appariscente ed in consonanza con il geniale mondo musicale vivaldiano. Valide le luci nel contesto scenografico di Marco Policastro ed i costumi di Mélanie Planchard. Ricordiamo la collaborazione di Astolfi con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg. Unico neo, a mio avviso, è la parte musicale registrata, ben riprodotta, ma mancante della suggestiva presenza live. Una reale orchestra barocca avrebbe esaltato moltissimo la resa complessiva dell'interessante lavoro di Mauro Astolfi. Un balletto comunque abilmente configurato e di grande qualità stilistica!23 dicembre 2019 Cesare Guzzardella È tornato a Milano il celebre gruppo vocale The King's Singers per due concerti organizzati dalla Sinfonica Verdi. Per l'occasione l'orchestra era diretta da Jaume Santonja. Ieri sera, alla replica, l'impaginato, ampio e articolato, ci ha immerso in un'atmosfera natalizia con numerosi canti tipici del Natale ma anche con brani di diverso carattere. Lo straordinario gruppo "a cappella" ha oltre cinquant'anni di storia e nel corso dei decenni ha cambiato numerosi controtenori, tenori, baritoni e bassi. Oltre venti cantori per arrivare alla formazione attuale, formazione che ha mantenuto uno status di livello artistico straordinario. La varietà del programma proposto, con canti che spaziano in un periodo storico di oltre cinquecento anni e che incontrano stili diversificati - dalla tradizione sacra al gospel, al contemporaneo - ci ha rivelato ancora una volta le eccellenti timbriche sia solistiche che di gruppo dei sei cantanti. Un'unità d'intenti e di voci che probabilmente non ha uguali al mondo. La scuola classica di canto inglese, nella sua antica e preziosa tradizione, emerge in tutti i brani, sia quelli dove i sei hanno dato sfoggio da soli "a cappella" , sia nei numerosi nei quali sono stati splendidamente accompagnati dalla Sinfonica Verdi, ottimamente diretta da Santonja. L'orchestra ha avuto anche un momento di esternazione musicale senza cantori, con un intermezzo musicale nel quale ha eseguito energicamente l' Ouverture da Guglielmo Tell di Gioachino Rossini. Citiamo la formazione attuale formata da Christopher Bruerton, Edward Burton, Patrick Dunachie, Nick Ashby, Jonathan Howard e Julian Gregory e ricordiamo che molti degli arrangiamenti ascoltati erano stati scritti da membri passati della formazione, tutti di eccellente qualità. I sei, a rotazione, hanno presentato in italiano, in modo ironico e molto divertente i brani che di volta in volta venivano eseguiti, rendendo la serata allegra e ricca di umanità. Tre i bis concessi dai cantanti che per l'occasione hanno indossato scherzosamente il cappello di Babbo Natale. Tra io numerosi brani non poteva certo mancare il canto natalizio più famoso al mondo, Jingle Bells nella straordinaria orchestrazione di Gordon Langford e un Tu scendi dalle stelle splendidamente cantato in italiano. Da ricordare sempre! 21 dicembre 2019 C.G. Un duo di ottima qualità al Teatro Gerolamo La programmazione cameristica della Sinfonica Verdi ha trovato un luogo ideale per i suoi concerti nel Teatro Gerolamo. Ristrutturato recentemente, il Gerolamo ha disponibili poco più di duecento posti e un'acustica eccellente soprattutto sul versante degli strumenti ad arco. Ieri sera, ascoltando l'ottimo duo formato dal violinista Luca Santaniello -spalla della Verdi - e dalla pianista Carlotta Nicole Lusa - pianista della medesima orchestra- ci siamo accorti che le loro indiscutibili qualità interpretative sono state diffuse in un luogo speciale. Molto interessante l'impaginato, con una scelta di programma vario e formato da brevi brani, alcuni molto noti, di Erich Korngold, Leonard Bernstein, John Williams e George Gershwin. Rari, significativi e ricchi di creatività i brani del primo compositore americano Korngold; arcinoti quasi tutti i brani degli altri tre compositori statunitensi, eseguiti in mirabili trascrizioni per violino e pianoforte ed estrapolati rispettivamente da West Side Story, da Schindler's List e da Porgy end Bess. Il duo cameristico ha rivelato una splendida intesa, giocata su una sorprendente melodicità del voluminoso violino di Santaniello e su una rilevante resa armonica del brillante pianoforte della Lusa, strumento calibrato perfettamente nelle dinamiche e nell'uso discreto del pedale di risonanza. Grande espressività per i celebri Maria e Tonight -solo per citarne alcuni- di Bernstein, per il noto e "strappa-lacrime" Tema di J.Williams e per le altrettanto celebri arie di Gershwin dall' opera Porgy end Bess - prima fra tutte Summertime- trascritte splendidamente per violino e pianoforte dal grande violinista Joshua Heifetz. Ottimi i due bis concessi al termine con due brani noti di Charlie Chaplin dai film "Luci della città" e "Luci della ribalta". Una serata da ricordare a lungo. 20 dicembre 2019 Cesare Guzzardella
Beethoven e Ravel per la Stuttgarter Philharmoniker di Dan Ettinger Un baritono, Beethoven e molto Ravel per la Società dei Concerti. Valido L'impaginato presentato ieri sera in Sala Verdi dalla Stuttgarter Philharmoniker diretta da Dan Ettinger. Sei rari lieder di Beethoven, hanno introdotto il concerto ed evidenziato l'ottimo timbro baritonale di Andrè Schuen. I Sei lieder op.98 "An die ferne Geliebte" sono stati mirabilmente composti dal genio di Bonn e resi con grazia e profondità da Schuen. Ottimo l'equilibrio orchestrale di Ettinger e perfetta l'integrazione solistica del baritono. Il primo Ravel eseguito, il celebre La Valse, ci ha portato in un'atmosfera vorticosa dove il tempo di valzer viene variato in infiniti modi, in un gioco di timbriche appariscenti, moderne ed innovative per l'epoca di produzione. La Valse è ricca di effetti di glissando e di voluti accorgimenti sonori atti a creare una rotazione degli interventi strumentali in un moto circolare sempre più rapido e sconvolgente. Di rilievo l'interpretazione orchestrale. Seconda parte della serata ancora con Ravel: prima con il relativamente pacato Valses nobles et sentimentales e poi con i Three songs "Don Quichotte à Dulcinée", nei quali, ancora una volta, il baritono Schuen ha reso un'interpretazione profonda e delicata. A conclusione della serata forse il brano più noto del francese, il Boléro, ha trovato un'eccellente orchestra per equilibrio delle parti, per giusto peso dinamico in perfetto crescendo e per ineccepibile qualità di tutti gli interventi solistici. Livello espressivo-musicale decisamente alto per un' orchestra, quella di Stoccarda, con un direttore decisamente all'altezza che sa come ottenere il massimo da tutti gli ottimi strumentisti. Splendida serata! 19 dicembre 2019 Cesare Guzzardella
Ancora sold-out alla quarta rappresentazione di Tosca alla Scala Il primo artefice di questo indiscutibile successo per la nuova Tosca scaligera è certamente Riccardo Chailly. Il direttore milanese, esperto pucciniano, ha infatti curato una concertazione di alto livello musicale, coordinando sapientemente ogni dettaglio e inserendo nel tessuto orchestrale, con grande equilibrio dinamico, le avvincenti timbriche dell'ottimo cast vocale. Ricordiamo la scelta ardita di Chailly, di cui si è gia parlato molto nella scorsa settimana, di utilizzare la partitura autentica della prima esecuzione romana del 1900, una partitura poi succesivamente edulcorata di alcune parti- poche battute- che si sono adesso rilevate relativamente importanti per un cambiamento non determinante, ma giustamente voluto per ragioni storiche, di novità e di mercato editoriale. Musicalmente cambia assai poco con quelle battute originarie e sicuramente la consueta versione "classica" continuerà ad imperversare nei maggiori teatri del mondo. Se la componente musicale da vita a Tosca e rende Puccini un grandissimo "sinfonista" nella lirica, l'attenzione alla componente melodica e alla qualità delle voci non può certo venire meno, specie per gli appassionati della grande lirica, sempre molto presenti al Teatro alla Scala. Alla quarta replica di ieri sera si sono dimostrati ancora una volta trionfatori di Tosca i due protagonisti pricipali: Anna Netrebko, una Tosca particolarmente incisiva per consistenza timbrica, e Luca Salsi, un barone Scarpia altrettanto rilevante per forza di emissione vocale.(foto di Brescia-Amisano a cura dell'Archivio Scala) Non c'è dubbio che la più applaudita al termine della recita, Tosca, abbia pienamente meritato il massimo successo, scavalcando di poco l'ottimo Salsi che probabilmente era risultato più graffiante nelle recite precedenti. Si è parlato a lungo, nei giorni scorsi, della versione cinematografica di questa messinscena voluta dal valente regista Davide Livermore , coadiuvato per le scene dallo studio Giò Forma con video D-Wok, i costumi di Gianluca Falaschi e le rilevanti luci di Antonio Castro. Livermore ha utilizzato in toto i potenziali della macchina scenica con un gioco di livelli e un sali-scendi del palcoscenico che inquadra situazioni, come il luogo di tortura di Cavaradossi, che in genere risultano nascoste. L'effetto cinema, rilevato sicuramente alla prima vista su un ampio schermo televisivo, con formidabili riprese dall'alto ed inquadrature tipiche da grande schermo , non è così importante da un palco del Teatro, dove la posizione ferma dello spettatore non rileva più di tanto gli artifizi visivi adatti allo schermo. Ieri, in teatro, abbiamo assistito ad un' altra Tosca, più naturale, sia nelle scene alquanto tradizionali, che nelle voci, tutte di grande spessore volumetrico. La splendida timbrica della Netrebko, più naturale e addolcita rispetto le prime rappresentazioni, ha trovato in Vissi d'arte il momento clou della serata, strappando ancora lunghi e meritati applausi. Luca Salsi, ha di nuovo trionfato nel secondo atto, con la sua presenza scenica e la sua chiara e ed incisiva voce. Ottima rivelazione della serata, soprattutto nel bellissimo terzo atto, il tenore Otar Jokjikia che all'ultimo minuto ha sostituito Francesco Meli nel ruolo di Mario Cavaradossi. La sua prestazione, non lontana per tipologia timbrica da quella di Meli, ci è piaciuta assai e proprio nel terzo atto, la sua pregnante voce ha mostrato anche una splendida intesa con la Netrebko. Di altissima qualità l'applauditissimo E lucean le stelle. Non mi soffermo su tutti gli altri bravissimi interpreti, dei quali si è tanto parlato. Un plauso, come sempre, alla componente corale preparata da Bruno Casoni. Le prossime rappresentazioni, alcune probabilmente già in sold-out, sono per il 19-22 dicembre e 2-5-8 gennaio. Da non perdere e da ricordare a lungo. 17 dicembre 2019 Cesare Guzzardella CPSM - Corsi Popolari Serali Musicali, in Conservatorio. Una luce (tante luci) nella notte! Al Conservatorio di Milano le luci si spengono solo a tarda sera, e non solo per i concerti in programma in Sala Verdi. Dal 1976, dal lunedì al giovedì un “esercito” di amanti della musica che di giorno fanno mille altri lavori e attività, si ritrovano nelle sue aule a frequentare i corsi di strumenti e di teoria musicale. L’Associazione nasce dall’idea di alcuni studenti del Conservatorio di consentire anche a persone non professioniste di poter studiare ed approfondire, in ore serali e a prezzi contenuti, lo studio di uno strumento e la propria cultura musicale. Dalle 20 alle 22.45 ogni aula si anima di appassionati e irriducibili, esperti e neofiti che dedicano le ultime energie del giorno all’arte sublime della musica. Dal pianoforte al violino, dal violoncello alla tromba, dal sassofono alla chitarra classica, dalla storia della musica alla guida all’ascolto, dai corsi di teoria musicale al mandolino, solo per citare alcune delle proposte che troverete ai CPSM. Da quest’anno importanti novità sono state introdotte dalla Commissione Eventi in merito all’ascolto della musica dal vivo e della fruizione di convenzioni e opportunità culturali. Anche chi non frequenta i corsi può associandosi ai CPSM con € 20 e usufruire degli sconti attivi per la Community. Crediamo fermamente che l’esperienza dal vivo sia un bel modo di vivere la musica, il teatro e la cultura in modo attivo. Troverete le nostre proposte sul sito, dove sono segnalati i posti ancora disponibili per questo anno accademico 19/20. A partire dal 1°gennaio 2020 le quote di partecipazione ai corsi verranno ridotte di circa un terzo. Venite a trovarci! www.cpsm.net/index2.html Elena Siani Milano, 16/12/2019SUOR ANGELICA E CAVALLERIA RUSTICANA AL COCCIA DI NOVARA Oggi pomeriggio, domenica 15/12, abbiamo assistito alla replica del secondo spettacolo della stagione lirica del teatro Coccia di Novara, coprodotto dal Coccia, dal Teatro Goldoni di Livorno e dal Teatro Sociale di Rovigo. La prima ha avuto luogo ieri, sabato 14, e la precisazione è indispensabile perché tra le due rappresentazioni sono cambiati gli interpreti di gran parte dei ruoli protagonistici. Dunque, sono andate in scena due opere tra le più significative di quella complessa fase della storia musicale italiana, tra fine ‘800 e inizio ‘900, che vede il definitivo tramonto dell’”opera” ottocentesca e l’affermarsi, prima col verismo (o preteso tale) della ‘giovane scuola’ e poi con le opere di Puccini, di nuovi modelli d teatro musicale: i due titoli sono, in ordine di rappresentazione, “Suor Angelica” e “Cavalleria rusticana”. L’esecuzione era affidata all’Orchestra Filarmonica Pucciniana diretta dal maestro Daniele Agiman e al Coro Ars Lyrica diretto da Chiara Mariani. La regia era di Gianmaria Aliverta, coadiuvato dallo scenografo Francesco Bondi. Dei cantanti, ovviamente, si dirà a suo tempo. Puccini e Mascagni: qual è il filo che unisce queste loro due opere, in apparenza così diverse e lontane non solo cronologicamente (circa trent’anni di distanza le separano)? Ci illumina il libretto di sala, in cui si leggono le osservazioni di Agiman, secondo il quale Cavalleria e Suor Angelica sarebbero legate dalla scelta, da parte dei due compositori, di collocare le rispettive vicende in due luoghi (un convento e un villaggio ancora immerso in costumi arcaici), in cui sono impossibili relazioni autentiche fra gli individui, non mascherate da una pervasiva ipocrisia sociale, . Ribadisce, estremizzandolo, il concetto il regista Aliverta: Suor Angelica e Cavalleria sarebbero addirittura un’opera unica: Cavalleria rusticana “svelerebbe” il peccato che suor Angelica ha commesso (ma non è già ampiamente svelato dall’opera stessa?), sullo sfondo di una bigotta e ipocrita religiosità cattolica. Questa cervellotica interpretazione guida ovviamente le scelte registiche e scenografiche. Suor Angelica presenta una messa in scena accettabile, anche se abbastanza scontata, cioè un ambiente conventuale, inquadrato da due possenti pilastri con statue a soggetto religioso, tra i quali è collocata una grata, confine di separazione tra il mondo e il convento, il cui spazio ha il suo riferimento essenziale in una possente statua della Vergine con bambino, in cui, al momento della morte della protagonista, viene conficcato un coltello. Già in Suor Angelica peraltro, qualche scelta registica è piuttosto opinabile, anche se secondaria: Angelica si suicida non solo col veleno, come da partitura, ma anche col coltello, prefigurando così il mondo della Cavalleria Rusticana. Del resto lo spettatore è informato dalle note di regia che S. Angelica è Lola (?) , come la zia di S.Angelica è mamma Lucia (????). In Suor Angelica Aliverta ha modificato il finale: Sparisce l’apparizione della Vergine che “sospinge il figlio morto di Angelica verso la madre moribonda”, resta solo il bambino che, dall’altra parte della grata, contempla muto l’agonia della madre. Si ammirano i costumi delle suore, di un bianco abbagliante con finssime decorazioni, opera della brava costumista Sara Marcucci. Il vero scempio si compie ai danni della Cavalleria rusticana. Anche la vicenda di quest’opera è collocata in un ambiente ecclesiastico, una chiesa di opulento sfarzo barocco, chiuso all’inizio da un telo, una specie di secondo sipario, attraverso il qualei mamma Lucia, Lola e Turiddu, entrano ed escono, consumano i loro amori, come fosse anche (ed è!) casa loro. D’accordo che la vicenda si svolge nel giorno di Pasqua, ma il palcoscenico è continuamente attraversato da processioni, statue sacre (ricompare la Madonna trafitta di Suor Angelica). Non solo, ma mamma Lucia, nella versione di Aliverta, è fin dall’inizio perfettamente al corrente della tresca tra suo figlio Turiddu e Lola e li copre con la sua complicità nascondendoli nella casa/chiesa, il che rende poi incomprensibile l’atteggiamento di pietà di Lucia nei confronti di Santuzza. Altri, numerosi dettagli di questa per noi assurda regia si potrebbero citare, ma a questo punto sorvoliamo; ci limitiamo a segnalare una buffa incongruenza: Alfio e Turiddu si affrontano con il coltello già prima del fatale duello. Invece di morsicare l’orecchio di Alfio, come da libretto e da novella di Verga, Turiddu lo ferisce al braccio: ma allora, si domanda perplesso lo spettatore, perché rimandare il duello e non farla finita subito? I cantanti erano tutti giovani, perlopiù alle prime armi e pressoché sconosciuti alle ribalte che contano. Tuttavia alcuni se la sono cavata decisamente bene, soprattutto le parti femminili: ci è piaciuta Elena Memoli, sia nella parte di Suor Angelica, sia in quella di Lola: dispone di buone risorse vocali, di una voce sopranile da soprano drammatico, con una estensione e un colore scuro che le consentono anche parti di mezzosoprano, come quella di Lola. Valida la sua interpretazione delle scene finali di Suor Angelica, sotto il profilo vocale e drammaturgico. Promettente anche il soprano Marika Franchino, una Santuzza molto espressiva, con buon fraseggio, una valida tessitura vocale, che tendeva talvolta a ‘gridare’ quando si spingeva nelle zone sopracute. Del tutto fuori ruolo, sia vocalmente, sia drammaturgicamente il contralto Antonella Di Giacinto nella parte della famigerata zia di Suor Angelica: non si può essere la zia della sventurata suora e la mamma di compare Turiddu, checché ne pensi Aliverta. La Di Giacinto ha una vocalità poco espressiva , piuttosto povera di sfumature, lontanissima da ogni punto di vista da quell’essere algido e spietato che è la zia dell’opera pucciniana. Delle principali voci maschili ci spiace dover bocciare senza appello il Turiddu del tenore Rosolino Cardile: voce inespressiva, scialba,” ingolata”, limitate capacità drammaturgiche. Meglio di lui il baritono coreano Matteo Jin, nella parte di Alfio, che perlomeno può vantare un discreto timbro e un fraseggio accettabile. Ci scuseranno le numerose parti di fianco se non le citiamo, ma sono troppe: diciamo che in generale hanno svolto diligentemente la loro parte. Era la prima volta che sentivamo suonare il maestro Agiman e l’Orchestra Sinfonica Pucciniana e il giudizio non può che essere positivo: Agiman ha condotto molto bene l’orchestra, coordinando efficacemente buca e palcoscenico. Ci è in particolare piaciuto nella Suor Angelica, ove ha saputo valorizzare la finissima timbrica di una delle partiture musicalmente più belle di Puccini, raggiungendo spesso esiti di ammaliante acquarello sonoro. Impeccabile, ma convenzionale, nella Cavalleria. Ottima infine la prestazione del coro pisano (ci pare) Ars Lyrica, tra i migliori mai ascoltati al Coccia. Una rappresentazione che non collocheremmo tra quelle indimenticabili, ma non priva di aspetti positivi: sopra tutti, lo sforzo di lanciare giovani sul palcoscenico, che è uno dei compiti di un teatro di provincia. 15 dicembre 2019 Bruno Busca A VERCELLI PROSEGUE LA MARATONA BEETHOVENIANA DI F. GAMBA Ieri sera, sabato 14 /12, al Teatro civico di Vercelli la nuova stagione del Viotti Festival proponeva un recital del pianista Filippo Gamba, ulteriore tappa dell’esecuzione integrale delle 32 sonate pianistiche di Beethoven, che da qualche anno Gamba va proponendo a Vercelli e in altre città italiane. Ieri le sonate in programma erano tre, con ordine cronologico invertito: l’immensa Hammerklavier in Si bem. maggiore op.106, l’op.90 in mi minore, “Les Adieux” in Mi bem. maggiore op.81. Si tratta di tre composizioni accomunate, come avvertono le note del programma di sala, vergate con la consueta bravura e competenza da A. Piovano, dal carattere problematico che, a titolo diverso, ciascuna delle tre presenta, mettendo in discussione o decisamente superando, la forma della sonata pianistica ‘classica’ haydniana e mozartiana. Da tempo ammiriamo le qualità musicali di Gamba (foto grande di Giulio Fornasar) che, estraneo allo star system dell’industria della musica, appartato e quasi disdegnoso di apparire alla ribalta, è tuttavia, senza ombra di dubbio, uno dei migliori pianisti italiani d’oggi. Il suo limpido suono, la sua tecnica digitale, il suo fraseggio, il suo lavoro interpretativo ed espressivo sulla partitura, rendono sempre le sue esecuzioni un’esperienza stimolante per l’ascoltatore. La cifra fondamentale della personalità pianistica di Gamba è la tendenza scavare e portare in primo piano i valori lirici della partitura, con tempi mai troppo rapidi, un tocco “posato” , che cesella sapientemente il suono, più che sprigionarne l’energia. Eravamo perciò particolarmente curiosi di ascoltare la ‘sua’ Hammerklavier, vera e propria “ esplosione di energia”, come la definisce C. Rosen. Ebbene, senza rinunciare a quelle che sono le sue virtù più caratteristiche Gamba ha sfoderato per l’occasione una potenza e una tensione del suono che raramente avevamo ascoltato da lui in precedenza, già alle prime battute dell’Allegro iniziale, con quella fanfara in fortissimo, che imprime da subito alla partitura quell’esplosiva energia che ne caratterizzerà il percorso successivo. Gamba stacca tempi adeguatamente veloci, meno rapidi di quelli prescelti da altri interpreti, ma senz’altro capaci di dare voce alle sezioni dinamicamente più intense della sonata, come lo sviluppo fugato del primo tempo, con la sua singolare forma per terze discendenti. Decisamente valida l’interpretazione della grande fuga dell’ultimo tempo: in generale nel quarto tempo, il magnifico fraseggio di Gamba trova la misura dinamica e agogica giusta per abbandonarsi alla libertà con cui Beethoven evoca i frammenti del soggetto della fuga, con una agitazione crescente, contenuta però da Gamba sempre entro una misura di classico equilibrio, che a qualcuno potrà far storcere il naso, ma che per noi resta carattere imprescindibile anche del Beethoven più ‘sperimentale’. Più in particolare, in questa pagina eccezionale di musica, Gamba offre il meglio di sé nelle sezioni in cui si richiede un forte contrasto di tocco, dove, nelle ferrea e vorticosa energia dello sviluppo del soggetto, si aprono improvvisi squarci lirici e cantabili: qui emerge la bravura di Gamba quale ‘concertatore’, la sapienza nel tornire i suoni e nell’articolare le dinamiche. E’ comunque ovvio che per Gamba il tempo più adatto a realizzare il maglio di sé sia il superbo Adagio sostenuto in terza posizione. Partito con una sonorità leggermente velata e contenuta, “a mezza voce”, come indica Beethoven in partitura, Gamba dispiega poi con ammaliante intensità espressiva il cantilenante tema successivo, con un crescendo di pathos che trova il suo culmine nell’andamento sincopato della sezione principale della coda, verso la fine, quando il suono si fa pianto, un pianto sommesso e appena udibile, sotto le dita di Gamba, e perciò tanto più toccante. Dopo questa bellissima Hammerklavier, che dire delle altre due sonate.? Semplicemente che Gamba conferma di essere primariamente un gran pianista “lirico “. La sonata op.90 vede il pianista veronese eccellere nella soffusa e delicata cantabilità schubertiana del secondo e ultimo tempo, uno strano Rondò, in cui a prevalere è un’ onda avvolgente di canto puro che è tra le invenzioni musicali che più si possono accostare ala magia poetica dell’”Infinito” leopardiano, mentre più convenzionale ci è parsa l’esecuzione del nervoso e appassionato primo tempo. Tutta apprezzabile l’esecuzione della sonata” Les Adieux”, ove Gamba dà piena espressione, nell’Allegro iniziale, al ritmo nervoso dell’ansia del commiato, staccando un tempo efficacemente rapido, con alternanza sapiente di legato e staccato. Molto ben suonati anche i due tempi successivi, ove Gamba dà piena voce all’alternarsi di tristezza e speranza del secondo e all’esplosione di gioia per il ritorno dell’amico arciduca Rodolfo nel terzo. Insomma, un bilancio alla fine del concerto ci suggerisce l’immagine di Gamba come pianista dalla tavolozza espressiva più ampia di quella comunemente attribuitagli, pur nella dominante lirico-cantabile della sua linea espressiva. Agli applausi scroscianti del pubblico, Gamba ha risposto con un bis, un Notturno di Chopin, l’op.37 in sol min. Parlando con sincerità, ci è piaciuto parecchio di più il Gamba interprete di Beethoven. Un bellissimo concerto, ancora una volta, questo offerto dalla Camerata ducale, l’ultimo del 2019. Ma il 2020, promette di essere anch’esso ricco di serate memorabili. 15 dicembre 2019 Bruno Busca Gábor Boldoczki per la Società dei Concerti Il variegato programma proposto ieri sera dalla SWD Philharmonie diretta da Ari Rasilainen prevedeva musiche del Settecento barocco di Händel, Haydn e Torelli e dell'Ottocento con la celebre Sinfonia n.7 op.92 di L.v.Beethoven. Nella parte settecentesca la brillante tromba dell'ungherese Gábor Boldoczki ha dato maggiormente prestigio alla serata. Il brano introduttivo, il Concerto Grosso in sol maggiore op.3 n.3 di Georg Friedrich Händel ha trovato di fianco all'ottimo direttore una giovane e bravissima prima flautista che, con grazia e delicato timbro, ha esaltato le qualità del concerto. Nei brani successivi, prima il Concerto per tromba in mi bem. maggiore di Franz Joseph Haydn e poi il Concerto per tromba in re maggiore di Giuseppe Torelli, il protagonista Gábor Boldoczki ha rivelato le sue raffinate qualità virtuosistiche elargendo timbriche chiarissime e molto "pulite" e mettendo in risalto con le trombe, una per ogni concerto, la lineare e pregnante componente melodica. Splendida l'orchestrazione di Rasilainen anche nel raro breve concerto di Torelli composto nel 1698. Di rilievo il bis concesso da Boldoczki e dall'orchestra con la celebre Aria -Largo- dallo Xerxes di Händel eseguita dal solista con raro nitore espressivo. Di qualità l'interpretazione della Settima Sinfonia di Beethoven e splendido il secondo bis concesso dall'orchestra con il celebre Valse Triste di Jean Sibelius. Da ricordare. 12 dicembre 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente una nuova rassegna musicale: Pianisti di altri mondi al Teatro Parenti Tra gennaio e maggio del prossimo anno inizia una nuova avventura musicale organizzata al Teatro Parenti in collaborazione con la Società del Quartetto. È dedicata interamente al pianoforte. Otto concerti impegneranno pianisti in altrettante domeniche mattine alle ore 11.00, per mostrare gli sviluppi musicali di un repertorio legato al jazz e alla musica contemporanea. Avremo sfaccettature differenti provenienti da aree geografiche molto diverse, intrise anche di certo folclore legato alle radici territoriali dei pianisti -molti compositori- partecipanti. Questa mattina, l'ideatore della rassegna Gianni Morelenbaum Gualberto, assieme ad Andrée Ruth Shammah, responsabile del Teatro Parenti e Ilaria Borletti Buitoni, Presidente del "Quartetto" , hanno ben spiegato gli scopi della nuova iniziativa che prende il posto del mattiniero Aperitivi in Concerto, successo degli scorsi anni. La Shammah ha ben sottolineato l'importanza della collaborazione tra diverse istituzioni concertistiche e/o teatrali per progetti unitari, come quello presentato, per rendere la nostra città ancor più in sintonia con le grandi metropoli mondiali dove maggiormente si respira il senso della creatività artistica. La Borletti ha quindi ribadito il concetto di unione tra istituzioni parlando di "viaggio musicale culturalmente molto importante" per uscire dalle tradizionali fruizioni classiche, andando verso territori maggiormente creativi. L'organizzatore e critico Gianni Morelenbaum Gualberto, già artefice degli Aperitivi in concerto del Teatro Manzoni, ha fatto un interessante excursus sul mondo della musica del Novecento, tra gli storicizzati Stockhausen o Cage, il jazz classico degli Armstrong o dei Parker, o il minimalismo americano, sino ad arrivare ai nuovi jazzisti-contemporanei , sempre più legati ai nuovi modi d'intendere la musica, modi che non disdegnano affatto il passato, ma che sono alla ricerca di ulteriori novità. Ha ricordato alcuni dei protagonisti della rassegna, a cominciare da Vijai Iyer, pianista e compositore americano che inizierà la programmazione il 19 gennaio; proseguendo con la pianista Vanessa Wagner, che il 9 febbraio proporrà un programma tra minimalismo e jazz, arrivando poi al pianista Yonathan Avishai, che il 23 febbraio proporrà un percorso articolato tra musica cubana e brasiliana e il ragtime del leggendario Scott Joplin. Lisa Moore, pianista più orientata sul fronte contemporaneo di Glass, Adams, Ligeti e Rzewski interverrà il 15 marzo. Questi sono i primi quattro, ma di rilevanza anche gli altri protagonisti presenti in rassegna. Si consiglia vivamente la partecipazione.11 dicembre 2019 Cesare Guzzardella Stefan Milenkovic al Festival Cantelli di Novara L’associazione Amici della Musica “V. Cocito” dal 1946 promuove annualmente a Novara una stagione di concerti, il Festival Cantelli, che rappresenta da quegli anni ormai remoti un momento imperdibile della vita culturale della città e una ghiotta occasione di ascolti di qualità per i locali musicofili. Ieri sera, 10 dicembre, presso il Teatro Faraggiana, il programma della stagione proponeva un concerto impaginato su tre celebri composizioni ottocentesche: di F. Mendelssohn l’Ouverture “La bella Melusina” op. 32 e la Sinfonia in la min. op.56 “Scozzese”, che, nonostante rechi il n.3, fu di fatto l’ultima delle cinque composte dal grande musicista di Amburgo. Tra le due opere mendelssohniane, il Concerto n.1 in sol min. per violino e orchestra, in assoluto il più celebre e praticamente oggi l’unico eseguito tra i concerti per violino di Max Bruch. A eseguire il programma era una delle migliori compagini balcaniche, la slovena Orchestra della Radiotelevisione di Lubiana, per l’occasione guidata dal maestro moldavo Mihail Agafita, cui si accompagnava, per il concerto di Bruch, il violinista serbo Stefan Milenkovich. Decisamente apprezzabile la qualità esecutiva che ha caratterizzato la serata. Agafita è un ottimo direttore, capace, con il gesto sempre preciso della sua bacchetta, di conferire il giusto rilievo ai singoli dettagli della partitura, valorizzandone le più sottili sfumature timbriche, e plasmando una tessitura sonora varia e ricca grazie a un controllo sapiente delle dinamiche. L’orchestra slovena, guidata da Agafita, è apparsa formazione di ottime risorse in tutti i reparti, con particolare qualità dei fiati, emersa fin da subito nella trasparente leggerezza del loro dialogo con gli archi nella “Bella Melusina”, evocativa di quella suggestiva atmosfera di fiaba romantica che ispira l’intera ouverture. Con piena coerenza interpretativa, Agafita ha portato in primo piano i valori di incantata musicalità del celebre tema iniziale delle onde, ben lontano dall’aura di inquietante mistero ctonio che avvolge l’apertura del Rheingold wagneriano, che pure si dice comunemente ispirata all’Ouverture di Mendelssohn. Decisamente bella la “Scozzese” proposta da Agafita e dall’orchestra di Lubiana. La grande bellezza di questa sinfonia non sta nella varietà dei temi o nella particolare complessità dello sviluppo armonico, quanto nell’affascinante, continuo mutamento di atmosfere, a partire dal tema introduttivo, da cui gran parte della sinfonia può dirsi dipenda. E’ un’atmosfera che potremmo definire ‘paesaggistica’, che in musica si traduce in suoni, colori timbrici, dettagli e sfumature nelle voci dei vari strumenti. Ed ecco che sin dall’apertura quella capacità di Agafita e dell’orchestra a lui affidata di far vibrare ogni particolare della partitura affascina l’ascoltatore: l’impasto incantevole delle viole, degli oboi, dei clarinetti, dei corni subito dipinge una delicata tessitura sonora in cui ogni ‘voce’ ha la sua parte, nel flusso fascinoso di un suono sempre morbido e limpido, e la melodia ne esce con l’incanto di un flusso sonoro nitidamente disegnato e melodicamente avvolgente. Interessante l’interpretazione che il direttore moldavo fornisce dell’Adagio, inusualmente collocato da Mendelssohn in terza posizione: Agafita fa suonare il secondo tema accentuandone decisamente il carattere di cupa marcia funebre, che spezza violentemente la serena cantabilità del primo tema con cui si alterna: non solo limpida luce nella musica di Mendelssohn, dunque, ma anche inquietanti ombre, “vita che incanta…vita che strazia”, per dirla con un verso di Ungaretti. Al centro della serata, si diceva, il programma proponeva il Concerto per violino di Bruch, e qui entra in scena il violinista belgradese Stefan Milenkovic, già noto al pubblico novarese. Milenkovic suona su un Guadagnini del 1783, di cui il solista serbo sa valorizzare al meglio il suono morbido, caldo, quasi raccolto in una sua delicata intimità. Milenkovic sa ‘lavorare’ perfettamente questo suono, raggiungendo gli esiti più alti della sua interpretazione nell’Adagio centrale, dove la prima idea, per la sommessa, misteriosa profondità di suono con cui è esposta dal solista, dà all’ascoltatore la certezza di avere un’anima e che qualcuno o qualcosa sta cercando di comunicare con essa. Non accenniamo qui alle capacità virtuosistiche di Milenkovic, che si esaltano soprattutto nell’Allegro energico finale. Diremo soltanto che ci hanno colpito due peculiarità ‘tecniche’ del violinista serbo: l’uso piuttosto parco di un vibrato che pare appena accennato e la delicatezza dei picchettati, con l’arco che sembra volare con la levità di un angelo sulle quattro corde; su un suono, si è detto, morbido e delicato di suo dello strumento, questo stile esecutivo contribuisce a dare la cifra caratteristica dell’interpretazione di Milenkovic, sempre al di là di ogni banale effettismo virtuosistico fine a se stesso. Il solista ha ripagato il pubblico plaudente con due bis, entrambi da J.S. Bach: la Giga della Partita n.3 e l’Andante della Sonata n. 2, naturalmente dalle Sonate e Partite per violino solo, entrambe bellissime esecuzioni, in particolare l’Andante. Un concerto così avrebbe senz’altro meritato almeno il pieno in platea, purtroppo con larghi vuoti. A parziale consolazione va però citata la presenza inusualmente consistente di giovani: accanto alle prevalenti canizie, spiccava qualche “ricciolino”, come osservava il maestro Ettore Borri, direttore artistico degli Amici della musica, nella presentazione della serata. 11 dicembre 2019 Bruno Busca Martha Argerich e la Franz Liszt Chamber Orchestra per Serate Musicali È tornata Martha Argerich in Conservatorio per un concerto che ancora una volta ha gremito Sala Verdi. Dopo la memorabile recente serata con Evgeny Kissin, nell'arco di pochi giorni abbiamo assistito ad un altro evento che rimarrà nella nostra memoria di appassionati. Non solo l'Argerich, ma anche la Franz Liszt Chamber Orchestra diretta da Gabor Takacs-Nagy e un altro valido pianista quale Eduardo Hubert, hanno contribuito attivamente al successo del concerto. L'orchestra ungherese ha introdotto la serata con la Sinfonia n.39 in mi bem. maggiore K.543 "Swanengesang", restituendo da subito una fluida cifra stilistica di alto livello, cifra che ritroveremo in tutto l'impaginato. Il direttore ungherese Gabor Takács-Nagy, noto specialista del repertorio ungherese, ha rivelato, attraverso un gesto acceso ed estroverso, di gestire con energia la sua orchestra anche nel sottile e raffinato brano per soli archi di Liszt "Angelus Prière aux anges gardiens" , un Andante pietoso risultato profondo e di grande rilevanza espressiva. L'argentino Eduardo Hubert in duo insieme alla concittadina Argerich - entrambi sono nati a Buenes Aires- si è attivato in due brani trascritti da Claude Debussy per due pianoforti. Il primo di Schumann, Studien für den Pedalflügen op.56, e il secondo dello stesso francese, Prélude à l'apres-miei d'un faune, celeberrimo capolavoro noto maggiormente nella versione orchestrale. Esecuzioni di rilievo giocate su esternazioni morbide, vellutate e ricche di espressive e sottili dinamiche. Il brano clou della serata era quello conclusivo con il noto Concerto n.1 in do maggiore op.15 di L.v. Beethoven, un cavallo di battaglia della grande pianista. L'esecuzione, di altissimo livello, ha trovato una splendida intesa con la compagine orchestrale e un' esternazione solistica che ha pochi uguali nella storia di questo capolavoro. L'Argerich ha rivelato, ancora una volta, tutte le sue migliori qualità interpretative nella lettura sicura, articolata e dettagliata del brano. L'impressionante articolazione digitale delle mani, che sanno essere robuste e morbide all'occorrenza, sono tipiche della grande pianista. Una gamma di timbriche vastissime - caratteristica di pochi grandi interpreti- che sanno pesare il suono in questo modo, hanno permesso il raggiungimento di una vetta interpretativa unica. Applausi fragorosi e interminabili al termine e la concessione di un solo bis con l'eccelsa Gavotta I e II dalla Suite Inglese n.3 di J S.Bach. Da ricordare sempre! 10 dicembre 2019 Cesare Guzzardella Prossimi concerti a Vercelli Segnaliamo due concerti prossimamente a Vercelli. Il primo per la rassegna "Green Ties -aperitivo in concerto" vedrà il 15 dicembre alle ore 11.00 nella Sala Parlamentino Ovest-Sesia il violinista Alessio Scarano e il pianista Francesco Maccarone impegnati in musiche di Mozart, Beethoven,Saint-Saens,Dvorak, Monti, ecc. Un concerto praticamente gratuito al prezzo di 5 euro compreso aperitivo. Il secondo al Teatro Civico vedrà impegnato il 14 dicembre alle ore 21 in via Monte di Pietà al civico 15 il pianitsa Filippo Gamba in un tutto Beethoven con le oper e 106, 90 e 81a. Tre sonate celeberrime per un ottimo interprete . Da non perdere8 dicembre 2019 dalla redazione Evgeny Kissin nel "Concerto per Antonio" con tutto Beethoven Era dedicato ad Antonio Mormone il concerto di ieri sera in Conservatorio con il grande Evgeny Kissin. Il programma, tutto beethoveniano, sarebbe certamente piaciuto al fondatore e Presidente della Società dei Concerti. Kissin venne scoperto in età giovanile da Mormone e da allora ha tenuto numerosi concerti, l'ultimo nel novembre 2013 dove esegui Schubert, Scrjabin e tra i bis, la Siciliana di Bach rivisitata da W.Kempff e la Polacca op.53 di Chopin. Per questa nuova occasione di ascolto, Sala Verdi era sold-out da parecchi giorni e l'insolito affollamento, divenuto ultimamente cosa rara, indica un interesse particolare per il grande pianista , con la presenza di un pubblico mediamente più giovane del consueto. Splendido l'impaginato, con brani tra i più popolari del genio tedesco. Di grande notorietà le sonate scelte con la "Patetica", la "Tempesta" e la "Waldstein" inframezzate dalle celebri Variazione su un tema dell'Eroica. Gli accordi iniziali della la Sonata n.8 in do Minore OP.13 "Patetica", hanno rivelato da subito le modalità stilistiche di Kissin, modalità piene di energia ritrovata in tutte le Sonate e anche nelle Variazioni. Kissin ha un approccio totalizzante con il pianoforte, giocato su una carica espressiva ricca di tensione. I tempi, spesso rapidi, esprimo musica di una chiarezza esemplare. La robusta mano sinistra evidenzia sorprendenti toni bassi che potenziano il mirabile canto della mano destra. Chiari i dettagli e scultorea la resa espressiva nei movimenti più concitati con una scansione ritmica sorprendente. L'arte delle variazioni, ed in questo Beethoven era Maestro, l'abbiamo trovata nelle Variazioni sull'Eroica Op.35 ma anche nell'etereo finale della Sonata n. 21 op. 53 "Waldstein" e nei tre bis proposti. Le parti più luminose e meditate come l'Adagio contabile della "Patetica" o l'Adagio della Sonata n. 17 op. 31 n. 2 "La tempesta" hanno rivelato la capacità di Kissin di opporre riflessione al flusso di evidente presenza energetica che pervade i movimenti laterali dei brani. Ovazioni per il grande pianista e tre i bis concessi con l'Andante grazioso, prima delle Sette Bagatelle op.33, l'Allegro ma non troppo, quinta delle medesime Bagatelle op.33 e la scandita Marcia alla turca da "Le rovine di Atene". Un Beethoven meraviglioso da ricordare sempre!5 dicembre 2019 Cesare Guzzardella Matthias Goerne e Leif Ove Andsnes alla Scala È iniziata molto bene questa sera la Stagione 2019-2020 dedicata ai Recital di Canto del Teatro alla Scala. Un fuoriclasse quale il baritono tedesco Matthias Goerne e un pianista esemplare quale il norvegese Leif Ove Andsnes hanno proposto un capolavoro assoluto di Schubert: Winterreise. Il programma, deciso da tempo, prevedeva in verità un tutto Schumann con una ampia serie di lieder. L'improvviso cambio con i celebri ventiquattro canti che compongono l' Op.89 D 911, i celebri Viaggi d'inverno, non ha portato a rimpianti. Siamo rimasti stupefatti dell'interpretazione elargita con un rigore tecnico-espressivo altissimo. Un'integrazione perfetta tra canto e pianoforte, con mille sfumature rivelate in un volume complessivo contenuto, ha dimostrato la cifra interpretativa di Goerne, ma anche di Andsnes. Il baritono pesa il canto partendo da pianissimi quasi impercettibili, per arrivare a robuste esternazioni vocali nel giusto momento. In perfetta simbiosi, anche il norvegese medita con profondità le sonorità del suo strumento trovando impercettibili cambiamenti volumetrici nel preciso appoggio alle note del canto. La perfetta unità stilistica, in tutti i ventiquattro lieder, ha creato un lavoro complessivo unitario che non dovrebbe mai essere spezzato in parziali esecuzioni. Un'ora e quindici minuti di sublime equilibrio dal celebre iniziale Gute Nacht- Buona notte- , al meditato e conclusivo Dar Leiermann - L'uomo dell'organetto - hanno reso la serata memorabile. Applausi scroscianti e nessun bis, ma dopo quel "conclusivo" finale forse era necessario non ci fossero. Da ricordare sempre. 3 dicembre 2019 Cesare Guzzardella
Steven Isserlis e Stephen Hough in Conservatorio per Serate Musicali È tornato in Conservatorio per Serate Musicali il violoncellista inglese Steven Isserlis. In questi anni la sua costante presenza in Sala Verdi ha portato sempre un'alta qualità musicale, con programmi variegati particolarmente riusciti. Ieri sera, insieme al cellista, abbiamo trovato al pianoforte un altro importante interprete quale Stephen Hough. Pianista londinese di chiara fama, oltre ad essere eccellente strumentista, è anche un valido compositore. Il programma variegato prevedeva una sua inusuale Sonata per la mano sinistra per violoncello e pianoforte. Il brano introduttivo di Antonín Dvořák, Waldesruhe op.68 n.5, e i due seguenti di Josef Suk, la Ballata op.3 n.1 e la Serenata op.3 n.2, hanno rivelato la straordinaria intesa dei due interpreti e le peculiari doti melodiche del violoncellista. Dopo queste rarità, due celebri Sonate per violoncello e pianoforte di Brahms, la n.1 op.38 e la n.2 op.99, sono state inframezzate dalla Sonata di Hough. In Brahms, perfetta l'intesa del duo: una linea di canto del violoncello sempre incisiva ma nel contempo dolce e ricca di contrasti, ed un pianoforte delicato, equilibrato e molto attento allo strumento del compagno. Nella fondamentale ed armonicamente emergente componente pianistica brahmsiana, Hough mostra in modo evidente una qualità musicale che nasce sia da una grande sensibilità che da una consolidata esperienza. Nell'op.99 è stato raggiunto un vertice interpretativo di assoluta bellezza in un equilibrio delle parti ineguagliabile. Originale ed efficace la Sonata di Hough: un unico ampio movimento con momenti di pacato sviluppo definito da semplici note con entrambi gli strumenti che si rincorrono. I temi condotti dalla mano sinistra di Hough sono stati cadenzati dalle sicure mani di Isserlis in un arabesco di suoni di grande respiro spesso dal sapore molto nordico. Perfetto e corale l'accordo con il violoncello con modalità tonali di originale resa estetica, rivelatrice anche delle ottime qualità compositrice di Hough. Applausi calorosi in una Sala Verdi purtroppo non al completo, come invece meritava di essere. Delizioso il bis concesso con un brano di Schumann, l' op.56 n.4 dai Sei Studi per organo, trascritti splendidamente per i due strumenti. Da ricordare a lungo! 2 dicembre 2019 Cesare Guzzardella Concerto straordinario per Antonio con Evgeny Kissin il 4 dicembre 2019 Dopo sei anni dall’ultimo recital milanese, uno dei pi ù amati pianisti contemporanei ritorna in Sala Verdi per la terza edizione del “Concerto per Antonio” con un programma interamente dedicato a Ludwig van Beethoven, anticipazione delle celebrazioni del 2020. Beniamino del pubblico milanese che lo segue dal lontano 1988 quando debuttò diciassettenne in Sala Verdi, Evgeny Kissin (foto a cura della Società dei Concerti) è anche Presidente onorario del Premio Internazionale Antonio Mormone. Ex enfant prodige, di lui colpiscono la profonda musicalità, lo straordinario virtuosismo, la vastità del repertorio nonché il prestigio dei musicisti con cui ha collaborato nel corso della sua intensa carriera.Evgeny Kissin e Beethoven per un omaggio ad Antonio Mormone che riscontra il tutto esaurito al box office. Programma: L. van Beethoven, Sonata n.8 in do min. op.13 “Patetica”;Variazioni e Fuga in mi bem. magg. op.35 “Eroica Variations”;Sonata n.17 in re min. op. 31 n. 2 “Tempesta”; Sonata n.21 in do magg. op.53 “Waldstein”a cura della redazione 1 dicembre 2019 Concerto al Conservatorio di Novara Oggi pomeriggio, sabato 30 novembre, il Conservatorio G. Cantelli di Novara ha offerto a un numeroso pubblico il quarto concerto della stagione, che vedeva protagonisti alcuni dei suoi migliori allievi del momento o ex allievi ormai laureati, testimonianza di una realtà formativa in campo musicale di qualità davvero notevole. Il concerto era diviso nettamente in due parti. La prima vedeva protagonista il giovane chitarrista Fabio Bussola, che presentava, come primo pezzo del suo programma, il I movimento della Sonata III del compositore messicano del primo ‘900 Manuel Ponce. Si tratta di un pezzo di non facile esecuzione, per il frequente ricorso ad accordi complessi di tre o quattro voci, che danno vita ad un robusto tessuto polifonico, entro un’intelaiatura improntata al più classico tonalismo. Bussola ha scelto un colore timbrico particolarmente efficace per la resa di questa composizione, un suono trasparente e delicato, che conferiva risalto alla complessità strutturale del brano. Molto lontano il mondo sonoro del secondo brano, l’”Introduzione e Capriccio” del compositore ottocentesco italiano Giulio Regondi, oggi noto solo a pochi intimi cultori della chitarra classica, ma ai suoi tempi celebre fanciullo prodigio delle sei corde. Improntata ad effuso lirismo gran parte dell’Introduzione, trascinato da ritmi incalzanti, ripidi salti di corda e altri virtuosismi acrobatici il Capriccio, che ha il suo ovvio modello in Paganini. Anche in questo pezzo il bravissimo Bussola se l’è cavata egregiamente, dando prova tanto di già matura capacità espressiva, senza scadere in eccessivi languori romantici, quanto di un ferreo dominio tecnico dello strumento. Infine, a mo’ di trionfale conclusione del suo personale recital, la trascrizione per chitarra della famosissima Ciaccona dalla Partita per violino n.2 BWV 1004 di J.S. Bach. Qui le capacità tecniche ed espressive del giovanissimo Bussola hanno toccato il loro vertice, consegnandoci un’esecuzione dal suono sempre preciso e rigorosamente campito, in una intelaiatura polifonica suonata pensosamente come una ieratica meditazione. Grandi applausi da parte di un pubblico decisamente conquistato.La seconda parte del concerto vedeva invece protagonista non più un singolo solista, ma un trio: il flauto di Ilaria Torricelli, il violoncello di Davide Cocito e il pianoforte della giapponese Eri Hamakawa. Bellissimo il primo pezzo proposto, uno dei gioielli del camerismo protoromantico, il Trio per flauto, violoncello e pianoforte di von Weber, in quattro movimenti. I nostri tre giovanissimi esecutori hanno quasi sempre suonato questo non facile capolavoro, superando le difficoltà interpretative ed esecutive che esso pone: ci sono in particolare piaciuti nelle brillanti figurazioni che dominano gran parte del primo tempo, e che vedono protagonisti soprattutto il violoncello e il pianoforte e nel vivace dialogo tra flauto e violoncello del Finale, dove il suono limpido e brillante dello strumento a fiato s’intrecciava suggestivamente al colore caldo e vellutato del violoncello di Cocito. Il secondo trio era opera di quel Philippe Gaubert, virtuoso del flauto e vera auctoritas del mondo musicale parigino tra le due guerre mondiali. E’ una composizione in un solo movimento, che in una cornice accademica innesta evidenti influenze del mondo musicale di Debussy, soprattutto per la ricerca di un suono sfumato e “impressionistico”. I tre giovani virgulti della scuola novarese hanno reso al meglio questa cifra della partitura di Gaubert, ottenendo un’ottima esecuzione, anche grazie al perfetto equilibrio dei piani sonori e alla finezza nel trattamento della struttura agogica e dinamica del pezzo. Alla fine, grandi applausi ai tre giovanissimi interpreti, protagonisti, col chitarrista Bussola, di un bel pomeriggio di musica. 1 dicembre 2019 Bruno Busca
NOVEMBRE 2019 Beatrice Rana in Conservatorio per la Società dei Concerti È certamente una grande pianista Beatrice Rana! Una Sala Verdi del Conservatorio al completo ha accolto la giovane interprete per un'impaginazione di brani che prevedeva Chopin con i 12 Studi op.25, Albéniz con Iberia III° volume e Stravinskij con Trois Mouvements de Petruška. È uno Chopin molto personale quello della Rana, interprete coerente nel comporre la seconda serie di Studi con un'unità stilistica che rende uniforme l'esecuzione complessiva quasi da sembrare il tutto una grande suite. La Rana, con un uso accentuato del pedale, ha inventato uno Chopin particolarmente armonioso e ricco di timbriche. La sua mirabile tecnica, al sevizio della migliore espressività, ha segnato con sicurezza e grande determinazione i relativamente brevi lavori del genio polacco. La forza manuale e anche scultorea degli Studi più agguerriti, come gli ultimi, fanno sembrare la pianista una combattente musicale che sa pienamente il fatto suo nel raggiungimento di un traguardo prestigioso. La sua incisiva personalità ha reso questi studi lontani dalla tradizione dei pianisti entrati nella storia come un Rubinstein o un Pollini, ma di sicuro interesse per originalità. Con Iberia di I. Manuel Albéniz siamo entrati in un mondo completamente diverso ma altrettanto importante. Il sapore mediterraneo dei tre ampi lavori che compongono il terzo volume, ben si addice alla cultura solare della giovane interprete pugliese. Il taglio netto, preciso e ben scandito da lei fornito, per una resa efficace e ancora di rilevante espressività, ci ha permesso di evidenziare la sintonia della Rana con la musica del primo Novecento. La modernità dei tre brani di Albéniz è stata resa in modo straordinario anticipando poi il gran finale con il lavoro successivo di Igor Stravinsky. I tre celebri Movimenti da Petruška, rappresentano infatti un cavallo di battaglia per i migliori virtuosi, soprattutto per la varietà delle timbriche sempre in cambiamento nel definire la storia della nota marionetta russa. Gli elementi ritmici e spesso percussivi, presenti nel corso dei quindici minuti del geniale lavoro, hanno trovato nella Rana una precisa e scrupolosa interprete. Con un uso del polso che sembra snodare le mani sui tasti casualmente, ottiene dinamiche diversificate nei diversi piani sonori che sprigionano ricchi e suggestivi colori. Un'interpretazione eccellente. Di qualità anche i bis regalati al pubblico. Prima Ravel con Oiseax tristes da Miroirs poi la nota Giga dalla Partita n.1 di J.S.Bach e al termine un breve Preludio (n.13)di Chopin. Fragorosi gli applausi. Da ricordare sempre! 28 novembre 2019 Cesare Guzzardella Jan Lisiecki per la Società del Quartetto Da alcuni anni il ventiquattrenne pianista canadese, figlio di polacchi, Jan Lisiecki viene in Conservatorio. Ieri lo abbiamo ancora una volta ascoltato in un programma variegato ma, a parte Bach, improntato su autori prevalentemente romantici. Insieme al grande tedesco ha interpretato Mendelssohn, Chopin e Anton Rubinstein, inserendo all'interno della successione irregolare anche Beethoven. Il Capriccio sopra la lontananza del suo fratello BWV 992 di J.S.Bach ha introdotto il concerto molto bene. Ottima l'interpretazione elargita da mani forti e sicure in una chiarezza espressiva esemplare. Anche i numerosi Mendelssohn proposti in modo alternato tra gli altri lavori, con i sei Lieder ohne Worte op.67, il Rondò capriccioso op.14 e le Variations sérieuse op.54, ci hanno rivelato un eccellente capacità interpretativa. Lisiecki è apparso un valente interprete in tutti i frangenti dove l'elemento virtuosistico risulta più appariscente. Con grande facilità ed efficacia risolve i passaggi più complessi, riservando chiarezza espressiva nei differenti piani sonori con un uso corretto delle dinamiche e del pedale. Ottimo anche il Beethoven del Rondò a capriccio in sol magg. Op.129 e il raro Valse- Caprice in mi bem. maggiore di A. Rubinstein. Dove ci è apparso meno convincente , a mio avviso, è stato su Chopin. Ha scelti brani particolarmente meditati quali i Due notturni op.27, i Due notturni op.62 e nel finale la Ballata n.4 in fa minore op.52. Gli andamenti, poco contrastati nelle dinamiche hanno reso, specie nei Notturni , in modo minore rispetto l'ottima elargizione degli altri autori. Molto efficace invece il breve bis con ancora Mendelssohn e la splendida Gondola Song op.19 n.6. Segnaliamo certamente le splendide doti emerse nei brani più riusciti e auspichiamo programmi con autori anche più vicini ai nostri giorni. Lo scorso anno ci era piaciuto moltissimo in Gaspard de la Nuit di Ravel. Un Bartók, un Prokof'ev e altri del Novecento troverebbero probabilmente in Liesiecki un interprete di grandissimo valore. Meritato successo in una Sala Verdi con molto pubblico. Da ricordare.27 novembre 2019 Cesare Guzzardella Gabriele Pieranunzi e Massimo Giuseppe Bianchi a Pettinengo (Biella) Domenica 1 Dicembre 2019, ore 17, si terrà il Concerto di Chiusura della nona edizione di Villa Piazzo in Musica, stagione musicale di Pacefuturo Onlus. Verranno eseguite musiche di Beethoven, Ravel, Brahms con Gabriele Pieranunzi al violino e Massimo Giuseppe Bianchi al pianoforte- I biglietti saranno in vendita a Villa Piazzo, via G.B. Maggia 2, Pettinengo (Biella). Da non perdere.
26 novembre 2019 dalla redazione
Vincenzo Mariozzi e Freddy Kempf diretti da Androsov in Conservatorio Un concerto diversificato quello ascoltato ieri sera in Conservatorio per Serate Musicali, con la Voronezh Symphony Orchestra diretta da Iurii Androsov. La compagine russa è stata fondata da Androsov nel 2004 e da allora tiene concerti in tutto il mondo. L'impaginato prevedeva nella prima parte musiche di Mendelssohn e C.M.v.Weber e nella seconda tutto Chopin. Dopo l'introduzione con la rara Ouverture da Concerto in fa magg. Op.32 di Mendelssohn eseguita egregiamente dall'orchestra, è salito sul palcoscenico il veterano Vincenzo Mariozzi con il suo clarinetto per un'altra rarità quale il Concerto per Clarinetto ed Orchestra in mi bem. magg. Op.74 n.2 di Carl Maria con Weber. Weber è particolarmente noto per la sua cospicua produzione per lo strumento ad ancia, sempre trattato con versatilità e spesso con virtuosismo. Mariozzi ha mostrato fluide e sicure abilità nel sostenere questo lavoro, risolvendo splendidamente anche il più esuberante e virtuoso movimento finale denominato Alla polacca. Dopo il breve intervallo, un altro virtuoso quale il pianista londinese Freddy Kempf ha proposto due noti brani chopiniani: prima il Concerto n.2 in fa minore op.21 e poi l'Andante spianato e Grande Polacca brillante op.22. Conosciamo molto bene le abilità di Kempf, avendolo ascoltato molte volte in questi anni, sempre nei concerti di Serate Musicali. Il suo evidente virtuosismo, supporto fondamentale nella resa estetica del suo ampio repertorio, con Chopin ha mostrato di non offuscare il lato più poetico ed intimo del grande musicista polacco. Il controllo delle dinamiche ed un tocco delicato, uniti ad una perfezione tecnica di primo livello, hanno portato ad un'esecuzione di qualità sia nel Concerto che nella Grande Polacca. Ottimo il contributo orchestrale nei due lavori. Peccato la mancanza di bis. Da ricordare 26 novembre 2019 Cesare Guzzardella Un grande Roberto Bolle per Boléro al Teatro alla Scala Ancora una volta il Teatro alla Scala ha riproposto un trittico di balletti noti e di grande impatto coreografico .Uno spettacolo relativamente breve ma intenso quello che in questi giorni sta riempiendo il teatro. Certo, con Bolle protagonista del Boléro di Ravel-Bejart il successo è meritatamente assicurato. Ma anche i due balletti che hanno anticipato il pezzo clou della splendida serata erano notevoli. Prima un classico di Balanchine su musiche di Bizet, poi il moderno Kylián con Petite Mort e per finire lo stravolgente Bėjart con il celebre Boléro. Come ho scritto lo scorso anno, è significativo come la forza della migliore musica possa essere potenziata e raccontata dalla danza in un tutt'uno che, a questi livelli, determina autentici capolavori. La Symphony in C di Georges Bizet non gode certo di grande popolarità, pur essendo un capolavoro musicale. È perfetta per il balletto. Il russo Georges Balanchine ha costruito uno straordinario connubbio classico tra le scorrevoli note dei quattro movimenti che compongono la Sinfonia e i passi coordinati nello splendore simmetrico dei numerosi ballerini partecipanti. Un lavoro estremamente classico che rivela la bravura di tutto il corpo di ballo scaligero e degli otto protagonisti (foto di Brescia e Amisano-Archivio Scala)tra i quali vorrei citare almeno quelli femminili con Martina Arduino, della quala ricordiamo l'eccellente Boléro dello scorso anno, con Nicoletta Manni, Gaia Andreano e Maria Celeste Losa. In Petit e Mort costruito da Jirì Kylián sui movimenti centrali di concerti mozartiano - l'Adagio del K.488 e l'Andante del K. 467- il contrasto tra lo stile classico di Mozart e la moderna coreografia risulta evidente. Si passa da un'introduzione silenziosa ad un classicismo modernizzato tenuto in vita dai dodici protagonisti tra i quali citiamo, nella quarta rappresentazione di ieri, almeno Marta Gerani, Agnese Di Clemente, Daniele Lucchetti ed Antonino Sutera, ma sono eccellenti anche i non citati. Con lo scultoreo Boléro di Ravel-Bejart e la presenza dello statuario e canoviano Roberto Bolle, abbiamo raggiunto un vertice di originalità e di immortale bellezza. Bolle nel celebre Cerchio Rosso, si muove con sensualità in una ripetizione gestuale in concordanza col noto ritmo ripetitivo del Boléro. Attorno alla pedana una schiera infinita di ballerini, con simmetria perfetta, ripetono le sue movenze avvicinandosi sempre più al cerchio sino a coprirlo. Inutile sottolineare l'entusiasmo finale ed i fragorosi applausi del pubblico tributato sia a Bolle che a tutti i protagonisti tra i quali citiamo almeno Marco Agostino, Edoardo Caporaletti, Christian Gabetti e Nicola del Freo. Ottima la direzione orchestrale di Felix Korobov ed eccellente il solista al pianoforte Takahiro Yoshikawa in Mozart. Prossime repliche previste per il 27 e 30 novembre. Da ricordare sempre! 23 novembre 2019 Cesare Guzzardella Fazil Say e Nicolas Altstaedt in Conservatorio Un'impaginato impegnativo ma di grande impatto sonoro, quello interpretato dal pianista turco Fazil Say e dal violoncellista tedesco Nicolas Altstaedt. Say è ospite da moltissimi anni della Fondazione La Società dei Concerti e nel programma inserisce sempre una sua originale composizione. Infatti tra Debussy, Janàček e Šostakovič, il brano più caratterizzante dell'ottimo concerto di ieri sera è stato la sua Sonata "Four Cities". La serata introdotta da un brano di Claude Debussy quale la Sonata in Re minore ha rivelato da subito la valida sintesi discorsiva dei due interpreti, giocata sull'esasperazione dei contrasti melodico- ritmici e su una particolare intesa nel concepire l'essenza della breve ma efficace sonata del francese. L'ottima sintonia di Say e Altstaedt si è ancor più rivelata nel successivo brano del compositore-pianista dedicato alla sua nazione. Il linguaggio musicale del turco, molto personale, è noto a tutti noi per il modo contrastato di elargire sia le originali e malinconiche melodie, che per le sonorità aspre, invasive e ricche d'effetto, anche percussivo. Il brano, in quattro parti, ha nel violoncello un ruolo certamente privilegiato ma è controllato dal fondamentale impegno pianistico, volto a sottolineare ogni frangente del sostenuto lavoro. Il giovane cellista è stato un interprete ideale in Four Cities entrando quasi in simbiosi con la dirompente musica del compagno compositore. Say lavorando sulla cordiera per i suoi tipici suoni metallo-percussivo, ci ha fatto entrare in un mondo musicale tra oriente ed occidente non disdegnando anche il jazz, suo caro amore, comparso improvvisamente nell'ultimo contrastato movimento denominato Bodrum. Ottima ed efficace l'interpretazione complessiva. Dopo l'intervallo, sulla stessa linea interpretativa, abbiamo ascoltato prima Il melodico Pohádka di Leoš Janáček e quindi la Sonata in re minore op.40 di Dmitri Šostakovič, entrambe eseguite con efficace espressività. Grande successo in Sala Verdi e due i bis concessi prima con la celebre Morte del cigno di Camille Saint-Saëns e poi con la ripetizione del dinamico e ritmico Bodrum, quarto movimento della Sonata di Say. Segnaliamo la presenza di un pubblico particolarmente giovane in una sala che generalmente trova una media d'età piuttosto alta. Da ricordare. 21 novembre 2019 Cesare Guzzardella
Die Ägyptische Helena al Teatro alla Scala Per la prima volta al Teatro alla Scala, Die Ägyptische Helena di Richard Strauss sta ottenendo un meritato successo. Anche nella quarta rappresentazione, vista ieri, un numeroso pubblico ha tributato sinceri applausi a quest'opera non facile, che trova nella scintillante musica del compositore-direttore tedesco, una forza persuasiva nell'intricata vicenda del libretto di Hofmannsthal, ricca di simbologie, spesso non facili da interpretare. Il Teatro alla Scala ha fatto una scelta coraggiosa per un lavoro poco noto che adesso può vantare un inserimento dovuto insieme a Salome, Elektra, Der Rosenkavalier o Ariadne auf Naxos, solo per citare le più celebri opere. Ancora una volta, la riuscita della messinscena la ritroviamo nella somma delle varie ed efficaci parti che la compongono. La musica, ottimamente diretta da Franz Welser- Möst- direttore specialista in Strauss e da poco sentito alla Scala anche nell'Ariadne - è struttura portante, nella valida regia di Sven-Eric Bechtolf, nelle originali scene di Julian Crouch completate dai video di Josh Higgason, nei costumi di Mark Bouman e soprattutto dall'ottimo cast vocale presente, insieme naturalmente all'eccellente coro preparato da Bruno Casoni. Una musica, quella di Strauss, che riassume nell suo infinito sviluppo uno stile tipico e personale, che sintetizza l'esperienza consolidata nelle precedenti opere in una sorta di grande mestiere con momenti di importante creatività. Ottima l'idea di Bechtolf, realizzata da Crouch, di occupare quasi interamente la scena con un'enorme radio a valvole anni '20, grande contenitore apribile che ospita la voce di Etra, principessa e oracolo egizio che dovrà indicare soluzioni nel difficile rapporto conflittuoso/amoroso tra Elena e Menelao. Senza entrare ulteriormente nella vicenda segnaliamo (foto di Brescia e Amisano- Archivio Scala) il prestigioso cast vocale: primi fra tutti Elena nella corposa ed efficace voce di Ricarda Merbeth e Menelao, intenso e chiaro Andreas Schager. Di primo livello anche Etra, principessa e maga, nella voce di Eva Mei e ottimo Altair nella persuasiva voce di Thomas Hampson. Validi Da-ud, figlio di Altair, nella voce di Attilio Glaser e Die allwissende Muschel , Claudia Huckle. Segnaliamo anche Hermione, Caterina Maria Sala e bravi tutti gli altri. Le prossime repliche saranno il 17, il 20 e il 23 novembre. Assolutamente da non perdere. 16 novembre 2019 Cesare Guzzardella Le Stagioni di Vivaldi-Richter e Piazzolla con I Virtuosi Italiani Molto interessante l'impaginato ascoltato ieri sera al Dal Verme che prevedeva riferimenti ad Antonio Vivaldi, in realtà due lavori molto personalizzati di Max Richter e di Astor Piazzolla. Le Quattro Stagioni di Vivaldi-Richter, sono i dodici noti movimenti rivisitati in chiave minimalista dei celebri Concerti per violino ed archi del grande veneziano. I principali temi di ogni stagione vengono riferiti e poi modificati negli accenti e spesso armonicamente dal compositore tedesco (naturalizzato inglese), classe 1966, da sembrare più scarni ed essenziali, con anche atmosfere New Age, ma indubbiamente di ottima qualità costruttiva ed espressiva. Una sorta di Settecento dei giorni nostri che rimanda in continuazione al grandissimo Antonio Vivaldi. Ricordiamo la presenza oltre che degli archi , di un ottimo clavicembalo ed dell'importante arpa di Giulia Rettore. Splendida l'operazione, interpretata molto bene da I Virtuosi Italiani diretti da Alberto Martini dalla sua posizione di primo violino, e con un ottimo violino solista quale Markus Placci. Dopo il breve intervallo, Vivaldi rimane solo un lieve riferimento per le geniali Cuatro Estaciones Porteñas di Astor Piazzolla nello splendido arrangiamento del russo Leonid Desyatnikov. Le Stagioni di Piazzolla, anche nel lavoro trascrittivo fatto dal russo, sono tra le cose più popolari ed eseguite al mondo. Recentemente si erano sentite dagli inarrivabili Archi dei Berliner Philharmoniker in Auditorium. Anche I Virtuosi Italiani e il violinista Placci hanno eccelso in qualità espressiva con un'interpretazione certamente fluida e ben accentuata. Bravissimi tutti ed in particolare oltre al violinista Placci, perfetto nelle intonazioni, anche il primo violoncello Leonardo Sapere, con ruolo preponderante e rilevante cantabilità in alcune stagioni. Splendido il concerto e bis con ripetizione di movimenti dai due lavori. Da ricordare a lungo.Replica per sabato alle ore 17.00.15 novembre 2019 Cesare Guzzardella Milano Musica alla Scala per Luca Francesconi Il concerto scaligero di ieri sera, organizzato da Milano Musica e in replica a quelli della torinese Stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, presentava il brano di Luca Francesconi del 2015 Macchine in echo. Dopo il breve intervallo, erano in programma due classici di primo Novecento quali la Suite Sinfonica op.33bis da L'amore dalle tre melarance di Prokof'ev e L'Oiseau de feu di Stravinskij. La complessa composizione di Francesconi di circa trenta minuti, ha come protagonisti due pianoforti che in contrasto o in complemento con l'orchestra trovano ispirazione da gruppi di note sottili e repentine. La lunga introduzione riservata alle sole mani di Emanuele Arciuli e di Andrea Rebaudengo, due noti specialisti del vasto repertorio contemporaneo, detta la cifra stilistica dell'intero complesso lavoro dove la componente orchestrale, nell' ottima direzione di Juraj Valcuha, diventa un completamento strutturale di più robusto spessore. Il brano, certamente di notevole suggestione timbrica, utilizza tecniche anche provenienti dalla musica concreta del secondo Novecento ed è ricco di elementi d'effetto con anche timbriche stridenti nei sovracuti dei violini e con sonorità a volte di grande impatto volumetrico. I pianoforti, utilizzati spesso in contrasto tra le note percussive della parte bassa della tastiera e quelle chiare e trasparenti della zona alta, creano infiniti effetti di simmetria di architettonica luminosità. La battute conclusive, distese e risolutive sono affidate alle sonorità delle arpe, che nelle timbriche, meno sonore ma sicure, ci portano al silenzio. Fragorosi gli applausi agli ottimi protagonisti ed anche a Francesconi salito poi sul palcoscenico. I due noti lavori del primo '900, hanno rivelato ancora una volta le qualità della Sinfonica Rai nel repertorio più vicino ai nostri tempi. La bacchetta precisa di Valcuha e la sua discreta ma produttiva gestualità hanno prodotto due esecuzioni di alto livello, molto apprezzate dal numerosissimo pubblico presente in un teatro con molti giovani, con ascoltatori specialisti ed appassionati di musica contemporanea. Da ricordare. 12 novembre 2019 Cesare Guzzardella Giuseppe Albanese diretto da Pier Carlo Orizio in Conservatorio Avevo ascoltato il pianista Giuseppe Albanese in musiche di Franz Liszt nel 2017, per la prima volta ospite della Società dei Concerti. Poi lo scorso anno al Dal Verme in Malédiction, sempre del virtuoso compositore ungherese. Ieri sera, ancora per la Società dei Concerti, è tornato in Sala Verdi con un programma con orchestra che nella prima parte prevedeva ancora Liszt, quello dei due concerti per pianoforte ed orchestra. L'impaginato trovava nella seconda parte anche la Quarta Sinfonia di Schumann. L'ottima compagine orchestrale era la Filarmonica del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo diretta da Pier Carlo Orizio. Il quarantenne pianista calabrese ha ancora una volta dimostrato sicure affinità con il virtuosismo di Liszt. In entrambi i concerti - particolarmente importanti nella produzione lisztiana anche se eseguiti poco - Albanese ha rivelato una completa interiorizzazione di ogni componente musicale, padroneggiando la tastiera e restituendo dettagli timbrici con chiara demarcazione espressiva. Rilevante la sinergia con i giovani e preparatissimi Filarmonici. L'ottima direzione di Orizio ha messo in risalto ogni esternazione virtuosistica della compagine orchestrale, in perfetta armonia con i timbri del solista. Il Concerto n.2 in La maggiore S 125 , probabilmente più popolare del n.1 in Mi bemolle maggiore, ha trovato momenti magici nella parte finale dove Albanese con maestria coloristica ha evidenziato sonorità precise e raffinate nei registri più alti della tastiera. Fragorosi gli applausi del pubblico intervenuto in Conservatorio e due i bis solistici concessi dal virtuoso. Prima un profondo Scrjabin con il Notturno per la mano sinistra op.9 n.2 e poi un rarissimo e delicatissimo Perpetuum Mobile Op.24.di Carl Maria von Weber dalla relativa Sonata in Do maggiore. Di qualità la Sinfonia n.4 in Re minore op.120 di Robert Schumann eseguita dopo l'intervallo. Pier Carlo Orizio e la Filarmonica hanno espresso una robusta ed espressiva sintesi discorsiva in tutti i quattro movimenti dell' ultima sinfonia del grande compositore tedesco. Da ricordare. 7 ottobre 2019 Cesare Guzzardella
OTTOBRE 2019 La violoncellista Alisa Weilerstein ha debuttato a Milano Il debutto milanese della violoncellista statunitense Alisa Weilerstein ha lasciato un segno positivo ieri in Conservatorio nalla serata organizzata dalla Società dei Concerti Accompagnata dal pianista israeliano Inon Barnatan , ha eseguito brani di Brahms e di Šostakovič con grande passione e calda discorsività. Come spesso accade per molti violoncellisti, la scelta delle trascrizioni di brani originali per strumenti affini risulta soddisfacente. Nell' Op.78 di Brahms, la sostituzione del violino solista col timbro ricco di calore del violoncello ( trascr. Klengel) è particolarmente diffuso con resa estetica simile. La Sonata in re maggiore è stata interpretata ottimamente dal duo e la Weilerstein ha sottolineato con incisività plastica ogni peculiarità dei tre movimenti. Anche nei due, meno celebrati ma di analoga qualità, brani di Šostakovič, il duo ha espresso alta qualità. La Sonata in re minore op.40 e la Sonata Op.147, due lavori di ampio sviluppo, hanno lo stile tipico del grande russo, caratterizzato da continui contrasti e da ritmiche molto accentuate. Sono stati composti a distanza di circa quarant'anni l'uno dall'altro. Nel primo prevale maggiormente la componente romantica. Nel secondo, noto soprattutto nell'esecuzione originaria per viola -splendidamente trascritto dal violoncellista Daniel Shafran - la rarefazione timbrica del tessuto melodico-armonico raggiunge l'apice nel profondo ed espressivo Adagio finale. La Sonata op.147 è stata composta nell'ultimo anno di vita del compositore, il 1975. Pregnante l'interpretazione dei due interpreti in entrambi i lavori. Di grande fluidità e melodicità i Sei lieder brahmsiani proposti prima della sconvolgente sonata del russo e arrangiati da Weilerstein e da Barnatan. Qui il canto della cellista, pregnante e profondo, ha raggiunto traguardi decisamente alti. Successo di pubblico e lunghi applausi. Intenso bis concesso con la ripetizione del lied In Waldeseinsamkeit. Da ricordare. 31 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Bacchetti, Alogna e l'Orchestra da Camera fiorentina in Conservatorio Conosciamo bene le qualità di Andrea Bacchetti, pianista genovese che da anni ascoltiamo in Sala Verdi e del quale apprezziamo le doti interpretative, soprattutto nel repertorio del '700. Ieri insieme a lui, la presenza di un giovane violinista quale Davide Alogna ha reso vario e maggiormente interessante un programma interamente dedicato a Mozart. Accompagnati dall'Orchestra da Camera Fiorentina diretta da Giuseppe Lanzetta, li abbiamo ascoltati alle Serate Musicali in tre lavori "galanti" mozartiani, da soli e insieme. Il Concerto n.8 per pianoforte e orchestra in do maggiore K.246 ha visto prima solo Bacchetti, il Concerto per violino, pianoforte e orchestra in re maggiore K.315f ha visto entrambi i solisti e il Concerto per violino e orchestra n.3 in sol maggiore K.201 solo Alogna. Bacchetti ha un suono eccellente, luminoso e preciso nella forma. Ha trovato una buona orchestra, con timbriche molto italiane , a delineare i tre tempi del primo concerto, caratterizzati da una freschezza giovanile di un Mozart ventenne. Di qualità l'interpretazione. Il Concerto per violino, pianoforte ed orchestra, rimasto incompiuto da Mozart, è stato completato con i due ultimi movimenti della Sonata K.306 , e ci ha rivelato le valide sinergie dei due principali interpreti. Alogna, dotato di una rilevante qualità timbrica, ha eseguito con chiarezza espressiva, con il suo prezioso violino Carlo Antonio Testore del 1712, la parte melodica che è risultata ben integrata con quella pianistica. I due strumentisti hanno poi eseguito come bis il Rondò della Sonata in Do maggiore K.296 di Mozart, dimostrando ancor più un'ottima resa interpretativa. Il terzo concerto della serata ha proposto uno dei migliori capolavori di Mozart. Il n.3 per violino ed orchestra detto anche "Strassburger Konzert", è celebre per la raffinata scrittura solistica e la bellezza delle sue melodie. Valida l'esecuzione fornita da Alogna, ricca di fluidità e di colori mediterranei. A conclusione della serata abbiamo ascoltato una piacevole Sinfonia n.29 in la maggiore K.201. Applausi al direttore Lanzetta e agli Orchestrali dalla platea non al completo di Sala Verdi.30 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Grande successo in Conservatorio per il ciclo brahmsiano della LaFil diretta da Daniele Gatti Si è conclusa con un tripudio di interminabili applausi la rassegna musicale dedicata a Johannes Brahms. Una Sala Verdi affollatissima con moltissimi appassionati che in piedi hanno applaudito per circa dieci minuti la Filarmonica di Milano - LaFil diretta da Daniele Gatti. Il direttore milanese, al termine, ha ringraziato Luca Formenton, sostenitore di questa splendida operazione musicale che ha portato giovani strumentisti di altissimo livello, provenienti dalle migliori orchestre europee in questa formidabile formazione, un gruppo di strumentisti che probabilmente nel rapporto età-qualità non ha uguali al mondo. Un'esecuzione strepitosa, forse la migliore ascoltata in questi due giorni, è stata quella della Quarta Sinfonia, a conclusione del ciclo di quattro concerti. Riassumendo: oltre le quattro sinfonie brahmsiane, tra il pomeriggio e la sera di sabato e di domenica, abbiamo ascoltato la Tragica Ouverture op.81, le Haydn Variazioni op.56a e il Trio per violino, corno e pianoforte op.40. In aggiunta ai lavori brahmsiani non dimentichiamo il celebre Concerto per violino op.61 di Beethoven e il meno eseguito Concerto per violoncello op.129 di Schumann. Una tale quantità di brani che hanno rivelato ogni peculiarità dei giovani orchestrali e la determinazione progettuale dell'instancabile direttore a raggiungere obiettivi di primo livello. Il lavoro introduttivo proposto sabato, il Trio per violino, corno e pianoforte, si è avvalso del talento del cornista Natalino Ricciardo, della classe del violinista Frank Peter Zimmermann e delle indiscusse doti pianistiche del riminese Enrico Pace, per una resa interpretativa eccellente. Il raro brano è stato l'unico cameristico della rassegna. Zimmermann e il suo Stradivari del 1711, sono tornati alla sera per un'interpretazione memorabile del Concerto in re maggiore di Beethoven. La dolcezza del violino del virtuoso tedesco, unitamente alla capacità di penetrare con sicurezza ed espressività ogni particolare, hanno contribuito a rendere di altissima qualità la resa complessiva. Ottima la direzione di Gatti e ovazione finale da parte del numeroso pubblico serale. Evidente la soddisfazione di Zimmermann che ha concesso un bellissimo bis con Melodia di Béla Bartòk. Decisamente di valore anche il Concerto in la minore op.129 di Schumann proposto domenica pomeriggio. Il violoncellista Jan Vogler ha rivelato grande classe attraverso sonorità cristalline nel evidenziare la melodicità del lavoro schumanniano. Il concerto è un unico movimento che riassume le classiche tre parti. Il solista risulta dominante ed è spesso potenziato da interventi orchestrali splendidamente gestiti dalla LaFil. Grande successo al termine in una sala non al completo. Tutta l'opera orchestrale di Brahms proposta da Gatti ha raggiunto livelli alti, con momenti esaltanti nei frangenti di maggior voluminosità. Il gesto deciso di Gatti, ben assorbito dagli strumentisti, ha esaltato l'equilibrio architettonico del sinfonismo brahmsiano. I contrasti dinamici ben evidenziati nella complessa tessitura armonica e i momenti di grande impatto sonoro dei monumentali finali, hanno trovato in Gatti una direzione ideale, molto nordica e dalla linee molto marcate, ben in risalto nei differenti piani sonori. La Quarta Sinfonia op.98 è a mio avviso quella che ha rivelato il maggior equilibrio tra i momenti di pacata esternazione, delineati benissimo da morbidi chiaro-scuri, e quelli di aggressiva volumetria nel quale Gatti ha mostrato di essere grande Maestro. Un ciclo splendido che rimarrà nella memoria di tutti gli appassionati intervenuti e che rende Milano ancor più importante nel panorama musicale mondiale. Da ricordare sempre! 28 ottobre 2019 Cesare Guzzardella La nuova Stagione cameristica della Verdi al Teatro Gerolamo È iniziata la Stagione cameristica de LaVerdi, questa volta al Teatro Gerolamo, piccolo, raccolto e raffinato teatro storico milanese di Piazza Beccaria 8. Domenico Nordio, primo violino, insieme ai Solisti della Verdi, Luca Santaniello, secondo violino, Gabriele Mugnai, viola e Tobia Scarpolini, violoncello, hanno formato un ottimo quartetto d'archi che ha presentato due brani importanti quali il Quartetto in Sol minore op. 10 L85 di Claude Debussy e il Quartetto in Fa maggiore di Maurice Ravel. Entrambi eseguiti in mattinata con energia e rigorosità, i due lavori dei primi anni del '900 rappresentano un momento di partenza per la nuova musica che cambierà le modalità compositive del nuovo secolo. Decisamente in sinergia, i quartettisti, con un equilibrio formale ottimale che è stato ben messo in risalto dall'acustica della piccola sala adatta agli archi hanno rivelato un timbro complessivo avvincente. Il concerto interrotto dalla rottura di una corda nel violino di Nordio durante l'ultimo movimento del quartetto di Debussy, è quindi subito ripreso. Due i bis, con una trascrizione da un classico di Faurè e ancora il finale del quartetto di Ravel. Applausi calorosi! La bellissima stagione di musica da camera continuerà domenica prossima alle ore 11.00 con una pianista, Irina Kravchenko che interpreterà Beethoven, Schumann e Čaikovskij. Da non perdere! 27 ottobre 2019 C.G.Due russi per il direttore Stanislav Kochanovsky Kochanovsky, giovane direttore di San Pietroburgo, ha diretto con particolare dedizione l'Orchestra Sinfonica Verdi di Milano proponendo due lavori ricchi di significato quali il Concerto per violino e orchestra n.2 in sol min. Op.63 di Sergej Prokof'ev e la rara Suite n.3 in sol magg. Op.55 di P.I.Čaikovskij. Nel primo brano la violinista tedesca, di Monaco, Carolin Widmann ha sostenuto con eccellente prestazione il ruolo violinistico. Il bellissimo concerto di Prokof'ev, del 1934-35, è tutto giocato sulla grande melodicità della parte violinistica che entra da subito come protagonista. La scrittura tonale del lavoro ha una linea melodica ricca di continui e vari cambiamenti tali da rendere il brano ricco di significati. Il concerto ha un momento di ancor più intenso lirismo nello straordinario Adagio assai. La Widmann ha sostenuto splendidamente il ruolo solistico con una lettura precisa e ricca di espressività, mostrando di sentire con profondità l'anima russa che il concerto rivela. La perfetta intonazione e la sicurezza dimostrata, nella raffinata esecuzione, la pongono tra le migliori interpreti di questo capolavoro. Ottima la lettura di Kochanovsky che ha messo ben in risalto la parte solistica con equilibrate e corrette timbriche. Valido il bis concesso dalla Windmann con la più nota Sarabanda di J.S Bach. La Sinfonica Verdi ha ancora una volta dimostrato attitudini di primo livello per i compositori russi, prima con questo lavoro e poi con la lettura data alla Suite n.3 di Čaikovskij. Il brano del 1884 è di mirabile fattura ma poco eseguito. In quattro parti, presenta un ultimo movimento, Tema con variazioni, di lunghe proporzioni in cui dodici variazioni di un classico tema ben delineato, terminano con un tutto orchestrale di grande impatto sonosro nella tipicità coloristica del russo. Kochanovsky ha sostenuto benissimo gli equilibri coloristici dell'orchestra con un dosaggio dinamico minuzioso e raffinato. Grande successo e fragorosi applausi per entrambi i lavori. Domenica alle ore 16.00 la replica. Da ricordare. 26 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Denis Matsuev per la Società dei Concerti Il recital tenuto in Conservatorio dal quarantaquattrenne pianista siberiano Denis Matsuev è tra quelli che lasciano un segno indelebile. Per la prima volta ospite della Società dei Concerti, Matsuev proviene da una scuola russa che ha nei grandissimi interpreti del passato come Horowitz, Richter o Gilels, esemplari riferimenti. Ascoltandolo live per la prima volta, debbo riconoscere la sua singolare personalità, dove una tecnica dirompente e completamente interiorizzata si sovrappone ad un controllo delle dinamiche sorprendente, per una resa qualitativa molto alta. L'impaginato prevedeva due grandissimi della musica quali Liszt e Čaikovskij, con due monumenti come la Sonata in si minore e la Grande Sonata in sol maggiore, uniti rispettivamente a Mephisto Valzer, eseguito dopo la sonata e Dumka op.59, eseguita prima della grande sonata del russo. Matsuev, alto oltre un metro e novanta e particolarmente robusto ed atletico, è un pianista di forza. L'impatto fisico, dai più tenui Sol ripetuti del Lento assai a quelli scultorei dell'Allegro energico - ottava battuta nella Sonata lisztiana- ha da subito dato idea della sua personale cifra espressiva. È un pianista che trova nella forza delle mani il mezzo per produrre volumetrie di grande impatto sonoro ma, all'occorrenza, sa essere estremamente misurato. Eccellente l'uso dei pedali, per delle chiare timbriche definite da un corretto equilibrio delle dinamiche. L'impressionante scorrevolezza delle dita in una postura perfetta, con mani aderenti alla tastiera, ci ricorda- come detto- l'inarrivabile scuola russa che ha permesso a Matsuev di vincere il prestigioso Concorso Čaikovskij nel 1998, premio che ha dato inizio a carriere importanti ad altri celebri pianisti russi viventi quali Lugansky o Trifonov. Decisamente rilevante anche il celebre Mephisto Valzer, lavoro di trascendentale virtuosismo che ha concluso la prima parte. Il più romantico Čaikovskij della Grande Sonata, anticipata da una ottima e folclorica Dumka, ha trovato ancora un valente interprete in Matsuev e la smisurata velocizzazione dei due ultimi movimenti, lo Scherzo ed il Finale. Allegro vivace, nella perfetta chiarezza coloristica, ha reso questo lavoro, durato solo ventisette minuti, più breve del previsto. Successo di pubblico con fragorosi meritati applausi e ben quattro i bis concessi dal generoso Matsuev: prima il prezioso e delicato Anatoly Lyadov di The Music Box op.32, poi Jean Sibelius con l'altrettanto tenue Etude dai 13 Pezzi op.76, quindi di Edvard Grieg /Ginzburg ed il prorompente In the Hall of the Mountain King dal Peer Gynt, per finire con una splendida improvvisazione jazz su Take the A Train di Duke Ellington che ricordava nello stile l'insuperabile Oscar Peterson. Da ricordare.24 ottobre 2019 Cesare Guzzardella I Virtuosi dei Berliner a favore di VIDAS Un'occasione imperdibile quella di ieri sera in Auditorium. Il concerto straordinario a favore di VIDAS, prevedeva infatti la presenza de I Virtuosi dei Berliner, un gruppo di dodici archi, prime parti della gloriosa orchestra Berliner Philharmoniker che, capeggiati da Laurentius Dinca, dal 1993 portano in giro per il mondo programmi splendidi come quello ascoltato ieri. La serata, presentata da Ferruccio de Bortoli, Presidente VIDAS, prevedeva brani di Johan Strauss, Gioacchino Rossini, Béla Bartók, Arturo Cardelús e Astor Piazzolla. Tutti lavori particolarmente melodici e di grande impatto musicale adatti al grande pubblico. L'Ouverture da "Il Pipistrello" di J. Strauss ha introdotto il concerto, subito seguita dalla Sonata n.6 in Re maggiore del musicista pesarese Rossini. Entrambi i lavori ci hanno portato in una luminosa atmosfera lirica di orecchiabili melodie eseguite mirabilmente. È con le Danze popolari rumene di Bartók che abbiamo iniziato a comprendere la qualità eccelsa di questo gruppo cameristico. I raffinati brevi brani folcloristici del compositore ungherese, trascritti per i dodici archi, hanno rivelato le qualità di ogni componente il gruppo, prime fra tutte quelle del violinista rumeno Dinca - nato a Bucarest- ma anche quelle del primo violoncello, spesso presente con rilevanti interventi solistici. Nella seconda parte della serata, il brano introduttivo del giovane compositore spagnolo Cardelús, Call me Francis Suite, era perfetto per anticipare il genio di Astor Piazzolla, splendidamente rappresentato con Tango de Ballet e Le Quattro Stagioni mirabilmente arrangiare da Desyatnikov. In queste, Dinca, posizionatosi in piedi in una posizione centrale, ha condotto Piazzolla in momenti di esaltante pura raffinatezza strumentale. Eccellenti anche le cadenze solistiche. Applausi fragorosi al termine e un bellissimo bis con un brano molto bello del compositore trentino Roberto Di Marino (1956). Ricordiamo per chi volesse sostenere VIDAS, che da poco ha realizzato la Casa Sollievo Bimbi, hospice pediatrico lombardo, (foto) e di telefonare al numero 02 72511203 oppure di fare un versamento c/c postale n. 23128200 intestato a VIDAS - Volontari Italiani Domiciliari per l'Assistenza ai Sofferenti Onlus. Serata da ricordare. 23 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Una rarità di Antonín Dvorak per Fiorenzo Pascalucci L'impaginato di ieri sera prevedeva un brano di raro ascolto e particolarmente interessante quale il Concerto per Pianoforte ed Orchestra in sol minore Op.33 di Antonín Dvorak. Un composizione del 1876 che non gode di popolarità come l'Op.104 per violoncello e orchestra, ma che presenta spunti melodici particolarmente rilevanti. La North Czech Philharmonic Orchestra Teplice diretta con cura da Alfonso Scarano presentava al pianoforte Fiorenzo Pascalucci, interprete di ottimo livello che ha affrontato in modo determinato ogni difficoltà di questo lavoro, impegnativo e particolarmente virtuosistico. La buona sinergia con la compagine orchestrale ha prodotto un valido risultato complessivo specie nell'Andante sostenuto centrale, di raffinata liricità e nel terzo ed ultimo movimento, Allegro con fuoco. Qui Pascalucci ha espletato con maggiore rigore ed espressività il contrastato e vivace tessuto armonico-melodico ricco d'inventiva. Di qualità il bis concesso dal solista con un noto brano di Claude Debussy, l'Isle Joyeuse interpretato con sicurezza, e luminosa espressività. Dopo il breve intervallo valide l'esecuzioni della Sinfonia n.38 in re maggiore "Praga" di W. A. Mozart e la Suite ceca op.39, ancora di Antonin Dvorak. Peccato la bassa affluenza di pubblico, probabilmente anche a causa della pioggia. 22 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Un Beethoven strepitoso con Jordi Savall e Le Concert des Nations È da molti anni che non ascoltavo un Beethoven così grande. C'è voluto il direttore spagnolo Jordi Savall e Le Concert des Nations ha farmi ritrovare la genialità assoluta del grande compositore tedesco. Il programma ascoltato ieri in Sala Verdi, per la Società del Quartetto, prevedeva due pilastri musicali quali la Terza e la Quinta Sinfonia. Siamo stati abituati alla frequentazione di Savall al Conservatorio milanese nel repertorio di musica antica o del '700, anche per l'uso costante di strumenti d'epoca. Questi strumenti, soprattutto nella sezione dei legni e degli ottoni, sono stati utilizzati anche per Beethoven: due capolavori più raccolti nei momenti cameristici alternati da una prorompente estroversione nei frangenti più voluminosi. La bellezza delle timbriche, la chiarezza dei singoli strumenti, tutti riconoscibili e perfettamente inseriti, gli equilibrati piani sonori, hanno reso le due interpretazioni di un livello di assoluta qualità estetica, che ha fatto emergere le profondità di pensiero del genio di Bonn. Il pubblico, al termine della Sinfonia n.3 "Eroica" op.55 e quindi al termine della Quinta op.67, ha mostrato di aver compreso perfettamente di trovarsi di fronte ad interpretazioni uniche, tributando applausi interminabili. Savall, al termine del concerto ha voluto ricordare l'avv. Antonio Magnocavallo, presidente per molti anni della prestigiosa Società del Quartetto. Una serata da ricordare, sempre! 19 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Benedetto Lupo e la Dortmunder Philharmoniker per la Società dei Concerti L'impaginato ascoltato ieri sera prevedeva due lavori particolarmente noti e impegnativi, con carattere musicale spesso profondamente serio, definito da grandi sviluppi sinfonici. Stiamo parlando del Concerto n.1 in re minore op.15 per pianoforte di Brahms e della Sinfonia n.6 in si minore Op.74 "Patetica" di Čaikovskij. Anche nel concerto pianistico dell'amburghese, la presenza di una grande orchestra, ricca di timbriche, rende molto sinfonico un lavoro dove anche il pianoforte è sovente trattato orchestralmente. In questo brano di particolare difficoltà tecnica, la presenza di un ottimo pianista quale Benedetto Lupo ha favorito la valida resa interpretativa. L'Orchestra tedesca Dortmunder Philharmoniker e il suo direttore Gabriel Feltz, sono una presenza costante nelle serate della nota società concertistica milanese. Lupo, vincitore nel 1989 -primo italiano - al prestigioso Concorso Internazionale Van Cliburn, ha espresso doti di primo livello attraverso un'esecuzione sicura e ben evidenziata in ogni frangente. Momenti di nitore espressivo melodico sono stati quelli dell'Adagio centrale, mentre grande energia dinamica e fluidità molto accentuata sono emerse nel Rondò finale. Ottima la sinergia con Feltz e gli orchestrali. Lupo ha inoltre concesso un valido bis con un Intermezzo brahmsiano. La forza energetica della Sinfonia "Patetica", ascoltata dopo l'intervallo, è nota a tutti e conclude un ciclo musicale fondamentale per il grande russo. L'alternanza di pacati momenti melodici a fragorosi timbriche orchestrali ha messo in risalto l'ottimo livello esecutivo di questi ottimi strumentisti ben forgiati dal direttore Feltz. L'atmosfera rarefatta, riflessiva e sconvolgente delle ultime battute di questo capolavoro, sintetizza la grandiosità del genio russo ben evidenziate dalle qualità espressive della compagine orchestrale. L'ottima qualità espressiva fornita in entrambi i lavori ha portato a fragorosi applausi a prestazioni concluse, con continue uscite sul palcoscenico dei protagonisti. Da ricordare.17 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Yevgeny Sudbin alle Serate Musicali Il trentanovenne pianista di San Pietroburgo Yevgeny Sudbin viene da molti anni in Conservatorio per Serate Musicali. Ieri sera il suo impaginato era come sempre diversificato, con il suo classico Scarlatti che anticipava Čaikovskij, Scr iabin, per concludere con Ravel. Conosciamo il suo virtuosismo e la sua capacità di trascrittore-rielaboratore, come nel brano ascoltato, l'Ouverture-Fantasia da Romeo e Giulietta di Čaikovskij. Le Quattro Sonate di Domenico Scarlatti da lui scelte - K.197-K.9-K.159, K.27, cui si aggiunge una quinta eseguita come bis- K.466- eseguita al termine del concerto, erano tra le più note e, dimenticando la Mayer, i Michelangeli o gli Horowitz, che le avevano in repertorio, ci sono apparse curate, corrette ma non tali da rappresentare elementi di novità interpretativa. Più interessante il suo Čaikovskij, soprattutto quello della Ouverture-Fantasia, eseguita con impeto ed abilità costruttiva. Dopo l'intervallo ai due Notturni dalle op.10 e op.19 ,sempre del grande russo ed eseguiti con pacata riflessività, è seguito il Notturno per la mano sinistra di Scriabin, un brano particolarmente riuscito, certamente non facile, che ha ulteriormente esaltato il bisogno riflessivo dell'interprete. Il conclusivo Ravel con il celebre Gaspard de la Nuit, ha, secondo me, alzato di parecchio il livello complessivo della serata. È da molto tempo che riscontriamo in Sudbin, come spesso accade per i giovani interpreti, maggiori qualità nel repertorio del '900. Nel 2017 avevamo ascoltato un eccellente Medtner con la Sonata tragica ora, dopo il bellissimo Notturno di Scriabin, con Gaspare de la Nuit Sudbin ha trovato qualità di alto livello interpretativo. Validi tutti e tre i noti "Poemi" , sia Ondine che Le Gibet, che Scarbo, con ancor più originalità negli ultimi due. Fragorosi gli applausi dal pubblico presente in Sala Verdi.15 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Brani di raro ascolto alle Serate Musicali Ieri sera in Sala Verdi abbiamo ascoltato un valido concerto con l'Orchestra Antonio Vivaldi diretta da Luca Ballabio. Il programma prevedeva oltre la celebre Quinta Sinfonia di Beethoven eseguita dopo l'intervallo, una prima parte con due rarità quali il Piccolo Concerto per Muriel Couvreux per pianoforte e orchestra da camera di Luigi Dallapiccola e la Sinfonia Concertante per mandolino, tromba, contrabbasso e pianoforte di Leopold Antonín Kożeluh. Il pianoforte di Enrico Pompili, solista in tutti e due i brani, ha avuto il sostegno di Carlo Aonzo, mandolino, di Alex Elia, tromba e di Matteo Zabadneh, contrabbasso viennese, nel brano di Koźeluh. Valide tutte le interpretazioni con la giovanissima Orchestra Vivaldi supportata molto bene dalla direzione di Ballabio. L'interessante concerto di Dallapiccola (1904- 1975) e stato composto negli anni '39-'41, dedicato alla giovanissima figlia di un'amica -Muriel di sette anni-, ha caratteristiche serene e una scrittura neo-classica che attinge a Stravinsky e ad una altri musicisti di primo Novecento pur presentando una scrittura personale e molto varia nella quale la parte solistica, sostenuta dall'ottimo Pampili, ha un ruolo importante, unitamente alla variegate timbriche del complesso cameristico. La rara Sinfonia Concertante di Koźeluh (1747-1818), contemporaneo di Haydn e di Mozart, presenta altrettanta vivacità coloristica e vede alternarsi le sonorità dei quattro strumenti solisti -mandolino, tromba, contrabbasso e pianoforte- per un tripudio di variazioni su un tema che rivelano l'efficace piacevolezza di questo unico , nel genere, lavoro musicale. Ottime le parti solistiche e la resa coloristica dell'orchestra. Valida dopo l'intervallo la Quinta di Beethoven. Applausi dal pubblico in una Sala Verdi con molti posti liberi. Da ricordare.14 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Quartett: l'opera di Luca Francesconi ritorna al Teatro alla Scala Sono passati otto anni dalla prima messinscena scaligera di Quartett. L'opera in un atto del compositore milanese in questi anni ha trovato successo in molti palcoscenici europei. Adesso la ripresa del tagliente lavoro di Francesconi s'inserisce anche nel contesto di un festival di musica contemporanea organizzato da Milano Musica ed a lui dedicato. Come già scrissi nel 2011, "Quartett" è ispirata dall'omonima pièce teatrale di Heiner Müller ed è liberamente tratta da Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. La messinscena del regista Alex Ollè-La Fura dels Baus- ripresa da Patrizia Frini- è indubbiamente valida ed è dettata da una ricercata modernità che unisce sapientemente più ambiti espressivi in eccellenti sinergie, creando un'ambientazione che calza bene le non facili ma incisive timbriche musicali di Francesconi. Centro della rappresentazione è una camera-scatola posta in una parte centrale ed alta del palcoscenico, circondata in tutti i lati da uno schermo nel quale vengono proiettate immagini che hanno un ruolo di completamento visivo. I due cantanti protagonisti della messinscena, sono ancora oggi Alliso n Cook, la Marquise de Merteuil e Robin Adams, il Vicomte de Valmont. Ancora una volta i due cantanti hanno mostrato ottime qualità vocali ed attoriali ed hanno definito il testo in inglese con rilevante teatralità inserendo vocalità e recitazione in perfetta concordanza con la suggestiva componente sonora. La parte musicale è sostenuta da due formazioni orchestrali, una nella buca ed una seconda nascosta insieme al coro. La direzione musicale è stata in modo eccellente interpretata da Maxime Pascal. La direzione musicale è completata da una parte sonora elettronica curata da Serge Lemouton. Le scene ( foto di Amisano e Brescia dall’archivio Scala) di Alfons Flores sono spesso un tutt'uno con i rilevanti video di Frac Aleu, mentre i costumi sono di Lluc Castells e le luci di Marco Filibeck. Il complesso e variegato linguaggio del musicista milanese riassume in modo completo le esperienze musicali del Secondo Novecento: musica concreta ed elettronica insieme a modalità compositive che devono molto alle frequentazioni del compositore con Berio, Stockhausen e Boulez. Certamente non è facile esprimere con sicurezza un'opinione completamente positiva, soprattutto per un soggetto, quello dominante per tutti gli ottanta minuti della pièce, che da un' idea della sessualità orientata solamente al mondo irrazionale dell'essere umano. Le capacità di Francesconi - autore anche del libretto- di costruire le complesse e variegate timbriche sulle parole dei due bravissimi protagonisti, esprimono indubbie qualità. Gli applausi abbastanza calorosi e di media durata del pubblico presente alla seconda rappresentazione, sembrano confermare la difficoltà per molti di accettare con passione un linguaggio non semplice e difficilmente memorizzabile. Prossime repliche per il 14-17-19 e 22 ottobre.12 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Una serata importante a Milano per il Premio del Conservatorio 201 9Il concerto ascoltato ieri sera in Sala Verdi ci ha rivelato le qualità che il Conservatorio milanese offre come Istituzione Musicale alla formazione culturale italiana. In occasione del Premio del Conservatorio 2019, abbiamo assistito alla premiazione dei migliori studenti dell'istituto nei vari settori d'appartenenza ( solisti, complessi cameristici sia classici che jazz, voci, composizione, giovani talenti, ecc.) con un premio finale per il miglior strumentista del 2019 scelto tra i premiati dei vari settori. La serata ha visto la partecipazione anche del Presidente del Conservatorio Raffaello Vignali e dal direttore Cristina Frosini. Un concerto eseguito dall'Orchestra Sinfonica del Conservatorio diretta da Alessandro Bombonati ha reso la serata ancor più interessante e piacevole. Il programma prevedeva musiche di Wagner con l' Ouverture da I Maestri cantori di Norimberga, una composizione di Rachel Beja ( 1984) denominata Sui viali che noi camminiamo....per Sassofono e Orchestra, con la partecipazione del sassofonista Simone Moschitz ( Premio Assoluto Conservatorio 2018), quindi il Concerto n.2 op.40 di F. Mendelssohn con un giovane pianista quale Vittorio Maggioli ( premio Conservatorio 2019 nella categoria Giovani talenti), per finire con le Danze Polovesiane di A. Borodin. L'ottima resa orchestrale della giovanissima orchestra sinfonica, formata da studenti dell'istituzione milanese integrata da altri del Conservatorio Verdi di Torino, ha messo in risalto l'eccellente preparazione musicale dei bravi strumentisti, ottimamente coordinati da Bombonati. Tutte valide le interpretazioni , con un particolare merito per il brano della compositrice Rachel Beja, lavoro dal carattere suggestivo e "cosmico" che integra molto bene le sonorità del bellissimo sassofono di Simone Moschitz con le timbriche ricercate e meditate dei vari settori orchestrali. Questo, come molti altri brani contemporanei, testimoniano l'affinità e la preparazione dei giovani strumentisti, rispetto al mondo musicale dei nostri giorni. Eccellente la direzione di Bombonati per questo lavoro che speriamo presto di risentire. Segnaliamo l'ottima interpretazione del quattordicenne pianista Vittorio Maggioli (foto C.G. ) nel Concerto n.2 in re minore di Mendelssohn. Coadiuvato ottimamente dall'orchestra, Maggioli ha messo in risalto con giusto equilibrio dinamico e con leggerezza di tocco ogni frangente del brano, dimostrando profonda sensibilità musicale. Segnaliamo infine, il vincitore assoluto del Premio Conservatorio 2019 assegnato al pianista Diego Petrella, il premio prevvede anche un vasto numero di concerti da espletare nei prossimi anni. La splendida serata è stata organizzata a sostegno della Onlus denominata Cena dell'Amicizia, un'associazione di volontariato di Milano che dal 1968 accoglie ed inserisce nella società persone in grave condizioni di emarginazione sociale. Oltre 100 volontari si adoperano per questa importante iniziativa. Nel 2018 Cena dell'Amicizia ha ricevuto l'Ambrogino d'oro dal Comune di Milano per i 50 anni di attività. Chi volesse sostenere l'Onlus può telefonare al numero 02-33220600 o fare un versamento postale intestato all'Aasociazione Cena dell'Amicizia C/CP n. 58528209. Una serata da ricordare.11 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Inaugurata la nuova stagione musicale della Società dei concerti È iniziata ieri sera in Conservatorio la Stagione 2019-2020 della Fondazione La Società dei Concerti, una delle più importanti istituzioni concertistiche milanesi. Quest'anno, come anticipato dalla Presidente Enrica Ciccarelli all'inizio della serata, la programmazione sarà particolarmente ricca con una presenza massiccia di grandi interpreti e di numerose orchestre. In Sala Verdi, ieri il palcoscenico era occupato dalla rinomata Stuttgarter Philharmoniker diretta da Marcus Bosch in brani di Schumann e Bartók : dal romanticismo della Manfred Ouverture e della Sinfonia n.3 Op.97 "Renana" del tedesco eseguita dopo l'intervallo, al ritmico ma ache melodico Concerto n.3 SZ 119 del grande compositore ungherese. L'orchestra ben diretta da Bosch ha espresso sonorità decise e ben delineate in tutti i brani. La resa migliore, a nostro avviso, l'abbiamo ascoltata nel bellissimo concerto bartókiano, grazie anche alla presenza di un fuoriclasse quale il pianista ucraino Konstantin Lifschitz che con un controllo perfetto delle ritmiche e delle dinamiche, ha messo in risalto ogni dettaglio del bellissimo lavoro del grande ungherese. Brano valorizzato ancor più dall'espressivo ed etereo Adagio religioso, movimento centrale dal carattere meditativo che con una serie suggestiva di accordi pianistici iniziali ci pone in una dimensione di luminosa introspezione. La rapida successione delle note nelle ritmiche melodie sviluppate poi, è molto caratterizzante dello stile di Bartók legato alla tradizione folcloristica ungherese, ed anticipa il passaggio al particolare dinamismo dell'ultimo movimento, l'Allegro vivace. Splendida interpretazione quella di Lifschitz e della Stuttgarter Philharmoniker. Ancora Bartók nel bis solistico concesso da Lifschitz con un pregnante motivo bulgaro. Lunghi applausi al termine dal numeroso pubblico intervenuto. Da ricordare.10 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente a Milano al Parco di Famagosta il Concerto dei due continenti Il 19 ottobre alle ore 16 il Parco di Famagosta a Milano ospiterà una serata di musica di altissima qualità organizzata da Parkmi in collaborazione con Gianfranco Messina: il "Concerto dei due continenti", che vedrà impegnato il M° Domenico Calia clarinettista con il Quartetto Milano Virtuosa, dal nome della Stagione 2019-2020 diretta da Messina e Calia a Porta Romana. Il programma propone un viaggio musicale nel panorama contemporaneo da Guzzardella a Maiullari, da Mangani a Messina: un'occasione per apprezzare le notevolissime doti interpretative di un raffinato solista. Il percorso ci pone a confronto con stili musicali (e conseguenti necessità interpretative) profondamente diversi. Info a eventi2018g@libero.it oppure +39/3494406315 dalla redazione 9 ottobre 2019 La nuova stagione concertistica di Serate Musicali inizia con Andras Schiff Meritato successo ieri sera in Sala Verdi per il pianista-direttore Andras Schiff. Insieme alla Chamber Orchestra of Europe, l'interprete ungherese ha tenuto un concerto particolarmente indovinato nell'impaginato che prevedeva musiche di Haydn e Mendelssohn. Ha alternato, con ottima resa interpretativa, la direzione orchestrale alla tastiera pianistica. Alla direzione con l'Ouverture dall'Isola disabitata e la Sinfonia n.88 in sol maggiore di F.J. Haydn, quindi la celebre Sinfonia n.4 in la magg.op.90 "Italiana" di F. Mendelssohn; al pianoforte col noto Concerto in re maggiore dell'austriaco e il raro Concerto n.1 in sol minore op.25 del tedesco. Un programma quindi particolarmente ricco, con piu di due ore di musica di eccellente qualità. Siamo rimasti meravigliati della qualità espressiva di questa orchestra nata nel 1981 e denominata COE, formata prevalentemente da giovani strumentisti provenienti da altre affermate orchestre europee. Seguita nei primi anni da Claudio Abbado, nel corso del tempo la COE ha trovato alla direzione prestigiosi direttori come Haitink, Nézet-Séguin, Pappano, Ticciati e anche solisti di fama come Aimard, Kavakos e Znaider. L'ottima direzione di Schiff è emersa in tutti i brani, eseguiti con decise e dettagliate coloristiche, in ogni sezione. Particolarmente robusto l'Haydn dell'Ouverture e della Sinfonia, ma notevole anche l'Italiana mendelssohniana, di rara luminosità. Nei concerti pianistici, contemporaneamente alla loro direzione, Schiff ha dato sfoggio di tutte le sue rilevanti qualità, prime fra tutta la bellezza del suono, con un privilegio per i chiari colori melodici. Strepitoso il successo in Sala Verdi con fragorosi applausi al termine. Da ricordare. 8 ottobre 2019 Cesare Guzzardella La Lucerne Festival Orchestra diretta da Chailly a favore della Croce Rossa di Milano Il concerto straordinario ascoltato ieri sera al Teatro alla Scala era a sostegno della Croce Rossa di Milano, per i suoi progetti d'aiuto delle persone vulnerabili. Riccardo Chailly ha diretto la Lucerne Festival Orchestra in un programma interamente dedicato a Sergej Rachmaninov. Due i brani in programma, uno celebre, il Concerto n.3 in re minore op.30, uno di raro ascolto, la Sinfonia n.3 in la maggiore op.44. Nel noto Rach3 in palcoscenico il giovanissimo pianista russo Alexander Malofeev ha dato sfoggio delle sue enormi qualità virtuosistiche. Siamo certamente rimasti stupiti delle qualità coloristiche offerte dall'Orchestra che ricordiamo essere stata fondata nel 2003 da Claudio Abbado selezionando i migliori strumentisti presenti in altre celebri compagini orchestrali, tra cui anche la nostra Filarmonica scaligera. Fino al 2014, anno della sua scomparsa, il celebre direttore ha diretto la Lucerne Festival Orchestra in concerti memorabili. Il subentro, nel 2014 di un altro direttore milanese quale Riccardo Chailly ha dato continuità all'eccellente compagine orchestrale. Ieri, nelle mirabili esecuzioni dei due brani, sono emerse le qualità coloristiche di ogni sezione orchestrale delineate dalla precisa e dettagliata direzione di Riccardo Chailly. Ottima l'interpretazione sicura e decisa del diciottenne Malofeev, pianista che stupisce per la determinazione e la carica di energia che impone al pianoforte nei passaggi più impervi del celebre concerto. Avevamo ascoltato il giovane, allora non diciottenne, in un concerto solistico nel febbraio di quest'anno - www.corrierebit.com/musica.htm#malofeev2019 - in Conservatorio ed eravamo rimasti stupiti per le enormi qualità tecniche, intravvedendo potenziali espressivi che certamente potrà nel tempo sviluppare. Ottima la sua interpretazione e molto bello il bis solistico concesso: Ottobre, canzone d'autunno dalle celebri Stagioni di Čaikovskij. Dopo il breve intervallo, di rilevante resa espressiva la Sinfonia n.3 e al termine uno straordinario bis, la Morte di Tebaldo da Romeo e Giulietta di Sergej Prokof'ev, ha esaltato ancor più le eccellenti qualità espressive della Lucerne Festival Orchestra. Applausi fragorosi in un teatro colmo di pubblico. Chi volesse sostenere la Croce Rossa di Milano può accedere al sito www.crimilano.it7 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Luca Francesconi per la nuova stagione di Milano Musica all'Auditorium con la Sinfonica Verdi Ieri sera Milano Musica ha trovato un grande riscontro di pubblico nel primo concerto stagionale dedicato al compositire milanese Luca Francesconi. Grazie anche all'organizzazione dell'Orchestra Sinfonica di Milano G.Verdi, abbiamo assistito all'Auditorium di largo Mahler ad un concerto decisamente di qualità, in una sala stracolma di appassionati. L'impaginato prevedeva brani di Gustav Mahler e di Luca Francesconi. Lateralmente Blumine e dai Rückert lieder "Ich bin der Welt abhanden gekommen"; eseguito a conclusione; di Francesconi, Das Ding singt ed Etymo II. La Sinfonica Verdi era diretta da Michele Gamba, recentemente ascoltato alla direzione dell'orchestra scaligera. Le tipiche melodie ed armonie mahleriane sia di Blumine, splendido brano giovanile scelto correttamente ad introduzione della serata, che del bellissimo lieder - interpretato ottimamente dal baritono Martin Hassler-. hanno rivelato il rilevante spessore interpretativo del giovane direttore Gamba. Dopo Blumine, in prima esecuzione italiana c'era Das Ding singt, un concerto per violoncello e orchestra datato 2017. Sul palcoscenico insieme all'orchestra il giovanissimo e talentuoso violoncellista statunitense Jay Campbell. I circa venti minuti del brano iniziano con una lunga nota del violoncello che viene ripetuta con infinite trasformazioni timbriche in sinergia con l'orchestra e soprattutto con gli altri violoncelli. L'influenza di variegati mondi musicali - anche del primo rock di J. Hendrix per la tendenza improvvisatoria nel variare le timbriche dello strumento ad arco - si fanno sentire in questo suggestivo ed avvincente lavoro. Una parte centrale armonicamente più "tradizionale" ci porta all'energico finale conclusivo. Bravissimo Campbell nel rilevare con sicurezza l'importante parte solistica e applauditissimo dal pubblico insieme a Francesconi salito sul palcoscenico. Dopo il breve intervallo, il brano per soprano, elettronica e grande orchestra denominato Etymo II, ha reso la serata ancor più interessante. La complessità di questo lavoro, eseguito per la prima volta nel 1994 a Parigi dall'Ensemble InterContemporain, è dovuta anche alla sostanziosa componente elettronica, preparata in laboratorio ed integrata nell'orchestra da una importante regia, organizzata dai bravissimi Michele Tadini e Massimo Marchi. Nella versione ascoltata ieri, l'originale orchestra da camera era sostituita dalla grande orchestra, scelta dal compositore nella versione del 2005, per riequilibrare con maggior vigore l'esuberante componente elettronica. La voce femminile, quella della bravissima ed intonatissima Juliet Fraser, ammorbidisce e rende maggiormente intelligibile l'originale lavoro di Francesconi. I testi di Baudelaire sono tratti da Le Voyage e da L'Arbatros e sono cantati e recitati dal soprano in modo da integrarsi perfettamente con le sonorità elettroniche e con le suggestive e pregnanti timbriche orchestrali. La potenza espressiva di questo lavoro di Francesconi- di grande successo europeo- , è rafforzata dalle sconvolgenti parole del celebre poeta francese. Applausi ripetuti all'Orchestra Verdi, al direttore Gamba, al soprano Fraser e al compositore Francesconi, ancora una volta salito sul palcoscenico. Da ricordare. 4 ottobre 2019 Cezare Guzzardella Inaugurata la nuova stagione musicale della Società del Quartetto È iniziata molto bene la nuova Stagione del "Quartetto". Ieri sera in Conservatorio, in una Sala Verdi colma di abbonati e non solo, abbiamo ascoltato una quartetto di qualità come quello composto da Krystian Zimerman al pianoforte e da Marysia Nowak, Katarzyna Budnik e Yuka Okamoto, rispettivamente al violino, alla viola e al violoncello. Le esecuzioni sono state anticipate dall'intervento del Presidente della Società Ilaria Borletti Buitoni, che oltre a introdurre la nutrita Stagione 2019-2020 ha sottolineato la presenza in sala della senatrice Liliana Segre, molto applaudita. L'impaginato della serata, incentrato sulla musica cameristica di Johannes Brahms, ha permesso l'ascolto di due suoi Quartetti con pianoforte: il n.3 Op.60 in do minore e il n.2 op.26 in la maggiore. L'energia espressa dal drammatico ultimo quartetto denominato anche "Werther", lavoro terminato dopo lunghi ripensamenti nel 1875, si è contrapposta alla più pacata e di ampie proporzioni Op.26, quartetto terminato nel 1861. Le ottime interpretazioni di entrambi i quartetti hanno rivelato la regia e la fluida e delicata perfezione formale di Zimerman, non mancante di incisiva resa espressiva, specie nelle più robuste armonie dell'Op.60. In contrapposizione alla perfetta struttura armonica del pianoforte, l'efficace componente degli archi ha trovato determinazione e sinergia nei tre eccellenti strumentisti: dalle timbriche sottili della Nowak, all'incisività della violista Budnik, ai suoni rotondi e calibrati del cellista giapponese Okamoto. Tutti bravissimi e un Zimerman visibilmente soddisfatto al termine del concerto. Fragorosi gli applausi del pubblico. Da ricordare. 2 ottobre 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente alla Scala un concerto benefico per la Croce Rossa Italiana – con la Lucerne Festival Orchestra Sarà Riccardo Chailly, direttore musicale del Teatro alla Scala, a dirigere il Concerto benefico in favore del Comitato di Milano della Croce Rossa Italiana. L’appuntamento è per domenica 6 ottobre alle ore 20.00 presso il Teatro alla Scala di Milano. Giunto alla sua 23° edizione, l’evento solidale porta sul palco del Piermarini la Lucerne Festival Orchestra, di cui Chailly è direttore musicale dal 2016, ad un anno dal suo ultimo concerto alla Scala. La serata prevede inoltre la partecipazione del giovane pianista Alexander Malofeev. In programma due brani del compositore russo Sergej Rachmaninov, il Concerto n. 3 in re min. op. 30 per pianoforte e orchestra e la Sinfonia n. 3 in la min. op. 44. La serata milanese sarà la prima tappa, unica in Europa, di un tour internazionale della Lucerne Festival Orchestra con il M° Chailly, a cui seguiranno Shanghai, Pechino e Shenzhen. L’intero ricavato dell’evento sarà devoluto a sostegno delle attività di Croce Rossa sul territorio di Milano in aiuto delle persone più fragili ed emarginate. In particolare, i fondi raccolti verranno destinati a tre progetti di carattere sanitario e sociale: l’Unità di Strada, che offre supporto alle persone senza dimora, con assistenza medica, psicologica ed educativa; Il Sorriso, un’opportunità per chi non può accedere alle cure odontoiatriche e, senza queste, uscire dall’emarginazione; la Filiera della solidarietà, ovvero la distribuzione di beni alimentari a cui si affianca l’offerta di un percorso per uscire dall’indigenza.I biglietti sono disponibili con prenotazione chiamando il numero 02 3883210 (lun-ven ore 10-13, 14-17) o presso i circuiti di prevendita esterna www.geticket.it, www.ticketone.it e www.vivaticket.it. Il prezzo del biglietto varia da 20 a 200 euro (prevendita esclusa). Per ulteriori informazioni scrivere a concertoscala@crimilano.it. 1 ottobre 2019 dalla redazione SETTEMBRE 2019 Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala per Beethoven e Mahler È iniziata la nuova Stagione Sinfonica della Filarmonica della Scala con un pregevole concerto diretto da Riccardo Chailly. Il direttore milanese ha in programma l'esecuzione di tutte le sinfonie beethoveniane e nella prima replica ascoltata ieri la partenza è stata ottima con una preziosa Sinfonia n.4 del genio tedesco. Insieme a questa abbiamo ascoltato un'efficace interpretazione della Quarta di Mahler, musicista caro a Chailly del quale ha diretto in questi anni alla Scala altri celebri lavori sinfonici. La qualità dell'esecuzione della sinfonia di Beethoven, brano meno celebrato rispetto alle più blasonate sinfonie n.3 o n.5, è comunque rivelat rice di un modo di ricerca piuttosto personale che ci ha soddisfatto e che ci pone in attesa delle ulteriori prestazioni di Chailly sul grande di Bonn. Nella Quarta di Beethoven è stato rilevante l'equilibrio delle parti con perfetto dosaggio dinamico in una costante ricerca riflessiva. La Filarmonica della Scala ha risposto con vigore all'idea beethoveniana di Chailly che nasce da una profonda conoscenza delle interpretazioni storiche. In Mahler la qualità interpretativa è stata in linea con le ottime interpretazioni delle recenti sinfonie scaligere. Mirabile il terzo movimento, un Adagio in cui il grado di riflessiva resa coloristica dei violoncelli si è moltiplicato nelle altre sezioni degli archi e quindi in tutta l'ottima orchestra. Grande successo di pubblico alla prima replica. Questa sera la seconda e ultima replica. Da non perdere.29 settembre 2019 Cesare Guzzardella Meritato successo per L'elisir d'amore al Teatro alla Scala Una messinscena all'insegna della tradizione quella pensata nel 1998 da Tullio Pericoli autore delle colorate, naïf e fiabesche scene, con i relativi costumi perfettamente in sintonia. Da allora ad oggi, con la regia rivisitata di Grischa Asagaroff e le luci di Hans-Rudolf Kunz riprese da Marco Filibeck, l'Elisir è andato in scena alla Scala per oltre quaranta repliche, sempre con rinnovato successo. Ieri sera, alla quinta rappresentazione, i fragorosi applausi finali sono ancora stati confermati. Piace al pubblico scaligero questo Donizetti, per la luminosità delle scene, la facilità del racconto ricco di sentimento e la bellezza della musica che trova il momento musicalmente più rilevante nella celebre romanza Una furtiva lacrima. La valida direzione del giovane Michele Gamba, ha trovato sostegno nell'ottimo cast vocale - foto di Brescia e Amisano, Archivio Scala- dove gli intonatissimi Rosa Feola, una perfetta Adina con timbro puro ed eccellenti acuti, René Barbera, un innamoratissimo e trasparente Nemorino, applauditissimo nella romanza, ed Ambrogio Maestri, giocoso ed autorevole Dottor Dulcamara, hanno completato le illuminate e prospettiche scene, con padronanza anche attoriale. Bravissimi anche Massimo Cavalletti, Belcore e Francesca Pia Vitale, Giannetta. Un plauso, come sempre, al Coro preparato da Bruno Casoni. Prossime rappresentazioni per il 27 settembre e 1-4-7 e 10 ottobre. In ottobre Vittorio Grigolo sarà Nemorino. Da non perdere. 26 settembre 2019 C. G. Prossimamente alla Scala
Domenica 6 ottobre alle ore 20.00 si terrà al Teatro alla Scala di Milano il concerto benefico a favore del Comitato di Milano della Croce Rossa Italiana. Sul podio, il M° Riccardo Chailly a dirigere la Lucerne Festival Orchestra in una serata dedicata a Rachmaninov, con la partecipazione del giovane Alexander Malofeev al pianoforte. Con questa prima tappa, unica in Europa, si inaugura il tour internazionale della Lucerne Festival Orchestra con il M° Chailly.L’intero ricavato dell’evento sarà devoluto a sostegno delle attività di Croce Rossa sul territorio di Milano in aiuto delle persone più fragili ed emarginate. dalla redazione
Concerto per chitarra, voce e flauto al Museo del '900 Non capita spesso di ascoltare concerti nei quali la chitarra sia strumento protagonista. Ieri, in un concerto pomeridiano al Museo del '900 organizzato anche dalla Società del Quartetto, la chitarra di Andrea Monarda si è resa protagonista di un programma diversificato e soprattutto contemporaneo, coadiuvata in alcuni brani dell'intensa voce del giovane soprano Ludmila Ignatova e dell'ottimo flauto di Antonella Bini. Brani di Gaslini, Malipiero, Morricone, Mannucci, Clementi, Taccani e De Falla, hanno espresso situazioni musicali differenti, alcune di non facile e immediata recezione, e altre, specie quelle con la componente vocale, di più evidente comprensione. Giorgio Gaslini, conosciuto soprattutto come grande jazzista, ha avuto esperienze "totali" in ogni genere musicale e nei Sei interludi per voce e chitarra, in prima esecuzione assoluta, abbiamo riscoperto le sue esperienze legate alla "nuova musica" derivanti dalla scuola dodecafonica e atonale del primo Novecento. Anche nel Riccardo Malipiero delle Variazioni sulla Follia, i linguaggi non facilmente memorizzabili, legati a quelle esperienze novecentesche , sono emersi nelle discrete note della sola chitarra. Più convincenti, sempre di Malipiero, le Due ballate per voce e chitarra e soprattutto Liebeslied per flauto e chitarra, dove le bellissime e fluide sonorità del flauto di Antonella Bini sono emerse rendendo giustizia al brano non facile nelle armonizzazioni chitarristiche. La chitarra solista è tornata protagonista nel brano Auguri per il proprio compleanno di Andrea Mannucci e nelle Otto variazioni di Aldo Clementi, mentre la voluminosa voce di Ludmila Ignatova è stata, unitamente alla chitarra, protagonista del brano di Giorgio Taccani, presente in sala, denominato Ali per voce e chitarra. Un breve lavoro dove la parte strumentale era cadenzata dalle note vocali decise e calzanti di Ludmila. Applausi anche al compositore. Una conclusione più tradizionale ed immediata è stata resa possibile dai brevi e splendidi lavori per voce e chitarra di Manuel De Falla con El paño Moruno, Seguidilla Murciana, Jota e Polo. Ottime le interpretazioni: bravissima Ludmila nel penetrare in modo limpido i virtuosismi raffinati dell'ottima chitarra di Andrea Monarda. Successo di pubblico e ripetizione con fragorosi e meritati applausi dell'ultimo brano di De Falla. 25 settembre Cesare Guzzardella John Axelrod e l'Orchestra Nazionale della Rai concludono MiTo 2019 Con un bellissimo concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta dal texano John Axelrod si è conclusa l'edizione 2019 di MiTo, il Festival musicale torinese e milanese che per quindici giorni ha portato in numerosi palcoscenici delle due città concerti di ogni genere. Ieri sera, al Teatro dal Verme, in una sala colma di appassionati, la celebre Quarta Sinfonia di Gustav Mahler è stata preceduta da due interessanti lavori. Il primo era una ottima trascrizione orchestrale di Bernardino Molinari dell'Isle Joyeuse di Claude Debussy, mentre il secondo brano era del compositore cinese Qigang Chen (1951) e denominato Joie éternelle per tromba ed orchestra. Alla tromba la norvevese Tine Thing Helseth ha sottolineato con chiarezza espressiva la melodicità nella felice scrittura orchestrale che il compositore ha pensato per unire il mondo occidentale con quello orientale. Una semplice melodia viene variata in continuazione dalla tromba e resa in rilievo dalle precise e mutevoli sonorità orchestrali. Successo caloroso per questo brano e un breve bis solistico per la bravissima trombettista. Axerold, da molti anni presente nei palcoscenici milanesi, ha mostrato, come sempre, qualità direttoriali di primo livello in tutti e tre i brani esaltando con i suoi gesti essenziali le splendide timbriche dell'ottima compagine orchestrale. Queste sono emerse in modo eccellente anche nella Sinfonia n.4 in Sol maggiore di Mahler, probabilmente il suo lavoro più celebre che porta sul palcoscenico anche una voce da soprano. Nell'ultimo movimento infatti è arrivata in palcoscenico la svizzera Rachel Harnisch che ha intonato in modo avvincente gli ultimi minuti della celebre sinfonia. La resa espressiva perfetta e di gran ricchezza volumetrica ha portato splendidamente a termine la serata. Applausi meritati alla trombettista, al soprano, al direttore e all'ottima orchestra. Da ricordare 19 settembre Cesare Guzzardella Meritato successo per il Rigoletto di Nucci e la Kamani alla Scala Ho ascoltato non so quante volte in questi anni Rigoletto , per la regia di Gilbert Deflo, le scene di Ezio Frigerio, i costumi di Franca Squarciapino e le luci di Marco Filibeck. Devo dire che ogni volta entro alla Scala con un certo distacco per uno spettacolo tradizionale e privo di novità ed esco invece soddisfatto per l'efficacia della messinscena. Una tradizione che si ripete e che ieri sera, grazie all'ottima orchestrazione di Daniel Oren e alla bontà dei bravissimi solisti , si auspica abbia ancora seguito nel tempo. La prima ragione del successo è dovuta alla presenza dell'inossidabile Leo Nucci che con i suoi settantasette anni riesce ancora a dominare la scena attraverso una recitazione che non ha uguali, e una voce che, anche se parzialmente in calo volumetrico, ha trovato un secondo atto splendido, per non dire memorabile. Il tripudio di applausi a lui tributato ha avuto l'appoggio di una splendida Gilda nella voce dell'albanese Enkeleda Kamani (foto di Amisano-Brescia dall'Archivio Scala). Anche la rappresentazione vista ieri sera rimarrà nella storia di questo grande Rigoletto, per via del secondo atto e del bis Si vendetta, tremenda vendetta, concesso nella parte finale con gli spettatori presenti in piedi ad applaudire. La Kamani ha voce di soprano e modo attoriale perfetti per il ruolo di Gilda. Apparentemente con poca volumetria ma certamente eccellente intonazione, da sfoggio di bellezza timbrica e d'intensità vocale nei registri acuti. Bravissima!! Il Progetto Accademia con il Coro e l'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla Scala ci ha riservato anche altre sorprese come l'ottima voce tenorile del cinese Chuan Wang, il Duca di Mantova, anche lui di perfetta intonazione e buone volumetrie e bravissimo nel terzo atto specie nel celebre quartetto Bella figlia dell'amore. Bravissime anche Caterina Piva, un'intensa Maddalena e Valeria Girardello, Giavanna. Più che buone le prestazioni di Toni Nezič, Sparafucile, Giorgi Lomiseli, Monterone, Ramiro Maturana, Marullo, Hun Kim, Matteo Borsa, Lasha Sesitashili, il Conte di Ceprano, Marica Spadafino, la Contessa di Ceprano e gli altri. Daniel Oren ha ottenuto un notevole successo personale decisamente meritato. Prossime repliche per il 18-20-22 settembre. Da non perdere!!17 settembre 2019 Cesare GuzzardellaL'Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Ion Marin per MiTo Doveva esserci Yuri Temirkanov alla direzione della Filarmonica di San Pietroburgo ieri sera in Sala Verdi. Il famoso direttore russo, che abbiamo ascoltato più volte alla Scala ed in Conservatorio in memorabili interpretazioni, soprattutto di Čaikovskij, non è potuto esserci per problemi di salute. Ion Marin, direttore di livello internazionale, ha sostituito all'ultimo momento il grande russo mantenendo inalterato il programma che prevedeva prima un lavoro recente del compositore scozzese James MacMillan, Larghetto per Orchestra (2017) e poi la celebre Sinfonia n.1 "Titano" di Gustav Mahler. All'inizio del concerto l'Assessore alla Cultura Filippo Del Corno, per nome del Sindaco di Milano Beppe Sala, ha donato il Sigillo della città di Milano a MacMillan per motivi artistici. Il suo Larghetto per Orchestra ha trovato un'ottima interpretazione da parte di Marin e della Filarmonica. Nello stile interiore e pacato tipico del compositore, il brano è definito da una scrittura tonale facilmente comprensibile e trova una valida orchestrazione degli elementi melodici in una scrittura polifonica dal sapore antico, ispirata anche dai celebri adagi di Mahler. Decisamente lontano dai linguaggi piu attuali - di grande creatività alcuni e di incomprensibile resa estetica altri - il lavoro d'ispirazione liturgica di MacMillan è piaciuto molto al pubblico che ha tributato al termine - anche a lui salito sul palcoscenico- fragorosi applausi. Dopo il breve intervallo, la Prima Sinfonia del celebre compositore austriaco ha trovato certamente gli splendidi colori della grande orchestra di San Pietroburgo. L'interpretazione, a mio avviso disomogenea, ha avuto frangenti di efficace resa nei movimenti di maggiore esternazione volumetrica. Siamo abituati molto bene a Milano avendo ascoltando in passato il glorioso Mahler di Abbado, ora quello splendido di Chailly e di recente quello innovativo ed entusiasmante di Teodor Currentzis. Ieri è mancata probabilmente quell'elemento di genuinità della Sinfonia che nel Lento e strascicato primo movimento o nel Solenne e misurato terzo movimento non ha trovato una più marcata resa espressiva. I colori, in questi più raccolti ambiti, sono apparsi poco appariscenti. Pubblico comunque entusiasta al termine e fragorosi gli applausi in una Sala Verdi stracolma. Decisamente valido il bis concesso con una bellissima Danza ungherese di Johannes Brahms.15 settembre 2019 Cesare Guzzardella L'Orchestra UniMi diretta da Alessandro Crudele con Alessandro Taverna per MITO Anche l'Università agli Studi di Milano ha contribuito al successo del Festival MiTo con il concerto svoltosi nel pomeriggio di ieri dall'Orchestra UniMi diretta da Alessandro Crudele. Questo evento musicale si è tenuto nell'Aula Magna dell'università, alla presenza di un numeroso ed attento pubblico. Il programma, denominato Africa, è stato estremamente interessante e nelle intenzioni voleva stabilire una relazione con il grande Continente del Sud- Mediterraneo. I lavori introduttivi erano infatti di compositori nigeriani, entrambi formatisi a Londra, come Fela Sowande (1905-1987) e Samuel Akpabot (1932-2000). Nelle loro musiche, African Suite per orchestra d'archi e le Tre danze nigeriane, si sente molto l'influenza della cultura occidentale, con un occhio di riguardo verso il Barocco ed il folclore mediterraneo. Siamo rimasti soddisfatti delle qualità compositive dei due autori, della bellezza coloristica, tenue e solare delle loro composizioni, oltretutto orchestrate benissimo. Di grande rilievo l'orchestrazione dei lavori di Sowande: Joiful Day, Nostalgia e Akinla, una selezione dai cinque brani che compongono la suite African. Gli orchestrali, spesso molto giovani, sono stati bravissimi e la direzione di Crudele - chiara e luminosa - aveva un giusto dosaggio dinamico nelle timbriche delle varie sezioni. La seconda parte dell'impaginato è stata dedicata interamente alle musiche del francese Camille Saint-Saëns e a due suoi lavori dedicati al grande continente: Africa op.89, fantasia per pianoforte e orchestra e Suite algérienne op.60. Nell'op.89 l'intervento dell'affermato pianista italiano Alessandro Taverna ha contribuito a rendere ancor più prezioso questo concerto. La Fantasia di Saint- Saëns, di raro ascolto, trova un relativo rapporto con il grande continente, ma certamente sia il mondo mediterraneo che la natura folcloristica delle belle melodie, ha contribuito ad orientare il "clima musicale" in quella parte di mondo. Gli interventi pianistici, decisamente virtuosistici, sono stati sostenuti da Taverna con grande sicurezza, con correttezza ed espressività, e un certo modo di fraseggiare e di armonizzare ricordava- in alcuni frangenti- le armonie di Franz Liszt. Notevole il bis solistico concesso, dedicato a Clara Schumann. Un suo Scherzo è stato eseguito in occasione del compleanno della grande concertista- compositrice tedesca, ma anche, come rivelato dal pianista, nel giorno del compleanno dell'interprete. A lui riserviamo tanti Auguri. Il tardo pomeriggio si è concluso con la Suite algérienne, un brano in quattro parti ricco di fantasia e di eccellente orchestrazione nella quale si sono rivelati alcuni importanti momenti solistici come quello toccante della prima viola in Rêverie du soir (a Blidah). Alcune sonorità marziali hanno evidenziato l'eccellente sezioni degli strumenti a fiato, soprattutto quella degli ottoni. Un plauso anche al percussionista, perfetto nelle volumetrie. Grandissimo successo con applausi fragorosi al termine. Da ricordare. 14 settembre 2019 Cesare Guzzardella La Filarmonica della Scala diretta da Chung per MITO Una serata importante quella di ieri sera agli Arcimboldi per il Festival MiTo. La Filarmonica della Scala diretta da Myung-Whun Chung ha eseguito due celebri brani in un contesto musicale denominato Russie. Del primo russo, Sergei Rachmaninov, è stato eseguito il Concerto per pianoforte e orchestra n.3 in re minore op.30; del secondo russo, P.I. Čaikovskij, la Sinfonia n.6 in si minore op.74 "Patetica". Al pianoforte per il Rack 3 il trentacinquenne pianista ucraino Alexander Romanovsky. Di estrema qualità entrambe le esecuzioni. Il celebre concerto, popolare soprattutto per i momenti di più pacata melodicità, rappresenta un punto d'arrivo per ogni grande pianista in quanto unisce la semplicità delle prime note dell'Allegro ma non tanto a situazioni melodiche ed armoniche di esuberante e difficile virtuosismo. Romanovsky, pianista di consolidata esperienza internazionale, ha sistenuto la fondamentale e sempre presente parte solistica con una articolata, fluida e robusta timbrica. Il suono chiaro e le note ben delineate nei piani sonori hanno trovato in lui un eccellente interprete di Rachmaninov. La parte orchestrale, di rilievo in alcuni frangenti - anche se l'incidenza pianistica risulta primeggiante- ha visto in Chung e nella Filarmonica della Scala ottimi alleati nel sostenere ottimamente questa interpretazione. Splendidi i bis solistici concessi da Romanovsky con un determinato Preludio di Rachmaninov, l'Op.23 n.5, e un noto brano di Bach, Badinerie, dall'Ouverture in si minore BWV 1067, nella splendida trascrizione di Yushkevitch. Esecuzione quest'ultima eccellente. Dopo l'intervallo un capolavoro come la Sinfonia "Patetica" ha concluso in modo stupefacente la serata. La profondità di analisi del direttore sud-Coreano è stata ben espressa nelle chiare e dettagliate timbriche della Filarmonica scaligera. L'interpretazione, complessivamente di alto livello, ha trovato nel geniale Finale Adagio lamentoso un frangente di autentica immensa arte. Le ultime soffuse note terminano con una pausa finale che meritava un silenzio più lungo e profondo, ma c'è sempre qualcuno che ha fretta d'applaudire e non sa che anche quel silenzio è musica. Fragorosi gli applausi del numerosissimo pubblico intervenuto. Da ricordare a lungo. 12 settembre 2019 Cesare Guzzardella Due concerti brahmsiani per il Festival MITO Due concerti dedicati a Johannes Brahms si sono svolti nelle sere di lunedì e di martedì per il MITO. Il primo cameristico , al Piccolo Teatro Grassi con due ottimi strumentisti quali Daniel Müller-Schott al violoncello e Olli Mustonen al pianoforte; il secondo al Teatro Dal Verme con l'Orchestra del Teatro Regio di Torino diretta dalla newyorkese Marin Alsop. Due programmi diversi che ci hanno dato un'idea precisa del vasto mondo musicale del grande amburghese: quello intimistico delle Sonate per Violoncello e pianoforte n.1 e n.2, alle quali si è aggiunta un'ottima trascrizione della Sonata per violino in re maggiore op.78, resa molto bene con lo strumento ad arco piu grave; quello estroverso e legato ancor più alla tradizione mitteleuropea delle Danze ungheresi ( n.1-3-5), delle Variazioni su un tema di Haydn op.56a e della ancor più celebre Sinfonia n.4 in mi minore Op.98. Nel primo concerto, le qualità rilevanti del violoncellista tedesco e del pianista finlandese sono emerse in una unione d'intenti che ha portato ad interpretazioni precise, dettagliate e non solo formalmente rilevanti. Specie nella Sonata n.2 in fa maggiore op.99, l'originalità interpretativa è stata dettata soprattutto dal modo creativo d'intendere la musica dell'interprete-compositore Mustonen, enfatizzato dal bellissimo colore del violoncello di Müller-Schott che nei momenti di grande melodicità ha esaltato la splendida sonata con arcate chiare e intensamente espressive. Nella serata sinfonica del Dal Verme abbiamo trovato una decisa e precisa resa stilistica attraverso la direzione della bravissima Marin Alsop, direttore stabile dell'orchestra statunitense di Baltimora. L'Orchestra del Teatro Regio di Torino ha mostrato unità coloristica ed espressività anche negli interventi delle singole sezioni orchestrali. Ottimamente eseguiti tutti tre i lavori con un finale splendido nell'Allegro energico ed appassionato della Sinfonia n.4 e nel bis concesso con la ripetizione dell'estroversa e toccante più celebre danza ungherese. Successo di pubblico in entrambi i concerti che ricordiamo essere stati denominati Terre Brahmsiane e Mitteleuropa ed essere stati introdotti con chiarezza rispettivamente da Gaia Varon, giornalista e musicologa, e da Nicola Campogrande, compositore e direttore artistico del Festival Mito. Da ricordare.11 settembre 2019 Cesare Guzzardella Presentato al Teatro alla Scala il Festival Milano Musica La presentazione di questa mattina alla Scala del prossimo Festival di musica Contemporanea Milano Musica ha visto come ospite di riguardo il compositore milanese Luca Francesconi, artista al quale il Festival di quest'anno è dedicato. Dal 2 ottobre al 25 novembre, 24 appuntamenti in dodici sedi differenti intratterranno gli appassionati della musica piu vicina a noi con programmi diversificati, dove insieme alle numerose composizioni di Francesconi troveranno ospitalità altri importanti compositori quali Stockhausen, Berio, Lachenman, Donatoni, Castiglioni e moltissimi altri. Tra le numerosi sedi, oltre il Teatro alla Scala, l'Auditorium, il Conservatorio, troveranno sede di concerti sedi minori ma comunque importanti come il Civico Planetario, le Gallerie d'Italia e altre ancora. Gli interventi dell'Assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno, del direttore di Milano Musica Cecilia Balestra e del Consulente artistico di Milano Musica Marco Mazzolini, hanno trovato conclusione con l'interessante intervento di Luca Francesconi che dopo una breve ed esaustiva conferenza sul mondo musicale attuale al termine ha presentato un suo brano del 1985-86 denominato Mambo eseguito ottimamente dal pianista Andrea Rebaudengo. 10 settembre 2019 C.G.
Katia e Marielle Labèque al Dal Verme per MITO Il Festival musicale MITO ci ha riservato ancora una volta la possibilità di assistere ad un ottimo concerto attraverso la presenza di due straordinarie pianiste quali Katia e Marielle Labèque. Ieri al Teatro Dal Verme, nel tardo pomeriggio, l'orchestra de I Pomeriggi Musicali era diretta da Alessandro Cadario per un impaginato variegato introdotto da un brano in prima esecuzione italiana di Régis Campo (1968) denominato Ouverture en forme d'étoiles. Campo è un compositore francese pressochè sconosciuto in Italia ma affermato all'estero con vasta produzione musicale. La sua Ouverture ritrova una tendenza oramai particolarmente diffusa nel mondo contemporaneo di ritorno all'uso della tonalità e alla chiarezza espressiva. Il brano, nel quale gli archi sono elementi dominanti, suggerisce una piacevole suggestiva diffusione di sonorità ripetute con effetti di riverbero ridondanti. Ricorda certa musica minimalista potenziata da un'ottima orchestrazione esaltata dai bravissimi strumentisti de I Pomeriggi e dalla valida direzione di Cadario. L'ingresso di Katia e Marielle Labéque ha indirizzato il concerto ad una composizione particolarmente celebre quale il Concerto per due pianoforti ed orchestra di Francis Poulenc. Tre movimenti in stile neo-classico pieni di dinamicità e positività resi benissimo nella energica, fluida e precisa esecuzione delle sorelle coadiuvate da un'eccellente direzione di Cadario e dalla conseguente splendida resa coloristica dell'orchestra. Dopo l'intervallo ancora un celebre piccolo capolavoro quale Le carnaval des animaux di Camille Saint-Saëns. Oltre alle due valenti pianiste, anche i singoli e pochi strumentisti presenti nell'orchestra cameristica hanno messo in risalto le loro qualità strumentali in un lavoro destinato anche alla didattica musicale ma con momenti come Aquarium, Le Cygne e il Finale destinati all'immortalità. Grandissimo successo con uscite in palcoscenico ripetute di tutti i protagonisti. Da ricordare. 8 settembre 2019 Cesare Guzzardella
Tra i numerosi concerti che in questi giorni hanno trovato una numerosa partecipazione di pubblico nella rassegna musicale MITO di Milano e di Torino, abbiamo ascoltato ieri sera, presso il Piccolo Teatro Grassi , un trio di clarinetti particolarmete rilevante accompagnato dall'ottimo pianoforte di Monaldo Branconi. Il noto clarinettista Alessandro Carbonare, partecipe pressochè di tutti i variegati brani presentati, ha trovato il sostegno di Perla Cormani e di Luca Cipriano- al clarinetto basso- per un impaginato originale e diversificato denominato "Clarinetti americani" dove brani del Novecento di Poulenc, Gershwin, Bernstein, Corea e autori del sud-america, sono stati eseguiti con modalità stilistiche tra il classico e il jazz. I lavori proposti hanno sottolineato qualità evidenti grazie alle profonde e penetranti timbriche degli strumenti ad ancia. La nota Sonata per clarinetto e pianoforte del francese Francis Poulenc, eseguita da Carbonare ad introduzione della serata, aveva avuto negli Stati Uniti la sua prima esecuzione. È certamente un brano che mette in risalto eleganti e profonde modalità compositive del geniale musicista parigino. Precisa e fluida l'ottima esecuzione fornita da Carbonare. Con i noti Tre Preludi di George Gershwin, nella riuscita trascrizione per tre clarinetti di Luca Cipriano, siamo passati alle audaci timbriche jazz che il grande musicista ha reso celebri in tutto il mondo. L' evidente formazione classica di Gershwin è emersa anche nella suite proposta dal trio su temi tratti da Rapsodie in blu, Someone to Watch over Me e I Got Rhythm. La Sonata per clarinetto e pianoforte di Leonard Bernstein ha trovato ancora un'impeccabile esecuzione di Carbonare e ha rivelato un lavoro di rara esecuzione che meriterebbe una maggiore frequentazione. I brani di Chick Corea nella Jazz Suite per tre clarinetti hanno fatto emergere le qualità improvvisative dei tre strumentisti. La vivace musica del Sud-America è stato poi proposta con i divertenti e virtuosistici Brazilian Tales di Nazareth, Pascoal e Gismonti nelle esaustive trascrizioni di Cipriano. Non dimentichiamo l'ottimo brano pianistico di Braconi con Malambo n.7 di Alberto Ginastera e il divertente bis finale con un folclorico brano della tradizione Klezmer. Bravissimi tutti. Fragorosi gli applausi del pubblico. Da ricordare.7 settembre 2019 Cesare Guzzardella
Prossimamente a Milano il Quartetto Armonium Il 9 settembre il Quartetto Armonium terrà un concerto presso la chiesa di San Giovanni in Laterano di piazza Bernini a Milano. In programma musiche di Haydn, Dvorak, Gerswhin, e del giovane compositore Gianfranco Messina. Violino primo del Quartetto Armonium Fatlinda Thaci, spalla dell'orchestra "I Pomeriggi Musicali". E' prevista la partecipazione del clarinettista Domenico Calia. Da non perdere. 2 settembre 2019 dalla redazione
LUGLIO 2019 Musica al Dal Verme e al Planetario Due manifestazioni musicali di pregio ieri a Milano. La prima, svoltasi nel tardo pomeriggio, ha visto al Dal Verme l'orchestra de I Pomeriggi Musicali diretta da Yusuke Kumehara in una rarità di Respighi, quale il Concerto all'antica in la minore per violino ed orchestra. A seguire, un brano assai frequentato, quale la Sinfonia n.1 in re maggiore "Classica" di S. Prokof'ev. Entrambi i lavori in stile neoclassico mostrano il ritorno a modi espressivi legati a secoli più lontani rispetto al primo Novecento, periodo compositivo dei due brani. Il Concerto all'antica di Ottorino Respighi è del 1908 ed anticipa di una decina d'anni la Sinfonia "Classica" del grande russo. Modalità compositive del Settecento e dell'Ottocento emergono e vengono sottolineate dalla bellissima voce, tutta italiana, del violino. Ottima l'esecuzione di Fatlinda Thaci, solista protagonista. Specie nei movimenti laterali, Allegro e Scherzo vivace, la Thaci ha rivelato determinazione ed incisività attraverso un timbro legato, sciolto e particolarmente luminoso. Bravi gli orchestrali e valida la direzione di Kumehara in entrambi i lavori. La seconda manifestazione, svoltasi alla sera, era dedicata al cinquantenario dell'allunaggio. La sede del Planetario milanese ha accolto, a sala esaurita, un folto pubblico per una serata di astronomia, letture e musica, ricca e articolata, che ha ricordato la missione dell'Apollo 11 nella memorabile giornata del 20 luglio 1969. Intelligente la diversificazione operata da Riccardo Vittorietti, che ha presentato e guidato la serata dal punto di vista storico- scientifico, con proiezioni sulla cupola, da Stefania Origoni, voce recitante, che ha letto brani scelti da Jules Verne, Ungaretti, Rodari e altri; dal pianista Luca Schieppati e dal mezzosoprano Külli Tomingas . Si è realizzato un interessantissimo incontro-spettacolo nel quale elementi di ascolto raccontati e recitati, di proiezioni visive e di esecuzioni musicali aventi come tema la Luna, hanno reso avvincente la serata nell'affascinante cornice del Planetario. Valide sotto ogni profilo le esecuzioni dei brani "ad hoc" tra i quali ricordiamo l'Adagio sostenuto della celeberrima Sonata "Al chiaro di luna" di Beethoven e l'altrettanto noto Clair de lune di Claude Debussy, entrambi eseguiti ottimamente da Schieppati. Pregnante la voce della Tomingas che ha cantato in numerosi brani, quali per esempio Vaga luna che inargenti di Vincenzo Bellini, Clair de lune di Gabriel Fauré e la Canzone alla luna di Dvorak. Segnaliamo inoltre il brano dal sapore "futurista" Danza dell'inquieto planetario del compositore Carlo Galante, presente ed applaudito in sala. Meritati e prolungati applausi al termine e un simpatico gadget "lunare" a tutti i partecipanti. Da ricordare! 21 luglio 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente il Festival Beethoven a Varallo Segnaliamo il prestigioso Festival Beethoven che si terrà a Varallo in val Sesia nella Biblioteca Civica Farinone Centa dal primo al quattro agosto. Organizzato dal Maestro Massimo Giuseppe Bianchi, affermato pianista e direttore artistico della rassegna, e dall'Associazione Culturale "Musica con le Ali" , questa manifestazione musicale vedrà la presenza di numerosi giovani talenti, molti dei quali già particolarmente affermati. Tra questi ricordiamo i violini di Gaia Trionfera, Ferdinando Trematore, Sara Dionisia Zeneli; le viole di Benedetta Bucci, Martina Santarone; i violoncelli di Ludovica Rana, Giulia Attili, Giacomo Cardelli ed flauto di Bianca Fiorito. Al pianoforte naturalmente Massimo Giuseppe Bianchi offrirà le sue rinomate qualità d'interprete. Da non perdere! 19 luglio 2019 dalla redazione
The Kabuki al Teatro alla Scala Non conoscevo The Kabuki, il balletto terminato e rappresentato nel 1986 da Maurice Béjart (1927- 2007) sulle musiche di Thoshiro Mayuzumi(1929-1997). Mi è piaciuto particolarmente per la sua variet à espressiva, sia coreografica che musicale. È un balletto sostanzialmente moderno che ricalca una tradizione antica giapponese: la Chunsigura è della metà del '700 e racconta le vicende di 47 samurai orfani del loro padrone che allo stato di ronin, si fanno harakiri dopo il suicidio del loro capo.( prime due foto di Kiyonori Hasegawa-Archivio Scala) Il Prologo dura pochi minuti ed è ambientato nella moderna Tokio, è particolarmente dinamico e si contrappone alle altre scene mostrando i "samurai" alle prese con un ballo da discoteca molto vivace. Qui la parte musicale di Mayuzumi riprende un certo stile musicale occidentale alla "rock progressivo" degli anni '70, particolarmente ritmico e coinvolgente. I numerosi cambi di scena ci porteranno poi in situazioni diverse, a ritroso nel tempo, con scene anche molto tradizionali, anticipate anche dalle antiche voci di tayu e samisen. La varietà musicale di Mayuzumi attraversa stili differenti con stilemi occidentali presi dalla musica classica novecentesca - il richiamo allo Shostakovich della Sinfonia n.5 in una scena centrale è evidente - ma anche alla musica progressiva degli anni 70 e poi alla tradizione orientale kabuki. C'è anche un utilizzo di una sua precedente composizione sinfonica, l'ultimo movimento della Nehan Symphony, nella scena finale. L'immensa creatività del marsigliese Maurice Béjart ha trovato ispirazione, come sempre in lui accade, dalla ritmiche e dai colori della musica, in un perfetto adattamento coreografico nel prologo e nelle nove scene che compongono il lavoro. La validità di The Kabuki è proprio in queste differenze di stile e di linguaggi che si susseguono creando contrasti in situazioni temporali differenti. Splendido il finale con le numerose danze dei samurai che si susseguono celermente fino alla geometrica scena, un perfetto triangolo, dell'harakiri. Il Tokio Ballet, nella replica vista domenica e due giorni dopo il mirabile trittico con i balletti di Balanchine, Kilyan e Béjart, ancora una volta con The Kabuki di Béjart-Mayuzumi, ha dimostrato le proprie eccellenti qualità espressive. Dei numerosi splendidi ballerini in scena citiamo almeno il più presente: Yasuomi Akimoto nel ruolo principale di Yuranosuke. Ottime le scene e i costumi di Nuno Côrte-Real. Musica registrata ma ottimamente definita. Da ricordare a lungo!!Successo di pubblico, applausi ed omaggi dei ballerini alla platea.16 luglio 2019 Cesare Guzzardella The Tokyo Ballet al Teatro alla Scala Una serata diversa dal consueto ha accolto al Teatro alla Scala il corpo di ballo del Tokyo Ballet per tre balletti molto frequentati quali Serenade per la corografia di George Balanchine e la musica di Čaikovskij , Dreamtime per la coreografia di Jîrí Kylián e la musica di Töru Takemitsu e Le Sacre du printemps per Maurice Bêjart e la straordinaria composizione di Igor Stravinskij. L'Orchestra dell'Accademia del Teatro alla Scala ha trovato sul podio l'ottimo Paul Murphy. Noi, abituati all'eccellenza dei ballerini scaligeri, dobbiamo ammettere che anche in altri importanti teatri del mondo coltivano questa fondamentale forma d'arte, ad un livello espressivo altissimo. Il Tokyo Ballet è certamente un esempio di consolidata qualità da oltre cinquant'anni. Tutti e tre i balletti sono la prova tangibile di come la migliore musica possa esprimersi in modo paritario e sinergico con le architetture coreutiche nelle quali ogni movimento, sia esso singolo che di gruppo, è in perfetta sintonia con i ritmi e i colori musicali. La bellezza melodica della Serenata per archi di Čaikovskij ha avuto risposta nella leggerezza del numeroso e soprattutto femminile corpo di ballo giapponese, con infinita grazia nella creatività di George Balanchine. L'iper-classicismo di questo balletto romantico trova espressività attraverso una delicatezza ed una leggerezza che stupisce e che traspare in modo evidente dagli esili corpi delle ballerine. L'orchestra d'archi in Serenade esprime un'omogeneità timbrica che viene rivisitata in termini di movenze sciolte e disinvolte dagli oltre venti ballerini presenti in scena. Ricordiamo almeno Mamiko Kawashima in Waltz e Mizuka Ueno in Angel. Ottimi i costumi di Karinska e le luci di Mark Stanley. Il secondo balletto proposto, Dreamtime di Kylián è sulla bellissima omonima musica composta nel 1981 da Toru Takemitsu. Purtroppo non ha avuto un'esecuzione live ma comunque un'ottima riproduzione sonora ha raggiunto l'obiettivo di qualità espressiva utile al balletto. Sono solo cinque i danzatori sulla scena, tre femminili e due maschili. Anche qui il rapporto musica-danza ha raggiunto livelli altissimi con movenze discrete e sensuali plasmate dalle sonorità suggestive di Takemitsu. Di grande efficacia le scene ed i costumi di John Macfarlane e fondamentale il gioco di luci di Kylián. Citiamo i cinque prestigiosi interpreti, tutti eccellenti: N.Kishimoto, H.Kaneko, K.Oki, J.Okazaki e A.Miyagawa. Con l'ultimo balletto di Maurice Bejart, sul celebre Sacre du printemps di Stravinskij, abbiamo raggiunto una vetta assoluta. L'incredibile fantasia del grande coreografo francese ha delineato movenze scultoree, piene di forza espressiva attraverso i passi dei numero ballerini che espletano movenze sicure e ricche di sensualità. Di straordinaria bellezza le avvincenti geometrie che attraverso gli intensi timbri musicali sprigionano energia positiva nella danza tribale collettiva. Citiamo almeno i superlativi ballerini Yuki Higuchi, L'Elu e Akimi Denda, L'Elue. Ottima la direzione di Paul Murphy nei due lavori orchestrali e bravissimi gli Accademici scaligeri. Questa sera e domani alla Scala ancora The Tokio Ballet con The Kabuki: splendide coreografie di Bejart sulla musica di Toshiro Mayuzumi. Da non perdere. Tutti splendido! 13 luglio 2019 Cesare Guzzardella Presso Fazioli a Milano Francesca Dego ha presentato il Premio "Daniele Gay" La violinista italiana Francesca Dego e l'Associazione Musica con le Ali presieduta da Carlo Hruby hanno promosso presso lo showroom Fazioli di via Conservatorio 17 in Milano il Premio "Daniele Gay", dedicato al noto violinista e didatta, insegnante per trentasei anni al Conservatorio milanese. Il premio ogni anno verrà offerto da Francesca Dego per ricordare il suo più importante maestro di violino, purtroppo mancato nel settembre del 2018. Alla presentazione del Premio erano presenti anche Luisa Gay, moglie di Daniele e Fabiola Tedesco, la ventiduenne virtuosa vincitrice di questo primo premio. La Dego ha ricordato con parole particolarmente sentite la figura del suo Maestro, mentre Carlo Hruby ha elencato le finalità della sua associazione che trovano nell'aiuto ai giovani strumentisti in cerca di miglioramento e di inserimento il punto di forza. Scopo dell'Associazione Musica con le ali sarà oltre che alla valorizzazione e promozione di giovani interpreti della musica classica anche la realizzazione di incontri e concerti cameristici insieme a già affermati protagonisti come la Dego. I concerti avverranno sempre in luoghi di rinomata qualità. La signora Gay ha ricordato, con piacevoli aneddoti, la completa dedizione del marito alla sua attività d'insegnante e violinista. Infine la giovane vincitrice Fabiola Tedesco ha raccontato il periodo di formazione iniziato all'età di nove anni sino al diploma ed ai perfezionamenti che in seguito l'hanno portata a raggiungere importanti traguardi, cui si aggiunge adesso anche la vittoria di questo premio. La premiazione ufficiale avverrà al Teatro La Fenice (Sale Apollinee) di Venezia il 23 settembre alle ore 18.00 in una "serata dedicata a Daniele Gay" nella quale Fabiola Tedesco, Francesca Dego e la pianista Francesca Leonardi eseguiranno brani di Beethoven, Prokofiev e Shostakovich. Un assaggio dei Cinque pezzi per due violini e pianoforte di Shostakovih è stato eseguito dal trio a conclusione del piacevole incontro: prima il Preludio e poi la Gavotta. Bravissime! Lunghi applausi al termine. 12 luglio 2019 C.G. I mille volti della musica contemporanea a Villa Litta Una serata da ricordare quella organizzata dal compositore-pianista (anche violinista) Gianfranco Messina a Villa Litta di Affori. Nella bellissima sala affrescata, davanti un selezionato pubblico, si sono alternati i soprano Angela Lisciandra e Yoko Kawamoto, la compositrice-pianista Elena Maiullari ed il compositore-pianista Gianfranco Messina per l'esecuzione di brani di Gershwin, Bernstein, Donizetti e Verdi seguiti da brani contemporanei di Guzzardella e degli stessi Maiullari e Messina. Messina ha anche presentato in modo divertente la serata ed accompagnato prima la Lisciandra in Summertime e Tonight e poi la Kawamoto in O mio Fernando dalla donizettiana "La Favorita" e in O don fatale dal verdiano "Don Carlo". Bravissime le interpreti: entrambe con voci particolarmente voluminose e con ottima intonazione hanno mostrato sensibilità non indifferente in queste liriche particolarmente note. La compositrice Elena Maiullari si è prima cimentata in tre lavori di Guzzardella quali Dolcemente Anna, Echi e Segni nel tempo. Particolari i suoi lavori sperimentali, gestuali-atonali quali Onde, Pulsar e Riflessi nel quale l'uso completo del pianoforte, sia nella cordiera preparata che nella cassa di risonanza e nella tastiera, determina suggestive sensazioni. Abbiamo apprezzato soprattutto Onde per le sonorità quasi clavicembalistiche dal sapore antico. Gianfranco Messina ha concluso la serata prima come interprete e poi come compositore-interprete. I due brani di Guzzardella Aiguablava e MiReMiReMi - grazie Ludwig- sono stati eseguiti con profondità di pensiero entrando in sintonia con le intenzioni dell'autore in quelle modalità riflessive che i lavori, specie in Aiguablava, richiedono. Messina ha evidenziato già nella presentazione l'ironia insita nella composizione MiReMiReMi dove viene fatta la giocosa parodia sulle prime note del celebre Per Elisa del genio tedesco. A conclusione, i tre lavori di Messina, Risonanze, Attesa e Valzer, hanno sottolineato le peculiari caratteristiche del compositore milanese, che utilizzando un linguaggio tra il tonale e l'atonale, crea situazioni dinamiche di ampio e diversificato respiro sonoro, caratterizzato da una ricchezza di contrasti timbrici saldamente legati alla tradizione europea di primo Novecento. Certo Ravel è riconoscibile, a mio avviso, nell'originale brano conclusivo Valzer. Applausi sentiti dal pubblico intervenuto. 11 luglio 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente a Villa Litta in via Affori a Milano musiche di Messina, Guzzardella e Majullari Mercoledì 10 luglio nella milanese Villa Litta di via Affori 21 si terrà un concerto tenuto dal compositore-pianista Gianfranco Messina intorno alla musica contemporanea secondo molteplici possibilità d'espressione. Verranno eseguiti brani di Gianfranco Messina, Cesare Guzzardella ed Elena Majullari. Tre modi diversi d'intendere la musica moderna, dalla tonalità più evidente di Guzzardella con influssi suggeriti dal primo Novecento e dal Minimalismo americano, alle esperienze progressiste di Messina tra il tonale e l'atonale, alla matrice più agguerrita , atonale e sperimentale della Majullari. Non mancheranno esecuzioni di brani classici di Gershwin e di Bernstein grazie alla voce del soprano Angela Lisciandra. Un concerto che va visto ed ascoltato con attenzione.
9 luglio 2019 dalla redazione Alla Scala successo per il Gianni Schicchi di Woody Allen Il successo meritato ottenuto dai Solisti e dall'Orchestra dell'Accademia Teatro alla Scala, per il dittico composto dal divertimento teatrale di Antonio Salieri Prima la musica e poi le parole e dall'opera in un solo atto di Giacomo Puccini Gianni Schicchi, lo si deve certamente alla bravura dei giovani interpreti accademici ma anche al supporto fondamentale della direzione orchestrale di Ádám Fischer, alla superlativa voce di Ambrogio Maestri - protagonista in entrambi i lavori- e alla riuscita regia di Woody Allen per quanto concerne Gianni Schicchi. L'operetta a quattro voci di Salieri ci è parsa divertente ma certamente contrastante in qualità con il capolavoro pucciniano. La valida messinscena di Grischa Asagaroff, con le riuscite scene e i costumi di Luigi Perego, ha ben inquadrato l'azione scenica dove il Maestro di cappella Ambrogio Maestri ed il Poeta Ramiro Maturana si muovevano tra enormi strumenti musicali: violini e violoncelli insieme ad una grande tromba ed un altrettanto immenso clarinetto. Il bisogno di costruire in breve tempo un dramma musicale spingerà il poeta, autore del libretto, ed il compositore Maestro di Cappella a continue discussioni legate alla realizzazione del lavoro. La parte recitata è assai lunga in questo unico atto dalla durata di poco più di un'ora. L'ingresso in scena di Anna-Doris Capitelli, Donna Eleonora cantante di opera seria e di Enkeleda Kamani, Tonina cantante di opera buffa, rende vivo lo sviluppo del divertimento tra bisticci e ravvedimenti. ( Foto di Brescia-Amisano -Archivio Teatro alla Scala) Il finale è lieto in un contesto di complessiva eleganza estetica. Ottime le quattro voci con un valore aggiunto per Anna-Doris Capitelli, una Donna Eleonora dalla timbrica calda e decisa. Dopo l'intervallo, particolarmente attesa era l'opera pucciniana per via della regia di Woody Allen, che esordì come regista di opere liriche nel 2008 a Los Angeles proprio per Gianni Schicchi, senza peraltro più cimentarsi in altri lavori del genere. Siamo rimasti pienamente convinti della sua messinscena dal sapore filmico con eccellente equilibrio nei rapporti di dialogo tra i numerosi protagonisti. Bellissima l'unica scena e i costumi in ambito tradizionale di Santo Loquasto, un'ambientazione che sa molto di America anni '20. La scena è stata splendidamente valorizzata dai quindici interpreti che costantemente si muovono, entrano ed escono dal quadro scenico. Certo, l'ingresso in palcoscenico a metà opera di Ambrogio Maestri - un Gianni Schicchi ideale - ha potenziato in termini sia di qualità timbrica che di presenza scenica attoriale l'entusiasmante capolavoro pucciniano. Ma anche le altre interpretazioni sono apparse ottime. Tra le numerose voci della prima replica di ieri sera ricordiamo almeno la bravissima ed efficace Francesca Manzo, un' ottima Lauretta con un esaustivo O babbino caro; di grande spessore la voce di Daria Cherny, una Zita voluminosa, precisa ed incisiva; valido Chuan Wang, un delicato e ottimamente impostato Rinuccio; robusto Eugenio di Lieto, Simone. Bravi anche Hun Kim, Gherardo, Francesca Pia Vitale, Nella e il piccolo Benjamin Di Falco, Gerardino. Bravi gli altri. Ricordiamo che la regia di Allen è stata ripresa da Kathleen Smith Belcher e le eccellenti luci di York Kennedy riprese da Marco Filibeck. Successo di pubblico e lunghi applausi a tutti i protagonisti. Prossime repliche per il 10-15-17-19 e 21 luglio. Da ricordare. Da non perdere le prossime repliche! 9 luglio 2019 Cesare Guzzardella Porgy and Bess al Teatro Regio di Torino A Broadway nel 1935 ci fu la prima esecuzione dell'opera di George Gershwin Porgy and Bess, una "folk-opera", così definit a da Gershwin stesso per via dell' immensa quantità di melodie -prima fra tutte Summertime- che nel corso dei quattro atti vengono cantate con quello stile popolare ricco di spirituals, gospel, blues, worksong, che hanno reso questo capolavoro musicale celebre in tutto il mondo. (Foto di Luciano Romano a cura del Teatro Regio) Ci furono allora anche giudizi negativi da parte di quei critici che trovavano elementi leggeri tipici dell'operetta d'intrattenimento. È invece proprio nelle splendide melodie che abbiamo ascoltato ieri pomeriggio al Teatro Regio di Torino, interpretate dalla compagnia del New York Harlem Theatre con un cast vocale d'insieme eccellente e con gli splendidi intrecci orchestrali, esaltati ieri dall'Orchestra del Teatro Regio, che ritroviamo un autentico capolavoro. L'orchestra era diretta con grinta ed eleganza da William Barkhymer, direttore artistico e musicale della Compagnia americana. Dal punto di vista del "folclore" troviamo una corrispondenza con l'ancor più celebre francese Carmen. Anche nel lavoro di Bizet le melodie presenti sono "popolari", derivano dalla "canzone" e danno lustro all'opera probabilmente più rappresentata al mondo. In ambito statunitense Porgy and Bess precede per contenuti ed ambientazione popolare West side story di Leonard Bernstein e può essere considerata la prima grande opera autenticamente americana. L'unione tra la cultura europea e quella degli spirituals, dei gospel e del jazz ha trovato in Gershwin una sintesi perfetta con un nuovo straordinario linguaggio che riassume le sofferenza del popolo di colore all'epoca decisamente sottomesso al potere del mondo bianco. Abbiamo trovato valida la regia di Baayork Lee nello splendido rapporto tra gli elementi scenici di Michael Scott ed i costumi di Christina Giannini. La forza di quest'opera è soprattutto nella coralità espressiva di tutti i partecipanti oltre agli straordinari interventi solistici che hanno esaltato le splendide melodie inventate dal grande musicista. Ricordiamo le voci di Morenike Fadayomi, una coinvolgente Bess, di Alvi Powell, un misurato ed intenso Porgy, di Simone Paulwell, un'espressiva Serena, di Chauncey Packer, un sicuro e deciso Sporting Life, di Doren Stokes, un robusto Crown, di Alteouise De Vaughn, un'ottima Maria, di Meroë Khalia Adeeb, bravissima Clara e tutti gli altri. Valide le luci di Reinhard Traub e la preparazione e direzione corale di Richard Cordova. Uno spettacolo di qualità che ha pienamente meritato il successo ottenuto. Ultima replica prevista per oggi alle ore 15.00 Da non perdere!!7 luglio 2019 Cesare Guzzardella Il Quartetto Armonium in concerto per brani di Haydn, Mozart e Messina L'interessante concerto cameristico svoltosi ieri sera a Milano nella Chiesa di San Giovanni in Laterano di piazza Lorenzo Bernini ha visto un'ottima formazione cameristica quale il Quartetto Armonium, un quartetto d'archi formato dalla violinista Fatlinda Thaci, spalla de "I Pomeriggi musicali", dal secondo violino Tetyana Fedevych, dalla viola di Emilio Eria e dal violoncello di L.Rotondi. Quattro ottimi strumentisti che hanno eseguito brani di Mozart, Haydn e del giovane compositore milanese Gianfranco Messina. Messina, anche organizzatore della serata, ha presentato il concerto soffermandosi sull'arte dei due geni musicali, Haydn e Mozart che, come da lui detto, riescono a fare emergere nella loro arte una sorta di "complessità nella leggerezza". Ha introdotto, dopo i classici,il suo breve ed intenso lavoro. Siamo rimasti soddisfatti di questa iniziativa sponsorizzata dal Lions Milano Club Scala e dall'Associazione Ritorno all'Opera in questa cornice particolare di luogo sacro che con l'acustica tipica delle chiese riverbera il suono in uno spazio che sa d'infinito e lontano. I suoni dei quattro archi sono risultati ben amalgamati nella chiarezza delle timbriche classiche prima in Mozart con alcuni Divertimenti e poi in Haydn e un suo Quartetto dall'op.64 e ci sono sembrati piuttosto chiari gli elementi musicali malgrado il riverbero che in queste situazioni non sempre favorisce la bellezza delle timbriche di molti strumenti. Le qualità degli ottimi musicisti sono emerse in toto in tutte le esecuzioni dei classici, con una fluidità e trasparenza decisamente di alto livello. La sorpresa finale è stata rappresentata dal breve ma luminoso brano di Gianfranco Messina, un quartetto d'archi in un unico movimento di circa cinque minuti eseguito splendidamente dalla formazione cameristica che è riuscita a fare emergere contrasti delicati in ambito tonale all'interno di un'evoluzione melodico-armonica particolarmente varia, diversificata ma con un'unità stilistica personale che rimanda molto alla tradizione cameristica italiana e che ben si è trovata in sintonia con i brani classici precedenti. Ottimo lavoro. Lunghi applausi dal numeroso pubblico intervenuto. Da ricordare. 6 luglio 2019 Cesare Guzzardella Paolo Fresu e la Norma in jazz in Conservatorio Due dei dischi che spesso ascoltavo da giovane erano la versione di Gil Evans e Miles Devis del noto Porgy and Bess di George Gershwin e il Concerto di Aranjuez di Rodrigo sempre nella versione di Evans-Davis. Rielaborazioni in chiave jazzistica di brani come il celebre Summertime, dove i caldi colori orchestrali si fondevano con la splendida timbrica di Davis non possono essere dimenticati. Paolo Silvestri, noto direttore classico-jazz, probabilmente partendo da quelle storiche incisioni ha pensato di rielaborare alcune tra le più celebri arie della Norma di Vincenzo Bellini attraverso la corposa big-band dell'Orchestra Nazionale Jazz dei Conservatori ed il bellissimo timbro della tromba di Paolo Fresu. L'operazione, tra il classico e il jazz, ha portato alla realizzazione di sette momenti musicali di ampio respiro dove la rielaborazione in chiave jazzistica delle melodie belliniane ha avuto momenti di autentico splendore con grandi brani come Casta diva, Mira o Norma, Oh rimembranza!, ecc. In questa riuscita operazione l'intervento dell' ottima e giovane compagine strumentale ha avuto un ruolo essenziale. Gli impasti sonori caldi negli ottimi arrangiamenti di Silvestri hanno preservato la bellezza melodica di alcuni momenti topici e da brivido che solo il genio del grande compositore catanese poteva realizzare. Fresu ha esternato il meglio cogliendo l'essenza delle sublimi melodie e diffondendo nella grande Sala Verdi del Conservatorio milanese il timbro più caldo del filicorno o quello altrettanto raffinato della tromba. Momenti di sana improvvisazione in una struttura assolutamente prestabilita e ben delineata non sono mancati, ed anche singoli strumentisti hanno dato sfoggio alle loro ottime abilità solistiche con interventi rilevanti dei sax, del trombone e del flauto. Abbiamo trovato quindi validi gli arrangiamenti di Silvestri con momenti di sobria e raffinata classicità alternati ad altri di più concitata esternazione al limite di una musicalità dal sapore free. I timbri caldi, specie nel filicorno di Fresu, hanno trovato compiutezza estetica anche nei soffici accompagnamenti dell'ottimo pianoforte e del contrabbasso, entrambi molto rispettosi degli interventi dei compagni. Sala Verdi era colma di pubblico malgrado il diluvio torrenziale milanese che ha preceduto il concerto, concerto iniziato leggermente in ritardo per consentire l'accesso di chi si era trovato a disagio per l'interminabile pioggia. Fragorosi gli applausi al termine del programma ufficiale e ancora la bellissima Casta diva come bis. Bravissimi!
4 luglio 2019 Cesare Guzzardella
Successo alla Scala per I Masnadieri all'insegna della tradizione Ultime repliche alla Scala per I Masnadieri, un'opera verdiana che mancava dal teatro milanese da oltre quarant'anni. Ieri alla quinta rappresentazione il buon successo per questo lavoro relativamente giovanile di Verdi è stato esternato da un pubblico soddisfatto soprattutto per l'avvincente direzione di Michele Mariotti e per l'equilibrio complessivo del cast vocale (foto di Brescia-Amisano Archivio Scala) con una Lisette Oropesa, Amalia - per la prima volta sul palco della Scala- che ha sfoggiato eccellenti qualità con timbrica personale, precisa ed esaustiva in ogni situazione. I Masnadieri venne rappresentato per la prima volta a Londra nel luglio del 1847 con soggetto tratto da Die Räuber di Friedrich Schiller e su libretto di Andrea Maffei. Certo, la messinscena di David McVicar, per le scene di Charles Edwards, i costumi di Brigitte Reiffenstuel e le luci di Adam Silverman, risponde al bisogno di una tradizione lirica che sa di antico e datato, ma probabilmente è in sintonia con i bisogni di un pubblico spesso tradizionale e non sempre alla ricerca di novità lirico-teatrali. I movimenti coreografici di Jo Meredith hanno in parte trasgredito alle scelte più tradizionali con ingressi di rottura parzialmente riusciti. Complessivamente il lavoro di nuova produzione scaligera risulta valido. Mariotti si è dimostrato un ottimo direttore verdiano attraverso una concertazione di spessore, decisa e controllata che ha messo in rilievo tutta la musicalità del grande operista di Busseto. Tra le altre notevoli voci sono emerse oltre alla migliore Oropesa, quelle di Michele Pertusi, Massimiliano, e di Fabio Sartori, Carlo. Valide complessivamente anche le timbriche di Massimo Cavalletti, Francesco, Francesco Pittari, Arminio, Alessandro Spina, Moser e Matteo Desole, Rolla. Sempre di alta qualità il Coro preparato da Bruno Casoni, molto presente e spesso unito a numerosi partecipanti mimi. Segnaliamo l'eccellente parte strumentale del violoncello di Massimo Polidori, splendido primo cellista scaligero. Ultime repliche previste per il 4 e il 7 luglio. Da non perdere. 2 luglio 2019 C. G. Carlo Tenan ed Emanuele Arciuli per la stagione estiva della Sinfonica Verdi La stagione estiva della Sinfonica Verdi ha visto ieri sera un concerto sinfonico diretto da Carlo Tenan per brani di Gershwin, Einaudi e Ginastera. Il direttore ha ottimamente interpretato tutti i lavori proposti rivelando una versatilità analoga a quella dei bravissimi strumentisti dell' Orchestra Sinfonica Verdi. Le sue scelte musicali diversificate hanno un occhio di riguardo per la musica del Novecento, per il jazz e per i minimalisti di cui Ludovico Einaudi può considerarsi un epigono tutto italiano. I due brani dello statunitense George Gershwin, Cuban Ouverture e Catfish Row, suite dalla celebre opera Porgy and Bess, sono stati inframmezzati da Domino, il concerto per pianoforte e orchestra di Einaudi. Un contrasto netto tra la semplicità strutturale del compositore torinese che gioca su semplici e facili temi proposti con varianti continue ben accostate dai colori di una valida orchestra d'archi (più arpa) e la complessità strutturale e ritmica, unita alla bellezza melodica del genio statunitense che prima nella ricchezza dei ritmi cubani dell'ouverture e poi nell'altrettanto geniale orchestrazione della suite Catfish Row fa faville. Superlativi i momenti celeberrimi d'impronta jazz-blues e le note meravigliose del celebre Summertime introdotte splendidamente dalla sezione dei violini. Il valido brano di Ludovico Einaudi ha avuto come eccellente interprete Emanuele Arciuli, pianista poliedrico, affascinato dalla musica statunitense novecentesca e da certo minimalismo. La professionalità evidente nel definire benissimo le note della partitura di Einaudi ha elevato ad un rango di classicità con resa espressiva di valore il lavoro del noto compositore torinese. Domino risale al 2016 e ritrova le caratteristiche tipiche di Einaudi giocate su una iniziale facilità d' ascolto che acquista valore nello sviluppo complessivo dell'esecuzione dal carattere meditativo. Notevoli i contrasti tra i tre movimenti con il secondo ben compensato dai chiari colori orchestrali. Il pubblico ha molto apprezzato l'interpretazione tributando calorosi applausi all'interprete, all'orchestra ed alla direzione e Arciuli ha proposto un bis ancora all'insegna della semplicità con poche e geniali note di un Beethoven probabilmente giovane con la Bagatella op.33 n.3. Il concerto è terminato con Estancia, quattro danze di Alberto Ginastera che dimostrano la genialità d'orchestrazione del grande compositore argentino con un finale nel Malambo che trova nella splendida fragorosità delle ultime note ripetute ad oltranza l'essenza della cultura musicale positiva sudamericana. Splendidi i colori orchestrali ed eccellente la direzione di Carlo Tenan. Da ricordare.
1 luglio 2019 Cesare Guzzardella GIUGNO 2019 SERATA CONCLUSIVA DELLA STAGIONE DEL FESTIVAL VIOTTI A VERCELLI Ieri sera, domenica 23 Giugno, al Teatro Civico di Vercelli si è chiusa la XXI stagione del Festival intitolato al grande violinista Giovanni Battista Viotti: per qualità delle proposte e livello degli interpreti, si è trattato a parer nostro di una delle migliori stagioni da quando (più di dieci anni) seguiamo il Festival, che ormai si è conquistato più che meritatamente un posto significativo nella vita musicale non solo piemontese: la settimana passata la Camerata Ducale, l’orchestra stabile del Festival, fondata e diretta dal violinista Guido Rimonda, è stata invitata ad Amsterdam e ormai alterna i concerti a Vercelli con frequenti tournée in Italia e all’estero. L’ultima serata della stagione è stata consacrata a quella straordinaria età dell’oro della storia delle musica che fu il classicismo viennese di Haydn e di Mozart, un tesoro dell’immenso patrimonio della storia musicale che possiamo considerare tra quelli in cui eccellono Guido Rimonda e la Camerata Ducale. Un’eccellenza dovuta alla qualità dell’interpretazione, fatta di un suono, trasparente e di delicata dolcezza negli impasti timbrici, di perfetto aplomb di classico equilibrio nello stacco dei tempi, di sapiente chiaroscuro nelle dinamiche, con un fraseggio sempre fluido e capace di cogliere tanto le zone di più serena solarità, quanto le repentine, inquietanti zone d’ombra che affiorano, soprattutto in Mozart, nella limpidezza della partitura. Tali risorse esecutive sono uscite confermate, se mai ce ne fosse stato bisogno, dal programma di ieri sera, che proponeva al folto pubblico presente il Concerto di Haydn per violino e orchestra d’archi in Do maggiore n.1 (sarebbe previsto anche il basso continuo, ma ieri sera non era contemplato dall’orchestrazione di Rimonda) Hob.VIIa 1, il Concerto n. 3 per violino e orchestra KV 216 in Sol maggiore di Mozart, e , trionfale conclusione in Do maggiore, la mozartiana Sinfonia n.41 Juppiter. Solista e direttore, naturalmente, Guido Rimonda. E già l’attacco del concerto haydniano pare scritto apposta per mettere in luce quelle caratteristiche dello stile esecutivo della “Ducale” e del suo direttore/solista, con quell’energico attacco del violino su doppie corde e l’improvviso cambio di colore con una virata sul modo minore, il tutto eseguito con la cavata ricca e piena del magnifico “Noir” di Rimonda, sostenuta da un’orchestra capace di accompagnare al meglio queste sottili variegature di colori e di modi. Bellissimo l’Adagio, in cui il solista si è abbandonato al puro canto prevalentemente sul registro acuto, mentre l’orchestra ne esaltava la tensione espressiva con pizzicati che erano, più che suoni, sospiri. Non potendo scendere nei dettagli, sceglieremmo altri due momenti veramente emozionanti di questa serata: ancora un Adagio, quello del Concerto KV 216, in cui sia l’orchestra, con i sordini dei violini e delle viole e le tenere sonorità dei flauti, sia il violino solista hanno dato piena voce a quel che di trasognato ed estatico è presente in questa pagina stupenda di Mozart. E, naturalmente, la Juppiter, di cui l’interpretazione di Rimonda fa un vero monumento del classicismo viennese; con tempi non esageratamente veloci, come si ascoltano talora negli stretti di fuga dell’ultimo movimento, e facendo emergere dalla partitura una solennità non esteriore e marmorea, ma animata da una delicata tensione espressiva che la percorre dall’inizio alla fine e che ha il suo registro di fondo in una luminosa serenità. Quella luminosa serenità che Mozart ha voluto apporre come sigla già nel primo tempo, con quel delizioso terzo tema di schietto sapore popolare, facendone l’idea centrale dello sviluppo e che dà luce e respiro anche alle possenti architetture fugate del gran Finale. Da ricordare doverosamente il bis concesso da Rimonda dopo l’esecuzione del Concerto di Mozart: una composizione del “suo” Viotti, il Souvenir de violon n. 19, ove alle acrobazie ‘paganiniane’ si unisce la cantabilità italiana del Maestro di Fontanetto. Un lungo applauso ha salutato il Maestro e l’Orchestra, mentre l’impareggiabile Direttore Artistico Cristina Canzani annunciava nuove mirabilie per la prossima stagione. 24 giugno 2019 Bruno Busca Gennaro Cardaropoli diretto da Fabrizio Ventura per I Pomeriggi musicali Avevo già ascoltato il violinista salernitano Gennaro Cardaropoli nel 2016 e nel 2017. Prima in Auditorium nel celebre Concerto op.35 di Čaikovskij e poi in duo con l'ottimo pianista Alberto Ferro in Conservatorio dove ricordo una splendida Sonata a Kreutzer. Ieri, il ventunenne virtuoso è tornato a Milano in occasione dei concerti estivi de I Pomeriggi Musicali, concerti che in genere si tengono a Palazzo delle Stelline. La giornata piovosa del mattino e il rischio di brutto tempo nel tardo pomeriggio hanno spostato il concerto nella sede consueta del Teatro dal Verme. L'impaginato prevedeva il celebre Concerto in mi minore op.64 di Mendelssohn seguito dalla Sinfonia n.1 op.21 di Beethoven per la direzione di Fabrizio Ventura. Avevo appena ascoltato - tre sere prima- il noto concerto da un eccelso violinista quale Pavel Berman insieme ad una ottima orchestra tedesca e la curiosità per un ulteriore ascolto col giovane solista italiano mi hanno reso disponibile ad assistere alla nuova interpretazione. Senza nulla togliere allo splendore esecutivo di Berman, devo constatare che le qualità già emerse negli anni passati di questo ancora giovanissimo violinista, sono confermate e mi trovano ancora pienamente soddisfatto. L'approccio fluido e preciso nei dettagli e soprattutto le timbriche del violino di Cardaropoli, per l'occasione ben coadiuvato dall'Orchestra de I Pomeriggi e dall'ottima direzione di Ventura, son sembrate perfette per un concerto, quello di Mendelssohn, che ha uno spirito molto "italiano" per positività e solare bellezza melodica. Non per nulla Mendelssohn stesso ha prodotto la celebre Sinfonia n.4 denominata "Italiana". L'aspetto soddisfatto di Cardaropoli nel corso dell'esecuzione è giustificato da una facilità esecutiva dovuta ad un assorbimento totale della virtuosistica tecnica che il brano impone. L'ottima scansione degli accenti e la delicata ed insieme robusta cifra stilistica data al concerto hanno prodotto un' eccellente resa che si pone poco al di sotto di quella ascoltata dal grande Berman. Ottimo il bis concesso con il virtuosistico Paganini di Nel cor più non mi sento, nel quale Cardaropoli ha dato ancora più saggio del suo virtuosismo. Decisamente ben diretta da Fabrizio Ventura la Sinfonia n.1 op.21 in do maggiore del genio di Bonn. Questo lavoro giovanile di Beethoven dal sapore haydniano trova un'eccellenza espressiva nel raffinato Allegro molto e vivace finale eseguito splendidamente dall'Orchestra de I Pomeriggi. Fragorosi gli applausi del numeroso pubblico intervenuto. Da ricordare. 23 giugno 2019 Cesare Guzzardella Pavel Berman per la Società dei Concerti L'ultimo concerto della stagione della Fondazione La Società dei Concerti di Milano prevedeva la presenza della Nürnberger Symphoniker diretta da Kahchun Wong e del noto violinista Pavel Berman. Il programma è stato introdotto da una rarità di Giacomo Puccini con il Preludio sinfonico in la maggiore, eseguito ottimamente dall'orchestra tedesca mettendo in risalto specificità coloristiche tipicamente italiane. Quindi è salito sul palcoscenico di Sala Verdi il virtuoso violinista Pavel Berman per uno dei brani più noti e rappresentativi del repertorio per violino e orchestra il Concerto in mi min. op 64 di F. Mendelssohn. Siamo abituati alla costante presenza milanese di questo splendido virtuoso che in questi ultimi anni ha eseguito mirabili concerti passando da quello di Sibelius (op.47) a quello di Šostakovič (n.2) sino ad interessanti repertori cameristici e a ruoli direttoriali come nel bellissimo Concerto di Brahms eseguito da Marco Rizzi e da lui diretto nel 2016. Ieri con Mendelssohn ha raggiunto ancora una vetta interpretativa. Coadiuvato benissimo dall'orchestra tedesca ha espresso elegantemente ogni frangente del lavoro evidenziando la componente melodica dei tre movimenti - riuniti senza interruzioni - con una timbrica ricca di sentimento e con eccellente vibrato, chiaro e raffinato. Indubbiamente tra le migliori esecuzioni del concerto di Mendelssohn ascoltate in questi ultimi anni. Splendidi i due bis solistici, prima con il Capriccio n.13 di Paganini e poi con una Sarabanda dalla Partita n.1 per violino solo di J.S.Bach. Nella seconda parte del concerto ottima l'interpretazione di Kahchun Wong della Sinfonia n. 5 in mi min. op.64 di P.I. Čaikovskij per un'orchestra di qualità rilevante in ogni sezione strumentale. Due i bis concessi con Salut d'Amour di Elgar e il Valzer dalla Bella addormentata di Caikovskij. Splendidi. Da ricordare. 20 giugno 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente a Milano Il prossimo 05/07/2019 alle ore 21 presso la Chiesa di San Giovanni in Laterano in Via Pinturicchio 35 a Milano, si terrà un concerto cameristico che vedrà impegnati il Primo Violino dei Pomeriggi Musicali, M° Fatlinda Thaci all'interno del Quartetto Armonium. Il programma propone un viaggio musicale dai Divertimenti di W.A. Mozart ai Quartetti di Haydn: un'occasione per apprezzare le notevolissime doti interpretative di un raffinato solista, che si trova alla guida di una delle migliori realtà orchestrali milanesi, e del Quartetto Armonium, già attivo presso il Municipio 9 di Milano. Il percorso ci pone a confronto con due personalita' profondamente diverse, seppure entrambe afferenti allo stesso mondo, riguardo ai riferimenti cronologici così come geografici. Si tratta di un viaggio nel Settecento che si conclude con un omaggio del compositore Gianfranco Messina (nella foto), attento alle nuove tecniche esecutive unite ad uno studio sulla psiche dell'ascoltatore e dell'esecutore: quest'ultimo presenta un tempo di quartetto basato su stilemi degli adagi delle sinfonie mozartiane rilette secondo la sua personale sensibilità e senza cedere alla tentazione della citazione melodica. Da non perdere 20 giugno 2019 dalla redazione Giovanni Sollima nel Concerto per violoncello di Dvorak con la Sinfonica Verdi L'ultimo concerto per la Stagione 2018-19 dell'Orchestra Sinfonica di Milano G.Verdi prevedeva due celebri brani quali Il Concerto per Violoncello ed Orchestra op.104 di A. Dvorak e la Sagra della Primavera di I. Stravinskij. La direzione era affidata ad Hannu Lintu e protagonista del noto concerto è stato il violoncellista-compositore Giovanni Sollima. Nella replica domenicale di ieri pomeriggio, la grande affluenza di pubblico con spettatori anche particolarmente giovani testimonia la notorietà di questo interprete-compositore siciliano, conosciuto per la sua trasversalità di genere che spazia dalla musica antica alla classica più tradizionale, al mondo contemporaneo, con un occhio di riguardo per la musica rock degli anni '70 e soprattutto per il linguaggio personale dei suoi lavori compositivi. Sollima, coadiuvato da una direzione ottima, ha sostenuto benissimo la fondamentale parte solistica, con un grado di libertà esecutiva, rilevata anche dalla sua nota libera gestualità, finalizzata a rendere pregnante di significati la sua interpretazione. L'esecuzione ha trovato un evidente colpo di scena nell'improvvisa rottura dell'archetto alla fine dell'Allegro iniziale, dovuto ad un violento urto contro il leggio della spalla della Verdi, che ha portato ad un "volo" dell'arco e ad una ricaduta del medesimo tale da provocare la rottura della punta, che ha causato il distacco completo del crine. Un danno di rilievo, perchè si trattava di un archetto François Lotte (1889-1970) difficilmente riparabile. Fortunatamente la splendida esecuzione non ha avuto evidenti conseguenze grazie all'abilità del solista nel reperire l'archetto del primo violoncello, che a sua volta otteneva quello dei compagni di sezione più lontani. Dopo un evidente adattamento al "nuovo archetto", Sollima stabilizzava l'esecuzione ad alti livelli con una resa esemplare specie nel Finale, Allegro moderato. Fragorosi gli applausi al termine e ben tre bis concessi da Sollima: prima un brano folcloristico scozzese mediato dalla cultura mediterranea siciliana nell'intensa interpretazione del cellista; quindi una splendida Ciaccona di Francesco Corbetta, rivisitata da Sollima attraverso le sue abilità anche improvvisatorie e trasversali e resa in modo straordinariamente espressivo con il suo archetto barocco. Quindi l'ultimo brano concesso e improvvisato, che ha trovato l'appoggio de LaVerdi con un "tappeto" di poche note e una intensa esecuzione nel classico stile mediterraneo-arabeggiante cui siamo abituati. Bravissimo!!. Altrettanto bravi nella seconda parte del tardo pomeriggio gli orchestrali ed il direttore Hannu Lintu in una chiarissima esecuzione del celebre Sacre du printemps stravinskijano , brano storico fondamentale che preannuncia le innovazioni timbriche del Novecento. Esecuzione di grande qualità per l'eccellente direttore con una sezione d'ottoni e una sezione di percussioni al top! Applausi fragorosi al termine. Da ricordare! 17 giugno 2019 Cesare Guzzardella Grande successo per Die Tote Stadt alla Scala Die Tote Stadt -La Città morta- op.12 di Erich Wolfgang Korngold ha ottenuto un caloroso successo per molteplici motivi che si riassumono in uno solo: l'eccellente sinergia tra le splendide musiche di Korngold, l'ottima regia di Grahm Vick, la scintillante direzione di Alan Gilbert e le splendide voci di tutti con una preferenza su Asmik Grigorian, una Marietta splendida anche attorialmente, su Klaus Florian Vogt, bravissimo in Paul, per la governante Brigitta una chiarissima Cristina Damian e per Markus Werba nel doppio ruolo di Frank e Fritz.(foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala) La musica del musicista austriaco Erich Wolfgang Korngold integra in modo straordinario l'originale vicenda tratta dal romanzo di Georges Rodenbach Bruges - la - morte ed esalta le voci, tutte con un ruolo particolarmente difficile. Le timbriche strumentali, ricche di colori, godono di una superba orchestrazione, resa nei dettagli da Gilbert e ricordano i linguaggi di Puccini per la ricchezza di melodicità e naturalmente di Richard Strauss per l'evoluto approccio sinfonico. Di qualità e ben integrata è la componente "luminosa" definita da un significativo schermo video e da numerosi punti video che all'occorrenza evidenziano simbolicamente immagini suggestive. Bravo quindi Stuart Nun per le scene e i costumi e Giuseppe Di Iorio per le luci. Bella la parte coreografica di Ron Howell che, soprattutto ma non solo, nel secondo quadro ci porta in un'atmosfera da musical spinto con palco affollato ricco di movimento. Un'ottima produzione scaligera che contribuisce a "modernizzare" la programmazione di quest'anno. Fragorosi applausi per tutti nella sesta replica. Ultima replica prevista per il 17 giugno. Da non perdere e da ricordare. 15 giugno 2019 Cesare Guzzardella Marc-André Hamelin e la Stuttgarter Philharmoniker per la Società dei Concerti Marc-André Hamelin è tornato in Conservatorio per un concerto organizzato dalla Società dei Concerti insieme alla Stuttgarter Philharmoniker diretta da Dan Ettinger. L'ho avevo ascoltato nella medesima Sala Verdi l'ultima volta nel 2013 in un concerto solistico nel quale aveva eseguito splendidi Medtner, Alkan e Debussy. Il programma di ieri sera prevedeva prima il Concerto per la mano sinistra in re maggiore di M. Ravel e poi la Sinfonia n.9 in do maggiore D944 "La grande" di F. Schubert. Sono note le difficoltà tecniche di questo concerto raveliano nel quale la mano sinistra del solista deve coprire tutti i settori della tastiera con movimenti ed articolazioni digitali atti a sostituire l'uso di entrambe le mani. Il concerto infatti era stato pensato da Ravel nel 1929 per il noto pianista austriaco Paul Wittgenstein - fratello del filosofo Ludwig- che aveva perso il braccio destro nel corso della prima guerra mondiale. Solo virtuosi del calibro del canadese Hamelin riescono a sostenere questa difficile parte. Il breve lavoro del grande compositore francese, ispirato anche dalla musica jazz per quella componente ritmica molto presente, trova momenti di grande melodicità nella splendida cadenza solistica di fine brano. Hamelin con un'articolazione perfetta mediata da forza e leggerezza insieme, ha raggiunto un obiettivo molto alto, coadiuvato anche dall'ottima direzione di Ettinger e dai splendidi colori orchestrali di intensa presenza in molti frangenti avendo il concerto anche una rilevanza "sinfonica" che si alterna ai momenti di indiscutibile splendore del pianoforte. Dopo i meritati applausi del numeroso pubblico intervenuto, Hamelin ha eseguito tre brani a sorpresa: due di Claude Debussy, il primo Reflets dans l'eau e poi il Preludio n.6 "General Lavin- eccentric", quindi un suo brano estremamente ricco d'invenzioni armoniche denominato Toccata on L'Homme armé. Fragorosi applausi. Nella seconda parte della serata la nota Sinfonia n.9 "La Grande" di Schubert è stata sostenuta con grande espressività dall'Orchestra di Stoccarda per l'occasione particolarmente numerosa e avvincente in ogni sezione. Grande successo anche per la direzione di Dan Ettinger. Da ricordare. 13 giugno 2019 Cesare Guzzardella Evgeni Bozhanov alle Serate Musicali È per la quarta volta ospite delle Serate Musicali il pianista bulgaro Evgeni Bozhanov. Ieri sera ha tenuto un concerto interpretando musiche di Scarlatti e Liszt. A trentaquattro anni, virtuoso della tastiera, Evgeni ha vinto numerosi concorsi internazionali ed è stato uno dei favoriti al Concorso Chopin di Varsavia: nel 2010 non vinse e si piazzò "solo" al quarto posto destando critiche da parte di chi lo voleva vincitore. È un pianista "creativo" e molto personale. L'estro e il bisogno di innovazione emergono dalla sua tecnica sicura e virtuosistica. Come detto in passato, Bozhanov seduto in un seggiolino molto basso - vi ricordate Gould- riesce con una postura regolare e mani aderenti alla tastiera a calibrare le dinamiche in modo evidente con giusti contrasti e senza mai esagerare. Ottime le Sonate di Scarlatti eseguite di filato: undici, alcune molto conosciute come la K 466 eseguita al termine e la maggior parte di raro ascolto. Alterna momenti di grande riflessività con timbriche meditate e soffuse ad altri con voluta esasperata articolazione per un suono robusto ma trasparente e dinamicamente variato. Splendido poi il "suo" Liszt con la celebre Sonata in Si minore. L'ineguagliabile articolazione unita ad un fraseggio chiaro ed espressivo, con piani sonori ben definiti ed accentuazioni di particolare rilievo di alcuni momenti di rara espressività hanno portato ad un'esecuzione di alto livello che è tra le migliori ascoltate in questi ultimi anni. Bellissimo il bis chopiniano concesso al termine del programma ufficiale con una rara Polonaise postuma: l'Op.71 n.2 eseguita con perfetta calibrazione di dinamiche ed accenti e colori splendidi. Successo evidente in una Sala Verdi con numeroso pubblico entusiasta. Splendido concerto per un grande pianista! . Da ricordare. 11 giugno 2019 Cesare Guzzardella Tre validi e recenti concerti organizzati da LaVerdi a Milano Numerose sono le attività de LaVerdi, un'organizzazione musicale che pur avendo al centro delle iniziative l'ottima "Orchestra Sinfonica G. Verdi" sviluppa numerose altre occasioni musicali, da quelle cameristiche del M.A.C. - recente elegante spazio a poche centinaia di metri dall'Auditorium di l.go Mahler- a quella con valenza soprattutto didattica dell' oramai celebre "Coro degli Stonati". Nell'arco di poco più di ventiquattro ore ho avuto l'opportunità di partecipare a tre iniziative de LaVerdi: la prima, sabato sera, presso la Chiesa di San Michele e Santa Rita in una zona un po' defilata di Milano in zona Corvetto con il Coro degli Stonati, gruppo vocale preparato e diretto da Maria Teresa Tramontin; quindi domenica mattina al M.A.C. con l' ottimo duo formato dal virtuoso del sax Jacopo Taddei e dal bravissimo fisarmonicista Samuele Telari. Per finire, domenica sera con la Sinfonica Verdi diretta da Francesco Bossaglia ed il "Border Trio" di Giovanni Falzone. Il Coro degli Stonati ha eseguito arie di variegati compositori tra cui Rossini, Mozart,e soprattutto molto Verdi, interpretando anche il celebre "O Fortuna" di Carl Orff dai Carmina Burana e, del grande di Busseto, l'ancora più noto "Va Pensiero". La chiesa, per l'occasione stracolma di pubblico, ha il difetto non da poco di un eccessivo riverbero che amplifica e uniforma un po' troppo la resa vocale. Siamo comunque riusciti a comprendere lo sforzo dei numerosi coristi per un'apprezzabile resa interpretativa, soprattutto nei due brani citati, il primo- O Fortuna- riproposto anche come bis. Bravissima la Tramontin e bravo anche il pianista -per l'occasione tastierista- Pietro Cavedon. Fragorosi gli applausi al termine. Ieri, in tarda mattinata, al M.A.C. di Piazza Tito Lucrezio Caro per un concerto denominato "Il sorprendente mondo del Sax", Jacopo Taddei, giovane virtuoso del sax contralto e soprano, e Samuele Telari, altrettanto valido fisarmonicista, hanno intrattenuto il pubblico - peccato non numeroso- per una quindicina di brani, particolarmente interessanti e vari ma con un'unico denominatore: il jazz e la musica sudamericana. Musiche di autori del primo Novecento come Iturralde, Piazzolla e Damase, si sono alternate a quelle di altri nati dal 1950 in poi, a partire dal noto francese Richard Galliano (1950), sino a Philippe Geiss (1961), Diego M. Pujol ( 1957) e Javier Girotto ( 1965). L'unico nato nell' Ottocento, Ernesto Nazareth ( 1863 - 1934) ha visto a conclusione del programma ufficiale l'esecuzione del bellissimo Covaquinho. I due ottimi interpreti hanno evidenziato prima a parole e poi con rilevanti esecuzioni il rapporto tra ritmo di stampo jazzistico e folclore melodico sudamericano che a partire dal più conosciuto e geniale virtuoso-compositore Astor Piazzolla, trova proseliti ancor oggi con autori come quelli citati che si ispirano a lui. Eccellente la fluidità con la quale Taddei - recentemente ascoltato in Conservatorio in trio con violino e pianoforte - esegue le partiture di questi intensi e melodici brani. Altrettanto rilevante il fisarmonicista Telari, ottimo accompagnatore con momenti di avvincente virtuosismo solistico. Peccato nell'elegante sala l'infelice acustica! Terminiamo con un luogo, l'Auditorium di l.go Mahler, dove l'acustica è più che adeguata. Ieri sera la sala era al completo. L'Orchestra Verdi ha iniziato con la Sinfonia n.4 "Heroes" di Philip Glass, lavoro dedicato a David Bowie. È in sei parti dove emerge luminosità timbrica nel classico stile "minimalista" di Glass, con momenti di intensa creatività messi ottimamente in risalto dalla Sinfonica Verdi ben diretta da Bossaglia. Le buone e spesso valide intenzioni di Glass sono però mancanti, a mio avviso, di una strutturata unità formale nella quale i sei movimenti stabiliscano relazioni interdipendenti ricchi di varietà. Una maggiore sintesi tra le valide e spesso splendide componenti melodico-armoniche avrebbe giovato. Dopo il breve intervallo, il trombettista Giovanni Falzone ha presentato il suo trio formato anche da Gianluca Di Ienno alla tastiera ed elettronica e Alessandro Rossi alla batteria ed elettronica. Il "Border Trio" ben inserito nell'Orchestra Verdi ha eseguito la Black Star Suite, lavoro pensato da Falzone partendo dai brani tratti dall'omonimo ultimo disco di David Bowie. Il risultato, nel classico stile jazz-elettronico, ha esaltato le indubbie qualità strumentali del trombettista, qualità unite ad una vasta e, a mio avviso, eccessiva effettistica elettronica parzialmente integrata nelle esuberanti sonorità orchestrali. E' evidente il riferimento al mondo jazzistico del Miles Davis più "elettronico", quello dell'ultimo periodo e di tutta quella vasta corrente legata a lui, anche se i risultati del lavoro di Falzone - con innovazione stilistica parziale nella fragorosa e abbastanza chiara resa musicale complessiva- non ci convince del tutto. Le volumetrie sonore dell'orchestra e l'amplificazione dei tre strumenti del trio jazz hanno spesso reso poco trasparenti le componenti musicali più sottili non evidenziando bene i diversi piani sonori e le valide intenzioni. Piacevole il brano concesso come bis dal Trio. Fragorosi gli applausi del numeroso pubblico mediamente più giovane del consueto: un pubblico tra il classico e il jazz. Ottime tutte e tre le iniziative! 10 giugno 2019 Cesare Guzzardella Ultime repliche per Idomeneo alla Scala Ieri sera penultima replica dell'Idomeneo di W.A.Mozart. Dopo un modesto successo con tenui applausi alla fine dei due primi atti, l'entusiasmo del pubblico scaligero si è concentrato al termine del terzo ed ultimo atto. In effetti lo svolgimento di questo capolavoro mozartiano firmato da Matthias Hartmann con le scene di Volker Hintermeier e i costumi di Malte Lübben, ha visto nel terzo atto un frangente di evidente splendore. L'avvincente direzione di Diego Fasolis, precisa e risoluta in tutta l'opera, a partire dal meraviglioso quartetto vocale di Andrò ramingo e solo, ha plasmato il giusto equilibrio complessivo di tutte le componenti in scena, col valore aggiunto poi della strepitosa parte corale preparata da Bruno Casoni. Le voci ( foto di Amisano-Brescia,Archivio Scala) di Michèle Losier, Idamante, Bernard Richter, Idomeneo, Federica Lombardi, Elettra, Julia Kleiter, Ilia, hanno mostrato una valida resa ed espressività soprattutto in quest'ultimo atto con costante equilibrio invece in tutta l'opera per la Lombardi, la voce più voluminosa e ben calibrata in ogni registro e la Losier, voce dalla splendida e raffinata timbrica. Bernard Richter è stato un Idomeneo più che adeguato dalla rotonda e luminosa timbrica. Più che buona la prestazione di Giorgio Misseri, Arbace ed eccellente Krešimir Špicer, il Gran Sacerdote. La scenografia ha trovato nella continuata rotazione scenica una valida soluzione dei problemi, ben inquadrando tutti gli elementi arcaici presenti a partire dalla grande testa di Minotauro. Le luci di Mathias Märker sono risultate ben calibrate in scena ma a volte troppi accecanti in sala. Un ruolo importante è stato quello del Corpo di ballo con rilevanza nell'Ouverture iniziale e nella lunga cadenza nel finale d'opera. Per concludere: un capolavoro, quello di Mozart, che convince nell'allestimento non del tutto, ma con frangenti d'intenso splendore. Ultima replica per domani, 6 giugno. Da vedere. 5 giugno 2019 Cesare Guzzardella Zlata Chochieva in Conservatorio per Serate Musicali Ho ascoltato la pianista russa Zlata Chochieva più volte in questi ultimi anni, sempre in programmi variegati con scelte ragionate e spesso di rara esecuzione. Ieri sera, sempre per Serate Musicali, la composizione dell'impaginato si è rivelata ancor più di qualità: il brano introduttivo con il noto Bach-Friedman di Schafe können sicher weide, n.9 da BWV 208, la ha introdotto degnamente il concerto. Quindi l'ottima scelta di alternare tre Mazurche di Chopin ( op.30 n.1, B.82 e op.posth.S2 n.5) a tre Mazurche di Skrjabin (op.3 n.2 op.25 n.1 e op. 25 n.7) ha messo in rilievo le affinità dei due grandi compositori dove il secondo specie, nei primi numeri d'opera, ha attinto moltissimo dal genio polacco, proseguendo poi nel suo linguaggio personale e anticipatore del migliore '900. Il Liszt di Valse oubliée n.2 S215/2 e del raro Mephisto Waltz n.2 S 515, ci ha portato in un territorio ancor più virtuosistico e la rara Sonata n.1 in re minore op.28 nella sconfinata produzione di una musica di ancor più viscerale tecnicismo ma di ottima qualità. La giovane Chochieva ancora una volta ha rivelato le sue notevoli qualità attraverso un' eloquente discorsività mediata da sicurezza esecutiva ed elevato controllo delle dinamiche. In questi ultimi anni risulta evidente un maggior rilievo della sua complessiva resa espressiva unita ad una qualità tecnico-virtuosistica di alto livello che proviene da una scuola russa - è stata allieva anche di Pletnev- che si colloca probabilmente al primo posto nel mondo. Successo di pubblico e due eccellenti e rari bis con ancora Rachmaninov tra cui il giovanile Preludio in Fa maggiore. Da ricordare. 4 marzo 2019 Cesare Guzzardella Daniele Gatti con Schumann inaugura la LaFil-Filarmonica di Milano al Palazzo delle Scintille Ieri sera abbiamo assistito al concerto d'inaugurazione della LaFil- Filarmonica di Milano, orchestra voluta soprattutto dal noto direttore milanese Daniele Gatti. È una formazione dove artisti di fama provenienti dalle migliori orchestre italiane come quella del Teatro alla Scala, dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, del Teatro Comunale di Bologna, del Teatro la Fenice, del Teatro Regio di Torino, dell'Orchestra Sinfonica della Rai, de I Pomeriggi Musicali di Milano, del Maggio Musicale fiorentino e dell'Orchestra della Svizzera Italiana, suonano insieme a giovani talenti provenienti da tutta Italia. Il luogo preposto per i concerti, il Palazzo delle Scintille, a City life, ha accolto ieri un vastissimo pubblico per la Sinfonia n.1 op.38 " Primavera" e per la Sinfonia n.3 op.97 "Renana" di Robert Schumann cui seguirà domenica, alle ore 18.00, la conclusione della serie con la Sinfonia n.2 op.61 e n.4 op.120. Decisamente di rilevante qualità le esecuzioni ascoltate nelle quali la fluidità discorsiva e le sonorità raffinate si sono sviluppate in un luogo dall'acustica leggermente riverberata dove emerge un'impressione di rarefazione e diffusione nello spazio. L'impatto acustico riesce ad avere un suo particolare fascino e i contrasti dinamici sono attenuati nei registri medio-alti. Applausi fragorosi al termine per i bravissimi filarmonici, alcuni particolarmente giovani, e per il loro direttore. Daniele Gatti, esperto nel sinfonismo tedesco, porterà in questo piacevole luogo tra ottobre e novembre anche le Quattro Sinfonie di Brahms, il Concerto per Violino e Orchestra op.61 di Beethoven ed il Concerto per Violoncello e Orchestra op.129 di Schumann con solisti di fama quali Franz Peter Zimmermann e Jan Vogler. La serata ad ingresso gratuito, come per tutte le prossime manifestazioni, ha visto in platea personalità di spicco del mondo culturale e musicale di Milano. Ottima iniziativa. 1 giugno 2019 Cesare Guzzardella MAGGIO 2019 Francesca Bonaita al Teatro Gerolamo Il bel concerto di ieri sera al piccolo ed elegante Teatro Gerolamo ha messo in risalto le ottime qualità di Francesca Bonaita, accompagnata per l'occasione dal pianista Roberto Paruzzo. Il programma, replica della sera precedente, prevedeva anche due capisaldi della letteratura violinistica quali la Sonata a Kreutzer op.47 di L.v. Beethoven e la Sonata in la maggiore di C. Franck, lavori celebrati da tutti i grandi virtuosi. Le qualità degli interpreti sono state parzialmente offuscate da un certo disequilibrio tra le volumetrie dei due strumenti in un contesto generale di secchezza acustica: il pianoforte, importante come il violino o forse più nel celebre lavoro beethoveniano, non ha forse dato lo spazio dovuto allo strumento ad arco, anche per la corposità delle timbriche nette e stravolgenti del bravo pianista esasperate da un'acustica che tende ad amplificare il suono in un luogo con soli 200 posti a sedere. Ci è apparso di maggior pregio, nell'equilibrio delle parti, il Presto finale dove spesso la giovane violinista ha avuto una maggiore penetrazione nelle sonorità complessive. Di buona qualità la resa estetica della splendida sonata ciclica di Franck con frangenti di pregnante resa espressiva per Francesca. Il programma si è concluso con una splendida rarità esecutiva: Tre Capricci di Paganini per violino e pianoforte op.40 (1918) di Karol Szymanowski, rivisitazione del connazionale polacco di tre celebri capricci del grande genovese. I brani, di eccellente qualità musicale, esaltano tutta la tecnica e l'arte paganiniana in un contesto armonico nel quale emerge il genuino e personale linguaggio del secondo polacco. Qui la Bonaita, accompagnata ottimamente da Paruzzo, ha messo in risalto tutte le sue rilevanti qualità esaltate oltre che da una tecnica eccellente, da una evidente profondità di pensiero. Bravissima! Splendido il bis concesso con Valse sentimentale di Čaikovskij. Da ricordare.31 maggio 2019 Cesare Guzzardella PICCOLI MAESTRI CRESCONO GRAN SUCCESSO AL COCCIA DELL’ORCHESTRA GIOVANILE DEL CONSERVATORIO DI NOVARA Una trionfale ovazione del pubblico, da tutto esaurito, è esplosa ieri sera giovedì 30/05 al Teatro Coccia di Novara, quando si è spenta l’ultima nota della versione orchestrale di Ravel dei musorgskijani “Quadri di un’esposizione”. Con questo celebre capolavoro si concludeva il concerto dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio G. Cantelli, formata da una rigorosa selezione dei migliori e più promettenti allievi e ‘plasmata’ e diretta da Nicola Paszkowski, esperto mentore di orchestre giovanili, dopo il rodaggio ravennate con la Cherubini, a fianco di Muti. E i risultati dell’intervento di Paszkowski, diciamolo subito, si vedono tutti, con il miglioramento costante, , di recital in recital, di questa compagine di giovani musicisti. Oltre ai “Quadri” il programma della serata proponeva due composizioni per strumento solista e orchestra: di Debussy la “Rapsodia per clarinetto e orchestra” L124a, trascrizione d’autore dall’originale (e forse più nota) versione per clarinetto e pianoforte, con una promessa del Cantelli Gabriele Mercandelli, come solista, e il “Concerto per pianoforte e orchestra in mi bem. Maggiore n.5”, noto universalmente come l’”Imperatore”, in cui la non semplice parte solistica era affidata a Ludovica De Bernardo, che vanta già un buon curriculum di apprezzate esibizioni in varie sale da concerto italiane, anche di notevole prestigio. Avevamo già ascoltato recentemente Mercandelli in un concerto cameristico al Cantelli, ammirandolo per il controllo tecnico dello strumento e la sapienza interpretativa. La sua esecuzione della Rapsodia di Debussy ha pienamente confermato quel primo giudizio: dal clarinetto di Mercandelli fin da subito è uscito “il” suono di Debussy, quel suono sfumato fino al flou, morbido, sottilmente incantatorio, e capace al tempo stesso di dare a ogni singola nota il suo sensuoso rilievo: insomma il suono del “ Prélude a l’aprés-midi d’un faune”. Suono raffinato ed elegante sempre, quello di Mercandelli, tecnicamente esatto (gli è ampiamente perdonato qualche armonico non precisissimo), anche nelle sezioni ritmicamente più vivaci, che non mancano in questo breve pezzo, quasi gesti musicali di sottile ironia nei confronti dei momenti di più intimistico abbandono. In generale un’arte esecutiva, quella del giovane Mercandelli, già matura nell’esaltare il colore dello strumento in tutta la sua variegata tavolozza e nel pieno controllo delle dinamiche, dal pianissimo delle prime battute ai forti delle sezioni agogicamente più veloci. L’orchestra guidata dal gesto ampio e autorevole di Paszkowski, ha accompagnato molto bene lo strumento solista, in particolare nel magico esordio, dove ‘ i ragazzi del Cantelli’ hanno saputo trovare una miracolosa trasparenza di suono negli archi, che poi ci è sembrata sia andata un po’ persa, con un impoverimento nell’intensità e nelle sfumature dei diversi registri timbrici. E veniamo all’”Imperatore” e dunque, anzitutto alla De Bernardo. La giovane pianista ha subito aggredito la tastiera, con l’impeto baldanzoso di una fresca energia giovanile ben adatta a dare rilievo alla componente ‘eroico-militare’ che domina gran parte del primo tempo del concerto: un suono energico, con cui la solista dimostra bravamente la sua agilità nello sfruttare tutta ‘la potenza di fuoco’ delle lunghe sequenze in ottave, doppie ottave spezzate, ottave “a due mani”, con cui Beethoven ottenne , a suo tempo, quell’inaudita proiezione di suono caratteristica di questo capolavoro . Ma non c’è solo l’energia del suono tra le risorse esecutive della De Bernardo: la giovane pianista può contare anche su un tocco di cristallina nettezza, che si esalta in particolare nelle scale e nei trilli nelle zone acute della tastiera (uno splendido Bosendorfer) ove le singole note sembrano sgranarsi come perle di nitido lucore. La De Bernardo sa anche trovare la giusta soluzione interpretativa ad uno dei passaggi di più travolgente bellezza dell’intero concerto: il magico pianissimo, affidato al pianoforte, del finale del tempo lento centrale, che accenna al tema del Rondò finale in fluida continuità tra i due movimenti. Non sempre, tuttavia, De Bernardo ha dato l’impressione di questo perfetto controllo delle dinamiche: talora, specie nelle zone basse della tastiera, il suo fraseggio è apparso un po’ ‘piatto’ e incolore, donde una resa non sempre entusiasmante del liricissimo notturno dell’Adagio centrale. E’ questo un aspetto della sua personalità d’interprete che certamente la bravissima pianista napoletana (classe 1993) saprà migliorare, con l’esperienza e sotto la guida dei suoi validi maestri. Anche in questo secondo concerto l’orchestra, seguendo la bacchetta del suo Direttore, ha saputo dialogare efficacemente con lo strumento solista, anche nei passaggi strutturalmente più complessi, come la transizione che prepara l’entrata del secondo tema nel primo tempo, ove le combinazioni tra le varie sezioni dell’orchestra e il solista coinvolge lo spettatore in una variegata fantasmagoria di timbri e di registri sonori che accompagnano i percorsi modulanti. Peccato che l’acustica del Coccia, un punto debole del teatro novarese, non rendesse piena giustizia a ottoni e timpani, ottundendone talvolta il suono. Salutata dagli applausi del pubblico , la De Bernardo si è congedata suonando un bis da Rachmaninov, un Rachmaninov inusuale, dall’ispirazione fortemente skrjabiniana. Decisamente di buon livello l’esecuzione dei “Quadri di un’esposizione” di Ravel/Musorgskij, in cui la direzione di Paszkowski ha saputo dispiegare al meglio l’infinita e suggestiva poliedricità coloristica di questo capolavoro. Dal greve e cupo Bydlo, al curioso squillante acuto del Ballet des poussins, alle acide tinte sonore del misterioso “Cum mortuis in lingua mortua”, al trionfale “corale” della finale “Grande porte de Kiev”: tutto è stato ben suonato, con un’ orchestra di giovani che con la loro bravura e il loro impegno trasmettevano al pubblico il piacere del fare e dell’ascoltare musica. Anche questo piacere si è espresso nel lungo applauso che ha salutato la fine di questo bel concerto. 31 maggio 2019 Bruno Busca Il grande Grigory Sokolov per la Società dei Concerti Ancora al completo Sala Verdi in Conservatorio per il concerto di Grigory Sokolov. Il "tutto esaurito" avvenuto da molti giorni per ascoltare questo grande interprete è giustificato dal fatto di trovarci, come già ribadito in altre recensioni "di fronte ad un colosso musicale che trova unicità d'espressione all'interno di un processo ri-creativo certamente di alto valore estetico, anche se con risultati formali spesso diversi dalle interpretazioni entrate nella storia". Ieri sera l'impaginato era incentrato su due grandi autori quali Beethoven e Brahms. Del primo era in programma la giovanile Sonata n.3 in do maggiore op.2 n.3 e le rare Undici nuove Bagatelle op.119 e del secondo, dopo l'intervallo i Klavierstucke op.118 e op.119, per un totale di dieci brani eseguiti senza soluzione di continuità. Come accade da sempre si rimane stupiti dalla chiarezza dei dettagli e dalla bellezza cristallina dei timbri che rendono semplici le strutture complesse del lavoro, cosa che è prerogativa solo dei grandi. Ma anche la capacità di scavare in profondità come nelle più semplici strutture di brani "facili" come le rare Nuove Bagatelle beethoveniane, per renderle ricche di profondità ed espressività. Come già detto: "la capacità riflessiva e le abilità tecnico-costruttive ineguagliabili sono gli elementi principali che nelle mani di Sokolov determinano la sua unica cifra d'interprete". In Beethoven siamo rimasti stupiti della perfezione formale nella personale scelta interpretativa avvenuta con grande scioltezza e controllo delle dinamiche. I timbri spesso vellutati e discreti alternati ad altri di intensa presenza volumetrica hanno efficacemente dato valore all'interpretazione. Più entusiasmante, a mio avviso, il suo Brahms, con i noti sei brani dell'op.118 uniti ai quattro dell'op.119 in un unicum di grande vitalità architettonica dove i mezzi manuali del russo determinano contrasti melodici, ritmici, armonici e dinamici di assoluta bellezza. Interminabili gli applausi al termine del programma ufficiale e -come siamo abituati da molti anni- sei rilevanti bis con: F. Schubert e l'Impromptu in la bem. magg. op.142 n.2; J. P. Rameau e Les Sauveges; ancora J. Brahms con l' Intermezzo in si bem. min. op.117 n.2; S. Rachmaninov e il Preludio in sol diesis min. op.32 n.12; C. Debussy e Des pas sur la neige dal primo libro dei preludi, per finire col sommo J. S. Bach e "Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ" dal Corale in fa min. BWV 639. Un concerto nel concerto con sei brani di raro splendore! Da ricordare sempre! 30 maggio 2019 Cesare Guzzardella Il pianista russo Mikhail Lidsky alle Serate Musicali per Skrjabin e Chopin È tornato per Serate Musicali il pianista russo Mikhail Lidsky è ha intrattenuto per circa un'ora e trenta minuti il pubblico non numeroso di Sala Verdi al Conservatorio milanese. Dopo il bellissimo concerto tutto dedicato a Sergej Rachmaninov dello scorso anno, questa volta l'impaginato si articolava in grandi musicisti quali Skrjabin e Chopin. Anche questa volta i numerosi brani scelti, alcuni di raro ascolto, ci hanno rilevato lo spessore compositivo del grande russo e del grande polacco ma anche le qualità di indubbia rilevanza del pianista cinquantunenne venuto ieri da Mosca per sostituire la collega e grande pianista Elisso Virsaladze, assente per motivi di salute. Lidsky ha nelle sue corde sia la musica di Skrjabin che quella di Chopin. La lettura approfondita e calibrata nei colori di entrambi è emersa in modo chiaro. I numerosi brani del russo, e precisamente 2 Mazurche op.40, 4 Preludi op.48, la Sonata n.5 op.53 e la Sonata n.8 op.66, sono stati accorpati senza soluzione di continuità in un unicum da sembrare una lunga suite. La capacità di sintetizzare le timbriche, pur esaltando ogni particolare frangente melodico con colori nitidi nei diversi piani sonori, ha reso di valore la sua interpretazione. Bello e personale il suo Chopin, con la Polacca op.26 n.1, il raro e splendido Allegro da Concerto op.46, il Preludio op.45, tre Mazurche ( op.24 n.3, op.33 n.1 e op.67 n.2) ed infine la Ballata n.3 op.47. La chiarezza espressiva è stata declinata con modalità interpretative in questo caso riflessive, lontane da esecuzioni di celebri interpreti, specie polacchi, ma con un rigore formale coerente e timbricamente di alto livello musicale. Eccellenti le Mazurche, di mirabile rilevanza estetica. Applausi meritati al termine.28 maggio 2019 Cesare Guzzardella SALIERI E MOZART A CONFRONTO A VERCELLI Un programma come sempre intelligente e raffinato, tale da stuzzicare la curiosità degli amanti della musica (senza aggettivi) è stato quello proposto dal Festival Viotti di Vercelli nel penultimo concerto della stagione, ieri sera, Sabato 25/05, sul consueto palcoscenico del Teatro Civico. Tre composizioni per pianoforte e orchestra e tutte e tre nella medesima tonalità, quel Si bemolle maggiore che il Charpentier, nelle sue secentesche “Regles de la composition” definiva ‘magnifica e gioiosa’. Aperta dal Concerto per pianoforte e orchestra di A. Salieri, di raro ascolto, la serata è stata conclusa dall’ultimo dei ventisette concerti per pianoforte e orchestra di W. A. Mozart, quel K 595 che è una dei suoi indiscutibili capolavori. Inutile sottolineare la suggestione che nasce dall’accostamento dei due protagonisti della più fosca quanto assurda leggenda della storia della musica, quella dell’avvelenamento ‘per invidia’, del genio di Salisburgo ad opera del “mediocre e malvagio” compositore italiano. Il vero interesse musicale di questo confronto risiede piuttosto nella possibilità, che esso offre, di capire la differenza tra un dignitoso prodotto di un solido, ma convenzionale ‘mestiere’ e il capolavoro del genio. Tra i due Concerti, un pezzo ‘fuori catalogo’ di Beethoven, il Rondò WoO 6, probabile finale originario, poi sostituito, del Concerto per pianoforte in Si bem maggiore op. 19. Accompagnato dall’Orchestra Camerata ducale, diretta da G. Rimonda, la parte solistica era affidata al pianista Benedetto Lupo, uno dei pochi italiani a vantare, ricordiamolo, un’affermazione al prestigioso concorso internazionale Van Cliburn. Il concerto di ieri sera è stata per noi la prima occasione di ascoltare una composizione strumentale di Salieri. Opera giovanile, risalente al 1773, quando un diciassettenne Mozart metteva in cantiere le sue prime composizioni significative, il Concerto di Salieri rientra perfettamente, come sottolinea con la consueta puntualità il programma di sala curato da A. Piovano, in quello ‘stile galante’ allora imperante e che aveva in Johann Christian Bach il suo nume riconosciuto. Questo concerto è esemplare delle virtù (poche) e dei difetti (molti) del compositore di Legnago. Non si può dire che a Salieri manchino le idee: il secondo tema dell’Allegro moderato iniziale e, soprattutto, alcuni momenti di dolce abbandono melodico nell’Adagio centrale, venato di suggestive modulazioni in minore, sono degni di nota. Il limite di Salieri emerge quando si tratta di elaborare il materiale musicale, di sfruttarlo, traendone tutte le possibili implicazioni costruttive: qui Salieri cade e il confronto con Mozart si farebbe impietoso. In sostanza il compositore italiano si limita a girare intorno ai temi, con uno stile ripetitivo e prolisso, ornato di trilli ed arpeggi, senza che mai spicchi il volo l’invenzione, quel colpo d’ala che è il segreto della musica davvero grande. Alla fine del Concerto, tagliato nei tradizionali (allora) tre tempi, l’ascoltatore ha la netta impressione che esso sia stato troppo lungo per quello che l’autore aveva da dire. Ieri sera il Concerto di Salieri ha avuto il privilegio di essere eseguito da quell’eccellente pianista che è Lupo, il cui stile interpretativo spicca per un perfetto equilibrio tra incisiva nettezza del suono e dolcezza delicatamente sfumata del tocco. Armato di queste virtù, Lupo ha subito messo in luce un fraseggio ricco di chiaroscuri e di varietà nelle dinamiche, con una timbrica di cristallina trasparenza, anche nelle parti ritmicamente più veloci, e un esemplare controllo dei piani sonori nel bilanciamento tra l’acuto e il basso, sostenuto da un sobrio uso del pedale. E’ grazie a questa cifra interpretativa che Lupo ha tratto dalla partitura di Salieri il meglio che essa potesse dare ,soprattutto nel tempo meglio scritto, l’Adagio centrale, dove l’effuso e patetico melodismo dello stile galante si è venato di una dolcezza che in alcuni momenti ha sfiorato l’incanto. Decisamente coinvolgente l’esecuzione del K595: qui il tocco di Lupo ha potuto dare il meglio di sé, evocando con dolcezza, sempre misurata ed elegante, e varietà di sfumature, l’altissimo spirito lirico-contemplativo da cui sorge questo testamento spirituale di Mozart. In questo caso è stato soprattutto il primo tempo, ‘Allegro’, quello in cui Lupo ha raggiunto, a nostro avviso, i vertici delle sue capacità interpretative: ci riferiamo in particolare alla riesposizione del materiale tematico ad opera del solista e al successivo sviluppo, sezioni ove la ricchezza e la straordinaria intensità di passaggi cromatici e di modulazioni sempre più remote dalla tonica e perciò più cariche di sottili risonanze, hanno offerto al solista il materiale sonoro per un colloquio intimo, profondo, con un mondo spirituale in cui la distesa serenità dell’insieme non celava brividi improvvisi di inquietudine nei frequenti chiaroscuri (di cui, diciamocelo, Lupo è maestro impareggiabile). Se questi sono stati i momenti più alti del concerto, non sono certo mancati anche i momenti di più accentuato virtuosismo, nei quali Lupo ha dato prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, del suo perfetto controllo della tastiera. Dovere di completezza ci impone un accenno al Rondò beethoveniano, pezzo in verità poco significativo musicalmente, di cui Lupo ha giustamente portato in primo piano, più che il carattere ‘grazioso’ dei temi, la fisionomia concertistica, grazie ad una scelta interpretativa, che, lungi dal privilegiare la linea melodica della mano destra, dava anche il giusto spazio alla potente energia affidata alle zone più scure della tastiera. Accanto al solista, meritano un caldo plauso la Camerata ducale e la direzione di Rimonda, come sempre perfettamente a suo agio con partiture settecentesco-classicistiche. Esemplare la direzione del K595, non solo per il perfetto dialogo con il solista, su un tono delicatamente sommesso, ma anche per la capacità di dare vita a incantevoli momenti ‘cameristici’, in cui l’orchestra si rivela non semplice accompagnamento, ma coprotagonista del capolavoro mozartiano, grazie ad un lavoro di grande pulizia e sottigliezza formale sul suono. Un meritatissimo applauso a tutti, solista, Direttore, orchestra, per un'altra serata ben pensata e ben riuscita del Festival Viotti, conclusa dal bis dell’Adagio del Concerto di Salieri. Ci si consenta un’ultima nota di cronaca: tra i motivi salienti della serata, la presenza in sala di un folto gruppo di bambini di una scuola elementare, guidati dalla loro maestra. Hanno seguito il concerto in religioso silenzio, meglio di tanti adulti: se nutriamo speranze sul futuro del nostro Paese e della sua civiltà musicale, lo dobbiamo anche a bambini e a maestri come questi. 26 maggio 2019 Bruno Busca Eccellente Francesca Dego diretta da Jader Bignamini Mi ricordo ancora nel lontano 2006 l'allora sedicenne violinista Francesca Dego in Conservatorio alle prese con un'ottima beethoveniana Sonata a Kreutzer accompagnata dall'amica Francesca Leonardi. Son passati ben tredici anni e Francesca ha percorso una strada sempre in salita divenendo presto un'eccellente interprete richiesta in ogni parte del mondo. Ieri sera all'Auditorium milanese di largo Mahler, insieme ad un ottimo mix di Orchestra Sinfonica Verdi e di Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Jader Bignamini, Francesca ha eseguito mirabilmente il Concerto n.1 in La minore op.77 di Dmitri Šostakovič, uno dei capolavori della letteratura violinistica di ogni tempo. Il voluminoso e caldo violino della Dego è entrato subito all'opera con il Notturno.Moderato, primo movimento, dalle tinte scure e dall'andamento riflessivo, che introduce il lavoro composto dal grande russo negli anni '50. Rimane particolarmente impressa la struttura di questo concerto dalle caratteristiche molto sinfoniche per la complessa e articolata parte orchestrale. La parte solistica è comunque quasi sempre in primo piano con i timbri profondamente coinvolgenti del violino. Jader Begnamini ha condotto la "duplice" ottima orchestra in modo splendido esaltando ogni dettaglio del contrastato concerto. La melodicità della parte solistica ha trovato nella Dego ottime peculiarità nello scavare in profondità le timbriche del voluminoso strumento ad arco: note spesso isolate, dai colori scuri e ricche di calore. Anche nei momenti più concitati e virtuosistici come nello Scherzo del secondo movimento o nella Burlesca del quarto, la virtuosa ha esaltato con tecnica fluida e scintillante ogni fraseggio. Bellissima poi la lunga Coda che porta alla Burlesca nel finale. Successo caloroso tributato alla visibilmente soddisfatta interprete dal numeroso pubblico intervenuto e ben tre bis solistici concessi tra cui una fluida Obsession e una introspettiva Melanconi a dalla Sonata n.2 per violino solo di Eugène Ysaye. Purtroppo non ho potuto assistere alla seconda parte del concerto che prevedeva la nota Sinfonia delle Alpi di R. Strauss, a detta di amici resa molto bene dalla Verdi. Si replica Domenica alle ore 16.00. Da non perdere.25 maggio 2019 Cesare Guzzardella MUSICA CONTEMPORANEA AL CANTELLI DI NOVARA Quell’inesauribile fucina di iniziative musicali che è ormai diventato il Conservatorio G. Cantelli di Novara, grazie all’intelligente intraprendenza dei suoi dirigenti e docenti e alla qualità dei suoi allievi, sta proponendo per tutta questa settimana una serie di concerti dedicati alla musica contemporanea. Oggi pomeriggio alle 17 abbiamo assistito a quello che è stato probabilmente il concerto di maggior rilievo dell’intera serie. Il bellissimo impaginato, dall’immaginoso titolo “Ad astra per aspera”, per il ricorrente riferimento al firmamento stellare in alcuni dei brani in programma, era aperto da uno dei tanti gioielli di quel grande compositore francese, ancor troppo ignorato in Italia, che fu André Jolivet:” Suite en concerte” per flauto e percussioni (1966). Composizione in quattro tempi, emana il fascino tipico della musica di questo sodale di Messiaen ai tempi della ‘Jeune France’, vale a dire come un’eco remota di una sacralità originaria dell’alba dell’umanità, ove il suono vibra di misteriose risonanze, contatto tra l’umano e un’arcana realtà che lo trascende. L’uso talora incantatorio, talora barbarico delle percussioni (retaggio degli studi con Varése , di cui Jolivet fu l’unico allievo europeo) e il timbro vellutato e rarefatto del flauto, in una tessitura armonica ove la tonalità era sospesa, ma non drasticamente abolita, davano a questa musica un raro potere fascinatorio. I “ragazzi del Cantelli” hanno eseguito lodevolmente questo complesso brano: precise nelle entrate e nel tocco le percussioni, brava la flautista Giuditta Cavazzana, nel trovare il giusto valore timbrico del suo strumento in un dialogo non facile colle percussioni. Seguivano due composizioni, particolarmente rappresentative di quella reazione al rigido strutturalismo darmstadtiano che fu l’alea. La prima è uno dei capolavori più noti di Bruno Maderna, la “Serenata per un satellite” (1969). Come ogni composizione “aleatoria”, anche questa propriamente è realizzata in forma inevitabilmente diversa ad ogni esecuzione, poiché sta agli esecutori scegliere che cosa suonare e in quale ordine. Lo stesso organico è abbastanza libero, pur avendo l’autore lasciato alcune indicazioni di massima. La ‘ versione ‘ ascoltata oggi a Novara prevedeva un ensemble formato da pianoforte, flauto contralto, violino, viola, violoncello, clarinetto basso, marimba. Ci è parso che la modalità esecutiva scelta da tale ensemble privilegiasse nettamente, tra quelle possibili, la valorizzazione dei contrasti timbrici e la creazione di ricorrenze ritmico-melodiche, piuttosto che la frammentazione “cellulare” del brano, come pure sarebbe lecito. Scelta più che legittima, realizzata con ottima abilità esecutiva ed efficace gestione dei piani sonori. Nell’elenco degli esecutori, tutti meritevoli di lode, segnaleremmo in particolari i due fiati, Ilaria Torricelli (flauto) e Ivan Corona (clarinetto basso, dall’ottima proiezione ed energia di suono). Il secondo esempio di musica aleatoria anni’60/’70 sono stati i sei “Segni” proposti, dei dodici della serie completa, dello Zodiaco (“Tierkreis”) di Stockhausen. Vale lo stesso discorso che si è fatto per il brano di Maderna: i vari strumenti impiegati in questa esecuzione, tromba, due saxofoni, flauto, pianoforte e ben tre chitarre, di cui una elettrica, hanno dato vita ad un’avventura timbrica di notevole suggestione, in cui il pizzicato delle chitarre, il luminoso suono della tromba, la malinconica e ironica vena dei sax, la sottile e melodica voce del flauto, sul tappeto sonoro di un pianoforte che alternava momenti di puro ritmo a zone di più effuso melodismo (se questo termine si può utilizzare per una siffatta composizione) hanno creato un universo sonoro, che, nel suo impianto atonale, ricreava nel dialogo strumentale un mondo sonoro piuttosto compatto, plasmato su un’atmosfera sottilmente onirica, a tratti allucinatoria, che davvero sembrava proiettare l’ascoltatore ‘ad astra’. Tutti bravi, ancora una volta, i giovani esecutori, tra i quali osiamo indicare soprattutto Michele Tarabbia, ottima tromba e Sonia Candellone, pianista dal suono potente e dal ritmo incisivo. La conclusione, infine, è toccata al brano di un compositore ancora ben attivo ai nostri giorni, l’americano Lowell Liebermann (1961). E’ stata eseguita una delle sue opere più note, la Sonata op.23 per flauto e pianoforte, in due tempi, in cui il secondo, un Presto energico, richiede vere acrobazie all’interprete, nell’occasione l’eccellente Benedetta Ballardini, una delle ‘promesse’ del Cantelli, che ha dato fondo a tutte le sue energie e alla sua abilità già matura di diteggiatura, per eseguire l’arduo passo. Un bel pomeriggio di musica, salutato dai caldi applausi del pubblico presente. 23 maggio 2019 Bruno Busca Il pianista sud-coreano Seong-Jin Cho per la Società del Quartetto Di significativo valore il ritorno in Sala Verdi del pianista sud-coreano Seong-Jin Cho. L'ho ascoltato nel 2017, sempre in Conservatorio, per un'altra società concertistica. Ieri sera è tornato nel recital organizzato dalla Società del Quartetto ottenendo un caloroso successo. Sala Verdi era al completo e oltre ai numerosi abbonati, anche alcune centinaia di appassionati sud-coreani - molti giovanissimi- hanno seguito le sicure timbriche del loro connazionale. L'impaginato variegato prevedeva brani di Schubert, Debussy e Musorgskij, tre musicisti decisamente diversi per modalità espressive. Siamo abituati oramai alla presenza di una scuola pianistica orientale cinese e sud-coreana che ha preparato star internazionali quali Lang Lang o Yuja Wang. Seong-Jin Cho ha in comune con i due più celebrati pianisti la tecnica super-virtuosistica che non concede errori di note o momenti d'insicurezza. Ma questa super-tecnica spesso potrebbe non risolvere problemi interpretativi che dipendono soprattutto da modalità espressive legate ad affinità culturali più ampie. Il venticinquenne Seong-Jin Cho venendo da importanti vittorie di concorsi internazionali - certamente il più importante Concorso Chopin di Varsavia nel 2015- ha tutte le carte in regola per cimentarsi in ogni grande autore. Ha incominciato la serata proponendo la nota Wanderer Fantasia D 760 di Franz Schubert, eseguendola certamente bene, con approccio sicuro, da virtuoso e con precisione tecnica. A mio avviso, nella valida resa estetica, l'uso eccessivo del pedale ha parzialmente omoegenizzato i contrasti sottili dei diversi piani sonori per un risultato non risolto completamente nelle dinamiche. Di più efficace resa i brani presentati di Claude Debussy: le tre Images dal Libro I e dei Preludes (libro I) il n.3, il n.8, il n.6 e il n. 7. Esecuzioni con frangenti di indubbio valore interpretativo. Originale e timbricamente molto contrastato, in un contesto tecnico superlativo, i celebri Quadri di un'esposizione di Modest Musorgskij. Due i bis concessi con brani dall'Op 118 di J. Brahms: la Romance in fa magg. op.118 n.5 e l'Intermezzo in la maggiore op.118 n.2. Applausi scroscianti e numerose salite sul palcoscenico. Da ricordare e riascoltare! 22 maggio 2019 Cesare Guzzardella Prossimi concerti a Novara Al Conservatorio "Cantelli" di Novara (Auditorium f.lli Olivieri) sabato 1° giugno 2019 ore 17 si terrà un Concerto Straordinario in occasione della cerimonia di consegna delle Borse di Studio "Clotilde Galli". In programma musiche di Liebermann, Arutunian, Bach, Schnittke, Liszt, Busoni, Prokof'ev eseguite da Benedetta Ballardini e Sonia Candellone (flauto e pianoforte) Erika Patrucco e Roberta Menegotto (tromba e pianoforte) Davide Agamennone, violino, Cecilia Apostolo, pianoforte , Ilaria Torricelli e Francesca Leonardi (flauto e pianoforte). Alla sera alle 21.00 a Bellinzago presso la Chiesa di Sant'Anna, il Concerto Orchestra Junior del Conservatorio "Cantelli" con Gianni Biocotino, direttore . In programma musiche di Charpentier, Vivaldi, Haendel, Morricone, Schuloff 22 maggio 2019 dalla Redazione Steven Isserlis per Serate Musicali in Conservatorio È tornato ieri sera in Sala Verdi per i concerti di Serate Musicali il violoncellista Steven Isserlis accompagnato dall' eccellente fortepianista Robert Levin, specialista di questo strumento e presente sul palcoscenico con ancora il fortepiano a coda Johann Schantz realizzato a Vienna nel 1810 e appartenente alla collezione di Fernanda Giuliani. Il programma prevedeva la seconda parte dell'integrale di un "tutto Beethoven" con le 7 Variazioni su Bei Männer , welcher Liebe fühlen op. 46 dal Flauto magico di Mozart e tre Sonate per violoncello e pianoforte e precisamente l'op.5 n.2, l'Op.102 n.1 e l'102 n.2. Come scritto recensendo il concerto dello scorso anno "ascoltare Beethoven con il fortepiano è un' esperienza interessante ed entusiasmante per quel sapore di antico che traspare dalle timbriche non voluminose ma nette e precise della tastiera che nel duo con violoncello esaltano maggiormente lo strumento ad arco pur mantenendo una specificità della componente fortepianistica che specie nelle sonate beethoveniane risulta essere determinante". Isserlis con il suo Stradivari del 1726 e Levin, con il raffinato fortepiano, hanno rivelato eccellenti qualità che raramente si ascoltano in questo particolare duo. Le modalità interpretative, con l'aspetto gestuale "improvvisatorio" di Isserlis e la perfetta tecnica di Levin, fanno trapelare una musicalità di altissimo livello estetico che emerge ancor più nei momenti di grande melodicità beethoveniana. La perfezione nell'integrarsi sui differenti piani sonori - pur nelle specificità delle timbriche- ha segnato in modo indelebile queste ottime interpretazioni. Fragorosi gli applausi tributati al termine ai due grandi interpreti e al termine del programma ufficiale ancora il luminoso bis eseguito nel novembre dello scorso anno con Ich ruf' su Dir, Herr Jesu Christ, BWV 639 di J.S.Bach. Da ricordare. Bravissimi! 21 maggio 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente Laura Marzadori e Olaf Laneri a Villa Litta E' denominato “Sonate nel tempo, tempi di Sonate” il concerto che avrà luogo nella milanese Villa Litta di via Affori 21. La violinista scaligera Laura Marzadori ed il pianista Olaf Laneri terranno infatti un concerto il 27 maggio alle ore 20.45 con musiche di Beethoven, Grieg, Brahms e Messina. Il Concerto spazia dalla classica e celebre "Sonata a Kreutzer", culmine delle Sonate per violino e pianoforte di Beethoven, ai ritmi e alle melodie popolari norvegesi di Grieg, per rivolgersi poi a due tempi di Sonate: il celeberrimo Scherzo della triplice Sonata FAE, di Brahms, e un Tempo di Sonata di Gianfranco Messina, tecnicamente sperimentale ma basato su sequenze armoniche di Debussy. Laura Marzadori giovane trentenne Violino di Spalla dell'orchestra del Teatro alla Scala, riesce anche a tenere numerosi concerti in formazioni cameristiche eseguendo spesso brani di autori contemporanei come quello del promettente giovane compositore trentenne Gianfranco Messina, allievo, tra gli altri, dell'affermato Fabio Vacchi. Da non perdere. 20 maggio 2019 dalla redazione A NOVARA IL CONSERVATORIO G. CANTELLI RICORDA IL BICENTENARIO DI CLARA WIECK SCHUMANN Decisamente degna di encomio l’iniziativa promossa dal Conservatorio novarese di ricordare i duecento anni della nascita di Clara Wieck, la cui attività di compositrice, soprattutto di musica per pianoforte, è stata sino ad anni recenti totalmente oscurata dall’ingombrante nome del grande e infelice marito, Robert Schumann. Tutt’al più veniva ricordata per la sua attività, eccezionalmente lunga e intensa, di pianista di straordinario livello, tra le più grandi di tutti i tempi, Solo da qualche tempo, grazie anche all’iniziativa di alcune case discografiche particolarmente intraprendenti, come la Naxos, e a siti digitali come Youtube, si comincia finalmente a conoscere qualcosa della Clara Wieck Schumann compositrice. Il Conservatorio G. Cantelli di Novara ha dunque dedicato a questa affascinante figura una “due giorni” , intitolata in tedesco “Geliebte Clara “ (“Amata Clara”), snodatasi, sotto la guida di un comitato presieduto da Luca Schieppati, tra ieri, Venerdì 17 /05 e oggi, Sabato 18, e articolata in conferenze, concerti e altro. Personalmente abbiamo assistito, oggi pomeriggio, Sabato 18, alla parte conclusiva delle celebrazioni, che si divideva in tre momenti nettamente distinti: un’interessantissima e stimolante conferenza del Maestro Luca Ciammarughi , “Clara come didatta” che ha illuminato un altro aspetto fondamentale della figura di questa donna straordinaria, quello di insegnante di pianoforte, svoltasi a partire dagli anni ’80 del XIX sec., quando, abbandonata l’attività concertistica, entrò come docente di pianoforte al Conservatorio di Francoforte. Ciammarughi ha proposto l’ascolto commentato di interviste ed esecuzioni delle tre allieve più importanti di Clara Fanny Davies, Ilona Ebenschutz e Adelina de Lara . E’ seguita la proiezione di un raro film girato in Germania, nel 1944(!) dal regista e sceneggiatore Harald Braun, “Traumerei”: e’ stata decisamente la fase meno interessante del pomeriggio di ‘Geliebte Clara’, perché, a parte la rarità del film, si tratta di un pesante sottoprodotto romanticheggiante, infarcito di imprecisioni storiche vistose, che nulla aggiunge a quanto già non si sapesse della vita della musicista: faceva una certa impressione pensare che quella Germania ottocentesca mostrata nel film allo spettatore tedesco era già stata in gran parte sbriciolata dai terrificanti bombardamenti anglo-americani…Infine, come doveroso, la parte musicale del pomeriggio. Essa proponeva tre composizioni: una di Clara Schumann, i primi tre dei sei Lieder op.13, le altre due dei due compositori che più hanno contato, da vari punti di vista, non solo musicali, nella vita di Clara, cioè J. Brahms, con le “Variazioni su un tema di Schumann op.9” e ovviamente R. Schumann con le tre Phantasiestucke per clarinetto e pianoforte op. 73. I tre Lieder, su testi E. Geibel, non sfiguravano accanto ai Lieder ben più celebri di Schumann, distinguendosene forse per una scrittura pianistica più semplice sotto il profilo armonico. Di questi il più bello, poeticamente e musicalmente, ci è parso il terzo “Liebeszauber” (Incantesimo d’amore), ricco di chiaroscuri e di variegati piani sonori, resi adeguatamente dal soprano Tiziana Ravetti, brava nel fraseggio e intensa negli acuti, e dalla pianista Gigliola Granziera, in perfetta sintonia con la cantante e dal tocco morbido ed energico a un tempo, sia nell’acuto, sia nel basso. Valida anche l’esecuzione delle variazioni brahmsiane da parte del giovane pianista milanese Federico Costa: buona padronanza tecnica della tastiera, apprezzabile capacità di cogliere le valenze espressive di queste variazioni, in particolare nel finale, ove Costa ha fraseggiato dando il giusto risalto al tono struggente dell’omaggio a Schumann della variazione n.15 e nella sedicesima, conclusiva, ha interpretato con misurata pensosità il basso da ciaccona del tema. Un plauso, infine, si meritano, per i Phantasiestucke schumanniani Gabriele Mercandelli, uno dei migliori giovani clarinettisti del Cantelli e la pianista Cecilia Apostolo, che hanno dato voce alla festosa leggerezza di questa composizione schumanniana, una tipica Hausmusik che ne fa una delle poche composizioni del catalogo schumanniano di tono leggero e cordiale. Bella occasione di incontro con la musica, questa offerta dal Cantelli, cui purtroppo hanno aderito in pochi: l’auditorium era semivuoto. Sarà stato per la giornataccia di pioggia che non invitava ad uscire di casa? 18 maggio 2019 Bruno Busca Il Cuarteto Casals per la Società del Quartetto Ieri sera il Cuarteto Casals ha continuato la serie dei concerti dedicati a Beethoven e a Bartók in Conservatorio interpretando prima il Quartetto n.1 op.7 SZ 40 dell'ungherese e poi il Quartetto n.14 op.131 del genio di Bonn. Per la terza volta ospiti della Società del Quartetto, la prestigiosa formazione formata da Vera Martinez Mehner al violino, Abel Tomàs al violino, Jobathan Brown alla viola e Arnau Tomàs al violoncello, hanno mostrato talento con esecuzioni di mirabile fattura. Il quartetto bartókiano composto quando l'autore aveva solo 26 anni nel 1907 è già decisamente evoluto e rappresenta un netto superamento della visione tardo romantica ancora presente in molti compositori contemporanei all'ungherese. Lo splendido equilibrio timbrico ottenuto dai quattro cameristi ha evidenziato una perfetta padronanza delle dinamiche rese benissimo anche nei volumi quasi impercettibili nei momenti più profondi. Il magnifico impasto timbrico degli interpreti ha rivelato una qualità esecutiva omogenea e di alto livello per ogni esecutore. Passando, nella seconda parte della serata, al Quartetto in do diesis minore di Beethoven, terz'ultimo del compositore, abbiamo riscontrato medesime qualità interpretative in tutti quattro i movimenti che compongono il celebre lavoro. Con maestria e sicurezza tecnica superlativa, i quattro hanno evidenziato ogni frangente della composizione eseguendo i movimenti senza soluzione di continuità. Applausi fragorosi al termine e splendido il bis concesso con un movimento da un quartetto di Mendelssohn. Da ricordare. 15 maggio 2019 Cesare Guzzardella Carlo Levi Minzi per il Concerto n.2 di Brahms alle Serate Musicali Dopo il valido concerto dell'11 marzo scorso è tornato sul palcoscenico di Sala Verdi il pianista Carlo Levi Minzi ancora diretto da Giorgio Rodolfi Marini ma questa volta con l'Orchestra del Teatro Carlo Coccia di Novara. Anche ieri sera per Serate Musicali ho potuto ascoltare solo la prima parte dell'impaginato che prevedeva il Concerto n.2 op.83 di Brahms. Devo in parte ripetere le impressioni avute con il Concerto brahmsiano n.1 del mese di marzo. "L'interpretazione particolare di Levi Minzi, affermato pianista e noto didatta milanese, ha trovato un andamento rilassato, con movimenti in cui la struttura melodico-armonica è definita in modo analitico con dettagli particolareggiati. Punto di forza nell'inusuale interpretazione di Levi Minzi è la chiarezza coloristica attenta e precisa, con frangenti di eccellente risalto estetico" . Chiaramente il volere intraprendere questa andatura analitica è oramai una scelta sicura di Levi Minzi e Marini per raggiungere obiettivi chiari, forse non apprezzabili da tutti, ma certamente coerenti e piacevoli per la chiarezza espressiva di molti frangenti. Anche il bis concesso da Levi Minzi con un Intermezzo brahmsiano ha raggiunto una vetta di ampia riflessione musicale. Nella seconda parte della serata la celebre Sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvorak, a detta di amici, eseguita molto bene da un orchestra che certamente gode da parecchio tempo di ottimo prestigio. 14 maggio 2019 Cesare Guzzardella Tra jazz e classica con Enrico Pieranunzi e Paolo Silvestri Esiste un punto d'incontro naturale tra generi musicali apparentemente differenti quale il jazz e la musica classica. Alla fine degli anni 50' si definiva con Third Stream un modo per descrivere un genere musicale che era una sintesi fra la musica classica, precisa nella trascrizione in partitura, e il jazz, stile che ha nell'improvvisazione l'elemento più evidente. Nacquero allora formazioni jazz dalle timbriche classiche come il celebre Modern Jazz Quartet, che cercavano di unire modalità espressive nate in modi differenti per prodotti artistici che trovassero un nuovo e più allargato pubblico. Musicisti soprattutto classici come Gulda o jazz come Loussier, Gaslini, Corea, Jarrett, Cicero, Camilo, Caine, solo per citare i più noti, si dedicarono anche ad entrambi i generi e incontrarono spesso il classicismo del sommo J.S.Bach. Non dimentichiamo in passato le incursioni jazz di musicisti quali Stravinskij, Shostakovič o Ravel. In Italia, tra i più apprezzati pianisti di successo che cercano e trovano con valida sintesi una soluzione tra i due mondi musicali abbiamo Enrico Piranunzi: ottimo interprete classico ed eccellente jazzista. Questa mattina al Dal Verme, insieme all'orchestra de "I Pomeriggi" e al direttore, arrangiatore e compositore Paolo Silvestri, abbiamo ascoltato per la serie "I Matinée" un riuscito esempio di sovrapposizone di generi per un linguaggio unitario. Domenico Scarlatti, J.S. Bach, Ennio Morricone, Enrico Pieranunzi e Paolo Conte, sono i compositori trasformati dal pianista e dal direttore Silvestri - eccellente arrangiatore - per risultati a volte apprezzabili, a volte eccellenti. Ha iniziato da solo Pieranunzi con alcune Sonate di Domenico Scarlatti ( K9, K239, K206, K260) trasformate in corso d'opera in brani tra il classico e il jazz, con parti improvvisate, ritmate, accentuate ecc. per un risultato certamente di qualità. Entrando in scena l'ottima Orchestra de I Pomeriggi siamo passati ad una trascrizione-rielaborazione di Silvestri - con cadenze improvvisate di Pieranunzi- del Concerto n.5 in fa minore BWV 1056 di J.S.Bach. La fedeltà nella scrittura di alcune parti e la valida ri-orchestrazione, insieme all'ottima esecuzione di Pieranunzi, pianista dai colori morbidi e raffinati, hanno portato ad un nuovo Bach . Bellissimo il Largo centrale anche per le raffinate sonorità degli archi. Di valore l'orchestrazione operata da Silvestri anche nel brano successivo di Ennio Morricone tratto da Nuovo Cinema Paradiso. Gli impasti sonori tra le timbriche del pianoforte con i chiaro-scuri orchestrali mi sono sembrati di gran pregio. A seguire i due brani di Pieranunzi, Les amants e Una piccola chiave dorata, ancora arrangiati da Silvestri hanno trovato momenti certamente felici alternati ad altri meno convincenti nei quali gli impasti sonori tra pianoforte e orchestra sono risultati un po' disequilibrati con una prevalenza delle dinamiche orchestrali. Divertente il brano Azzurro di Paolo Conte trasformato in un ibrido jazz dalla coppia Sivestri- Pieranunzi. Ottimi i bis proposti da Pieranunzi. Per concludere: ottimo concerto che ha trovato momenti di felice riuscita artistica sia grazie alle indubbie qualità creative del raffinato pianista che dall'ottimo orchestratore-direttore. Bravissimi gli orchestrali! Da ricordare. 12 maggio 2019 Cesare Guzzardella ADAMS E MESSIAEN CONCLUDONO LA STAGIONE CAMERISTICA DEL CONSERVATORIO G. CANTELLI DI NOVARA. All’insegna di una proposta di ascolto originale la conclusione, oggi sabato 11 maggio, della stagione cameristica del Conservatorio novarese intitolato al grande direttore d’orchestra G. Cantelli: due esempi di musica novecentesca a tema religioso, per duo pianistico: l’uno, celeberrimo, la Vision de l’Amen di O. Messiaen, un secondo, forse meno noto e più recente (1998), l’Hallelujah Junction di J. Adams. A eseguire i due pezzi in programma due giovani pianisti, che vantano già entrambi un qualificato curriculum di studi, di concorsi e di recital, vale a dire Monica Cattarossi, docente presso il Cantelli, e Filippo Farinelli. Invertendo l’ordine cronologico di composizione, il concerto si è aperto col pezzo di Adams, il cui titolo, in realtà, non rimanda ad un’ispirazione direttamente religiosa: Hallelujah Junction è infatti una fermata d’autobus nei pressi di una residenza del compositore, ma è proprio quella parola così carica di tradizione religiosa e sacrale ad avere spinto Adams a scrivere il pezzo. Di chiara concezione minimalista, Hallelujah Junction si caratterizza per l’iterazione di ampi segmenti musicali, lungo un percorso che ha inizio con tre note , corrispondenti alle tre sillabe “-lle-lu-ja”, che i due pianoforti sembrano rimpallarsi l’un l’altro, secondo armonie modali e con una lieve sfasatura tra primo e secondo pianoforte. Il fascino di questa composizione consiste nella varietà di colori timbrici e di ritmi, nel passaggio da una sezione all’altra del continuum musicale, sempre più intensi, , che culminano nello sfrenato boogie finale, in cui, come spiega Adams stesso, i due pianisti sembrano “andare in tilt”, come impazziti. Bellissima, oseremmo dire perfetta e coinvolgente, l’esecuzione di Cattarossi (primo pianoforte) e di Farinelli (secondo pianoforte), che hanno espresso come meglio non si potrebbe la varietà dinamica e agogica della complessa partitura, ma soprattutto, hanno dato vita a un affascinante dialogo tra le due tastiere, facendo affiorare, in ciò che appariva come acusticamente identico, il lieve scarto ritmico, o il dettaglio timbrico, con cui il compositore statunitense ha costruito un originalissimo e geniale mondo sonoro. La bravura dei due bravissimi interpreti è stata ulteriormente esaltata dal capolavoro di Messiaen. Cattarossi e Farinelli hanno saputo individuare, per ciascuna delle sette parti in cui questo straordinario monumento del’900 musicale è articolato, un’identità sonora, un colore, un fraseggio. Senza poter entrare negli infiniti dettagli proposti da una partitura come questa, diremo che l’ascoltatore è stato catturato fin dall’Amen della Creazione, il primo della serie. Veramente affascinante il misterioso pianissimo, paragonabile per suggestione e funzione compositiva all’incipit del wagneriano” Oro del Reno”, sorta di emergere dell’Universo dal nulla originario, che poi cede ad un incantevole dialogo tra le due tastiere, tra i delicati arabeschi ripetuti a carillon del pianoforte 1 e gli accordi grandiosi con cui il pianoforte 2 evoca il mistero della Creazione: il tocco delicato e quasi evanescente di Cattarossi e quello energico e possente di Farinelli, a rispondersi l’un l’altro, trasformando due strumenti in un’orchestra, cosa possibile, crediamo, solo al pianoforte. Ma veramente tutta l’infinita gamma delle soluzioni musicali e dei registri timbrici profusi dal compositore francese hanno trovato la loro voce sotto le dita dei due interpreti: tra tutti citiamo, quali vertici di qualità assoluta, la tenerezza struggente del primo tema dell’Amen del desiderio e il finale trasumanante dell’ultimo Amen, quello della Consumazione, ove il luminoso La maggiore del Paradiso, in un crescente scintillio di ritmi di danza sempre più appassionati, ha davvero innalzato per alcuni minuti interpreti e pubblico ad un’esperienza spirituale al di sopra della normale quotidianità. Il pubblico, allo spegnersi dell’ultima eco dell’ultima nota, ha salutato i due interpreti con un applauso che era, prima di tutto, di gratitudine: un concerto così non si dimentica facilmente. 11 maggio 2019 Bruno Busca Presentata la Stagione 2019-2020 della Fondazione la Società dei Concerti Non poteva andare meglio il concerto organizzato in occasione della presentazione della prossima Stagione della Società dei Concerti. La Presidente e Direttore artistico della nota organizzazione concertistica fondata da Antonio Mormone, Enrica Ciccarelli Mormone, ha introdotto la serata anticipando il programma della Stagione 2019-2020 che prevede la partecipazione di interpreti straordinari quali Kissin, Matsuev, Buchbinder, Wang, Volodos, Lewis, Accardo, Rana, Tifu ecc.,solo per citarne alcuni, ed introducendo quindi il concerto e i suoi giovani interpreti. Quattro artisti di cui tre validi strumentisti ed un compositore, hanno contribuito con la loro musica ha riempire di ottime sonorità la grande ed affollata Sala Verdi del Conservatorio milanese. Il pianista Antonino Fiumara, la violinista Emma Arizza e il saxofonista Jacopo Taddei, unitamente al compositore Vittorio Montalti che ha scritto un trio per l'occasione - tutti e quattro sono Artisti in Residence della società concertistica- hanno rivelato le loro qualità eseguendo numerosi brani. Fiumara ha introdotto la serata con una valida esecuzione della Polacca Fantasia op. 61 di Chopin, quindi con un cambio totale di registro siamo passati ad un brano per saxofono e pianoforte del giapponese Takashi Yoshimatsu denominato Fuzzy Bird Sonata , brano degli anni '50 che inizia ad avere una certa notorietà anche qui in Italia. Straordinaria l'interpretazione di Taddei in questo lavoro in tre parti che unisce stilemi occidentali a timbriche del migliore jazz. L'uso di ogni effettistica del sax contralto, quasi completamente scritta in partitura, è stata definita in modo efficace in tutta la voluminosa emissione dello strumento a fiato dall'eccellente ventitreenne musicista, coadiuvato dall'ottimo pianista che spesso unitamente al sax eseguiva parti solistiche all'unisono. Strepitosi gli applausi accordati al duo e ripetuti fragorosamente anche nel divertente e coinvolgente secondo brano di Jean Matitia denominato The Davil's Rag, un esempio di virtuosistico ragtime nel quale sia il sassofono che il pianoforte fanno cose strabilianti. Dopo il breve intervallo il violino della giovane Emma Arizza accompagnata da un impeccabile Fiumara ha introdotto il duo per violino e pianoforte di H. Wieniawski Variazioni su un tema originale op.15. Molto brava la violinista nel mettere in risalto ogni dettaglio virtuosistico con perfetta intonazione e giusto equilibrio. Salito sul palcoscenico, il compositore Montalti ha presentato il lavoro appositamente scritto per i tre interpreti ed intitolato The Image Maze: una sequenza di immagini timbriche, da quelle pregnanti intonate dal sax a quelle più tenui del violino, si sono succedute nel definire la sua valida composizione. Passando ad Astor Piazzolla con due noti lavori quali Primavera Portena e Otono Porteno nella trascrizione per sax, violino e pianoforte, siamo tornati a quelle immediate coloristiche che caratterizzano la sconfinata produzione del noto compositore argentino. Splendide le parti solistiche del sax ma anche i colori pregnanti e caldi del violino dell'Arizza. Applausi fragorosi ai protagonisti ed eccellenti i bis concessi e tra questi l'avvincente Humoresque di Antonin Dvora k e per finire il Tango pour Claude di Richard Galiano. Da ricordare.11 maggio 2019 Cesare Guzzardella Il pianista polacco Szczepan Kończal in Sala Puccini per Serate Musicali É un ottimo interprete chopiniano Szczepan Kończal, il pianista polacco nato nel 1985 a Katowice e vincitore di numerosi concorsi dedicati al grande compositore connazionale. Lo abbiamo ascoltato ieri sera nella Sala Puccini del Conservatorio milanese insieme purtroppo ad un esiguo pubblico di poche decine di spettatori. Le sue valide interpretazioni di Notturni ( op.48 n.1 e n.2) della Polacca op.40 n.1, della Mazurca op.24 n.4 per concludere con due mirabili brani quali la Ballata op.47 e la Berceuse op.57 sono state precedute da brani di un noto pianista- compositore quale Ignacy Paderewski (1860-1941) divenuto nel 1919 Primo ministro e Ministro degli esteri di una Polonia da poco indipendente. Interessanti e ben eseguiti i nove brani scelti da Końzal, a cominciare dal celebre Minuetto op.14 n.1, continuando con le melodie dell'Op.16 n.1 e n.2, con le Danze Polacche op.9, col Notturno op.16 n.4, con il Chant du vayageur op.8 n.3 , per concludere con Cracovienne fantastique op.14 n.6. Brani che risentono molto dell'influenza di Chopin e sono intrisi di caratteri folclorici polacchi. Ottimo il bis con ancora una Mazurca di Chopin. Ricordiamo che il concerto era organizzato dagli Amici di Serate Musicali ed è stato inserito nel Centenario dei rapporti Italia-Polonia alla presenza di autorità consolari polacche. 10 maggio 2019 Cesare Guzzardella Benjamin Grosvenor in Conservatorio per la Società dei Concerti Il pianista londinese Benjamin Grosvenor ha tenuto un recital per la Società dei Concerti in Conservatorio davanti ad un appassionato pubblico anche se purtroppo ridotto dalla pioggia milanese. Lo avevamo ascoltato nel 2016, sia in Conservatorio - sempre per la prestigiosa società concertistica- sia al Teatro alla Scala in un eccellente Concerto n.1 di Liszt. Allora in Sala Verdi aveva eseguito Mendelssohn, Chopin, Ravel e Liszt; ieri sera ancora in un programma variegato che prevedeva Schumann, Janáček, Prokof'ev e sempre Liszt. Come detto in altri articoli, anche ieri siamo rimasti stupefatti della precisa costruzione geometrico- architettonica offerta dal virtuoso. I dettagli sono chiari e non perde una nota il pianista, dimostrando uno studio minuzioso di ogni elemento musicale. Padroneggia la tastiera con una composta sicurezza e con un' appropriata gestualità. Di Schumann ha eseguito prima il breve Blumenstuke op.19 e poi la corposa Kreisleriana op.16 che ha completato la prima parte del concerto. Valide le interpretazioni: certamente delicate, precise ma prive di quella estemporanea discorsività che gioverebbe alla componente più romantica tipica delle grandi interpretazioni del passato. Splendida e di valore la seconda parte del concerto. Come spesso accade nei pianisti di nuova generazione, l'attitudine alla musica di tardo Ottocento o ancor più del Novecento è decisamente più marcata, mentre raramente si trovano novità interpretative nei brani romantici di primo Ottocento. Ha iniziato con Leos Janáček e la sua innovativa Sonata 1-X- 1905, per poi procedere con Visions Fugitives di Sergej Prokof'ev. Delle due ottime interpretazioni la seconda ci è apparsa migliore ed esteticamente rilevante per gli eccellenti equilibri timbrici e dinamici distribuiti nei numerosi brani che compongono queste straordinarie brevi Visioni. Con Franz Liszt e Réminiscences de Norma, Grosvenor ha raggiunto una meravigliosa vetta interpretativa. Superando ogni difficoltà tecnica di questo sorprendente e iper-virtuosistico lavoro, il giovane pianista ha ancora una volta mostrato perfetta sintonia con il mondo lisztiano padroneggiando ogni sonorità e inquadrando ogni frase in contesti di equilibri volumetrici esemplari. Il taglio netto ed il giusto peso impresso dalle sicure mani al fraseggio, hanno evidenziato anche i frangenti più complessi dove spesso i temi belliniani si sovrappongono. Mirabile l'interpretazione. Due i bis concessi prima con un breve ed adeguato Grieg e poi con un meraviglioso Ginastera di Argentinia dance n.3 all'insegna di un raffinato ed esemplare virtuosismo. Da ricordare. 9 maggio 2019 Cesare Guzzardella Rafal Blechacz per la Società del Quartetto È tornato in Conservatorio il pianista polacco Rafal Blechacz per la Società del quartetto presentando un impaginato diversificato ma classico, come è sua abitudine. Il trentaquattrenne ha iniziato la sua intensa carriera concertistica vincendo il prestigioso Concorso Chopin di Varsavia nel 2005. Da allora brani del grande musicista polacco vengono sempre inseriti nei suoi programmi, costruiti rispettando una fondamentale cronologia d'esecuzione e con un senso logico preciso nella successione. Ieri sera Blechacz ha iniziato con Mozart eseguendo prima il Rondò in la minore K. 511 e poi la Sonata in la minore K. 310; concludendo la prima parte della serata con Beethoven e la Sonata n.28 in la maggiore Op 101. La classicità esecutiva del pianista è emersa in ogni dettaglio attraverso una precisione di tocco, un corretto uso dei pedali e un valido potenziamento dagli elementi drammatici dei brani; questi hanno rivelato ancora una volta l'ottimo livello interpretativo di Blechacz nel repertorio più classico. Il passaggio al repertorio romantico del dopo intervallo ha spostato in modo evidente il modo interpretativo di Rafal in un territorio dove l'interprete è Maestro, mi riferisco soprattutto al suo mirabile Chopin eseguito dopo una estemporanea e significativa esecuzione della Sonata n.2 in sol minore op.22 di Schumann. Proprio in Schumann, l'impatto del cambio di registro esecutivo ha rivelato un Blechacz diverso dal solito, un pianista che osa e rischia di più accelerando i tempi esecutivi e aumentando l'elemento "improvvisatorio" nei movimenti più turbolenti. Decisamente valida e innovativa questa esecuzione. Con Chopin al termine e le sue Quattro Mazurche op.24 seguite dalla celebre Polacca in la bemolle maggiore op.53, Blechacz è tornato al suo prediletto polacco. Siamo rimasti mirabilmente sbalorditi delle Mazurche eseguite con maestria, con varietà timbrica e dinamica per fare emergere dettagli nascosti di sorprendente raffinatezza; specie nella n.2 Do maggiore ha raggiunto livelli interpretativi ineguagliabili. Ottima la Polacca e bene il bis concesso con il celebre Valzer op.64 n.2. Fragorosi gli applausi al termine e visibile la soddisfazione di Blechacz per la riuscita della splendida serata. Da ricordare. 8 maggio 2019 Cesare Guzzardella Sa Chen per le Serate Musicali del Conservatorio Da alcuni anni la pianista cinese Sa Chen è ospite di Serate Musicali. L'ultima volta nell'aprile dello scorso anno dove in Sala Verdi aveva impaginato un interessante programna con gli Studi di Debussy e con quattro Improvvisi di Schubert. Ieri sera ha rinnovato le sue ottime qualità con un impaginato diversificato che prevedeva prima alcuni Notturni di Chopin e poi, dopo il breve intervallo, brani di Franck e di Messiaen. Come detto in passato, ancora una volta abbiamo riscontrato come la sensibilità di questa giovane interprete sia molto vicina al mondo occidentale e come le sue elevate capacità siano maggiormente significative nei repertori del secolo scorso o contemporaneo. Chiarezza espositiva, sicurezza tecnica e notevole interiorizzazione musicale hanno contribuito a rendere valida la serata. Certo, i Notturni di Chopin avevano poco di polacco, ma l'esposizione analitica e dettagliata, definita da tempi particolarmente dilatati, ha mostrato una bellezza coloristica elevata e nel complesso i Notturni presentati - due postumi e le opere 37 n.2, 15 n.3, 32 n.1 e 2 - ci sono sembrati esaustivi e nettamente superiori a quelli di molti giovani che imitano i grandi interpreti elaborando sintesi discorsive con molto pedale e di scarso valore. Decisamente migliori e sorprendenti le interpretazioni del belga Franck e del francese Messiaen. Del primo il noto Preludio, Corale e Fuga ha trovato delle ottime mani in Sa Cheng. La chiarezza espositiva della giovane interprete unitamente ad una fluida esecuzione senza minime sbavature, hanno evidenziato un eccellente colore nel fraseggio rendendo ottimo il risultato complessivo. Avvincente Olivier Messiaen con il Prelude n.7 "Calme Plainte" eseguito quasi senza soluzione di continuità con Regard de l'esprit de jouie, il n.10 dei Vingt Regards sur l'enfant-Jésus. Qui la Chen ha espresso una netta vicinanza interpretativa con il mondo sonoro del francese, calibrando le timbriche in modo perfetto, anche nei momenti più virtuosistici del complesso lavoro. Un brano ricco di dissonanze perfettamente inserite nel contesto formale che rimanda anche alla coloristica di Claude Debussy e che trova nel linguaggio personale e innovativo di Messiaen un valore aggiunto. Splendida l'esecuzione e valido il bis concesso con uno Studio di Debussy. Applausi meritati per la bravissima interprete. Da ricordare. 7 maggio 2019 Cesare Guzzardella Un grande Zubin Mehta con la Filarmonica della Scala in Bruckner Grande successo alla prima replica dell'Ottava Sinfonia di Anton Bruckner con Zubin Mehta ( foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala) alla guida della Filarmonica della Scala. Il direttore, dall'aspetto ancora molto giovanile malgrado quell' ingannevole bastone con il quale ha guadagnato il podio, attraverso movenze delicate ma comunicanti energia ha splendidamente diretto i bravissimi filarmonici per oltre ottanta minuti di musica. La versione del 1890 della Sinfonia in do minore ascoltata ieri sera, prevede anche un maggiore uso delle arpe. Si dinapa nei classici quattro movimenti con lo Scherzo come secondo. L'inconfondibile stile di Bruckner è giocato su una simmetrica e geometrica ripetitività tematica modulare. Continui varianti cromatiche dei temi esposti hanno uno stile ereditato da Wagner sebbene usato in modo personale da un compositore che era anche eccellente organista. Le timbriche caratterizzanti la sinfonia sono state ottimamente evidenziate da tutte le sezioni orchestrali e mediate da una direzione, quella di Mehta, attenta ad ogni dettaglio e ricca di espressività. Alcuni frangenti sinfonici, come il tema iniziale dell'Adagio o la forza dirompente di parte del Finale, sono sublimi. Il pubblico, in un teatro al completo ha apprezzato l'esecuzione tributando al termine fragorosi applausi all'orchestra e al direttore tornato più volte sul palcoscenico. Ricordiamo l'ultima replica prevista per l'11 maggio. Da ricordare! 5 maggio 2019 Cesare Guzzardella UN PRODIGIOSO DODICENNE AL FESTIVAL VIOTTI DI VERCELLI Sembra uscito da un ritratto di Joshua Reynolds il dodicenne violoncellista franco-tedesco Maxime Grizard, protagonista del recital tenutosi ieri sera, Sabato 5 maggio, al Teatro Civico di Vercelli, organizzato dal Viotti Festival. Grizard, già vincitore di vari concorsi in Francia, ha acquistato fama di enfant prodige vincendo un concorso televisivo qualche tempo fa. Si noti che il fanciullo in questione studia il violoncello da soli quattro anni, dopo aver iniziato lo studio del pianoforte, che tuttora coltiva. Confessiamo di nutrire un’istintiva diffidenza verso la definizione stessa di “bambino prodigio”, specie se riferita alla musica, diffidenza accresciutasi smisuratamente all’apprendere che il mito del giovanissimo Maxime è nato in televisione, ad uso e consumo del cosiddetto grande pubblico: sospettiamo sempre la ‘bolla mediatica’, destinata a sgonfiarsi nel volgere di breve tempo. Nel caso di Grizard, dopo averlo ascoltato, dobbiamo però esclamare con re Edoardo III: “Honi soit qui mal y pense”: il giovanissimo violoncellista d’oltralpe non è affatto un’invenzione dei media e dell’industria culturale, ma è dotato di qualità di interprete già straordinariamente mature e raffinate. Nel recital di ieri sera, accompagnato dall’eccellente pianista russo Roustem Saitkoulov, il pianista preferito da Vengerov come suo accompagnatore, presentava un programma vario e tecnicamente impegnativo, per violoncello e pianoforte: la Phantasiestucke op. 73 di Schumann, due delle ‘Tre antiche danze viennesi’ di Kreisler, due pezzi di Rachmaninov, Vocalise op.34 n.14 e il terzo tempo Andante della sonata op.19 , il ‘Pezzo capriccioso’ op. 62 di Ciajkovskij e, dopo l’intervallo, la Sonata in re minore op. 40 di Sciostakovic. Partiamo proprio da quest’ultima composizione, come banco di prova delle qualità interpretative di Grizard, per la varietà di registri stilistici che essa presenta, tra tardo romanticismo, neoclassicismo e slanci di più aperto ‘modernismo’. E’ dunque una composizione che richiede al violoncellista (e naturalmente al pianista), oltre a raffinata sapienza tecnica, anche una matura duttilità espressiva. Ebbene, l’esecuzione di Grizard è stata davvero di ottimo livello: dal punto di vista puramente tecnico, con le ineccepibili rapidissime volate di suoni armonici del secondo tempo, i numerosi pizzicati e staccati e picchettati e arpeggi sparsi un po’ ovunque nei tempi veloci; dal punto di vista espressivo il violoncello del giovanissimo interprete ha fatto vibrare le corde dell’emozione nel rabbrividente pianissimo che chiude il primo tempo, frammento inquietante di bartòkiana musica della notte, e soprattutto nel lugubre Largo, impostato benissimo dall’esecutore su un melodismo scuro, di un malinconico senza facili patetismi, asciutto e severo. Pochi esempi di un modo di eseguire che rifiuta, smentendo la nostra diffidenza, ogni facile concessione all’esibizionismo pirotecnico, ma punta tutto sull’esplorazione delle sfumature del suono, sullo scavo nei registri timbrici, con un modo di suonare che unisce perfetto controllo dello strumento a un che di misurato e quasi riservato nel ‘porgere’ il suono. Suono, quello di Grizard, decisamente bello: caldo e avvolgente, di notevole energia, quasi naturalmente portato a un canto sottilmente effuso, impregnato di un lirismo delicato, preciso nell’intonazione, con un ottimo fraseggio di cui sfrutta con abilità tutte le risorse tecniche. . Insomma: questo non è un fanciullo prodigio, è una bella realtà, già straordinariamente matura, di interprete raffinato e intelligente, capace di eseguire all’altezza dei migliori interpreti, un pezzo impegnativo come la Sonata di Sciostakovic. Degli altri brani in programma citeremo in particolare la Phantasiestucke schumanniana (la cui versione più diffusa è per clarinetto e pianoforte), per la cura precisa dei dettagli con cui Grizard esaltava la scrittura miniaturistica del pezzo, e il ‘Capriccioso’ di Ciajkovskij, amabile piccolo gioiello del grande Russo, per la sottile sapienza con cui il giovanissimo solista ha saputo diversificare le dinamiche nello scatenato moto perpetuo che nella seconda parte del pezzo percorre tutta l’estensione dello strumento. Qualche parola va naturalmente spesa per Saitkoulov: pianista di eccellenti risorse, che vanta un ormai ampia carriera come solista, ha accompagnato splendidamente Grizard, intensificando le calde volute sonore del violoncello con un tocco sulla tastiera sempre preciso e al tempo stesso delicatamente sfumato, specie negli arpeggi. Splendido il dialogo tra i due strumenti nell’Andante dalla sonata di Rachmaninov, culminante nel duetto modulante tra i due temi principali, tra le gemme del Rachmaninov cameristico. Un bellissimo concerto, seguito da tre bis, il primo dei quali ha visto Grizard lasciare il violoncello per il pianoforte, in una Danza ungherese di Liszt (se non andiamo errati) a quattro mani. Ovazioni, più che applausi, del numeroso pubblico presente, auspicio di un futuro di luminoso successo che certamente attende Maxime Grizard. 5 maggio 2019 Bruno Busca Prossimamente Monica Cattarossi e Filippo Farinelli ai Concerti del Cantelli Prossimamente i due pianisti Monica Cattarossi e Filippo Farinelli terranno un concerto a Novara denominato Visioni del sacro con musiche di J. Adams con Hallelujah Junction e O. Messiaen con Visions de l'Amen. Appuntamento davvero spettacolare, con la fascinosa e irresistibile formazione di due pianoforti, quello in calendario per il pomeriggio di sabato 11 maggio 2019 - ore 17,00 - a conclusione della stagione dei Concerti del 'Cantelli', posto a suggellare un cartellone oltremodo variegato e ricco; concerto che molto opportunamente 'cade' altresì in chiusura dell'Open Day che si svolgerà in quella stessa giornata a partire dalle ore 11 alle 16,30. Un'opportunità in più per chi vorrà coronare la giornata intera trascorsa al 'Cantelli' con un concerto di alta qualità. dalla redazione 5 maggio 2019 La Traviata chiude la stagione lirica del Coccia di Novara E’ stato questo, crediamo, un anno tra i più difficili della più che secolare storia del Teatro Coccia di Novara, tra debiti che sembrano diventare una voragine incolmabile, convulse e tragicomiche vicende del Consiglio di amministrazione, infine sciolto d’imperio, e sostituito, ma con scadenza del nuovo Consiglio al 26 di questo mese (poi nessuno è in grado di dire cosa accadrà: forse il commissariamento), strane e mai spiegate dimissioni della Direttrice della Fondazione e infine, finale mazzata di una sorte inclemente, l’imminente dichiarazione d’inagibilità, ai sensi delle norme UE sull’altezza delle balaustre dei palchi e della galleria con cui il Coccia rischia di vedere dimezzata per la prossima stagione la capienza di posti. Ebbene, nonostante queste traversie senza precedenti, il Coccia è riuscito a realizzare una delle sue stagioni più ricche degli ultimi anni per numero di opere in programma, e per qualità complessiva delle proposte. Chapeau allo staff che dirige la fragile navicella del teatro novarese, con la speranza che non si tratti di un canto del cigno, viste le dense nubi che avvolgono, con queste premesse, il futuro: confidiamo nella professionalità e nelle capacità di chi ha il delicato compito di garantire almeno una sopravvivenza dignitosa a un teatro che ha una sua non disprezzabile storia, per inaugurare la quale si mosse lo stesso Toscanini. Iniziata col Rigoletto, la stagione si chiude con la Traviata: il Coccia ha tenuto pienamente fede alla sua “mission” di ‘teatro di tradizione’, che però, crediamo, non impedirebbe di portare ogni tanto sul palcoscenico qualche titolo un po’ meno scontato, magari, osiamo fantasticare,, del ‘900, che per il teatro novarese finisce rigorosamente con Puccini…Ci spiace profondamente non poter celebrare la conclusione di questa stagione del Coccia con un elogio pieno e convinto di uno spettacolo prodotto dallo stesso teatro novarese: la Traviata vista ieri sera, Venerdì 3 maggio, nonostante il tripudiante successo di un pubblico straripante, ci è parsa uno spettacolo con molte ombre e poche luci. Anzitutto, la regia: affidata al novarese Renato Bonajuto, che tra l’altro nell’organigramma del Coccia ricopre il ruolo di segretario artistico/Casting Manager, riprendeva un allestimento già realizzato per il Goldoni di Livorno nel 2015. Con la scenografia di Sergio Seghettini (di per sé bella) e i bei costumi di Matteo Zambito, la scena della Traviata è collocata negli anni ’60 del ‘900, gli anni, viene spiegato nelle note di regia del programma di sala, della “liberazione sessuale”: non ci è ben chiaro che cosa abbia a che vedere la vicenda della Traviata con la liberazione sessuale del tardo ‘900 e più in generale come si possa immaginare una vicenda simile in quegli anni: giudichi da sé l’eventuale lettore. Ecco dunque che il primo atto si svolge in un ampio appartamento ammobiliato nello stile del tempo, con i cantanti ovviamente vestiti alla moda elegante di allora, il secondo atto si svolge su un bordo piscina, il terzo atto, nella prima parte, conduce lo spettatore ad un interno volgarotto, ove ha luogo un festino da felliniana “dolce vita” , con quasi-spogliarelli e altri numeri di contorno, con ampi pannelli pendenti dal soffitto vagamente allusivi, almeno così è parso a noi, alla pittura astratta anch’essa in piena affermazione a quell’epoca (in uno dei pannelli ci è sembrato di riconoscere una citazione di Capogrossi). La parte migliore dell’allestimento e della regia è senz’altro il finale dell’opera. Qui, venuto meno ogni riferimento più o meno realistico ad una determinata epoca, il palcoscenico è immerso nel buio più profondo, da cui affiora solo, illuminato da un efficace gioco di luci, il letto di morte su cui giace l’agonizzante Violetta, mentre le altre presenze (Annina, Grenvil, ovviamente Alfredo) si aggirano evanescenti nell’ombra, come fantasmi di un incubo o di un’allucinazione, accompagnati dalla musica fuoriscena del carnevale di Parigi. Ma non è tutto: perché la Parigi della vicenda non è Parigi, ma… Novara. Proprio così: tu senti i cantanti dire “Parigi”, ma nel primo e terzo atto vedi Novara: nel primo atto, la grande finestra del salotto si affaccia sul Teatro Coccia, alla fine, mentre Violetta muore, sullo sfondo tenebroso si staccano i profili architettonici ancora del Coccia e dei suoi immediati dintorni, , Piazza Martiri della libertà e il Castello (per i non novaresi: il cuore della città). Nell’originario allestimento livornese, ci siamo documentati, i riferimenti erano ovviamente alla città toscana. Perché questa scelta che sfiora il ridicolo? Ci spiega Bonajuto che si è trattato di “un omaggio al teatro, alle maestranze che ci lavorano etc etc.”. Ci auguriamo solo che questa balzana trovata di una scenografia come omaggio al teatro sede dello spettacolo resti un unicum, sennò in futuro ne vedremo delle belle…Ma la parte più discutibile della regia di Bonajuto è il finale: Violetta Valèry muore…e non muore. Bonajuto fa concludere il finale III sulle ultime parole di Violetta “Ah! Io ritorno a vivere!..Oh gioia” (per poi stramazzare a terra priva di vita) e taglia le ultime cinque battute, in cui si annuncia ufficialmente da parte del dottor Grenvil la morte della Traviata (“E’ Spenta”). Ancora una volta: perché? Cediamo la parola a Bonajuto stesso: “Alla fine il suo (ovviamente di Violetta) morire è un non morire: la vedremo tornare al Teatro Coccia, alla sua (?) città e quindi alla vita e all’arte, come in un gioco metateatrale dove tutto riparte da dove è iniziato, in maniera circolare”. Forse non riusciamo a capire, ma a noi queste sembrano parole in libertà allo stato puro, con la solita formuletta del metateatro che ricorre quando si è a corto di idee. Venendo alla parte musicale, anche i due protagonisti ci hanno suscitato più di una perplessità. Anzitutto Violetta: a interpretare la parte Klàra Kolonits, soprano ungherese che, a giudicare dalle note biografiche fornite dal programma di sala, cantava per la prima volta ieri sera fuori dei confini del suo Paese. Kolonits è presentata come un soprano lirico di coloratura e in effetti ha una bella voce calda e rotonda, un acuto energico, una buona morbidezza, non priva di sensualità nei registri più bassi dell’estensione, agilità nei salti di ottava. Quello che proprio non va nella Kolonits è il fraseggio nelle tessiture acute: qui, forse per problemi nel controllo del fiato, il fraseggio si fa incerto, prevale il puro volume sonoro a danno delle parole e dell’ espressione. Meno agilità sull’acuto le sono richieste, meglio canta: il suo momento migliore, dal punto di vista musicale, è stato il lungo duetto fatale con Germont padre nel secondo atto. Una dote possiede indubbiamente questo soprano ungherese: è un’ottima attrice: la scena della morte-non morte finale è stata interpretata superbamente. Alfredo, secondo il programma , doveva toccare a un giovane tenore peruviano di cui si dice un gran bene, già rodato da alcune delle migliori sale al mondo, a cominciare dalla Scala: Ivan Ayon Rivas. A conferma dell’annata no del Coccia , Ayon Rivas ha dato all’ultimo forfait ed è stato sostituito dal milanese Danilo Formaggia. Formaggia presenta virtù i difetti specularmente opposti a quelli della Kolonits: curato nel fraseggio, ha però una voce poco espressiva, povera di sfumature, cui tenta di supplire con un’enfasi non sempre appropriata, e, soprattutto fragile nelle zone acute, che risultano incolori e del tutto carenti di armonici. Oltretutto Formaggia è anche ‘vittima’ innocente di incomprensibili scelte della regia, come quella di una colluttazione col padre nel secondo atto, con finale sganassone che si abbatte sul povero Alfredo: scena cervellotica, in cui lo scatto da energumeno del vecchio Germont e’ in netto contrasto con le parole colme d’affetto, sia pur ipocrita, nei confronti del figlio: cantare “No, non udrai rimproveri;/...l’amor che m’ha guidato/sa tutto perdonar” e colpire intanto con un poderoso ceffone il destinatario di queste parole non pare molto logico. Si vede che a Bonajuto Alfredo sta particolarmente antipatico, visto che gli infligge un secondo e più violento sganassone ad opera del Barone Douphol nel terzo atto…Dei ruoli protagonistici, il migliore è risultato senz’altro il Germont padre, del baritono Alessandro Luongo: ha un suono un po’ asciutto e secco, del resto adatto alla parte, ma una linea di canto molto solida, con il pieno controllo di tutto l’arco dell’estensione e ottimi centri. Hanno sbrigato decorosamente la loro parte i ruoli secondari,, a cominciare dalla Annina del soprano Marta Calcaterra e dalla Flora del mezzosoprano Carlotta Vichi fino al bravo Gastone del tenore Blagoj Nacoski, voce calda e potente, e al dottor Grenvil, affidato al basso Rocco Cavalluzzi. Sul podio era Matteo Beltrami, attuale direttore musicale del Coccia, a dirigere l’Orchestra del Teatro Coccia, integrata da elementi dell’Orchestra del Conservatorio Cantelli di Novara. La sua è stata una direzione senza infamia e senza lode: ha fatto suonare al meglio l’orchestra, ha ben tenuto i rapporti palcoscenico-buca (salvo qualche episodio isolato di sfasatura nei tempi) ma non ricordiamo momenti di particolare intensità, quel guizzo particolare che t’incide nella memoria quelle battute, quell’episodio. Migliora di prestazione in prestazione il Coro San Gregorio Magno, sotto la direzione del Maestro Mauro Rolfi: molto ben cantato il celebre baccanale dell’atto III, tra euforia carnevalesca e sottile ironia. Si replica domani, domenica 5 Maggio, con cast parzialmente alternativo. Segnaliamo, in particolare, nella parte di Alfredo l’ottimo Angelo Fiore. 4 maggio 2019 Bruno Busca Ariadne auf Naxos alla Scala Successo alla Scala alla quinta rappresentazione di Ariadne auf Naxos, opera di Richard Strauss in due parti: il lungo Prologo anticipa infatti l'unico atto dell'Opera. Certamente di grande validità il cast vocale ottimamente evidenziato dalle sonorità della non numerosa orchestra, circa trentacinque elementi diretti molto bene da Franz Welser-Möst. L'operato del regista Frederic Wake-Walker e dello scenografo Jamie Vartan con il supporto dalle fondamentali luci di Marco Filibek e dalle proiezioni video di Luczak e Milanowska, ha trovato in questi giorni recensioni contrastanti. Personalmente ho visto particolarmente originale la messinscena in questa nuova produzione del Teatro alla Scala. La scena del disordinato e semplice prologo era in netto contrasto con quella dell'Opera, un'isola rappresentata da un'unica immagine con al centro un rifugio-caverna circolare bianco latte con chiusura a conchiglia. Gli elementi di proiezione luminosa ottenuta dall'intreccio di luci e video discretamente appariscenti danno una visione idealizzata e suggestiva dove soprattutto l'ottima Krassimira Stoyanova, Ariadne, l'altrettanto valente Michael Koenig, Bacchus e una straordinaria Sabine Devieilhe, Zerbinetta, mettono in evidenza le loro incisive vocalità ( foto di Brescia e Amisano dall'Archivio Scala). La prima parte della messinscena, il Prologo - un intreccio di recitazione e canto sostenuto dai vari personaggi - ha un rilevante intervento recitativo del bravissimo Maggiordomo, nella persona del Sovrintendente scaligero Alexander Pereira. Di qualità la sua recitazione. Validi anche gli interventi del Maestro di musica, il bravissimo Markus Werba, del Compositore, l'ottima Daniela Sindram e di tutti gli altri personaggi in gioco. Questi hanno dato varietà e movimento al contesto "popolare" quasi da strada della scena iniziale. Il drastico cambiamento nella seconda parte, con una fondamentale staticità dei personaggi nel suggestivo contesto luminoso dell'Opera, rende maggiormente polarizzante l'attenzione alle voci dei protagonisti. Applausi convinti a tutti i cantanti e anche al direttore d'orchestra . Le prossime repliche sono prevviste per il 5 maggio e per il 19 e 22 giugno. Da ricordare. 3 maggio 2019 Cesare Guzzardella APRILE 2019 Un trio d'eccezione alle Serate Musicali Sorprende la qualità musicale espressa ieri sera in Conservatorio dal trio formato da Sergey e Lusine Khachatryan e dal violoncellista Narek Hakhnazaryan. Avevamo ascoltato lo scorso anno i fratelli Khachatryan nel duo violino e pianoforte, ed eravamo stati affascinati dalla loro musicalità nell'esprimere i brani di Mozart, Prokif'ev e Franck. Ieri sera, in compagnia dell'eccellente cellista, siamo rimasti ancor più soddisfatti. Ottima l'idea di dividere l'impaginato in due parti distinte, con la prima riservata a compositori celebrati quali Beethoven e Rachmaninov e la seconda con rarità armene di Komitas ed Babadjanian. Il Trio in re maggiore Op. 70 n.1 del genio di Bonn ha introdotto la serata seguito dal Trio élégiague n.1 in sol minore del grande russo eseguito prima del breve intervallo. In entrambi i brani i tre strumentisti, in un perfetto equilibrio delle parti, hanno sostenuto ogni frase musicale dei rispettivi movimenti con padronanza tecnica assoluta al servizio di un'espressività di alto livello. Eccelle la voce dello straordinario violoncello di Hakhnazaryan e stupisce anche il dolce canto del violino di Sergey Khachatryan. La parte pianistica dell'ottima sorella Lusine è stata rispettosa degli interventi solistici degli archi attraverso sonorità precise e discrete nelle volumetrie. Nella seconda parte, prima un fuori programma con alcune brevi ed accentuate danze di Komitas tratte da Six danses for piano eseguite benissimo dalla pianista e poi ancora la formazione cameristica al completo con un brano dell'armeno Bebadjanian. Il suo Trio in do diesis minore è stato composto nel 1952, parte da presupposti musicali a noi noti con riferimenti a Brahms, Rachmaninov e anche Prokof'ev, per introdurre sapori folcloristici legati alla cultura orientale armena definita da dinamiche molto ritmiche e da un taglio netto e preciso. Splendido, nella sua immediatezza, l'ultimo movimento, un Allegro vivace dove la presenza di numerosi stacchi e le significative pause enfatizzano ogni suggestiva timbrica. Ogni dettaglio del brano è stato ben delineato da ogni strumentista con rigore tecnico ed espressivo. Calorosi gli applausi al termine del programma ufficiale e due i bis concessi: prima un esemplare Vocalise di Rachmaninov che ha evidenziato ancora la straordinaria voce del violoncellista, strumentista che ricordiamo avere vinto il Primo premio del prestigioso Concorso Čaikovskij nel 2011; quindi un mirabile secondo bis con un melodico ed elegiaco brano di Komitas denominato The Sky Is Cloudy. Al termine applausi fragorosi per i tre superlativi interpreti. Da ricordare a lungo. 30 aprile 2019 Cesare GuzzardellaPAVEL BERMAN AL FESTIVAL VIOTTI DI VERCELLI Dopo lo stellare Kavakos un altro dei più celebri violinisti del nostro tempo, Pavel Berman, è stato protagonista della nuova serata di una delle stagioni più intense del Festival Viotti, ieri sera, sabato 27 aprile, al Teatro Civico di Vercelli. Già la passata stagione Berman si era fatto conoscere e apprezzare dal pubblico del Viotti per una splendida esecuzione dei Capricci di Paganini. Ieri le quattro corde del suo prezioso Stradivari ‘Conte de Fontana’ 1702, già appartenuto a D. Oistrakh, erano chiamate ad affrontare un altro monumento trascendentale della musica per violino solo, le Sonate e Partite di J. S. Bach. Per la precisione, l’impaginato proponeva le tre Partite BWV 1002,1004,1006, come primo tassello di un programma che prevede (immaginiamo nella prossima stagione) il suo completamento con le tre Sonate. Questo capolavoro bachiano pone l’esecutore di fronte ad un compito tra i più ardui della sua arte: le difficoltà tecniche talora immani della partitura non possono esaurirsi in sé, nell’acrobazia funambolica del puro gioco virtuosistico, come per i Capricci di Paganini, ma devono mettere in luce la sapiente architettura della composizione e al tempo stesso dare voce alle sottili sfumature espressive che i movimenti di danza delle Partite suggeriscono, dalla gaia leggiadria delle Correnti, alla gravità venata di malinconia delle Sarabande. Insomma, nelle Sonate e Partite bachiane occorre penetrare più in profondità rispetto all’agilità delle dita sulle corde. Il banco di prova di un solista che si misuri con questo corpus bachiano è ovviamente la grandiosa Ciaccona che chiude la Partita n. 2 in re minore. Qui, al di là degli infiniti dettagli tecnici in cui non possiamo entrare, Berman ha perfettamente centrato, ci pare, l’essenza di questa straordinaria cattedrale di suoni, accompagnando l’incantato ascoltatore, con un suono di olimpico nitore e di sublime eleganza, attraverso le diverse atmosfere tonali (e spirituali) di questa composizione senza eguali, che si snoda come un viaggio fascinoso dal re minore al re maggiore, per tornare alla tonalità d’impianto nella conclusione. Con raffinatissima tecnica, affidata in particolare agli arpeggi, ai legati e ai portati, il violinista russo ha fatto di questi stacchi tonali un magico viaggio dell’anima, dagli arpeggi rarefatti dell’inizio alla religiosità sublime del re maggiore, culminante in un corale, dove Berman riesce perfettamente, come voleva Bach, a far suonate uno strumento solo come un’intera orchestra. Ma il suono di Berman non conosce soltanto l’austera maestosità del sublime: sa anche aprirsi alla grazia inarrivabile della Gavotta della Partita n.3 in mi maggiore, come al sognante abbandono alle dolcezze armoniche della Loure, sempre della Partita n. 3. Una duttilità espressiva, quella di Berman, che, accompagnata da supremo controllo tecnico dello strumento, trova il denominatore comune delle sue variegate espressioni in una straordinaria eleganza di suono, anche fisicamente rappresentata dalla statuaria compostezza con cui questo maestro esegue i pezzi. Trionfale il successo, testimoniato dai lunghissimi applausi con cui il pubblico, come sempre numerosissimo, ha più volte richiamato Berman sul palcoscenico, ottenendo infine un bis, anch’esso da Bach. Prima di concludere il resoconto di quest’altra serata memorabile offerta dal Festival Viotti, ci sembra doveroso ricordare l’annuncio, fatto da Cristina Canziani e Guido Rimonda ad inizio di serata: il prossimo sabato, 4 maggio, si terrà un concerto fuori programma, che avrà per protagonista l’enfante prodige del violoncello, il giovanissimo francese Maxime Grizard, accompagnato al pianoforte dal maestro russo Roustem Saitkoulov (che, tra l’altro, è l’accompagnatore preferito del grande Vengerov): in programma musiche di Schumann, Kreisler, Rachmaninov, Cajkovskij, Schostakovic. 28 aprile 2019 Bruno Busca Il Jas Art Ballet di Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta al Teatro Carcano Un ottimo spettacolo quello visto ieri sera al Teatro Carcano con i noti ballerini scaligeri Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta, fondatori alcuni anni fa di una talentuosa compagnia danzante quale il Jas Art Ballet. La performance, di circa due ore, è volutamente diversificata, con momenti di danza moderna di altissimo livello in alternanza a sola musica, a canto e mimica. Ha introdotto lo spettacolo un bravo pianista quale Stefano Salvatori che da solo, o accompagnando la giovane e brava violinista Anastasiya Gonzalez e le voci liriche del tenore Ramtin Ghazavi, del soprano Rachael Birthisel e del mezzosoprano Marta Leung Kwing Chung, torna in continuazione in scena e cuce lo spettacolo alle splendide coreografie realizzate da Volpini, Ventriglia, Azzone, Di Stefano e Massignani. Spesso una coinvolgente musica orchestrale registrata è inserita in questo "collage" che, alternando Verdi a Puccini, Mozart a Bizet, Scarlatti a Saint-Saens, Vivaldi a Rossini, rende più variegato il tutto indirizzandolo ad un pubblico eterogeneo: da quello meno esigente a quello più pretenzioso. È forse proprio questo, a mio avviso, l'unico limite: la mancanza di un'unità artistica ed estetica. Le trovate di grande impatto musicale quali l'esecuzione di celebri arie verdiane dalla Traviata, o di brani pucciniani da Bohème, Butterfly e Turandot come ad esempio il Nessun dorma, convincono certo il pubblico meno esigente, non quello più pretenzioso. Indubbiamente, alcuni brani come quelli della giovane violinista Gonzales nell' esecuzione di Bach per violino solo, sono pienamente convincenti. Abbastanza valide le voci femminili, tra ottime intonazioni ma anche errori evidenti e non accettabili, come quelli sulle note più alte della mozartiana Aria della Regina della notte del Flauto magico, inserite in una scena mimata e grottesca che pare divertire molto il pubblico. L'alta qualità invece arriva costantemente con i ballerini in scena e con le raffinate movenze di Sabrina Brazzo e Andrea Volpintesta, e nelle rispettive coreografie quasi sempre di grande originalità. Tutto questo ha reso lo spettacolo assolutamente piacevole e interessante. Un'operazione, quella di Brazzo-Volpintesta, che va davvero elogiata e che ci fa uscire per una volta dal sacro tempio del balletto del Teatro alla Scala. Bravissimo tutto il corpo di ballo, anche i più giovani, talentuosi e spesso straordinari!.... e bravi gli altri. Fragorosi e meritati gli applausi. 19 aprile 2019 Cesare Guzzardella Il Quartetto di Cremona per la Società del Quartetto Ieri sera per la "Società del Quartetto" il Quartetto di Cremona ha eseguito un programma che nell'impaginato prevedeva due Quartetti di Beethoven ed uno di Bartòk. Come detto più volte è eccellente l'equilibrio dei quattro solisti che senza un momento di cedimento riescono a trovare un' interpretazione sempre di altissimo livello. Hanno introdotto la serata col Quartetto n.11 in fa minore op.95 "Serioso" di Beethoven per poi eseguire il Quartetto n.5 SZ 102 di Bartòk e allegerire la seconda parte del concerto col più solare e giovanile Quartetto n.2 in sol maggiore op.18 n.2. L'eccellenti esecuzioni sono opera di Cristiano Gualco e Paolo Andreoli ai violini, di Simone Gramaglia alla viola e di Giovanni Scaglione al violoncello. I quattro quartettisti, sempre più bravi nel corso degli anni, hanno deciso di cambiare postura d'esecuzione: tre di essi in piedi e naturalmente il violoncellista seduto. L'efficace equilibrio dinamico del gruppo, la sintesi discorsiva con ottima chiarezza delle esposizioni melodico-armoniche dei quattro archi hanno ancora una volta strappato lunghi applausi al termine in Sala Verdi . Splendido il bis concesso al con l' Adagio dal Quartetto K.499 "Hoffmeister" di Mozart. Da ricordare. 17 aprile 2019 C.G. Pavel Berman prossimamente a Vercelli Per la 21° stagione del Viotti Festival avrà luogo sabato 27 aprile 2019 alle ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli un concerto per violino solo di Pavel Berman. Da non perdere 17-04 2019 dalla redazione Gli Strumentisti della Scala e Andrea Bacchetti alle Serate Musicali Gli strumentisti del Teatro alla Scala insieme al pianista Andrea Bacchetti si sono esibiti in Sala Verdi per interpretare Mozart, Mayr, Rossini e Bottesini. Ha introdotto il concerto Bacchetti con la Sonata in re maggiore K 576 eseguita con scorrevole fluidità, leggerezza di tocco e marcata sensibilità dinamica. La perfezione formale, caricata di notevole espressività, si è rivelata anche negli altri due brani cui Bacchetti ha partecipato: prima l'inedito Concerto n.2 in do maggiore di Johann Simon Mayr (1763- 1845) e poi nel Concerto in do magg. K.503 di Mozart nella trascrizione cameristica di Lachner. In entrambi i concerti - anche nel primo che risente la notevole influenza del genio salisburghese- l'apporto dei cinque strumentisti scaligeri è stato di grande appoggio al solismo di Bacchetti. Siamo rimasti stupefatti della qualità musicale di questi "scaligeri" che ricordiamo essere: Agnese Ferraro, violino, Joel Imperial (in sostituzione dell'indisposta Elena Faccani), violino, Duccio Beluffi, viola, Gianluca Muzzolon, violoncello e Roberto Parretti al contrabbasso. Ottime entrambe le esecuzioni con un calibrato equilibrio tra il pianoforte e gli archi. Applausi ripetuti per i sei strumentisti al termine della prima parte. Nella seconda parte della serata abbiamo testato ancor più le notevoli qualità degli archi: prima con un inusuale quartetto per due violini, violoncello e contrabbasso nella Sonata a quattro n.1 in Sol maggiore di G. Rossini( 1792- 1868); poi in quel capolavoro di equilibrio strumentale rappresentato dal Grande Quintetto in do min. per due violini, viola, cello e contrabbasso op.99 di Giovanni Bottesini. L'estro melodico tipico rossiniano è stato evidenziato nel primo lavoro mentre la bellezza degli impasti timbrici e la perfezione formale assoluta è risultata nello stupendo lavoro di Bottesini (1821-1889). La bellissima voce violinistica di Agnese Ferraro e del violoncello di Muzzolon, unitamente agli ottimi altri tre strumentisti hanno definito in modo dettagliato e con alta espressività tutti i movimenti del Gran Quintetto del quale ricordiamo il sublime Adagio eseguito con vibrati eccellenti. Un concerto stupefacente! Da ricordare. 16 aprile 2019 Cesare Guzzardella WOOLF WORKS ALLA SCALA CON ALESSANDRA FERRI Pienamente meritato il successo per i balletti di Woolf Work che in questi giorni riempiono di pubblico il Teatro alla Scala. Sono tre, per la regia e la coreografia di Wayne McGregor e le musiche di Max Richter. La produzione londinese del Royal Ballet Coven Garden è del 2015 e allora aveva come protagonisti Alessandra Ferri e Federico Bonelli. La Ferri dopo un periodo di assenza italiana ha deciso di tornare nel nostro teatro e ha ripreso con questa splendida messinscena coreografica la frequentazione del Teatro alla Scala. Nati su testi di Virginia Woolf, i tre balletti dalla durata di circa trenta minuti ognuno, sono denominati: I Now, i Then; Becomings e per ultimo Tuesday. Nel primo e nel terzo eccellenti protagonisti sono appunto la Ferri e Bonelli. Nascono da tre composizioni scritte per l'occasione dal tedesco Max Richter, autore noto nella musica contemporanea per il suo legame con il minimalismo americano e la musica progressiva inglese. La fusione di stilemi differenti dove si fa uso di musica preregistrata, tastiere elettroniche e una grande orchestra, tutti coadiuvati da una console di regia musicale, ha prodotto tre validi lavori, adeguati e certamente ottimi per i balletti proposti. La valida direzione di Koen Kessels e la bravura degli strumentisti scaligeri ha influito non poco alla resa musicale dove anche l'elemento ambientale e suggestivo dei numerosi effetti sonori gioca ruolo importante. Le valide scene di Cigué, We Not I e dello stesso Mac Gregor, completate dai costumi di Moritz Junge, sono state esaltate dalle splendide luci di Lucy Carter, spesso fondamentali. Essenziali le scene: nella prima, quella di I Now, I Then, il posizionamento di tre grandi cornici lignee rettangolari movibili fanno da sfondo al movimento dei due protagonisti ( foto di Brescia e Amisano- Archivio Scala) e di altri sei principali ballerini. Nel secondo, Becomings, una nebbia diffusa sovrasta il palcoscenico e spazializza le movenze di ben dodici ballerini tra cui citiamo almeno Nicoletta Manni e Virginia Toppi. Qui ruolo fondamentale è dato dagli effetti luminosi sia con coni di luce che di volta in volta inquadrano i personaggi, sia con figure geometriche definite da raggi colorati proiettati in scena e pure nelle cornici dei palchi del teatro. Nel terzo, Tuesday, il ritorno in scena della Ferri e di Bonelli, coadiuvati dalla bravissima Virna Toppi, presenta anche il corpo di ballo al completo in una scena spoglia dove ancora una volta gli effetti di luce hanno ruolo importante. Sulle qualità coreutiche e anche mimiche della Ferri non si discute, è eccellente sotto ogni aspetto. Così pure eccellente è Federico Bonelli e ottimi tutti gli altri tra cui citiamo almeno Mick Zeni, Caterina Bianchi, Martina Arduino, Agnese Di Clemente, Gabriele Corrado, ecc, ecc. Uno spettacolo splendido e raffinato ancora in replica per il 20 aprile. Da non perdere. 15 aprile 2019 Cesare Guzzardella Il Tirol Concerto di Philipp Glass con Arciuli, Boccadoro e l'Orchestra de I Pomeriggi Musicali L'Orchestra de I Pomeriggi Musicali ha il grande merito d'inserire spesso nei suoi programmi brani di musica contemporanea in alternanza a quelli classici. Ieri, nella replica domenicale, sono riuscito per motivi personali ad ascoltare solo la prima parte dell'impaginato che prevedeva musiche di Stravinskij e Glass. Nella seconda parte era in programma la Sesta Sinfonia di Schubert. Alla direzione dell'orchestra Carlo Boccadoro- direttore e compositore ( a volte pianista) molto attivo in repertori recenti - ha ottimamente svolto il suo compito. L'originale brano introduttivo Dumbarton Oaks è un Concerto in mi bemolle maggiore per soli 15 orchestrali di Igor Stravinskij, genio eclettico del Novecento che ha contribuito alla realizzazione di tipologie musicali innovative e diversificate partendo dalla tradizione russa di fine Ottocento e modificando nel tempo la sua visione musicale. Il neo-classicismo di Dumbarton Oaks è in stile bachiano, appartiene infatti ad un altro versante musicale dopo il grande ciclo legato ai Balletti Russi di cui fa parte la rivoluzionaria Sagra della primavera. Composto alla fine degli anni '30 è stato con efficacia eseguito dagli orchestrali de I Pomeriggi, molto bravi anche nei numerosi interventi solistici. Grande apprezzamento anche dal numeroso pubblico presente al Dal Verme. Ottima la scelta d'inserire come secondo brano il raro Concerto per pianoforte e orchestra n.1 "Tirol Concerto" dell'americano Philip Glass, compositore "minimalista" vivente che, a mio avviso, deve molto anche al neo-classicismo stravinskijano. Composto nell'anno 2000, prevede oltre al pianoforte solista un' ampia orchestra di soli archi. Al pianoforte, uno dei maggiori interpreti specialisti del repertorio contemporaneo e soprattutto statunitense quale Emanuele Arciuli, ha reso in modo eccellente l'interessante lavoro di Glass (1937). Il brano è in tre parti, Movimento I-II e III, dalla durata complessiva di circa trenta minuti e trova un linguaggio tipico e riconoscibile del noto compositore. Semplici temi sono evidenziati con sottili ed efficaci varianti ritmiche, armoniche e timbriche. L'abilità dell'interprete, in un lavoro tonale apparentemente di facile ascolto, sta nel mantenere uno status anche fisico idoneo durante la trasformazione e la progressione del materiale sonoro. Di grande impatto musicale l'ultima parte, il Movimento III, nel quale la rilevante sequenza melodica, ben articolata e sviluppata anche dagli archi, è sostenuta dalla mano sinistra del pianoforte con un ritmo accentuato in stile boogie woogie. Questo rende ancor più fresco e divertente il piacevolissimo brano. Il pubblico ha apprezzato moltissimo l'ottima interpretazione di Arciuli, di Boccadoro e del'orchestra de I Pomeriggi esprimendo al termine fragorosi applausi. Molto bello il bis solistico concesso da Arciuli con il breve preludio di Claude Debussy denominato "Minstrels" . Da ricordare 14 aprile 2019 Cesare Guzzardella Grandi interpretazioni per Vasily Petrenko e Kristine Opolais e i giovani europei della EUYO Una direzione splendida quella di questa sera con Vasily Petrenko e la giovanissima EUYO-European Union Youth Orchestra. Dopo l'Ouverture da Russlan e Ludmilla di Glinka è salita sul palco di Sala Verdi in Conservatorio il soprano Kristine Opolais per la romanza Com'è bello questo pozzo di Rachmaninov. La sua voce ricca di volume, chiara ed espressiva riempiva la sala seguita ottimamente dai giovani della EUYO. Seguiva la Polacca e scena della lettera di Tatiana da Eugene Onegin di Caikovskij con una Opolais ancora eccellente. Notevole il bis concesso con O mio babbino caro dal Gianni Schicchi di Puccini. Applausi fragorosi e omaggi floreali. Dopo l'intervallo una chiarissima ed espressiva Sinfonia n.4 di Anton Bruckner concludeva una serata di grande classe che meritava il tutto esaurito invece dei circa tre-quattrocento spettatori presenti. Fragorosi applausi dai fortunati presenti. 12 aprile 2019 Cesare Guzzardella Un trio di qualità alle Serate Musicali Non è la prima volte che mi capita di assistere ad un concerto di alto valore musicale in una sala con poco pubblico. È accaduto ieri sera con il trio del violinista Pinchas Zukerman completato dalle eccellenti Amanda Forsyth al violoncello e Angela Cheng al pianoforte. Forse la pioggia milanese o la presenza nella nostra città di molte manifestazioni serali legate al Salone del Mobile - in svolgimenti in questi giorni- non hanno favorito la presenza di spettatori in Sala Verdi, una sala che a mio avviso doveva straripare di pubblico. Certamente il programma, cambiato all'ultimo momento ma decisamente interessante, non era tra quelli più idonei per riempire una capiente sala: prima Zoltàn Kodály con il Duo per violino e violoncello op.7, poi Anton Arenskij con il Trio n.1 in re min.op.32 e per finire il più noto Brahms con il Trio n.2 in do magg. Op.87. L'impatto iniziale con la rara Op.7 di Kodàly ci ha rivelato ancora una volta le qualità dei due strumentisti ad arco: sia Zukerman che la Forsyth hanno espresso incisività discorsiva in brani molto folcloristici ricchi di cambiamenti ritmici ed armonici. Il magnifico timbro dei due strumenti ha esaltato, nel perfetto e continuato cambio di ruolo, la bellissima composizione giovanile di Kodàly, musicista celebre insieme a Bartòk, per la sua vasta ricerca di melodie popolari. La bellezza timbrica del violoncello è stata evidenziata dalla sicura ed energica Forsyth. Sempre nella prima parte ho apprezzato molto un lavoro di raro ascolto come il Trio n.1 op.32 di Arenskij ( 1861- 1906), compositore russo ultimamente piuttosto eseguito nel repertorio concertistico e sinfonico. Di grande qualità tutti i quattro movimenti con un valore aggiunto per la sublime Elegia, breve capolavoro in un ottimo contesto di contrastati movimenti. Arenskij, musicista morto in giovane età, ha ereditato dai grandi romantici, Cajkovskij e Brahms prima di tutti, grandi capacità costruttive melodico-armoniche che hanno dato vigore e varietà a questo valido lavoro. Questo brano, efficace sotto ogni profilo, andrebbe eseguito spesso anche per l'immediatezza della sua comprensione. Ottima anche l'esecuzione finale del Trio Op.87 di Brahms brano che ha esaltato ancora la stupefacente integrazione dei tre grandi strumentisti. Fragorosi gli applausi da parte del fortunato pubblico presente. Nessun bis. Da ricordare. 12 aprile 2019 Cesare Guzzardella La violinista giapponese Sayaka Shoji per la Società dei Concerti Un gran bel concerto quello di ieri sera in Conservatorio per la Società dei Concerti. Per la prima volta in Sala Verdi la violinista giapponese Sayaka Shoji ed il pianista Iddo Bar-Shaï hanno tenuto un concerto alternando Mozart a Schumann e, dopo l'intervallo, Janáček a Brahms. L'equilibrio classico della Sonata in sol maggiore K 301 del salisburghese è stato sostenuto con perfetta forma ed alta espressività dal duo in un'integrazione delle parti ottimale e con particolare grazia nella componente violinistica. Maggiori le volumetrie e l'incisività nella successiva Sonata n.2 in re min. Op.121 di Robert Schumann. Qui la Shoji ha messo in risalto l'ottimo voluminoso Stradivari utilizzato attraverso un'interpretazione particolareggiata dove anche nei momenti più intimi ha rivelato una dettagliata e rigorosa chiarezza espressiva. Ricordiamo che la Shoji è stata la vincitrice del prestigioso Concorso Internazionale Paganini di Genova nel 1999 e da allora è iniziata la sua rilevante frequentazione delle più prestigiose sale da concerto di tutto il mondo. Con le raffinate escursioni dinamiche della poco eseguita ma splendida Sonata n. 3 di Janáček, il duo ha raggiunto una sicura vetta interpretativa. I continui sbalzi d'umore che pervadono la sonata, con cambiamenti repentini tra il canto e il declamato e con riferimenti alla migliore tradizione popolare slava, sono stati rilevati in modo eccellente dalla Shoji attraverso il suo tocco perfettamente intonato anche nelle note più alte. Importante e ben integrata e definita anche la parte pianistica dell'ottimo Bar-Shaï. L'ultimo brano del programma ufficiale, la Sonata n.2 in la maggiore op.100 di J. Brahms, ci ha ancora immerso nell'atmosfera romantica iniziata con Schumann. Ottima l'interpretazione di tutti i movimenti. Splendido il bis concesso a conclusione con una Romanza del grande pianista e anche compositore Alexis Weissenberg scritta quando la Shoji aveva tredici anni. Successo di pubblico con fragorosi applausi. Da ricordare a lungo. 11 aprile 2019 Cesare Guzzardella Manon Lescaut al Teatro alla Scala Un teatro al completo ha accolto ieri sera la quarta rappresentazione di Manon Lescaut di Puccini diretta da Riccardo Chailly per la regia di David Poutney e le scene di Leslie Travers. La scelta di Chailly di mettere in scena la prima versione torinese, quella che da parecchi decenni era stata accantonata, ci è sembrata un elemento di novità non inutile, anche perchè funzionale al recupero di alcune parti fondamentali nella più completa orchestrazione. Certamente quello che ha avuto il maggior ruolo di protagonista in questa messinscena è stato il direttore Chailly. La musica folgorante e dal sapore molto sinfonico ha messo in risalto le qualità d'orchestrazione di un Puccini proiettato nel mondo musicale del Novecento. L'ottima resa strumentale della proposta del direttore ha forse messo in seconda posizione la componente vocale a volte non in primo piano come la scintillante orchestra in tutte le sue sezioni. Le scenografie di Leslie Travers esaltate dalle luci di Fabrice Kebou e integrate dagli adeguati costumi di Marie-Jeanne Lecca ci sono piaciute anche per aver ben inquadrato i protagonisti in quel generale "contesto ferroviario" ben ricostruito. Ieri abbiamo trovato voci in crescendo nel corso degli atti. Di maggior pregio Manon, con Maria José Siri protagonista nell'allargato quarto atto, con voce determinata nella sua ricchezza volumetrica.(Foto di Brescia-Amisano Archivio Scala) Sempre decisamente all'altezza il Geronte di Carlo Lepore, corposo e preciso in ogni dettaglio vocale. Valido Massimo Cavalletti, un Lescaut efficace in ogni situazione, e in crescendo, anche per problemi vocali annunciati da Pereira prima dell'inizio, Roberto Aronica nel ruolo di Des Grieux. Ottimo come sempre il Coro di Bruno Casoni. Al termine lunghi applausi non fragorosi. Prossime repliche previste per il 13- 16- 19- 24 e 27 aprile. Da non perdere. 10 aprile 2019 C.G. Angela Hewitt alle Serate Musicali Torna spesso a Milano la pianista canadese Angela Hewitt. La ricordo molto bene nei suoi concerti tenuti in Sala Verdi dedicati a Bach, musicista di principale riferimento. Nel 2008 venne per il primo volume del Clavicembalo ben temperato, nel 2012 per le prime tre Suite francesi e le 15 Invenzioni a due voci, nel 2013 per l'Arte della fuga e nel 2017 per le celebri Variazioni Goldberg. L'affascinante pianista, anche ieri sera con un abito molto elegante, ha dedicato la maggior parte dei suoi studi alla conoscenza del grande tedesco di Eisenach approfondendo ogni aspetto inerente la tecnica d'esecuzione. Ieri abbiamo avuto ancora la fortuna di ascoltarla, questa volta nelle sette Toccate dalla BWV 910 alla BWV 916 e nella nota Fantasia cromatica e Fuga in re minore BWV 903. La Hewitt divenne nota al grande pubblico a metà degli anni '80 dopo un'importante vittoria ottenuta ad un concorso pianistico tenuto a Toronto nel 1985 e dedicato a Bach, e grazie anche all'uscita - per una prestigiosa casa discografica- di uno splendido CD dedicato al grande musicista tedesco. Come dicevo è nota soprattutto per le sue qualità bachiane anche se da parecchi anni si occupa di altri classici di fine '700 e '800. L'ottima affluenza di pubblico di ieri sera in Conservatorio testimonia la popolarità acquisita da un'interprete che comunque difficilmente esce dal repertorio classico. Le rilevanti qualità stilistiche sono dovute oltre che alla consolidata esperienza maturata negli anni, anche alla perfezione formale e alla bellezza del timbro. L'esecuzione è risultata elegante e coloristicamente molto bella con dinamiche ben equilibrate e variate e sonorità controllate ma ricche di raffinate sfumature evidenziate da un pianoforte Fazioli con timbri asciutti molto ben delineati nei toni bassi. Particolarmente attento il pubblico: non un colpo di tosse, fortunatamente non uno squillo di cellulare, applausi interminabili e al termine la protagonista visibilmente soddisfatta e sorridente. Da ricordare 9 aprile 2019 Cesare Guzzardella Un duo per violoncello e pianoforte al M.A.C di Milano Un duo giovane quello dei fratelli Guida. Lorenzo, vent'anni al violoncello e Gianluca, ventottenne al pianoforte. Di Torino, hanno raggjunto il M.A.C. milanese per i concerti cameristici organizzati dalla Sinfonica Verdi in questo elegante spazio di Piazza Tito Lucrezio Caro. Il programma del mattino domenicale prevedeva brani di Prokof'ev, Beethoven e Brahms, in ordine di esecuzione. La rara Sonata in do maggiore op.119 del russo ha messo subito a dura prova il duo per la sua tecnica complessa. Prokof'ev raramente si è cimentato in questa forma e lo ha fatto pensando al grande Rostropovic. Ottima la resa musicale complessiva anche se non favorita dall' acustica riverberata troppo accentuata del luogo. Urge provvedere! Più chiara e ancora ben eseguita la Sonata n.4 in do magg. op.102 n.1 del genio tedesco. Il bel timbro, luminoso ed espressivo, del cello ha dato una buona idea della qualità del più giovane strumentista. A conclusione un brano ottimamente studiato ed eseguito dai Guida: la Sonata n.2 in fa magg. op.99 del grande amburghese. Qui hanno con più sicurezza e virtuosismo dato prova delle loro ottime qualità interpretative. Molto bravo anche Gianluca alla tastiera con la quale ha un rapporto equilibrato nel suo tocco leggero, chiaro ed espressivo. Melodico e valido il bis con una trascrizione per duo del celebre brano Traumerei di Robert Schumann. Lunghi e fragorosi applausi. 8 aprile 2019 C. G. Grande successo alla Scala per l'ultima replica della rossiniana La Cenerentola È dal 2005 che non veniva rappresentata alla Scala La Cenerentola di Rossini. L'opera del compositore pesarese ha trovato fortuna con la regia di Jean-Pierre Ponnelle, anche scenografo e costumista ( ripresa di G. Asagaroff). Il rinnovato successo dell'ultima rappresentazione, quella vista ieri sera e l'undicesima da fabbraio, lo si deve al valore di tutte le componenti in gioco. Dopo la già citata regia, le scene e i costumi certamente di valido spessore, ottimo il cast vocale con due voci sopra di tutte, (foto di Brescia, Amisano, Archivio Scala) quella di Marianne Crebassa, Angelina/Cenerentola, dallo splendido timbro bruno, vellutato, intensamente chiaro ed espressivo e quello corposo ed esperto di Carlos Chausson, bravissimo anche attorialmente nel delineare Don Magnifico. Queste due eccellenze erano circondate dalle altre ottime valide voci: nel comparto maschile quella dell'elegante Maxim Mironov, Don Ramiro, quella più voluminosa e spontanea di Mattia Olivieri, Dandini, e quella chiara e precisa di Alessandro Spina, Alidoro, il filosofo; nel comparto femminile bravissime anche attorialmente Sara Rossini, Clorinda e Anna-Doris Capitelli,Tisbe. Se aggiungiamo anche il solito splendido Coro preparato da Bruno Casoni e l'eccellente direzione orchestrale di Ottavio Dantone, il gioco è fatto: alta la qualità della messinscena e meritati i fragorosi e continuati applausi al termine. Dantone ha diretto benissimo l'orchestra scaligera facendo risaltare la componente vocale in un contesto orchestrale dinamicamente perfetto e con raffinata resa per ogni sezione. Tutto splendido e da ricordare. Ricordiamo che è in corso Manon Lescaut di Puccini per la direzione di Riccardo Chailly. Nel mese di aprile ancora sette repliche dopo le prime due rappresentazioni già espletate. Da non perdere. 6 aprile 2019 Cesare Guzzardella Il Divertimento Ensemble in Conservatorio omaggia Donatoni con Hot per saxofono e ensemble L'avvincente serata di ieri sera in Sala Puccini e anticipata da un intervento della direttrice del Conservatorio milanese Cristina Frosini, ha visto la formazione cameristica di musica contemporanea Divertimento Ensemble e il suo fondatore-direttore Sandro Gorli in un programma incentrato sul brano Hot (1989) di Franco Donatoni. Donatoni, musicista fondamentale per la musica del Secondo Novecento, insegnò anche al Conservatorio milanese ed ebbe tra gli allievi oltre che Sandro Gorli, numerosi tra gli spettatori presenti in sala, molti dei quali noti musicisti, a testimonianza del valore di un compositore considerato un capo scuola e anche un rilevante didatta. La serata è incominciata con l'esecuzione di due brani in prima esecuzione assoluta. Dovevano essere tre quelli nuovi in programma, ma la parziale indisposizione del baritono Leoni non ha permesso l'esecuzione del lavoro Lebos lobos di Francesco Ciurlo. I tre brani selezionati vincitori degli Incontri internazionali per giovani compositori "Franco Donatoni" avevano come tema d'ispirazione la "migrazione". Dei due eseguiti, il primo era di Oren Boneh (1991) denominato Ritorno di lontano per soprano, baritono e ensemble, sul testo di Pier Paolo Pasolini "Canto delle campane". Ha un carattere particolarmente vivace, con timbriche suggestive ispirate dai rumori ambientali di vita all'aperto, tra il lavoro nei campi, i versi di animali e le campane. La componente "concreta", l'imitazione dei rumori presenti in natura, il gracidio delle rane o il frinire dei grilli, si sovrappongono a sonorità molto free degli strumenti con timbriche spesso voluminose, inframmezzate dal testo pasoliniano alle voci ben interpretate dal bravissimo soprano Laura Catrani e dell'altrettanto valido baritono Maurizio Leoni. Applausi meritati al compositore salito sul palco al termine dell'esecuzione. Il secondo brano, della giapponese Yu Kuvabara(1984) denominato A world under the world per baritono, voce recitante giapponese e sette strumenti, sempre su testi di Pasolini, è un lavoro altrettanto suggestivo, ricco di volumetrie sonore tra il discreto e l'intenso che si esplicano dopo gli interventi narrativi in giapponese - dall'originale italiano di Pasolini- , della compositrice, qui anche voce recitante. Valido il lavoro e applausi alla compositrice e ancora al baritono Leoni. Particolarmente intensa la parte finale della serata con Hot per saxofono e ensemble di Donatoni ripetuto due volte e inframmezzato da una convincente e chiara spiegazione di Gorli. Hot, brano organizzato in chiave molto jazz che ricorda esperienze free di gruppi come l'Art Ensemble of Chicago o Mike Westbrook solo per citarne alcuni, è invece scritto in modo millimetrico sino all'ultima nota. Gorli raccontando della celebre composizione ha anche fatto ascoltare i momenti salienti del brano mettendo in risalto le sue timbriche e la creatività eccelsa di Donatoni nel dare a fraseggi simili nella componente melodico-armonica, varietà, per mezzo dei colori e delle dinamiche degli strumenti. Un plauso al saxofonista Marzi per l'efficacia del suo intervento solistico. Gran bella serata da ricordare a lungo! 4 aprile 2019 Cesare Guzzardella Bacchetti, Nova e Boffa in trio alle Serate Musicali del Conservatorio È da un po' di tempo che non ascoltavo in concerto Andrea Bacchetti, pianista al quale ho dedicato numerosi articoli in passato. Ieri sera un "doppio concerto" mi ha dato la possibilità di riascoltarlo sia come solista che insieme ad altri eccellenti strumentisti: il flautista Giuseppe Nova ed il contrabbassista Giorgio Boffa. Nella prima parte Bacchetti ha affrontato il suo amatissimo Bach con l'Ouverture francese in si minore BWV 831, la Fantasia cromatica e Fuga in re minore BWV 903, e i Quattro Duetto BWV 802-805. Il noto pianista è da molto tempo uno dei migliori interpreti bachiani italiani e ieri ha confermato le sue eccellenti qualità con un'interpretazione che mi è sembrata diversa, e in meglio, da quelle cui ero abituato. Una maggiore creatività espressa da tocco ancora più sicuro, maggiore sintesi discorsiva e migliori contrasti dinamici hanno portato ad un' eccellente esecuzione anche nella più difficile Fantasia e Fuga. Cambio di registro nella seconda parte con un validissimo trio in cui la figura dell'esperto flautista Giuseppe Nova è stata centrale in esecuzioni dove anche gli strumentisti laterali, Bacchetti e Boffa, hanno avuto ruolo importante. Il primo corposo ed interessante brano è di Claude Bolling, classe 1930, con la Suite n.1 per flauto, pianoforte e contrabbasso. È un lavoro degli anni '70 dedicato al celebre flautista J.P. Rampal che unisce in modo classico, il jazz, il neo barocco di ascendenza bachiana e un modo di melodiare alla francese. È musica raffinata nella costruzione melodica ed armonica che rimanda a più generi pur avendo piena dignità musicale e freschezze d'idee. Eccellente l'interpretazione ascoltata, con Nova preciso, dettagliato e con timbrica chiara e luminosa, coadiuvato da un Bacchetti preciso al millimetro nella lettura della partitura molto jazz ma priva d'improvvisazione, ricca di contro-canti o unisono col flauto. Ottima, sotto ogni profilo, la parte sostenuta dal contrabbasso con timbriche piene e precise di Boffa che con i profondi toni bassi ha completato timbricamente le sonorità dei compagni. Valide le quattro canzoni tratte dal celebre West Side Story di Leonard Bernstein, con buone trascrizione per trio di Maria, Tonight, I feel pretty e America. Di qualità il bis concesso con un bel arrangiamento jazzistico di Rino Vernizzi del secondo movimento dal Concerto per cembalo e archi in fa minore di J.S.Bach. Fragorosi applausi. Da ricordare. 2 aprile 2019 Cesare Guzzardella MARZO 2019 La violinista Liza Ferschtman in Auditorium ed il pianista Yekwon Sunwoo al Dal Verme In questi ultimi giorni di una densa settimana musicale milanese abbiamo avuto l'opportunità di ascoltare due splendidi interpreti per la prima volta a Milano pur essendo affermati mondialmente: la violinista olandese Liza Ferschtman ed il pianista sud-coreano Yekwon Sunwood. La prima è in questi giorni in Auditorium con la Sinfonica Verdi per la direzione di Claus Peter Flor alle prese con il Concerto per violino e orchestra op.77 di J. Brahms, capolavoro della letteratura musicale della seconda metà dell'Ottocento. Liza Ferschtman ha sostenuto con determinazione la parte solistica in un lavoro in tre movimenti nel quale anche la componente orchestrale ha ruolo fondamentale per una restituzione unitaria particolarmente "sinfonica". L'ottima direzione di Flor e l'efficace resa coloristica della "Verdi" hanno esaltato le qualità della violinista che specie nei movimenti laterali ha mostrato arcate sicure, intonazioni precise anche nelle note più alte ed energica espressività. Valido il bis con un Andante di J.S. Bach ed applausi fragorosi al termine. Oggi, domenica alle ore 16.00 in l.go Mahler l'ultima replica da non perdere. Ieri invece, l' Orchestra de I Pomeriggi Musicali vedeva sul podio del Teatro Dal Verme il direttore milanese Daniele Callegari per il Concerto n.4 di L.v Beethoven. Nel celebre Concerto in sol maggiore op.58 , il pianista sud- coreano Yekwon Sunwoo ha rivelato le sue straordinarie qualità musicali esprimendosi con determinazione e leggera ma autorevole discorsività per un'interpretazione splendidamente articolata ed evidenziata e sostenuta benissimo dalla direzione di Callegari e dalle timbriche dell'orchestra de I Pomeriggi. La vittoria di Sunwood al noto Concorso pianistico Van Cliburn nel 2017 sta portando il giovane interprete in giro per il mondo e speriamo di poterlo ascoltare al più presto in un recital solistico per conoscerlo in un più ampio repertorio . Avvincente il bis solistico concesso dal pianista con il celebre Preludio op.23 n.5 di Rachmaninov eseguito con impeto e stravolgente musicalità. Citiamo almeno i brani conclusivi dei due concerti con la Quarta Sinfonia di Bruckner per Flor e la suite da Il Borghese gentiluomo di R. Strauss per Callegari. Ottime le direzioni. Da ricordare entrambi i concerti. 31 marzo 2019 Cesare Guzzardella RAFFINATI DIALOGHI TIMBRICI AL CONSERVATORIO "G.CANTELLI" DI NOVARA Ogni volta di più apprezziamo le proposte musicali del Conservatorio di Novara, in particolare quelle dei concerti del Sabato pomeriggio: impaginati raffinati e intelligenti, musica spesso di raro ascolto, molto aperta al ‘900. Oggi, sabato 30/03, il programma era una vera chicca per melomani: sei composizioni che rappresentano il meglio (e quasi tutto) sia stato scritto per una formazione rarissima nella storia della musica, passata e recente: il duo viola-violoncello, rappresentato per l’occasione dai milanesi Maria (viola) e Matteo Ronchini (violoncello), entrambi con un corposo e significativo curriculum di esibizioni in Italia e all’estero e docenti dei rispettivi strumenti nei conservatori di Novara (lei) e di Milano (lui). Il concerto era inaugurato dal duo in do min. di Franz I. Danzi, compositore tedesco vissuto nell’età dell’oro della musica, tra Mozart e Beethoven. Il suo Duo, classicamente diviso in tre tempi, mostrava evidenti influenze mozartiane, nella dolce cantabilità del secondo tema dell’Allegro iniziale, ma anche robuste tracce del da lui ammiratissimo Beethoven, a cominciare dalla scelta della tonalità, oltre a certe particolari soluzioni armoniche e tensioni agogiche, proprie del Maestro di Bonn. Opera interessante, ovviamente di un minore, ma degna di essere ogni tanto riproposta nelle nostre sale da concerto. I due interpreti rivelano fin da questo primo brano la loro ottima capacità interpretativa, che punta giustamente sulla valorizzazione di tutte le potenzialità timbriche che il velluto della viola e il suono caldo e morbido del violoncello possono offrire. A questo va aggiunta, soprattutto a proposito di Maria Ronchini, una propensione alla cantabilità, che, ottimamente sostenuta da un violoncellista di eccellenti virtù nella gestione delle dinamiche e nella delicatezza e limpidezza del fraseggio, ha saputo affascinare un pubblico numeroso e concentrato (vogliamo dimenticare un cellulare lasciato ostinatamente acceso e ogni tanto squillante). Alle qualità interpretative sopra menzionate, la seconda composizione dell’impaginato, il duo del novecentesco americano Walter H. Piston, anch’esso in tre tempi, ha dato risalto alla notevole energia di suono che si sprigiona dagli archi del duo Ronchini. Composizione armonicamente improntata ad una tonalità allargata, lontana dai coevi sperimentalismi di un Ives o di un Varèse, presenta il meglio nel tempo centrale, un Andante sereno eseguito magnificamente, con delicatezza di suono e dinamiche e tempi perfetti, ma propone due tempi estremi di vorticosa energia sonora, espressa al meglio dai due interpreti, con una cavata robusta e brillante. Il terzo pezzo era il duo “Per due occhiali obbligati” WoO 32 di Beethoven: il titolo burlone si deve sia alla volontà parodistica di Beethoven, rivolta alla pratica barocca degli ‘strumenti obbligati’, sia alla forte miopia del compositore e del dedicatario dell’operina, il conte Zmeskall, entrambi costretti a inforcare gli occhiali quando suonavano…Non sintratta cero di una delle cose più significative di Beethoven, ma è una cosetta fresca e di scrittura abbastanza densa armonicamente, che il duo Ronchini ha interpretato con trasparente resa delle architetture sonore. Tutta novecentesca la seconda parte del concerto con Hindemith (Duett), vero trionfo del principio del Grundton caro al compositore tedesco, uno splendido Lutoslawsky (Bucolics, composizione lontana dalle avventure ‘seriali’ e ‘aleatorie’ del compositore polacco negli anni ’60-’70, e invece piuttosto legata ad un tonalismo appena screziato di dissonanze no risolte e soprattutto di lirica cantabilità)), e infine i bellissimi ventuno Duos di Bartòk -dai 44 duos per due violini-, rielaborazione, per una serie di brevi schegge musicali, di materiale folklorico dell’Europa centro-orientale, In realtà si tratta di una trascrizione per viola e violoncello di Peter Bartòk . Anche in queste non facili composizioni, ardue sotto il profilo della tecnica esecutiva per la rapidità dei tempi, i frequenti salti di ottave, gli armonici e quant’altro, il duo Ronchini ha espresso una capacità interpretativa davvero superba, salutata da un lungo e intenso applauso degli ascoltatori, ricompensato da due bis di brani già eseguiti in concerto: uno da Danzi, l’altro da Bartok.30 marzo 2019 Bruno Busca Prossimamente a Vercelli Sabato 6 aprile 2019 alle ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli la violinista Aiman Mussakhajayeva e l'Orchestra Camerata Ducale di Guido Rimonda terranno un concerto con musiche di Schubert, Saint-Saëns, Sarasate. Da non perdere 30 marzo 2019 dalla redazione Ieri sera Kostantin Lifschitz è tornato in Sala Verdi nel nostro Conservatorio per un recital organizzato dalla Società dei Concerti. Era venuto per la prima volta a Milano per la medesima organizzazione concertistica nel lontano 1992, quando aveva solo quindici anni. Non avevo mai ascoltato live il pianista ucraino, classe 1976, mancando dalla nostra città da parecchio tempo. Mi è piaciuto assai! Nell'impaginato vario ed intelligente siamo passati da un'antologica di Bach con molti Preludi, Fantasie e spesso relativa Fughe- ben dieci brani complessivi!-, ad un raro ed autorevole Janá ček con il Secondo libro di Sul sentiero di rovi, a Beethoven con la Sonata n.7 in re magg. op.10 n.3. Sono rimasto stupito dalla capacità di adattamento di Lifschitz ai diversi autori. Il suo Bach, corposo, incisivo e ben scandito, spesso col pedale ridotto al minimo, è senza dubbio coerente nella sua idea di rappresentazione essenziale ed austera. Un Bach personale ricavato da una cernita di brani più o meno celebri, terminati con una Fantasia e Fuga in re minore BWV 903 di raffinata bellezza. Con Janáček e i cinque movimenti che compongono il secondo libro di Po zarostlém chodničku, abbiamo trovato un interprete ricco di volumetrie che si esprime con dinamiche varie e timbriche dettagliate. Un lavoro suggestivo e profondo. Di grande impatto sonoro il suo Beethoven. Il Presto iniziale particolarmente sostenuto nell'andamento era dettagliato e luminoso. Il contrasto con il Largo e mesto del secondo movimento è stato sconvolgente, e notevole la profondità di pensiero espressa con ricche e riflessive pausa nella discorsività dilatata. I due movimenti finali Minuetto e Rondò sono stati affrontati con leggerezza discorsiva eccellente. Un equilibrio complessivo di elevato valore musicale per un pianista di alto livello. Tre i bis concessi con ancora un breve Preludio di Bach, Tango di Stravinskij e il Capriccio in si minore op.76 di Brahms. Da ricordare a lungo!28 marzo 2019 Cesare Guzzardella Il Quartetto Hermès e Gabriele Carcano per la Società del Quartetto È un quartetto d'archi giovane quello ascoltato ieri sera in Sala Verdi. Omar Bouchez, violino, Elise Liu, violino, Yung-Hsin Chang, viola, Anthony Kondo, violoncello, dal 2008 riuniti in gruppo a Lione nel loro Conservatorio di musica, hanno portato l'arte musicale quartettistica in giro per il mondo dopo la vittoria di prestigiosi concorsi internazionali ( Lione, Ginevra, New York). Ieri in due dei tre brani in programma, sono stati coadiuvati dal pianista torinese Gabriele Carcano per due noti Quintetti: quello N.1 in re minore op.89 di Gabriel Fauré e quello arcinoto in fa minore op.34 di Johannes Brahms. Tra questi due lavori, è stato eseguito uno tra i più conosciuti quartetti di Haydn quello in mi bem. Maggiore op.33 n.2 "Lo Scherzo". Haydn musicista tra i padri fondatori di questa forma d'arte e autore di oltre ottanta quartetti d'archi tra cui questo capolavoro. L'avvincente interpretazione ci ha rivelato la mirabile classicità dei quattro protagonisti attraverso una resa formalmente perfetta e di grande espressività. Il ruolo fondamentale della parte pianistica si è rivelato invece nei due differenti quintetti dove la qualità espressiva e conduttiva di Carcano si è espressa in tutta l'eccellente resa stilistica. Il primo quintetto è un esempio assoluto di freschezza e leggerezza, tipica di quel periodo francese di cui Fauré è uno dei migliori esponenti. Ottima l'interpretazione ascoltata. La forza espressiva del celebre quintetto brahmsiano, che ha concluso la serata, è stata esaltata in tutti i quattro movimenti del Quintetto Op.34. I momenti di grande coralità sonora spesso presente e i diversi contrasti dinamici hanno ancor più messo in rilievo il prestigio degli strumentisti accomunati da rigore e grande rispetto delle rispettive timbriche. Applausi fragorosi al termine. 27 marzo 2019 Cesare Guzzardella La ricerca musicale di Alexander Lonquich Capita raramente di assistere ad un concerto pianistico trovando un impaginato vario ma nello stesso tempo unitario come quello ascoltato ieri in Conservatorio. Alexander Lonquich ha infatti costruito un programma -nella prima parte del corposo recital- formato da ben 18 brani, alcuni molto brevi ed altri meno, di ben quindici differenti compositori. Un'attenta ricerca musicale di brani meno conosciuti entrano nel suo repertorio a dimostrazione dell' enorme varietà compositiva esistente e del bisogno di novità. La scelta e lo studio della successione dei brani deve avere impegnato molto l'interprete. Rarità assolute come l'Adagetto.Hommage a Bizet di T.W. Adorno, Erinnerung di A. Bruckner, Tango e Stehende Musik di Stefan Wolpe, Malostransky Palác e L'anello d'oro di Janá ček, Humoresque di M. Reger erano mescolati insieme a brani di musicisti sommi come Beethoven con il raro suo Praeludium in fa minore o Schumann con il Präeludium o il più noto Albumblatt. A questi si aggiungono brani un po' più frequentati come Circus Polka e Studio op.7 n.4 di Stravinskij, Corcovado di D. Milhaud, Abschied von meinem Silbermannischen Claviere in einem Rondo di C.P.E.Bach, Valse op.72 n.16 di Čaikovskij, un Preludio di Rachmaninov (op.23 n.7), uno Studio di Skrjabin (op.42 n.5) e Suono di campane di E. Grieg. L'interpretazione precisa, profonda, raffinata e spesso molto virtuosistica di Lonquich è emersa in uno stile unitario se pur adattato alle differenti situazioni con frangenti di alta espressività uniti ad altri dove la dinamicità in esecuzioni rapide e fortemente incisive mettevano in risalto la sua tecnica esuberante, ma sempre molto controllata. Due secoli di musica messi al setaccio a dimostrazione della varietà compositiva di autori uniti da valori artistici diversi, profondi e senza tempo. Siamo rimasti sbalorditi per le splendide esecuzione dei due brani stravinskijani, per la luminosità dei brani di Bruckner, Grieg e del filosofo Adorno e anche di Janáček e per la funzionale e travolgente percussività del misconosciuto Stefan Wolpe. Dopo il breve intervallo un'ottima esecuzione delle beethoveniane Variazioni in do minore su un tema di Diabelli ha ancora rivelato il valore di un pianista di primo livello che cerca la perfezione mediando con la ragione e con la tecnica ogni elemento sonoro. Personale e ricercato il bis concesso con l'Improvviso n.2 di Chopin. Grande successo di pubblico alla presenza anche di importanti musicisti, interpreti ed amici. Numerose le uscite in palcoscenico del superlativo Lonquich.26 marzo 2019 Cesare Guzzardella Una serata cinematografico-musicale al Conservatorio di Giovanni Saccarello La sera del 22 marzo scorso la sala Puccini del Conservatorio di Milano è stata promossa a cinematografo. Si sono proiettati tre film del pioniere Georges Méliès (1861-1938) con accompagnamento musicale dal vivo del pianista Alfonso Alberti ed una presentazione di Luca Scarlini. ...continua25 marzo 2019 I capolavori di Georges Meliès interpretati da Alfonso Alberti per i "50 anni dallo sbarco sulla Luna" Una serata particolarmente interessante quella di ieri sera in Sala Puccini nel Conservatorio milanese. In occasione dei 50 anni dallo sbarco sulla Luna, l'ottimo narratore Luca Scarlini ed il pianista Alfonso Alberti hanno avuto l'eccellente idea di raccontare e di mettere in musica alcune tra le più fantasiose opere di Georges Meliès ( 1861-1938), pioniere del cinema come i fratelli Lumière, ma dotato di un incredibile senso artistico e poetico. Infatti nei brevi film presentati, veri capolavori ricchi di "effetti speciali" , primo fra tutti il noto Le voyage dans la lune- ma anche negli altri - emergono modalità rappresentative che anticipano il surrealismo ed altre forme artistiche di primo '900. La sintesi creativa è di altissima qualità espressiva. Il cinema muto di allora veniva spesso messo in risalto da esecuzioni musicali "live" eseguite nel corso della rappresentazione filmica. Ieri, ottime versioni live per i tre film di Meliès sono state quelle di Alfonso Alberti. Per "Il viaggio sulla Luna" ha interpretato Philips Glass con la sua originale Mad Rush ("Una fretta indiavolata"). Gli altri due film, di pari livello, sono stati The Astronomer's Dream ("Il sogno dell'astronomo" o anche "La Luna a un metro"), ad introduzione della serata, e Viaggio attraverso l'impossibile, al termine. In The Astronomer's Dream, l'omonimo brano di accompagnamento, eseguito splendidamente da Alberti, è stato composto da Ruggero Laganà, noto e validissimo compositore milanese, ed è il primo di una serie di brani che farà parte della sua prossima Suite lunare. Applausi quindi anche a Laganà che, salito sul palco, appariva visibilmente soddisfatto. L'ultimo filmato, una splendida versione colorata di Viaggio attraverso l' impossibile, riguardante una fantastica "spedizione" di scienziati dell'Accademia di Geografia Inconsistente all'interno niente meno del Sole, ha trovato Alfonso Alberti in una serie di brani di Eric Satie tratti da Sports e divertissements e Gymnopédie (il n.1). Inappuntabile anche in questo caso la resa musico-filmica. E' da sottolineare la dettagliata e piacevolissima presentazione di Luca Scarlini - scrittore e "performance artist", che con piglio tra il serio e il faceto anticipava con abile chiarezza narrativa i tre magici film di Meliès. Molti applausi dal pubblico presente - purtroppo non numeroso- intervenuto per uno spettacolo che doveva certamente avere il tutto esaurito. Si auspicano repliche anche in altre sale e.. perchè no?... nelle scuole milanesi e non solo. Da ricordare. 23 marzo 2019 Cesare Guzzardella Una serata stellare al Viotti Festival di Vercelli con L. Kavakos ed E. Pace Talvolta i miracoli si avverano e l’idea pura di perfetta bellezza scende dal suo remoto iperuranio tra noi mortali per assumere le forme reali di un’immagine o di un suono. E’ quanto avvenuto ieri sera, venerdì 22 marzo, al Teatro Civico di Vercelli, nella serata di turno del ciclo cameristico del Viotti Festival, che presentava al pubblico uno dei più grandi violinisti viventi, Leonidas Kavakos e il pianista che da tempo è uno dei suoi accompagnatori preferiti, l’eccellente Enrico Pace. L’impaginato del concerto era di quelli studiati con grande raffinatezza, per palati fini, ma allo stesso tempo capace di catturare l’attenzione e l’interesse di un pubblico più vasto, accorso come sempre numerosissimo ieri sera al teatro vercellese. Introdotto da uno dei capolavori di Brahms, la Sonata n.3 in re min. op.108 per violino e pianoforte, il recital proseguiva con una composizione ignota ai più, La Petite Suite n.2 del greco Nikolaos Skalkottas, allievo di Schonberg e considerato uno dei protagonisti della musica ellenica del primo ‘900 e, dopo l’intervallo, con la Rapsodia n.1 di Bartòk, per chiudere con quella gemma musicale che è la Sonata per violino e pianoforte n.3 in la min. op.25 “Dans le caractère populaire roumain”, del romeno George Enescu, un grande musicista ingiustificatamente poco presente nelle nostre sale da concerto. Dire qualcosa di nuovo sulla straordinaria statura artistica di Kavakos è veramente difficile, ma, partendo dalla nostra personale esperienza di ascolto non esiteremmo a parlare di un vero e proprio fascino incantatorio, quasi magnetico, che il violinista greco esercita, non solo con il suono del suo Stradivari Willemotte 1734, ma persino con la sua figura, impostata a quella “nobile semplicità e calma grandezza” in cui il Winckelmann ravvisava l’inequivocabile manifestarsi di una superiore umanità . Superata questa prima impressione e venendo a parlare più propriamente dello stile interpretativo, in generale, di Kavakos, diremmo che la sua qualità più alta consista nella straordinaria ricchezza di sfumature e di colori espressivi che il suo archetto e le sue dita fanno scaturire dal suo prodigioso Stradivari, già dotato di per sé di un suono bellissimo, di morbidezza tenera e luminosa. Si può dire che quasi ogni tocco di corda, sul violino di Kavakos , assuma un timbro particolare, che, unito ad una capacità più unica che rara di produrre chiaroscuri dinamici e sottili variazioni ritmico-agogiche, dona al fraseggio una emozionante profondità espressiva. A sua volta, la cavata, sempre distesa in una vellutata sonorità che non teme confronti, fa sbalzare dalle quattro corde, anche nella massima tensione dei sovracuti, la forma melodica e armonica del pezzo con una chiarezza e trasparenza ‘architettonica’ di cristallina purezza, nella quale il vibrato appare come una sottile e sobria increspatura sulla superficie di un suono campito con delicata lucidità. A tutto questo si aggiunga l’uso sapiente, talora ieratico, delle pause, nel cui silenzio il suono sembra continuare a espandersi nello spazio-tempo, acquistando ulteriore profondità. E’ chiaro che per accompagnare un simile genio, occorra un pianista di eccellenti risorse, e Kavakos lo ha trovato, appunto, in Enrico Pace. Kavakos e Pace non sono due musicisti che” suonano insieme”, ma “interpretano” insieme, con una sintonia assoluta e totale. Tutte le composizioni proposte ieri sera presentano uno stile concertante, prevedono dunque una parte impegnativa anche per il pianista, che non è certo semplice accompagnatore, ma deuteragonista a pieno titolo, e Pace ha assolto al meglio questo ruolo. Forse perché era la prima volta che lo ascoltavamo, ma il pezzo che più ci ha colpito ieri sera è stata la Sonata di Enescu: è un’opera di estrema complessità strutturale, in cui il carattere “popolare” indicato dal titolo allude non tanto a citazioni testuali di materiale musicale folklorico, quanto allo spirito della musica dei lautari (menestrelli girovaghi) romeni. Nei primi due tempi tale spirito è evocato attraverso le melodie, dal ritmo libero, spesso dispari o con sovrapposizioni di più ritmi, con un continuo avvicendamento di schemi melodici per brevi incisi e frasi, ricchi di cromatismi e, per il violino, di armonici e quarti di tono. Il tutto su un tappeto pianistico di grande densità, fatta di tumultuose successioni di accordi, di note sincopate o doppie, di ritmi sfasati tra le due mani, di tremoli. Una partitura difficile, affascinante, che raggiunge i suoi momenti più alti nelle rarefazioni estreme dei timbri, ai limiti dell’evanescenza, di raccolta malinconia, in cui Kavakos e Pace hanno raggiunto vertici espressivi di potente suggestione. Il terzo tempo della Sonata di Enescu, come la Rapsodia di Bartòk, hanno invece messo in evidenza l’energia e la vitalità di cui sono capaci questi due interpreti, che peraltro hanno evitato il percussivismo esasperato con cui si martella in genere certa musica del grande ungherese, stemperandolo in una più contenuta, ma non meno trascinante, giocosità ritmica. Se del pezzo di Skalkottas,( che pochissime reminiscenze conservava del serialismo dodecafonico del suo maestro Schonberg, caratterizzandosi semmai per vaste zone di ‘tonalità allargata’ o politonali, con schemi armonici alla Hindemith degli anni ’20), Kavakos e Pace hanno scelto una linea interpretativa che puntava tutto, giustamente su sonorità chiare e sull’energia ritmica, non senza qualche barlume d’ironia, il Brahms ascoltato ieri sera ha rapito gli ascoltatori per la varietà dei colori con cui i due interpreti hanno illuminato la possente architettura tematica e contrappuntistica di questo aureo capolavoro: dal cupo e passionale primo tema dell’Allegro iniziale, alla timbrica rarefatta dello strano sviluppo, sempre nel primo tempo, col suo interminabile pedale sulla dominante per la mano sinistra del pianoforte, alla calda effusione delle doppie corde del violino dell’Adagio, alla limpida cantabilità della parte del violino del secondo tema del Finale, ombreggiato dagli accordi bruniti della tastiera. Abbiamo ascoltato un Brahms nell’interpretazione che più amiamo: solidità di struttura e suono morbido e avvolgente. Veramente un concerto, quello di ieri sera, che definire entusiasmante è ancora dire poco, tra i più belli mai ascoltati qui a Vercelli, che pure è città dove, grazie al Viotti Festival, di eccellente musica se ne sente spesso. Lunghissimi applausi di un pubblico quasi in delirio e due bis hanno posto fine a questo concerto che per noi resterà indimenticabile. 23 marzo 2019 Bruno Busca La Wurttembergische Philharmonie Reutlingen per la Società dei Concerti La Württembergische Philharmonie Reutlingen diretta da Fawzi Haimor ha tenuto ieri sera un concerto sinfonico nel quale sono stati eseguiti prima il Concerto n.1 in re minore di J.Brahms e poi la rara Sinfonia n.2 di C. Ives. Nel concerto solistico al pianoforte Dejan Lazi ć, musicista di Zagabria per la prima volta in Conservatorio a Milano. La riproposta in Sala Verdi nell'arco di circa dieci giorni, del noto concerto brahmsiano - recentemente l'avevamo ascoltato con C.L.Minzi al pianoforte- dimostra l'efficacia di un lavoro complesso e di non facile esecuzione che quando fu composto dal musicista ungherese venne giudicato addirittura ineseguibile e quindi trascurato per alcuni decenni. Ora, le nuove generazioni di pianisti particolarmente disponibili ad ogni repertorio, lo mettono spesso nei programmi concertistici. La valida interpretazione ascoltata ieri sera ha rivelato le ottime qualità della compagine orchestrale tedesca in un lavoro dove la parte orchestrale è altrettanto importante che quella solistica per i momenti di grande coralità ed incisività che sostiene. Il giovane interprete croato ha superato con valida resa ogni difficoltà tecnica del brano. Il tocco del pianista è stato improntato ad una eleganza anche raffinata nel gestire la componente melodica piuttosto che ad una risoluzione timbrica maggiormente risoluta e ricca d' impeto come il brano dovrebbe imporre. La scorrevolezza del lavoro nei movimenti laterali e nel largo centrale, è stata ben sostenuta e coadiuvata con energia dall'ottima direzione di Fawzi Haimor per una resa complessiva di ottimo livello. Eccellente il bis solistico di Lazić con la Sonata K 9 di Domenico Scarlatti. Nella seconda parte della serata una rarità di Charles Ives, compositore statunitense vissuto a cavallo degli ultimi due secoli, ci ha portato in un'atmosfera tra neo-classicismo e modernità. La Seconda Sinfonia di Ives, costitutiva di un linguaggio tipicamente americano che ha esportato gli efficaci stilemi europei, ha nella componente degli archi della vasta orchestra, l'elemento rilevante. Le timbriche settecentesche trovano uno stravolgimento con i fiati e le percussioni in momenti di moderna e originale creatività, anticipatoria dello sviluppo musicale del Novecento. Il lavoro, completato a cavallo tra fine Ottocento e primissimo Novecento, è particolarmente rilevante nell' eccellente orchestrazione di un compositore che vedeva la musica collaterale alla sua attività principale di assicuratore. Ives, insieme a Varèse, è da considerarsi tra gli anticipatore del Novecento musicale. Decisamente di valore l'interpretazione della Württembergische Philharmonie Reutlingen e la direzione di Haimor, elegante e stilisticamente rilevante. Bellissimo il bis concesso con una Danza ungheresa (la n.7) di j. Brahms che ha evidenziato ancor più gli splendidi colori dell'orchestra tedesca. Da ricordare.21 marzo 2019 Cesare Guzzardella Dopo alcuni anni di assenza è tornato in Sala Verdi nel Conservatorio milanese, il Quartetto Emerson, affermato gruppo cameristico costituito nel 1976 e vincitore di importanti premi discografici per le molteplici e valide incisioni effettuate in questi decenni di attività. Ieri l'impaginato prevedeva un quartetto di Béla Bartók, il N.3 SZ 85, e uno di Beethoven, il N.15 in la minore Op.132, ultimo dei quartetti del genio di Bonn. Probabilmente la brevità del lavoro dell'ungherese - circa 15 minuti per una successione di quattro movimenti senza soluzione di continuità- ha portato alla decisione di eseguire il concerto rinunciando all' intervallo. Questa scelta è stata utile per un confronto più ravvicinato tra i linguaggi musicali dei due grandi musicisti. Quello essenziale, di sintesi discorsiva e tipicamente novecentesco di Bartók e quello più sviluppato nei suoi contrastati cinque movimenti di Beethoven. Quest'ultimo quartetto, pur essendo degli anni '20 dell'Ottocento, si proietta in un futuro senza tempo e molto vicino a noi. Le qualità espresse dalla formazione quartettistica non si discutono. In entrambi i lavori l'unità d'intenti dei quattro interpreti ha evidenziato un unico perfetto timbro ricco di sfumature sia nelle parti melodiche, esaltate anche singolarmente, che nel complesso armonico controllato in modo preciso nelle dinamiche. Splendidi i due bis con un omaggio a Verdi e un meraviglioso Scherzo dal suo quartetto e ancora Beethove n con lo Scherzo dall'Op.130. Un altro capolavoro. Fragorosi gli applausi al termine. Da ricordare. Ricordiamo ad inizio concerto la presenza sul palcoscenico del nuovo Presidente della storica Società del Quartetto: Ilaria Borletti Buitoni sostituisce, certamente in continuità d'intenti, l'avv. Antonio Magnocavallo recentemente mancato.20 marzo 2019 Cesare Guzzardella Lucas Debargue per le Serate Musicali E' la terza volta che ascolto il pianista francese Lucas Debargue in Consevatorio e devo dire che in Sala Verdi, sin dalla prima volta, mi è piaciuto per la sua eccellente creatività sempre alla ricercà di un nuovo modo d'intendere la musica del passato, con un orecchio rivolto al presente e al futuro. Ieri sera un programma impegnativo prevedeva undici Sonate di Domenico Scarlatti seguite, nella seconda parte, da un Bach con la Toccata in do minore BWV 911 e la celebre ultima sonata di Beethoven, la N.32 in do minore Op.111. Scarlatti è il compositore che mi ha maggiormente convinto nell'interpretazione del francese. Il grande musicista napoletano che ha nella sua produzione per tastiera oltre cinquecento sonate, da la possibilità di ampia scelta agli interpreti. I maggiori pianisti si sono cimentati in passato con una cernita ben definita di sonate poi passate alla storia. Debargue ha voluto proporre, secondo una sua libera accurata successione, molte tra le meno eseguite sonate scarlattiane per un tutt'uno unitario di eccellente composizione, come fosse una grande suite in undici movimenti. L'originalità della modalità stilistica del francese ha portato ad un'interpretazione edulcorata da ogni sapore romantico tipico di alcuni celebri esecuzioni, ma legata a timbriche dai colori tipicamente di primo Settecento con spunti di modernità a volte quasi dal sapore jazzistico. Il tocco preciso di Dabergue accentuato da contrasti dinamici netti in cui passa dal forte al pianissimo in modo spesso brusco, con ampia quantità di note puntate e accentuazioni ritmiche, hanno personalizzato molto l'interpretazione. Di qualità anche la Toccata in do minore bachiana eseguita con modalità simili al suo Scarlatti. L' ultimo lavoro proposto, il maturo Beethoven dell' op.111, è generalmente prerogativa di pianisti maturi consapevoli di affrontare un punto d'arrivo assoluto, che quando si propone è conclusivo del concerto. Anche in questo caso la complessa e articolata opera beethoveniana ha concluso la splendida serata senza bis. Debargue, pur nella valida interpretazione complessiva, ha mostrato grosse potenzialità che a mio avviso vanno approfondite per una futura migliore riorganizzazione del materiale. Alcuni frangenti di alto livello non sono forse ancora sufficienti per definire in modo completo un capolavoro che abbisogna di un'unità interpretativa che non è facile da ottenere ai giovani interpreti. Permane una certa discontinuità tra il forte segno reso con forza nella prima parte della sonata e l'etereo finale ricco di quelle sfumature coloristiche elargite dalla celebre successione di trilli. Il livello complessivo, decisamente alto per un ancor giovane interprete, ci fa sperare per un prossimo ascolto nel quale potremo ancora una volta sbalordirci della sua splendida creatività. Da ricordare. 19 marzo 2019 Cesare Guzzardella Krassimira Stoyanova alla Scala Il variegato impaginato che ha presentato il celebre soprano bulgaro Krassimira Stoyanova trovava noti lieder di Schubert, tra cui i celebri Gretchenam Spinnrade- Margherita all'arcolaio- e l'Ave Maria, meno noti i brani di Richard Strauss - ben cinque tra cui Morgen op.27 n.4- e rarità di W. Korngold e M. Musorgskij. L'incisività timbrica della Stayonova, unita ad una evidente volumetrica duttilità interpretativa, insieme alle eccellenti capacità attoriali emerse soprattutto nei corposi lieder di Musorgskij, hanno reso di grande qualità la serata scaligera. Prestigioso il pianoforte del bulgaro Ludvil Angelov, attento a sottolineare ogni momento interpretativo del canto. L'elasticità dinamica della cantante si è rivelata anche nei bis concessi con un omaggio all'Italia, non presente nel programma ufficiale, ma ben reso nello splendido Puccini. Grande successo in una Scala con tanto pubblico che al termine ha tributato alla cantante ed al pianista fragorosi applausi. Da ricordare. 18 marzo 2019 C.G. Straordianario successo per La Traviata alla Scala con Angel Blue in Violetta Il soprano californiano Angel Blue di origine afro-americana, ieri sera al Teatro alla Scala ha sostituito Sonya Yoncheva, indisposta, nel ruolo principale di Violetta e sarà ancora sul palcoscenico nelle prossime ultime due rappresentazioni del 14 e 17 marzo. Il successo di Traviata, ( Foto di Brescia e Amisano -Archivio Scala ) con quasi dieci minuti di applausi al termine e un pubblico in piedi, ha sensibilmente commosso in scena la Blue , che ricordiamo essere stata in passato vincitrice di concorsi di bellezza a Hollywood e in California. Anche il veterano Placido Domingo nel ruolo di Giorgio Germont è stato accolto da applausi fragorosi subito dopo l'aria del secondo atto Di Provenza il mar, dimostrando ancora una timbrica di sorprendente efficacia e adeguata al ritrovato ruolo baritonale. E' dal 1990 che torna sul palcoscenico scaligero La Traviata per la riuscita regia di Liliana Cavani con le ottime scenografie di Dante Ferretti, i classici costumi di Gabriella Pescucci, le valide coreografie di Micha Van Hoeche e le adeguate luci di Marco Filibeck, e da allora il teatro è sempre stato al completo. Di rilievo la voce di Francesco Meli in Alfredo Germont e di qualità Caterina Piva in Annina, Chiara isotton in Flora Bervoix e le altre. L'eccellenza del Coro preparato da Bruno Casoni non si discute. Ottima la direzione di Marco Armiliato che ha cercato, riuscendoci, di mettere in risalto la componente vocale attraverso una lettura precisa e discreta nei volumi orchestrali. Una maggiore tensione drammatica avrebbe probabilmente migliorato la comunque equilibrata e valida orchestrazione. Angel Blue, con volumetrica emissione vocale ha trovato frangenti di resa eccellente sia nelle estensioni centrali che alte. Nel terzo atto una considerevole discrezione vocale ha evidenziato anche l'ottima resa attoriale del soprano, ottima con Meli nel celebre Parigi o cara. Da non perdere le ultime rappresentazioni. 13 marzo 2019 Cesare Guzzardella Un valido Brahms con Carlo Levi Minzi e l'Orchestra rumena di Arad Per ragioni personali ho potuto assistere solo alla prima parte del concerto diretto da Giorgio Rodolfo Marini con l'Orchestra Filarmonica di Stato di Arad. In programma il Concerto per pianoforte ed orchestra n.1 in Re minore di J. Brahms. Al pianoforte Carlo Levi Minzi. L'interpretazione particolare di Minzi, affermato pianista e noto didatta milanese, ha trovato un andamento rilassato, con movimenti in cui la struttura melodico-armonica è definita in modo analitico con dettagli particolareggiati. Punto di forza nell'inusuale interpretazione di Minzi è la chiarezza coloristica attenta e precisa, con frangenti di eccellente risalto estetico. Certamente una maggiore sintesi discorsiva, più tipica del romanticismo evoluto brahmsiano, avrebbe destato maggiore unità al tutto, anche se nel modo di esprimersi di Minzi, ben coadiuvato dalla brava orchestra rumena e dall'ottima direzione di Marini, la coerenza non manca e la profondità espressiva risulta evidente. Altrettanto in sintonia con il concerto il bis solistico concesso con ancora Brahms e la sua Ballata op.10 n.2. Coerenza e bellezza coloristica le principali caratteristiche. Nella seconda parte della serata la celebre Sinfonia "Patetica" di Čaikovskij, ben eseguita, a detta di amici che hanno potuto ascoltarla.12 marzo 2019 Cesare GuzzardellaIl duo Rabaglia-Miodini al Conservatorio G. Cantelli di Novara L’appuntamento con il concerto del sabato pomeriggio alla Sala Olivieri del Conservatorio di Novara, oggi, sabato 9 marzo, era di quelli imperdibili: il violinista Ivan Rabaglia (insegnante presso lo stesso Conservatorio novarese) e il pianista Alberto Miodini, cioè due elementi del prestigioso Trio di Parma, presentavano un programma da far gola a chi ami la musica “forte” – per usare un’espressione cara al grande Quirino Principe: tre delle più belle e celebri sonate per violino e pianoforte della storia della musica: la K454 in Si bem. Maggiore di Mozart, la Sonata in sol minore di Debussy e infine, a coronare grandiosamente il recital, la “Kreutzer” di Beethoven. Di fronte ad una sala in cui dalle 16,30 non c’era più un posto a sedere libero (il concerto cominciava alle 17), il duo Rabaglia Miodini ha offerto una splendida interpretazione di questi tre gioielli musicali. Anzitutto, ma questa non è certo una sorpresa, visto che i due suonano insieme da quasi trent’anni, è stato perfetto il dialogo tra i due strumenti, componente essenziale di tutte e tre le opere eseguite, in cui la parte del pianoforte non è mai di mero accompagnamento, ma anzi torreggia talvolta allo stesso livello di importanza del violino. Soprattutto Rabaglia e Miodini hanno dato prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, di una lucida e profonda capacità di penetrare nelle pieghe e nelle sfumature più sottili delle partiture, illuminandole con una coinvolgente intensità espressiva. Il Santo Serafino 1740 di Rabaglia, di per sé, non ha un timbro particolarmente dolce, eppure è stato di straordinaria dolcezza il suono con cui il solista di Parma ha dato voce all’Andante della sonata mozartiana, particolarmente nella sezione dello sviluppo, dove il si minore cui approdava il complesso svolgimento armonico del movimento pareva provenire da qualche remoto regno di ideale bellezza. Sempre a proposito di questo tempo lento della sonata mozartiana, uno dei vertici della musica cameristica del Salisburghese, è emersa un’altra particolarità interpretativa dei due musicisti parmensi: la capacità di arricchire l’atmosfera espressiva con perfette vibrazioni chiaroscurali, grazie a un gioco mosso e vario del piano dinamico e, talora, anche agogico. E’ stato il caso della splendida e inquietante sonata di Debussy, con le sue sottili venature di angoscia che affiorano talvolta dall’apparenza di movimento e allegria che impronta questo capolavoro del periodo tardo del compositore francese. Anche in questo caso valga da esempio il tempo centrale, Intermède: ci è parsa perfettamente nello spirito di questa inafferrabile musica l’esecuzione del duo emiliano, che dopo la svagata atmosfera fatta di ritmi vagamente spagnoleggianti, da bolero e di un’idea secondaria leggera e brillante, suonata con fraseggio sognante dal violino e dal pianoforte, ripropone nel finale il tema principale del bolero trasfigurandolo in un ‘morendo’ sommesso e misterioso. In generale, per questa sonata debussyana va riconosciuto un particolare apprezzamento, oltre, s’intende a Rabaglia, anche a Miodini, per la finezza con cui ha eseguito i numerosi passaggi accordali del pezzo, dandone di volta in volta colorature diverse, ora lievi e allegre, ora più ombreggiate e inquiete. Che dire, infine, della Kreutzer di Rabaglia e Miodini? Diremmo questo: abbiamo ascoltato una Kreutzer di perfetta quadratura ‘classica’, con fraseggi torniti con precisione e limpidezza senza eguali, anche nelle sezioni di più febbrile tensione drammatica, un limpido dialogo tra gli strumenti, una resa perfetta dei vari piani timbrici della partitura. Proprio per questa dominante classicistica della scelta interpretativa di Rabaglia e Miodini, la parte più riuscita della sonata beethoveniana ci è parso l’Andante con variazioni, stupendamente cesellato con una fluente cantabilità: indimenticabili per aerea levità le serie di quartine di biscrome del violino nella seconda variazione, o la trasparenza con cui Miodini ha fatto cantare la complessa scrittura pianistica a quattro parti reali nella terza variazione. Questa impostazione classicistica ha però messo un po’ ai margini quella componente ‘tellurica’, ai limiti dell’allucinato e del demonico, presente nei due tempi estremi della sonata, in particolare il primo, così suggestivamente descritti dal genio di Tolstoij. Si tratta naturalmente di un nostro personale gusto, che nulla toglie a un giudizio che non può che essere di elogio e di ammirazione per i due interpreti, che hanno regalato al pubblico, come bis, il secondo tempo “Blues” della sonata n. 2 per violino e pianoforte di M. Ravel: bellissima esecuzione anche in questo caso, sospesa fra trasognata fantasia e dolce malinconia. Applausi scroscianti e prolungati da parte del numeroso pubblico, per uno dei più bei concerti in assoluto ascoltati in questa stagione a Novara. 9 marzo 2019 Bruno Busca di l.go MahlerÈ la terza volta in brevissimo tempo che il compositore-pianista turco Fazil Say, classe 1970, torna a Milano per interpretare grandi autori ma anche sue composizioni. Prima in Conservatorio da solista, poi alla Scala, accompagnando in febbraio l'eccellente voce di Marianne Crebassa e adesso in Auditorium con la Sinfonica Verdi, in veste anche di direttore. Ci ha abituato soprattutto alla sua musica, una giusta via di mezzo tra oriente ed occidente, con melodie ed armonie particolarmente caratterizzanti il suo linguaggio: tonale, suggestivo, immediato ma non semplice. Anche nel brano ascoltato ieri sera all'Auditorium di l.go Mahler, accompagnato dalla sezione d'Archi della Sinfonica Verdi, la specificità del suo modo di far musica è emersa in modo evidente e con apprezzamento generale dei fedeli ascoltatori. Il brano, denominato Yürüyen Kö şk, "Il palazzo che cammina", op.72c, rivela i tipici contrasti della musica di Fazil, dove momenti di dolce melodia, quì introdotta accompagnata da un suggestivo effetto di timbriche ottenute dallo sfregamento delle corde acute dei violini -ad imitazione del cinguettio di uccellini- si alterna a momenti aspri, volumetrici e percussivi dei registri bassi della tastiera. Le varianti armoniche del piacevole lavoro di Say, oltre sedici minuti musicali in un unico movimento, erano dedicate ad Atatürk, generale e uomo politico turco che ebbe il merito di avvicinare la Turchia alle tradizioni più occidentali europee. Un lavoro immediato, ben organizzato e con elementi dissonanti ma ben inseriti nel contesto della riconoscibile tonalità. Applausi meritatissimi. Il brano era incastonato tra i grandi Mozart e Beethoven. Del primo il raro Concerto n.1 per pianoforte ed orchestra K.37, opera interessantissima di un Mozart undicenne ma già maturo, influenzato dallo stile galante del suo tempo con i "Bach figli" d'esempio e soprattutto il più anziano Haydn. Bravissimo Say nel melodiare con semplicità e naturalezza le geniali semplici note mozartiane e ottima la Sinfonica Verdi. Dopo l'intervallo, un originale Concerto n.3 in do minore op.37, celebre brano di Beethoven, ha concluso il programma ufficiale. L'interpretazione, che si potrebbe definire "alla Say", prevedeva un'accentuazione forse eccessiva ma efficace degli elementi melodico-ritmici. La resa, poco beethoveniana, avrà fatto rizzare i capelli ai puristi, specie per quella invenzione e/o improvvisazione della cadenza nell'Allegro con brio iniziale, dove il pianista turco ha inserito molto se stesso e poco Beethoven, dimostrando in questo caso una sorta di primato della creatività del compositore Say. Il pubblico ha apprezzato con fragorosi applausi ed anche con esclamazioni di consenso ad alta voce; alcuni tra il pubblico si sono alzati in piedi in segno di omaggio. Grandissimo successo dunque e un bis tutto di Say con un melodico breve suo lavoro. Ultima replica prevista per domani alle ore 16.00. Da non perdere9 marzo 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente a Vercelli terzo appuntamento di GREEN TIES 2019 A Vercelli terzo appuntamento della rassegna GREEN TIES 2019 - 5 concerti aperitivo- . Il prossimo avrà luogo domenica 17 marzo 2019 alle ore 11 presso la Sala Parlamentino, Palazzo dell'Ovest Sesia a Vercelli.Verrà eseguita la prima parte dell' Integrale dei Quartetti di Beethoven. Sul palcoscenico il noto Quartetto Adorno. Da non perdere 9 marzo 2019 dalla redazione
Juana Zayas alle Serate Musicali del Conservatorio milanese Non so quante volte ho ascoltato in Sala Verdi Juana Zayas, pianista cubana naturalizzata statunitense, sempre per Serate Musicali. È una scoperta di Hans Fazzari, storico organizzatore della nota società concertistica, avvenuta alla fine degli anni '90. L'impaginato della pianista, come sempre molto tradizionale e variegato, ha trovato musiche di Haydn, Beethoven e Chopin. Ancora una volta devo dire che la Zayas è un'eccellente pianista immeritatamente misconosciuta ai più. È un peccato vedere una Sala Verdi con solo poche centinaia di ascoltatori quando per le qualità musicali espresse , l'artista meritava una sala al completo. Di grande rilevanza tutti i brani scelti. Partendo da Haydn con le celebri Variazioni in fa minore Hob XVII, eseguite con sorprendente classicità e chiarezza espositiva, siamo arrivati alla celebre Sonata in fa minore Op.57 "Appassionata" di L.v.Beethoven, capolavoro sonatistico dei primi anni dell'800. La decisa ed articolata esecuzione della Zayas si è focalizzata qualitativamente nei movimenti laterali, eseguiti con grande impeto e dettagliata resa coloristica rivelando modalità tipiche della pianista tout court, anche se s'intravede nella gestualità delle mani uno studio costante ed approfondito di ogni dettaglio tecnico superato,per esperienza, con estrema facilità. Dopo il breve intervallo un tutto Chopin, anche nei tre bis concessi, ci ha portato alla consolidata predilezione della Zayas per il grande genio polacco. Prima la nota Fantasia in fa minore op.49 - interessante la scelta di questa tonalità in tutti i brani del programma- quindi il breve Studio n.2 in fa min. Op.25 e poi la Ballata n.4 in fa minore hanno concluso l'impaginato ufficiale. Di qualità la resa musicale sia nei più articolati brani laterali che nello Studio centrale al quali si aggiungono i tre bis. La Fantasia e la Ballata n.4 hanno comuni caratteristiche di articolato sviluppo melodico-armonico reso con grande equilibrio formale ed espressivo dall'interprete. I tre fuori programma erano lo Studio postumo in fa minore, la Mazurka op.17 n.4 e lo Studio op.10 n.12. Questi insieme allo Studio n.2, hanno rivelato corposa sintesi discorsiva, soprattutto riferita ai due celebri Studi- e profonda introspezione espressiva nella mirabile Mazurka e nello Studio postumo. Il livello complessivo ascoltato pone la Zayas tra le migliori pianiste viventi. Da ricordare a lungo. 8 marzo 2019 Cesare Guzzardella ščina al Teatro alla ScalaRinnovato successo di pubblico e interminabili applausi al Teatro alla Scala per Chovanščina nella terza rappresentazione di ieri sera. Ritornata dopo vent 'anni nel teatro milanese, sempre per la direzione di Valery Gergiev, l'opera di Modest Musorgskij completata nei finali del secondo e quinto atto prima da Rimskij-Korsakov e, nella recente versione, orchestrata da Dmitrij Šhostakovich, Chovanščina rappresenta la migliore tradizione operistica russa al pari di Boris Godunov. I punti di maggior splendore della riuscita rappresentazione scaligera sono certamente la concertazione di Gergiev che ha mirabilmente forgiato con timbriche di grande espressività le ottime qualità dell'orchestra scaligera e l'inarrivabile parte corale preparata dal solito bravissimo - e qui di più- Bruno Casoni. I momenti corali rimarranno indelebili nella memoria dei presenti in teatro anche per il valido inserimento di questi nella riuscita scenografia di Margherita Palli (prime due foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala) Di grande qualità complessiva il cast vocale con omogenee prestazioni dei solisti, tutti all'altezza, tra i quali ricordiamo Mikhail Petrenko, Principe Ivan, Ekaterina Semenchuk, Marfa, Evgenia Muraveva, Emma, Sergey Skorokhodov, Pricipe Andrej, Evgeny Akimov, Golicyn, Maxim Paster, Scrivano, Alexey Markov, Saklovityj, Irina Vashchenko, Susanna, Stanislav Trofimov, Dosifej, ecc. La regia di Mario Martone, apprezzabile nelle intenzioni atemporali in cui inserisce una vicenda che risulta non facilmente inquadrabile nel periodo storico, ha trovato, a mio avviso, forzature rappresentate dalle apparecchiature tecnologiche inserite in un contesto sbagliato. Per il bisogno di attualizzare la vicenda, la presenza di smarphone, pc o macchine da ripresa video che filmano lo sgozzamento di alcuni Strel'cy, risultano inopportuni e troppo contrastanti anche in rapporto con i validi e appropriati costumi curati da Ursula Patzak Un lavoro, a parte questo, che assolutamente merita e di cui auspichiamo la presenza completa di pubblico anche nelle prossime rappresentazioni previste per il 13-19-24-29 marzo. Da non perdere.7 marzo 2019 Cesare Guzzardella Il ritorno di Mitsuko Uchida in Conservatorio per la Società del Quartetto Grande successo in Conservatorio, con pubblico entusiasta al termine della serata, per la pianista nipponica residente a Londra Mitsuko Uchida. Dopo circa dodici anni di assenza da Milano, la Uchida è tornata in Sala Verdi per un tutto Schubert di alto livello interpretativo. Le Sonate D 537, D 840 e D 960 sono state affrontate con una chiarezza d'intenzione evidente mettendo in risalto, in tutte e tre le note composizioni, timbriche decise, sia nelle strutture armoniche più ampie che nelle note isolate delle melodie più nascoste. Alternando situazione di grande impatto sonoro, definite da segni scultorei netti e pregnanti ed altri di sublime rarefazione e riflessione, la Uchid a ha trovato un nuovo e profondo modo d'intendere Schubert, lontano da quella discrezione e leggerezza spesso esaltata da altri grandi interpreti. In lei maggiore impeto e un'evidente volumetrica espressività si esprime in un rapporto di dinamiche assolutamente equilibrato se pur molto contrastato nella diversa successione dei movimenti. La bellezza del suono è elemento essenziale nel modo di esprimersi dalla Uchida, ma nello stesso tempo il controllo razionale degli equilibri complessivi è altrettanto importante per definire la bellezza e l'alto valore musicale del mondo pianistico schubertiano. L'impatto iniziale con l'Allegro ma non troppo della Sonata in la minore ha da subito definito la cifra decisa e marcata dell'Uchida nei movimenti laterali in netto contrasto con la ricercata e pacata coloristica delle semplici note declinate nelle stupende armonie dell'Allegretto quasi andantino centrale. Di estrema qualità espressiva anche l'Allegro vivace dove le decise e precise scale discendenti iniziali danno l'avvio ad un articolato movimento ricco di contrasti coloristici. La Sonata in do maggiore D 840 denominata Reliquie ed incompiuta, ha nei soli due movimenti, Moderato ed Andante, un clima completamente diverso: austero, rarefatto e di profonda meditazione. Una discorsività dilatata quella voluta dalla Uchida che si perde in una nebbia di grande valore estetico. Dopo l'intervallo, la Sonata in si bemolle maggiore D 960, capolavoro assoluto della letteratura pianistica, ha concluso l'impaginato previsto nella splendida serata. L'eccellente equilibrio complessivo della corposa ultima sonata è stato sostenuto dall'Uchida con scelte più in linea con le grandi tradizioni interpretative entrate nella storia. Ottimamente equilibrato e normalmente dilatato il Molto moderato iniziale seguito da un Andante sostenuto di struggente bellezza e di rara perfezione nella lenta successione melodica. In netto contrasto i due chiarissimi e perfetti movimenti conclusivi: prima lo Scherzo, un Allegro vivace di una scorrevolezza e delicatezza disarmante e poi un Allegro ma non troppo con quel Sol campanello iniziale che introduce l'ultimo movimento, un finale del mondo sonatistico schubertiano. Bis capolavoro per l'Uchida con un Bach stratosferico per chiarezza coloristica e bellezza. Successo strepitoso per una grande pianista. Da ricordare sempre.6 marzo 2019 Cesare Guzzardella Ilya Gringolts e Peter Laul alle Serate Musicali Da parecchi anni il violinista Ilya Gringolts è ospite regolare di Serate Musicali. Ieri sera un impaginato in parte ricercato, ha alternato musicisti noti ad altri poco eseguiti. Prima Mozart e Dvoràk e poi un raro Korngold. La Sonata in la magg. K.526 del salisburghese ha introdotto il concerto. Un Mozart di grande equilibrio formale che completò la sonata ai tempi del Don Giovanni, nel 1787, nella quale la componente pianistica, resa con maestria e morbida scorrevolezza dall' ottimo Peter Laul, ha ruolo preponderante specie nel Molto allegro iniziale e nel Presto finale. Il movimento centrale, l' Andante, è dominato da momenti di grande espressività emotiva degne del Mozart più profondo. Di rilevanza estetica qui la parte violinistica resa molto bene da Gringolts in ogni frangente. La Sonatina in sol maggiore op.100 ci ha portato ad un Dvoràk legato alla tradizione popolare ceca. Ricca di semplici melodie variate con andamenti di danza tipiche del mondo slavo, la splendida sonata popolare in quattro movimenti è stata resa con perfetta sintonia d'intenti dai due validi strumentisti in un equilibrio formale-espressivo perfettamente unitario. Dopo l'intervallo la Sonata in sol maggiore op.6 dell'austriaco Erich Wolfgang Korngold ( 1897-1957) ha concluso il programma ufficiale. Ricordiamo che Korngold, di origine ebrea lasciò nel 1938 l'Europa per gli Stati Uniti dove divenne celebre autore di colonne sonore - vinse anche due Oscar- e valente compositore di opere liriche. La sua Die tote Stadt verrà data a fine maggio al Teatro alla Scala. La sua Sonata per violino e pianoforte è un lavoro complesso, vario ed eterogeneo, che partendo dal tardo romanticismo ottocentesco trova riferimenti specie in Richard Strauss per l'evoluzione armonica e l'ampliamento dello tavolozza tonale. Composta da un musicista precoce di soli quindici anni, dopo un successo iniziale - anche perch è dedicata ed eseguita dal mitico Artur Schnabel e dal violinista Carl Flesch - la sonata è sparita dalla circolazione. Anche per questo l'idea di riportarla nelle sale da concerto è stata certamente valida. Ottima l'esecuzione dei due interpreti per un lavoro perfettamente equilibrato nelle parti e con momenti di grande virtuosismo reso con chiara sintesi discorsiva sia da Gringolts che da Laul. Bellissimo il bis concesso al termine con un esemplare Stravinskij e il suo Scherzo (1910). Da ricordare.5 marzo 2019 Cesare Guzzardella Un importante premio internazionale pianistico dedicato ad Antonio Mormone Milano in questi ultimi decenni è stata sede di importanti concorsi o premi internazionali pianistici. Tra questi quelli dedicati a Dino Ciani e Umberto Micheli hanno segnato maggiormente il bisogno di ricerca di nuovi talenti del pianoforte. Dopo alcuni anni di pausa sta per nascere un nuovo importante premio internazionale pianistico, quello dedicato ad un personaggio di spicco nell'organizzazione concertistica milanese, mancato alcuni anni orsono, quale Antonio Mormone. Questa mattina infatti, a Palazzo Marino, in Sala Alessi, su iniziativa della pianista e presidente della Fondazione La Società dei Concerti, Enrica Ciccarelli Mormone e alla presenza anche del Sindaco di Milano Giuseppe Sala, dell'Assessore alla cultura Filippo del Corno, del pianista e direttore d'orchestra Matthieu Mantanus, del Sovrintendente alla Scala Alexander Pereira, è stato presentato il Premio Internazionale Antonio Mormone. Come ha esposto Enrica Ciccarelli di fronte al numeroso pubblico intervenuto, il Premio attraverserà una prima fase di selezione dove una prima giuria selezionerà dieci tra i presumibili numerosi pianisti partecipanti. Una seconda giuria, diversa e più numerosa, valuterà i dieci candidati ascoltandoli in performence pubbliche che avverranno in più luoghi e sale da concerto della città. Dopo la seconda fase di selezione rimarranno solo tre solisti, che dopo le esibizioni del 2 e 3 luglio 2020, tenute nella Sala Verdi del Conservatorio, verranno ascoltati e valutati dalla giuria finale presieduta dal celebre pianista russo Evgeny Kissin e da altri importanti musicisti quali Bruno Canino, Alexei Volodin, Olga Kern, Paul Lewis, Menahem Pressler, Ivan Fedele, solo per citarne alcuni. I tre finalisti parteciperanno poi alla serata conclusiva del 5 luglio al Teatro alla Scala. I premi saranno in denaro, in ingaggi per concerti in Italia e all'estero e una produzione discografica importante. Come ricordato dal sovraintendente alla Scala Pereira, alla serata finale i pianisti saranno accompagnati dall'Orchestra dell'Accademia della Scala diretta da un celebre direttore. Tra gli interventi anche quello del Maestro Bruno Canino, membro della giuria finale, e della direttrice del Conservatorio milanese Cristina Frosini. Da seguire con attenzione anche attraverso il sito www.antoniomormone.org 4 marzo 2019 Cesare Guzzardella I prossimi due concerti al “Cantelli” di Novara Venerdì 8 marzo (La chitarra) e sabato 9 marzo (I concerti del sabato) si terranno all'Auditorium Fratelli Olivieri alle ore 21.00 i concerti con Leonardo De Marchi, chitarra e chitarra decacorde e per La stagione dei Concerti del Cantelli 2018/2019 sabato alle ore 17.00 musiche di Mozart,Beethoven e Debussy con Alberto Miodini, pianoforte e Ivan Rabaglia, violino. Da non perdere. 3 marzo dalla redazione Tre allievi del “Cantelli” di Novara vincitori di un prestigioso concorso internazionale Non è certo la prima volta che accade: da decenni infatti svariati allievi del Conservatorio "G. Cantelli" di Novara si sono affermati in rilevanti e prestigiosi concorsi internazionali (pressoché in tutte le discipline previste dagli ordinamenti). Ora è la volta di ben tre chitarristi premiati in occasione del III Concorso di chitarra “Gaetano Marziali” indetto dall'Accademia musicale Marziali di Seveso (MB) e svoltosi lo scorso 23 febbraio 2019, un vero e proprio en plein, una vistosa tripletta come si direbbe in ambito sportivo ( e si sa che suonare uono strumento è anche una disciplina atletica) che inorgoglisce il Conservatorio stesso ed il suo corpo docente.Nella Categoria H dai 22 ai 25 anni (ovvero la massima categoria) ecco i risultati conseguiti dai 'nostri' tre allievi (appartenenti alle due cattedre di chitarra del Cantelli): Primo premio: FABIO BUSSOLA (triennio seconda annualità) Secondo premio MARCO CALZADUCCA (biennio prima annualità).Terzo premio: MARGHERITA CHIESA (biennio seconda annualità). 3 marzo dalla redazione Il ‘900 al Conservatorio G. Cantelli di Novara Tutto incentrato sul ‘900 “storico” l’impaginato proposto dall’odierno concerto pomeridiano del Conservatorio di Novara, in una stagione che vede ormai il ‘tutto esaurito’ della Sala Olivieri come regola, segno di un diffuso e crescente consenso di pubblico intorno ad una istituzione fondamentale della vita musicale della città. Come di consuetudine, il concerto era diviso in due parti nettamente distinte: la prima vedeva l’esecuzione della Sonata per violino e violoncello in la minore M.73 di M. Ravel, affidata ad un duo russo formato dalle due giovani sorelle Alfja e Alja Bakjeva. La seconda parte era interamente dedicata ad un quintetto di fiati, formato, crediamo (non è stato distribuito un programma di sala con notizie biografiche sugli esecutori e in giro per il web non c’è molto sul loro conto) da giovani promesse del Conservatorio novarese. Non ce ne vogliano i giovani, bravissimi del quintetto, ma il ‘pezzo forte’ del pomeriggio è stata senz’altro la Sonata di Ravel, tra le composizioni più singolari del grande compositore francese, ricca com’è di dissonanze, dovute soprattutto a bitonalità dei due strumenti, a settime maggiori con risoluzione armonica alla Webern, a modalismi che talora sconfinavano nell’atonalità. Il tutto espresso in un linguaggio asciutto, essenziale, che in certi momenti poteva persino richiamare alla mente certo Satie. Le due giovani interpreti russe hanno dato di questo complesso gioiello raveliano un’esecuzione davvero avvincente, a cominciare dalla scelta di un suono scabro, metallico, acidulo sugli acuti, con sfruttamento eccellente delle dinamiche, sbalzate con incisivo vigore chiaroscurale da entrambi gli archi, ma, saggiamente, con una voce più energica del violino e una più sommessa del violoncello: è infatti il violino a dominare gran parte di questa partitura, permettendo ad Alfja Bakjeva di mettere in mostra un possesso tecnico dello strumento di tutto rispetto: la sua parte, ricca di salti di ottava, di armonici, di strappate e accelerazioni improvvise era tutt’altro che semplice, ma Alfja se l’è cavata con una agilità di diteggiatura e una precisione di fraseggio degne di ammirazione. Ottima esecuzione, dunque ed entusiastica ovazione del pubblico, strameritata, per le due sorelle della lontana Novosibirsk. Il quintetto di fiati, con Ilaria Torricelli al flauto/ottavino, Kingsley Mandrino all’oboe, Gabriele Mercandelli clarinetto, Tommaso Ruspa corno e Marco Frigerio fagotto, esordiva con la celebre Kleine Kammermusik op. 24 di P. Hindemith, che coincidenza vuole composta nello stesso anno, il 1922, della sonata di Ravel. Nello stile tipico del maturo Hindemith, permette ai cinque fiati di dare voce ad una vasta gamma di soluzioni musicali assai varie, da certa grazia settecentesca a sonorità tardoromantiche, in stimolante contrasto con l’evidente influenza di Stravinsky e, soprattutto nel ‘Vivacissimo’ finale, col singhiozzante sincopato del jazz. Bravissimi i cinque che hanno mostrato un’intesa e un affiatamento di matura professionalità, a dare voce ai diversi registri espressivi della composizione, fornendone un’interpretazione degna di encomio. Una bravura confermata nei due successivi e ultimi pezzi in programma, i Trois pièces brèves di Ibert, dalle geometrie limpide d’impianto tonale e il meno interessante Divertimento op.51 di Willy Hess, incline a certi affettuosi toni bucolici, anch’esso agganciato ferreamente al sistema tonale. Un altro bel concerto di cui essere grati al Conservatorio di Novara, in continua crescita di qualità e intelligente fervore di attività. 2 marzo 2019 Bruno Busca Prossimamente Sonig Tchakerian e la Camerata Ducale Junior a Vercelli Sabato 9 marzo 2019 alle ore 21 presso la Basilica di Sant'Andrea di Vercelli la Camerata Ducale Junior e Sonig Tchakerian, maestro concertatore con Leonardo Taio, viola solista terranno un concerto ad Ingresso libero. Da non perdere 2 marzo dalla redazione r Chailly con due altre novità alla ScalaDopo la splendida Terza Sinfonia ascoltata lo scorso anno e l'avvincente Sesta Sinfonia del gennaio di quest'anno, è tornato Riccardo Chailly alla direzione della Filarmonica della Scala con un altro capolavoro di Gustav Mahler, la Sinfonia n.5 in do diesis minore, composta del 1902 a Maiernigg, sulle sponde del lago Wörthersee di Carinzia, in Austria a pochi chilometri dal confine italiano. Probabilmente la più celebre sinfonia mahleriana per via del sempre atteso Adagietto posto come quarto movimento e tanto amato da Luchino Visconti da proporlo nel suo memorabile Morte a Venezia. La Quinta, una delle sinfonie solo strumentali di Mahler, è stata preceduta da due prime esecuzioni italiane, sempre di Mahler: Nicht zu schnell dal Quartetto con pianoforte in la minore nell'orchestrazione di Colin Matthews e Symphonisches Präludium nella ricostruzione di Albrecht Gürsching. Entrambi i lavori con temi melodici dai timbri scuri ed ombreggiati, ben evidenziati e spesso ripetuti -soprattutto nel primo pregnante ed espressivo brano- nell' ottima orchestrazione ben resa da Chailly e dai suoi Filarmonici. Chiari i riferimenti saldamente legati al tardo romanticismo di fine Ottocento. Dopo il breve intervallo la Quinta del compositore e direttore austriaco ha trovato uno Chailly decisamente all'altezza che ha evidenziato il giusto equilibrio nei rapporti volumetrici, timbrici e dinamici dei cinque movimenti che compongono la sinfonia, eseguita con taglio netto e preciso fin dalle prime note della bravissima tromba solista. Il celebre Adagietto, è sottotitolato in partitura Sehr langsam ovvero Molto lento, ed è affidato agli archi accompagnati da un riconoscibile tappeto sonoro dell’arpa. Chailly, di questo sublime momento musicale, ha scelto un'esecuzione relativamente rapida, dalla durata di poco più di otto minuti ( 8.10), se pensiamo che mediamente altri grandi direttori propongono o hanno proposto tempi decisamente più lenti che vanno oltre i dieci, undici o i "quasi e più" di dodici minuti di Karajan e Bernstein. Chailly, assistente in passato di Abbado, ha ridotto ancora di circa trenta secondi la durata dell'Adagietto rispetto a quella del compianto direttore milanese, con una sintesi discorsiva probabilmente non aderente al "Molto lento" richiesto, ma certamente di avvincente equilibrio formale ed espressivo. Un plauso a tutte le sezioni orchestrali ricordando almeno la prima tromba e il primo corno, ottoni chiarissimi e precisi. Nella replica di ieri sera grande il successo di pubblico e numerose le uscite sul palcoscenico per Riccardo Chailly. Questa sera ultima replica. Da non perdere. 2 marzo 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente a Novara Sabato 2 marzo 2019 alle ore 17, all'Auditorium Fratelli Olivieri per la stagione dei Concerti del Cantelli 2018/2019 Quindicesimo concerto con Sperimentalismi in Ravel e Kammermusik. Un programma per intero intenzionalmente ‘sbilanciato’ sul Novecento, quello del concerto odierno: con una prima parte dedicata al sommo Ravel e volta all’interpretazione di una delle sue pagine in assoluto più avveniristiche; poi ecco una seconda parte di natura cameristica che non mancherà di affascinare e sedurre il nostro fedele pubblico, con la varietà degli stili, delle forme e della scrittura. Questo in dettaglio il programma: Alfia Bakieva, violini Aliya Bakieva, violoncello. M. Rave Sonata (Duo) per violino e violoncello in la minore (M 73). dalla redazione 1 marzo 2019 FEBBRAIO 2019 Il duo Faust- Melnikov per la Società del Quartetto Un concerto all'insegna del classicismo interpretativo quello ascoltato ieri sera in Conservatorio dal duo formato dalla violinista Isabelle Faust e dal pianista Alexander Melnikov. Un duo per un "tutto Beethoven" che prevedeva tre Sonate per violino e pianoforte: la N.4 in la minore op.23, la N.5 in fa maggiore op.24 "Primavera" e la N.10 in sol maggiore op.96. L'equilibrio tra i due interpreti, nelle celebri sonate del grande tedesco, spesso è orientato alla prevalenza della parte pianistica, strumento che Beethoven conosceva molto bene e prediligeva. L'ottima Isabelle Faust ha trovato una linea interpretativa molto interiore esprimendo volumetrie sonore pacate in unione con un pianoforte, per quanto contenuto nei volumi, spesso più voluminoso. Non si discute l'eccellenza di raffinatezza nell'esprimere dettagli in sonorità raccolte che dalla prima fila, dove avevo trovato un posto sentivo molto bene, ma che probabilmente a distanza risultavano poco percettibili. L'ottimo Melnikov è pianista attento, scrupoloso e usa il pedale benissimo per un tessuto melodico-armonico asciutto e chiaro. Il timbro ricercato del bel violino Stradivari "Bella Addormentata -1704" della Faust in alcuni frangenti doveva "osare di più" per far emergere le timbriche sottili se pur raffinate. Di spessore tutte tre le esecuzioni con alcuni momenti finali di grintosa resa espressiva. Successo di pubblico con fragorosi applausi e un valido bis con ancora Beethoven e il finale della Sonata op.12 n.3. 27 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Yevgeny Sudbin per Serate Musicali Da molti anni il pianista russo, di San Pietroburgo, Yevgeny Sudbin torna in Conservatorio Come già riferito nell'ultima recensione dell'ottobre del 2017, quando impaginò un programma simile a quello ascoltato ieri sera, come spesso accade per questa generazione di pianisti, l'attitudine al repertorio novecentesco, con ottime rese interpretative, supera le pur valide esecuzioni riferite a periodi più lontani, dove il raffronto con pianisti entrati nella storia risulta arduo. Anche ieri infatti di fronte al programma interessante ed articolato proposto per Serate Musicali, con autori diversi quali Scarlatti, Beethoven, Chopin, Camille Saint-Saëns e Scriabin, è soprattutto con il compositore russo che abbiamo trovato un pianista adeguato, interessante e di alto livello. Sia la Sonata n.5 in fa diesis maggiore op.53 - già eseguita nel 2017- che il Notturno per la mano sinistra op.9, che la Mazurca op.25 n.3 sono risultati di ottima qualità. La Sonata, un unico movimenti di circa dodici minuti, di complessa difficoltà, è stata affrontata con sicurezza, disinvoltura e precisione tecnica infallibile. Splendido anche il Notturno per la mano sinistra e la Mazurca che ha anticipato la celebre Danse Macabre del compositore francese, eseguita come ultimo brano del programma ufficiale. Questa è stato rilevante nella perfezione virtuosistica e nella resa espressiva evidenziando ancora una volta le qualità tecniche di alto livello di Sudbin che supportano tutte le esecuzioni. Il bis concesso con un terzo Scarlatti - Sonata K 466- come i primi due iniziali ( K 197 e K 455) è stato ben eseguito. Bene le Sei Bagatelle op.126 di Beethoven e di normale livello la Ballata n.3 di Chopin. Lunghi applausi al termine. 26 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Guido Rimonda la Camerata Ducale prossimamente a Vercelli con il duo Schiavo-Marchegiani Sabato 2 marzo 2019 alle ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli MASQUERADE. Protagonisti: Guido Rimonda, violino solista e direttore e il Duo Schiavo-Marchegiani, pianoforti. Orchestar Camerata Ducale. 25 febbraio dalla redazione La giovane pianista Ludovica De Bernardo al Conservatorio Cantelli di Novara Oggi, sabato 23 febbraio, abbiamo finalmente ascoltato dal vivo nella sala Olivieri del Conservatorio G. Cantelli di Novara,una giovane pianista napoletana, ma con studi al Bonporti di Trento, di cui si comincia a dire un gran bene, in particolare da quando ha vinto il Concorso internazionale Martucci, proprio qui a Novara: stiamo parlando di Ludovica De Bernardo, che, nella seconda parte del concerto, si è esibita nella Toccata in Sol Maggiore BWV 916 di J.S. Bach e nella Sonata per pianoforte n. 2 in sol minore op. 22 di R. Schumann. In effetti l’ascolto non ha smentito la fama: la De Bernardo è pianista di alta perizia tecnica e ormai maturo dominio della tastiera. Il suo suono unisce solida e lucida quadratura del fraseggio e morbidezza raffinata di tocco, di cui ha dato prova già nel primo tempo della sonata schumanniana, in cui ha ottimamente eseguito il vorticoso, febbrile So rasch wie moglich Iil più Presto possibile), non perdendosi una nota, con una energia che aveva del precipitoso (lo diciamo in senso positivo), ma ha anche dato il colore giusto ai due brevi momenti lirici del secondo tema, suonato con una vibrazione patetica appena soffusa e delicatamente fraseggiata. Ma il movimento più difficile, non tanto dal punto di vista tecnico, quanto interpretativo è il secondo, l’Andantino, in cui il pianista è chiamato al miracolo di una sintesi tra due opposti: la densità della strumentazione e la trasparenza del disegno melodico. Anche da questo banco di prova , la brava pianista napoletana esce in modo convincente, forse con tempi un po’ troppo veloci, ma con buon controllo delle dinamiche e degli snodi armonici della partitura. Della Toccata bachiana, che aveva preceduto il capolavoro schumanniano , la De Bernardo ci è piaciuta soprattutto nella fuga finale, meno nell’aggraziato Adagio centrale , la cui delicatezza in stile prettamente italiano ci è parsa un po’ oscurata dalla austera quadratura del fraseggio. Comunque siamo di fronte a una pianista che ha tutti numeri per raggiungere i più prestigiosi traguardi: glielo auguriamo di cuore. La prima parte del concerto vedeva protagonisti due promettenti virgulti del Conservatorio di Novara, il flautista Tommaso Carzaniga e in funzione di accompagnatrice la pianista Cecilia Apostolo, un altro bel frutto di quella fucina di talentuosi giovani che è la classe di Luca Schieppati, che abbiamo riconosciuto tra i presenti al concerto. Il pezzo più significativo dei tre proposti in questa parte del concerto era senz’altro la Sonata per Flauto e pianoforte di Ervin Schuloff, il più famoso tra i numerosi compositori di origine ebraica che caddero vittima della follia nazista: composta nel 1927, si caratterizza per uno stile che, non disdegnando la politonalità, mescola spunti jazzistici e di musica popolare: pezzo delizioso, che ha i suoi vertici nel secondo movimento, uno Scherzo dal ritmo simpaticamente sghembo, col pianoforte che sembra rincorrere, senza mai raggiungerlo, il flauto, e l’Adagio, un’aria che sembra evocare, con struggente malinconia un so che di remoto e misterioso. Un bravo deciso ai due interpreti: Carzaniga è flautista dotato, di ottima tecnica nella gestione del fiato, dal suono di bel colore, delicato e morbido. Ottima partner alla tastiera la Apostolo, che nel primo tempo ha un ruolo di quasi protagonista, con una sorta di moto perpetuo pianistico, eseguito con bel suono, sgranato da un tocco sempre preciso ed energico. Meno significativi, dal punto di vista estetico e storico-musicale, s’intende, non certo da quello ‘tecnico, gli altri due pezzi proposti: la Fantasia per flauto e pianoforte del compositore francese del primo ‘900 G. Hue, un libero alternarsi di passi di un melodismo tardo romantico e altri di più spigliato e scherzoso brio, e i Tre pezzi per flauto solo di un altro francese P. O. Ferroud , contemporaneo di Hue, anche lui legato a soluzioni riconducibili ad un linguaggio tardo ottocentesco. Un bel concerto, quello proposto dal Cantelli, che si conferma sempre più punto di riferimento importante per la Novara dei musicofili e, soprattutto, ottima scuola nella preparazione dei giovani desiderosi di percorrere quella che oggi è la strada assai impervia di una carriera musicale. 23 febbraio 2019 Bruno Busca A Vercelli Filippo gamba prosegue la sua integrale delle sonate pianistiche di Beethoven “Qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza”. Questo verso di Montale ci tornava alla mente uscendo ieri sera, 22/02 dal Teatro Civico di Vercelli, dopo aver ascoltato il concerto del pianista Filippo Gamba, impegnato da un paio di stagioni a eseguire quel monumento ‘aere perennius’ della musica di ogni tempo che sono le trentadue sonate per pianoforte di Beethoven. A noi “poveri” abitanti fra le risaie e i campi tra Vercelli e Novara, per ascoltare buona musica non è sempre necessario andare a Milano o Torino: il “qui” montaliano è per noi non la costa delle Cinque terre, ma Vercelli, da dove s’irradia, tra gennaio e maggio, due volte al mese, la luce di una musica di qualità, spesso altissima, proposta con intelligente programmazione, e scelte raffinate dal Festival Viotti, organizzato dalla Camerata Ducale di Guido. Rimonda e Cristina Canziani. Ieri era il turno della serata cameristica, con protagonista, appunto, il pianista veronese Filippo Gamba, giunto, se non facciamo male i conti, al suo terzo appuntamento con l’integrale delle sonate beethoveniane. Per l’occasione l’impaginato prevedeva un trittico di composizioni che si pongono al vertice del c.d. ‘secondo stile’ del grande di Bonn, tra 1803 e 1805: due celeberrime, la Waldstein-Aurora op.53 in Do maggiore e l?Appassionata op.57 in fa minore. La terza, l’op.54 in Fa maggiore è un gioiello che, stilisticamente lontano, almeno in apparenza, dalle due precedenti, decisamente ‘strana’, nella struttura, non gode della popolarità delle due sorelle maggiori, per quanto, ci assicura il come sempre impeccabile programma di sala a firma di Attilio Piovano, amata da grandi interpreti come Cortot. Intelligentemente, alterando l’ordine cronologico di composizione e la serie dei numeri d’opus, Gamba ha eseguito per prima la sonata op. 54, proprio, pensiamo, a sottolinearne l’enigmatica estraneità al clima musicale che domina le altre due composizioni. Di breve durata, in soli due tempi, si apre. del tutto inusualmente con un Minuetto di incomparabile grazia rococò e si chiude con un ‘moto perpetuum’ di impianto toccatistico. Particolarmente singolare è il Trio del minuetto, una specie di canone su ottave e seste, che giustamente Rattalino definisce ironico, quasi una parodia di un esercizio per lo studio del pianoforte. Ora, come interpretare questa composizione? Nella breve intervista concessa ad Attilio Piovano prima di sedersi al pianoforte, Gamba definisce questa sonata una sorta di sintesi tra l’op. 53 e l’op 57. Il suo tocco, asciutto e distillato con pensoso rigore, disegna l’amabile grazia del Minuetto con limpidezza, ‘asciugando’ l’ornamentazione, alla Carl Philipp Emanuel Bach, cioè l’essenza del rococò, con cui si ripropone il minuetto ad ogni sua ripetizione. Il secondo tempo, come ci ricorda Rosen, reca sulla partitura l’indicazione “dolce” per entrambe le mani: Gamba privilegia piuttosto una lettura di questo tempo come una sorta di anticipazione sperimentale del terzo tempo dell’op.57, pertanto l’espressività sentimentale richiesta dall’autore si avverte poco e ne risulta un pezzo un po’ algido. . In compenso, la precisione e lucidità di tocco dell’interprete puntano molto e con sicura efficacia sui contrasti dinamici e tematici che innervano sottilmente questo singolare tempo, soprattutto nello sviluppo, ricco di cromatismi dei due primi temi. Noi, come donna Prassede, siamo affezionati alle nostre idee e ci piace vedere in quest’op 54 una sorta di addio, un po’ affettuoso, un po’ ironico, di Beethoven a un mondo musicale. Quello del’700 rococò, da cui la sua musica si era congedata per sempre, aprendo strade rivoluzionarie. Gamba, e i più sono con lui, vede piuttosto in quest’opera una linea di continuità sperimentale con i capolavori del secondo stile e ne ha offerto un’interpretazione perfettamente coerente, cui non possiamo che inchinarci. Decisamente bella l’esecuzione della Waldstein, non solo per la perfezione con cui Gamba cesella le note anche nelle zone di più impervia scrittura virtuosistica, ma soprattutto per il suono che riesce a ottenere con un uso raffinato del pedale di risonanza, che forse mai prima Beethoven aveva scandagliato così a fondo nelle sue risorse timbriche.: la misteriosa sonorità dell’Adagio che introduce il Rondò finale, ,l’”impressionismo” ante litteram di alcune battute dello stesso rondò, soprattutto il meraviglioso finale, come un suono remoto di campane nella nebbia, sono state tra le cose più belle che Gamba abbia donato ieri sera al suo pubblico. Il suono asciutto fino all’austerità, proprio di Gamba, lo mette poi nelle condizioni ideali per interpretare al meglio l’attacco dell’Appassionata, che sotto le dita del pianista veronese si sente eseguito come sempre dovrebbe: una sonorità che si affaccia dal silenzio con discrezione, con un timbro quasi secco, insomma un pianissimo che deve rasentare i limiti della sobrietà assoluta e rendere ancora più sorprendente e tragico l’esplodere del seguente fortissimo. In generale, Gamba propone un’Appassionata in cui l’indubbia difficoltà tecnica non si fa mai gratuita esibizione virtuosistica, ma è al servizio della violenta passione che pervade questo capolavoro. Se poi vogliamo indicare i dettagli che più ci hanno colpito in questa esecuzione, per bellezza e finezza interpretativa, segnaleremmo il finale dell’Assai Allegro (Primo Tempo) con un calibratissimo gioco di dinamiche della mano sinistra sull’ottava bassa dal fortissimo al diminuendo, accompagnato da tocchi di pedale che lasciavano vibrare stupendamente il basso; e la prima variazione dell’Adagio centrale, ove la mano sinistra sul grave si scioglie in un cantabile delicatissimo, dal perfetto legato, mentre la destra suona note staccate, creando un contrasto che rapisce i sensi. Trascinato dagli applausi del numeroso pubblico presente, Gamba ha concesso un bis: un Notturno di Chopin in Si maggiore, eseguito con la consueta asciutta sobrietà, senza alcuna concessione a superficiali patetismi, di cui è troppo spesso vittima il poeta polacco del pianoforte.23 febbraio 2019 Bruno Busca Jan Lisiecki alle Serate Musicali Da alcuni anni il pianista canadese, di genitori polacchi, Jan Lisiecki torna nel Conservatorio milanese impaginando programmi nei quali la tradizione europea dell'Ottocento e del primo Novecento è ben rappresentata. Il programma di ieri prevedeva Chopin, Schumann, Ravel e Rachmaninov. Del grande polacco una suddivisione in due momenti musicali, iniziali e finali, ha reso particolare la scaletta del concerto con i due Notturni op.55 introduttivi e il Notturno op.72 e lo Scherzo n.1 Op.20 eseguiti al termine del programma ufficiale. Abbiamo ascoltato più volte Chopin negli impaginati di Lisiecki in questi anni e debbo dire che un salto di qualità si è rilevato soprattutto nei Notturni, interpretati con grande chiarezza espressiva e dosaggio delle timbriche in andamenti molto riflessivi. Lo Scherzo n.1 eseguito come ultimo brano, è stato interessante per l'andamento del tema iniziale - ripreso poi alla fine- eseguito con incredibile rapidità nella chiara sintesi discorsiva. Meno interessante, anche se ben eseguito, lo Schumann dei Nachtstücke op.23, quattro brani di rara esecuzione. Siamo rimasti piacevolmente convinte di Ravel, con la resa eccellente di Gaspard de la Nuit, brano ascoltato anche il giorno prima dall'ottimo Malofeev, ma reso ieri sera con profonda e matura espressività. Splendide le timbriche ottenute dalla tecnica trascendentale del pianista che tra momenti di flebile dosaggio e altri di voluminosa esternazione sonora, ha rimarcato una tavolozza coloristica varia e di esemplare nitore. Certamente la cosa migliore della serata. Validi i Cinq Morceaux de fantasie op.3 di Sergei Rachmaninov specie nel Preludio in do diesis minore e nel Pulcinella in fa diesis minore, i brani più celebri della raccolta. Di valore il pacato bis di Mendelssohn, con Venetian gondola song op.19 n.6. Da ricordare. 22 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Il giovane Alexander Malofeev per la Società dei Concerti Per la prima volta a Milano in Sala Verdi ma già recente interprete al Teatro alla Scala diretto da Gergiev, il pianista russo Alexander Malofeev, non ancora diciottenne, ha impaginato un concerto incredibilmente virtuosistico che in genere può essere frequentato da pianisti con molta esperienza alle spalle, cosa che a quell'età è raramente possibile. Ma il coraggio dell'interprete, unitamente alla sua fisicità di ragazzo, alto, robusto e con grandi e forti mani, hanno permesso d'affrontare prima un Beethoven maturo come quello della Sonata op.57 "Appassionata", poi un Ravel estremo come quello di Gaspar de la nuit, e, dopo il breve intervallo, un difficile Rachmaninov con la Sonata n.2 op.36 , un Čaikovskij con Dumka op.59 ed infine, di ancor maggiore virtuosismo e ridondanza, la Sonata n.7 Op.83 di Sergej Prokof'ev. Insomma, un programma dei Richter o Gilels in età matura. Siamo certamente rimasti meravigliati della disinvoltura di Alexander nel padroneggiare la tastiera senza un attimo di tentennamento. La forza che ha conferito al primo movimento dell'Appassionata, ha da subito rilevato la sorprendente cifra stilistica di un pianista con idee chiare, idee che hanno bisogno certamente di riflessione e maturazione, ma che nascondono ancora potenziali elevati. Più che Beethoven, ben articolato e chiaro nelle timbriche, che in Ravel, ricco di energia ed equilibrio nelle parti ma mancante forse di una più gentile sintesi discorsiva, ci sono piaciuti i russi: dal complesso Rachmaninov della Sonata n.2, passando per Dumka di Čaikovskij fino ad un musicista a mio avviso più congeniale a Malofeev quale Prokof'ev, e quale Prokof'ev!... quello dello stravolgente Precipitato finale affrontato dal giovane biondo con maestria e potenza . È facile intravedere come l'enorme apporto tecnico del pianista sia elemento determinante e strutturale delle sue esecuzioni. I meno volumetrici movimenti centrali delle Sonate, a cominciare dall'Andante con moto dell' Op.57 di Beethoven fino all'Andante caloroso dell' Op.83 di Prokov'ev abbisognano, a mio avviso, di maggiore maturazione in ambito riflessivo. Lo splendore dei bis concessi, quattro per oltre venti minuti di musica in più, di cui i primi tre interiori e riflessivi, smentisce in parte quanto detto: sono stati eseguiti ottimamente, calibrando i pesi delle semplici note nei diversi piani in modo mirabile. Sia in Ottobre che in Novembre da Le stagioni op.37 di Čaikovskij ma anche nello strepitoso Andante maestoso dallo Schiaccianoci - bellissima la trascrizione di Pletnev- Malofeev ci ha convinto. Poi, nella percussiva celebre Toccata di Prokof'ev, eseguita come ultimo brano, ci ha fatto venir voglia di vederlo presto di nuovo sul palcoscenico. Applausi fragorosi ed abbondanti da un pubblico entusiasta. Da ricordare.21 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Due sinfonie di Beethoven al Teatro Coccia di Novara Ieri sera , 19/02, al Teatro Coccia di Novara, nell’ambito della stagione sinfonica 2019, è stata proposta ai musicofili della città una serata interamente dedicata a Beethoven: due sinfonie, la prima in Do maggiore op.21 e la settima in La maggiore op.92. Sul podio Matteo Beltrami il giovane direttore musicale del teatro novarese, che per la prima volta, per lo meno a Novara, è salito sul podio per dirigere non un’opera, ma musica sinfonica. L’orchestra affidatagli era quella, ottima, dei Virtuosi italiani, in residence a Venezia, con trent’anni esatti di esperienza in gran parte delle più prestigiose sale da concerto d’Italia e d’Europa. Curiosamente, I Virtuosi italiani non hanno un loro direttore stabile, ma ne fa le veci il konzertmeister Alberto Martini, che parrebbe godere di un’autentica venerazione da parte degli altri professori d’orchestra: quando, alla fine del concerto, Beltrami, come d’uso, ha invitato tutti gli orchestrali ad alzarsi, questi sono rimasti immobili ai loro posti, in quanto il direttore aveva commesso ai loro occhi un’imperdonabile dimenticanza, non avendo stretto la mano al loro konzertmeister. Resosi conto della gaffe, Beltrami lo ha abbracciato con effusione e solo allora l’orchestra si è alzata…Prima di entrare nel merito del concerto, citiamo un altro fatto curioso che caratterizza questa stagione sinfonica del Coccia: il concerto è preceduto dall’intervento di una personalità del mondo del giornalismo e della cultura, in genere di chiara fama, che “introduce” la serata musicale con una concione che più o meno dovrebbe avere qualcosa a che fare con le composizioni proposte dal programma. Ieri sera è toccato al noto giornalista della carta stampata e della tv Gianluigi Nuzzi, autore una decina d’anni fa di un libello che fece rumore, “Vaticano spa”. Costui, partendo dal labilissimo pretesto della passione dell’ex papa Benedetto XVI per la musica e il pianoforte, ha intrattenuto il pubblico con considerazioni varie sulla situazione attuale del Vaticano, sulla figura di Ratzinger , papa Francesco etc.etc. La domanda che poniamo ai responsabili del Coccia è: non si potrebbero evitare questi interventi, che nulla hanno a che vedere con una serata musicale? Passiamo senz’altro al concerto. Le due sinfonie eseguite ieri sera si inseriscono in un interessante “progetto Beethoven” che si propone di ricostruire il percorso musicale del grande compositore tedesco attraverso una serie di sue opere sinfoniche e concertistiche. La due sinfonie di ieri costituivano già un esempio di due stagioni molto diverse e dunque di due stili molto diversi del grande di Bonn. La prima sinfonia è ancora sotto la marcata influenza del linguaggio mozartiano-haydniano, ma già spiccano i primi, inconfondibili tratti del Beethoven maturo, in particolare nella vigorosa energia del terzo tempo, ormai “Menuetto” più di nome che di fatto. E qui entra in scena l’interpretazione di Beltrami. Il direttore genovese ha dimostrato una notevole duttilità interpretativa nel valorizzare le diverse sfaccettature di questa sinfonia beethoveniana d’esordio, dando pieno risalto ai momenti settecenteschi della partitura con uno stacco dei tempi e una gestione delle dinamiche improntata ad una sottile grazia e ‘leggerezza’di grande suggestione, che conferivano maggior risalto ai ritmi potenti del Menuetto. Soprattutto, emergeva già dall’esecuzione di questo primo brano la cura meticolosa del colore, dei piani timbrici, che trovava perfetta risposta negli ottimi fiati, soprattutto i legni, dei Virtuosi. Ovviamente, il pezzo forte in programma era la settima. Anche di fronte a questo capolavoro assoluto, Beltrami ha mostrato notevoli qualità direttoriali. Qui vogliamo sottolineare in particolare il colore con cui ha interpretato il celeberrimo Allegretto, un colore tutto particolare, diremmo elegiaco-funebre, che ha toccato vertici di toccante commozione. Un ottimo concerto, insomma, con un bravo direttore e una validissima compagine orchestrale. Grandi applausi per tutti dal non numeroso pubblico presente e un bis, l’ultimo tempo della settima. Serata da ricordare. 20 febbraio 2019 Bruno Busca Benedetto Lupo per la Società del Quartetto Il pianista pugliese Benedetto Lupo ha tenuto un recital pianistico in Sala Verdi impaginando un programma di matrice romantica con Schumann e Čaikovskij. Le note Kinderszenen op.15 hanno introdotto il concerto seguite dall'altrettanto celebre Kreisleriana op.16. Dopo l'intervallo una sonata splendida ma di raro ascolto come la Grande sonata in sol maggiore op.37 del russo ha concluso il programma ufficiale. È certamente un ottimo pianista Lupo, noto anche come didatta (tra gli importanti allieve anche Beatrice Rana). Ci è apparso non appariscente ma intimo in Schumann con sonorità introspettive espresse con dinamiche non voluminose ma sottili. Il suo Schumann nelle Kinderszenen è particolarmente vellutato ed abbastanza contrastato nella sequenza dei brevi tredici brani. Più coinvolgente la Kreisleriana ma sempre in un contesto di introversa espressività. Con la Grande sonata op.37 del grande russo, Lupo, a nostro avviso, ha dato il meglio rivelando una maggiore positiva estroversione nelle sonorità dei quattro movimenti che la compongono. Splendido l'equilibrio complessivo e lo stile dal sapore improvvisatorio e corretta la scelta dei tempi con un Finale. Allegro vivace di grande impatto sonoro e timbrico. Interpretazione di alto livello. Bellissimi i due bis concessi con Dicembre dalle Stagioni sempre di Čaikovskij e per ultimo ancora un bel Schumann con il primo dei Pezzi fantastici op.12, A sera. Grande successo di pubblico per un pianista uscito più volte sul palcoscenico visibilmente soddisfatto che speriamo di tornare ad ascoltare presto. Da ricordare.20 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Maxim Vengerov alle Serate Musicali del Conservatorio Dopo il memorabile concerto dello scorso anno al Teatro Dal Verme del 10 aprile, le Serate Musicali ieri sera hanno riportato ancora una volta il celebre violinista russo Maxim Vengerov su un palcoscenico milanese, questa volta quello di Sala Verdi in Conservatorio. Nel duo lo scorso anno c'era l'ottima Polina Osetinskaya mentre ieri al pianoforte abbiamo trovato un altro rilevante pianista franco-russo quale Roustem Saitkoulov in un programma decisamente classico che prevedeva nella prima parte Mozart e Schubert e nella seconda, "tutto Brahms". Anche ieri il posizionamento del violinista a fianco e vicino al pianoforte ha sottolineato, come lo scorso anno, il bisogno di estremo equilibrio delle componenti timbriche dei due strumenti. Il marcato classicismo del duo è emerso subito nel brano introduttivo con la splendida Sonata in si bem.maggiore K.454 del genio di Salisburgo. Misurate, discrete ed eleganti, le timbriche dello Stradivari Kreutzer del 1727 sono state completate con altrettanta raffinatezza dai suoni puliti e dettagliati del pianoforte Steinway di Saitkoulov. Esecuzione ricca di contrasti dinamici quella mozartiana come quella successiva di Franz Schubert nella sublime Fantasia in do maggiore D.934, lavoro di grande equilibrio formale caratterizzato da una serie di splendide variazioni nella parte conclusiva sostenute prevalentemente dal pianoforte e rimarcate con efficace resa dal violino. Un capolavoro di equilibrio e unità stilistica tipica del genio viennese. Nella seconda parte della serata il contrasto stilistico del "tutto Brahms" è iniziato con il celebre Scherzo in do minore della nota Sonata F.A.E. composta in età giovanile insieme a Robert Schumann e ad Albert Dietrich. Lo stile tipicamente brahmsiano di questo Scherzo è stato rimarcato con incisività dal robusto e voluminoso violino di Vengerov in un equilibrio formale incisivo ma con volumetrie non eccessive anche nella fondamentale parte pianistica. A seguire la Sonata n.2 in la maggiore op.100 ha completato il ciclo iniziato nel concerto dell'aprile 2018. Ottima l'esecuzione dell'eccellente duo. Tre Danze ungheresi, i numeri 1, 2 e 5, hanno concluso e sottolineato virtuosisticamente il programma ufficiale della serata tra applausi fragorosi e ripetuti per ogni danza. Due i bis concessi da Vangerov e Saitkoulov: prima l' Andante, movimento centrale della rara ma eccellente Sonata in re minore op.82 di Edward Elgar e quindi il celebre Blues, Moderato dalla Sonata in Sol di Maurice Ravel, capolavoro di sintesi discorsiva che risente l'influenza d'oltre oceano. Entrambi i brani sono stati interpretati con sorprendente eleganza e raffinatezza in uno stile unitario e complementare dai due interpreti. Applausi fragorosi. Da ricordare. 19 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Sono risultati vincitori del Premio del Conservatorio 2018 nella sezione cameristica Simone Moschitz e Antonio Losa rispettivamente sassofonista e pianista del Duo Ianus. Per Musica Maestri! abbiamo riascoltato in Sala Puccini Moschitz in un programma splendido ieri nel tardo pomeriggio, in compagnia dell'ottimo pianista Losa. Il Duo ha eseguito brani di Desenclos, Fitkin, Yoshimatsu, Albright e Piazzolla. Simone Moschitz ha dimostrato ancora una volta di essere particolarmente versatile e di eccellere in ogni frangente con colori morbidi ed espressivi in alternanza a momenti pungenti e pregnanti . I brani scritti benissimo e definiti nei particolari in partitura hanno sapori jazz di grande impatto timbrico. Le volumetrie espresse dai corposi sassofoni usati, unitamente alle timbriche precise e dettagliate del chiarissimo pianoforte di Losa sono state utili per una resa espressiva ottimale. Tra i brani ricordiamo almeno il più noto Fuzzy Bird di Yoshimatsu, Gate di Graham Fitkin, il Prelude, cadence et finale di Alfred Desenclos e la Sonata di William Albright. Successo di pubblico in una Sala Puccini stracolma. Bravissimi! 18 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente all' Auditorium Fratelli Olivieri di Novara Giovedì 21 febbraio 2019 alle ore 21 all'Auditorium Fratelli Olivieri "Il mondo della chitarra 14° edizione" con Aniello Desiderio alla chitarra . Il terzo appuntamento per il cartellone de “Il mondo della chitarra”, succulenta rassegna curata da Fabio Spruzzola, Bruno Giuffredi e Luigi Biscaldi è giunta ormai alla sua 14° edizione: un traguardo di tutto rispetto. Aniello Desiderio, solista di vasta esperienza e dal palmarès ricco di riconoscimenti, propone un programma che mette a confronto la Suite Española del seicentesco G. Sanz (1640-1710) con quella novecentesca scritta a più mani da I. Albeniz, M. Llobett, A. Ruiz Pipó e D. Aguado. Si prosegue poi con il ‘900 di De Falla (Homenaje pour le Tombeau de Debussy, pagina celeberrima e timbricamente fascinosa), quindi con l’Invocación y Danza di Rodrigo, l’indimenticabile e geniale autore del Concierto de Aranjuez; per finire il Rito del Los Orishas del sudamericano Leo Brouwer. dalla redazione 17 febbraio 2019 Le Nozze di Figaro al Coccia di Novara Il Teatro Coccia di Novara, nel pieno di una crisi senza precedenti, tra problemi finanziari e beghe insolubili in seno al C.d A., che lo stanno portando verso un commissariamento richiesto dal sindaco, risponde a questa tempestosa situazione confermando di disporre ancora di tutte le risorse per programmare una stagione operistica di più che dignitoso livello. E risponde con un allestimento delle mozartiane Nozze di Figaro, coprodotto della Fondazione Teatro Coccia e della Fondazione Ravenna Festival, e la partecipazione del Festival dei due mondi di Spoleto. Abbiamo assistito alla ‘prima’ andata in scena ieri sera, venerdì 15 febbraio, cui seguirà una seconda rappresentazione, domani, domenica 17 alle h.16. La regia di queste Nozze era quella di Giorgio Ferrara, ripresa per l’occasione da Patrizia Frini. Si tratta di una regia che aderisce senza strane invenzioni al testo e alla musica di questo capolavoro, suggerendone un’interpretazione sospesa fra teatralità e sogno, ben realizzata dalla scenografia di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo: il palcoscenico, dietro il sipario ‘vero’ esibiva un vistoso e sontuoso sipario ‘finto’ a sottolineare che quello cui gli spettatori/ascoltatori stavano assistendo era recita, teatro, rappresentazione di uno spettacolo che è anche sogno, forse il sogno più bello che l’uomo posa concepire, fatto di luci, ombre, passioni destino, il tutto detto in musica. Questo carattere onirico affiorava dalla scenografia: elegante e sobria a un tempo ,che riproduceva, nei primi tre atti, interni settecenteschi come avvolti in un’aura di sogno, rafforzata nel quarto atto, un ‘notturno’ in cui i personaggi si muovevano come avvolti da un’atmosfera magica e fantastica: insomma l’arte, come la vita che vuole portare sulla scena, è sogno. A eseguire la musica di queste Nozze era chiamata la migliore orchestra giovanile italiana del momento, la Cherubini di Ravenna, mentre sul podio saliva, per la prima volta a Novara, la giovane direttrice tedesca di nascita Erina Yashima, ancora poco nota in Italia, ma con una carriera in fulgida ascesa nel suo Paese natale. Ha diretto bene, guidando con sapienza i cantanti e ricavando dall’orchestra un suono ‘leggero’, limpido, con grande attenzione ai registri timbrici e alle dinamiche, staccando tempi spesso abbastanza lenti, traducendo bene in musica quel clima di sospensione sognante che avvolgeva queste Nozze. Il cast dei cantanti è stato in generale all’altezza di uno spettacolo di buon livello. Simone Del Savio, il giovane baritono interprete del ruolo di Figaro, dispone di buona vocalità, capace di ricordare Nucci, nell’intensità e tornitura del fraseggio. Brillante nell’area medio-bassa, sostiene bene messe di voce e fiati lunghi anche nelle zone acute. Può (e deve) migliorare il cantabile delle arie, che non spiccano per intensità ‘lirica’. Applauditissimo dal pubblico da tutto esaurito di ieri sera, il soprano milanese Lucrezia Drei, un’eccellente Susanna. Già ascoltata recentemente a Novara, è un ottimo soprano lirico-leggero di agilità, di eccellenti colorature, davvero pregevoli nel vibrato, con un bel fraseggio limpido e battagliero che la fa emergere piacevolmente nei numeri d’insieme. A queste virtù musicali, la Drei aggiunge capacità attoriali non comuni, di gaia e trascinante spavalderia, che te la rende simpatica dal suo primo apparire sulla scena, di cui è stata la vera instancabile animatrice. Buone capacità attoriali ha esibito anche il giovane baritono Vittorio Prato,un Almaviva dal timbro chiaro e con un’emissione di voce di buona proiezione e sempre ben controllata, resa fluida dai limitati appoggi di petto, il che gli consente un fraseggio sempre ben tornito ed efficace. Non si può dire che bene anche di Francesca Sassu, perfettamente a suo agio nel ruolo della Contessa, soprano di ottima vocalità, eccellente dizione, ricca nei timbri e di rara sicurezza nei begli acuti, emessi con una tecnica del filato sempre controllatissima : il suo “ Porgi amor” è stato tra i migliori da noi ascoltati di recente. Meno riuscita la prestazione di Aurora Faggioli, un Cherubino con qualche difficoltà di troppo nelle agilità e talora stridulo negli acuti, dando l’impressione di essere un mezzosoprano poco adatto alla grazia della musica mozartiana. Valide, in generale, le numerose parti di fianco, dalla Marcellina di Isabel De Paoli, mezzosoprano tecnicamente sicuro e di vocalità fresca e limpida, al Bartolo di Ion Stancu, al Basilio Di Jorge J. Morata, al Don Curzio di Riccardo Benlodi, per finire con la Barbarina di Leonora Tess, già buona Frasquita nella Carmen della passata stagione del Coccia, dalla voce sopranile bella squillante e di forte proiezione. In generale, dunque, appaganti le Nozze “celebrate” ieri sera al Coccia, un auspicio per una rapida ed intelligente soluzione dei problemi che affliggono questo teatro, che merita di continuare a vivere e a dare alla vita musicale piemontese, e non solo, il suo apprezzabile contributo. 16 febbraio 2019 Bruno Busca Aleksandar Madzar per la Società dei Concerti Il pianista serbo Aleksandar Madzar viene da molti anni in Conservatorio. Mi viene subito in mente un eccellente " tutto Bach" di oltre due ore ascoltato qualche anno fa nel quale Madzar rivelava tutta la sua classicità espressiva. Ora con Mozart, Chopin e Ravel ha mostrato un'altra angolazione del suo modo d'intendere la musica. Quello che risalta immediatamente all'ascolto è la chiarezza timbrica evidenziata in ogni compositore eseguito. Il Mozart che ha introdotto il concerto con l'Adagio in si minore k.540, ci è apparso particolarmente meditato e riflessivo e dilatato nella ripetizione del tema, giocato su modalità interpretative probabilmente lontane dal periodo storico di riferimento ma comunque interessanti. Siamo quindi arrivati all'esecuzione delle celebri Quattro Ballate di Chopin. Come detto in passato, Madzar in Chopin mette in rilievo una personale modalità interpretativa giocata sulla bellezza del timbro calibrato e preciso atto a sottolineare l'aspetto analitico, elegante e raffinato della musica del polacco, certamente differente dalle interpretazioni entrate nella storia dove caratteristiche di maggior sintesi discorsiva spesso sono elemento essenziale. La seconda parte del concerto ci è piaciuta maggiormente. Ravel con le deliziose Miroirs e poi con La Valse, è stato perfetto sotto ogni profilo. L'estremo equilibrio dinamico di Madzar e i bellissimi colori esternati hanno elevato questi impareggiabili brani ad un livello decisamente alto. L'equilibrio delle parti ha avuto un ruolo determinante nella straordinaria resa interpretativa. Lunghi applausi e stupendo il bis concesso con una formidabile trascrizione di Mikail Pletnev dell'Andante maestoso dallo Schiaccianoci di Čaikovskij interpretato mirabilmente. Fragorosi applausi al pianista apparso molto soddisfatto. Da ricordare14 febbraio 2019 Cesare GuzzardellaIl duo Kavakos-Pace per la Società del Quartetto Da alcuni anni il violinista greco Leonidas Kavakos ed il pianista riminese Enrico Pace formano un duo di affermato successo. Ieri sera in Conservarorio, un impaginato particolarmente interessante ha messo insieme un brano celebre come la Sonata n.3 in Re minore op.108 di J. Brahms ad altri tre di raro ascolto come la Petite suite n.1 e n.2 del greco Nikos Skalkottas (1904-1949) e la Sonata n.3 in la minore op.25 del rumeno George Enescu (1881-1955). Tutti lavori legati ad elementi folcloristici di evidente influenza stilistica. Dei due interpreti abbiamo sempre apprezzato l'esemplare equilibrio di coppia nel gestire questo genere cameristico. Ieri, ancora di più, il preciso tocco del celebre violinista, mai esagerato nei volumi sonori sempre tenuti sotto controllo in un medio livello di forza, era perfettamente in sintonia con lo stile composto, chiaro e dettagliato di Pace, interprete altrettanto vario nelle dinamiche. I brani scelti, sia Brahms che soprattutto quelli meno conosciuti, erano perfetti per evidenziare l'equilibrio di due strumenti utilizzati con pari importanza. Non avevamo certo un violino accompagnato, ma un apporto equilibrato con differenti timbriche in un tutt'uno musicale. La celebre ultima sonata brahmsiana ci è apparsa perfetta nei dettagli e nell' equilibrio dei quattro movimenti che la compone. Anche il celebre Presto agitato finale molto dettagliato ed espressivo. Le due Petite suite del greco Skalkottas - nato a Calcide nell'isola di Eubea- ,eseguite in ordine inverso, sono in realt à brevi avvincenti Sonate che con modalità atonali e dodecafoniche riflettono l'influenza del principale suo maestro di composizione: Arnold Schönberg. Traspare nell'equilibrio delle parti una perfezione formale raffinata ed espressivamente di alto valore. Certamente l'influenza della Seconda Scuola di Vienna è mediata da elementi folclorici di luoghi mediterranei e questi rendono più immediata la comprensione dei due capolavori. Splendido l'ultimo brano del programma ufficiale: un brano di Enescu, compositore, virtuoso di violino ma anche del pianoforte trattato qui con raffinata maestria. La sonata è costruita con momenti timbrici, discreti e nascosti, di memorabile rilievo espressivo. I due splendidi virtuosi hanno raggiunto in questa esecuzione un alto traguardo interpretativo ed il pubblico, con molti giovani in sala, ha risposto tributando al termine interminabili applausi. Due i bis concessi: prima, rimanendo in tema, un bellissimo Bartok dalla Rapsodia n.1 e poi - fuori dal contesto ma splendido- un grande Beethoven con l'Adagio molto espressivo dalla Sonata n.5 op.24. Splendido concerto! Da ricordare a lungo.13 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Lo Spazio Teatro 89 è luogo di conoscenza di nuovi validi interpreti. Ieri abbiamo avuto l'occasione di ascoltare il pianista ucraino Roman Lopatynskyi, classe 1993, con alle spalle la vittoria di numerosi concorsi internazionali, un ottimo piazzamento al celebre Concorso F. Busoni nel 2015 (Terzo classificato) e il recente Primo premio al Concorso Internazionale Luciano Luciani di Cosenza. Ha veramente impressionato la tecnica completa espressa nell'interessante impaginato proposto nel tardo pomeriggio di ieri in un programma denominato Da Weimar a Parigi, via Mosca e San Pietroburgo. Brani della prima metà del Novecento con Stravinskij e i celebri Tre Movimenti da Petruska (1912), Prokof'ev con i cinque brani di Sarcasmi op.17 (1912-1914), Paul Hindemith con la rara Suite 1922 (1922) e la poco nota ma importante compositrice sovietica Galina Ustvolskaya (1919-2006) e la sua Sonata n.2 (1949). Questo rilevante arco temporale è stato anche inquadrato storicamente nel prezioso intervento del sociologo-storico Giorgio Uberti che in due brevi ma intensi momenti ha stimolato il pubblico presente nel piccolo ed elegante auditorium di via F.lli Zoia 89 con un escursus storico-geografico di avvincente interesse. Lopatynskyi ha mostrato una straordinaria penetrazione musicale nel bellissimo e purtroppo quasi mai eseguito Hindemith proposto come primo brano. Le articolate dinamiche del complesso ritmico della Suite 1922, in pratica una sonata in cinque parti, sono emerse in modo preciso ed estremamente chiaro dalle mani sicure del giovane pianista. Anche nel lavoro successivo, Sarcasmi di Prokof'ev il clima particolarmente dinamico ed irrequieto ha trovato un ottimo interprete che ha scavato con intensa espressività il grande russo. La sintonia con quel circoscritto periodo musicale è continuato con la lettura della Sonata della Ustvolskaya, compositrice allieva di Šostakovic e degna erede di simili cifre compositive. Con un salto indietro nel tempo, il 1912 e con un grande e vario Stravinskij tra neoclassicismo e nuovo secolo, Lopatynskyi ha concluso degnamente il programma ufficiale nella sua precisa sintesi discorsiva degli infiniti momenti della suite. Dopo intensi applausi del pubblico, purtroppo non numeroso ma entusiasta, un brano distensivo come il noto Preludio in Si minore di Bach-Siloti ha concluso l'eccellente tardo pomeriggio musicale. Da ricordare a lungo.1 1 febbraio 2019 Cesare GuzzardellaGuido e Giulia Rimonda in concerto a Vercelli Un vecchio adagio sostiene che “il genio salta una generazione”: da padri “grandi” nascono “piccoli” figli. Per fortuna anche questa regola ammette le sue eccezioni e una di queste è la famiglia Rimonda: Giulia, la figlia di Guido, eccellente violinista nonché fondatore e direttore dell’Orchestra Camerata Ducale e della pianista e straordinaria animatrice dell’Orchestra medesima Cristina Canziani, a soli sedici anni non è più solo‘figlia d’arte’, ma è artista del violino e un’ artista che, se manterrà le promesse, diverrà una delle migliori violiniste italiane della sua generazione. Con un curriculum di studi di prim’ordine (è allieva di suo padre e di Pavel Berman), Giulia Rimonda è stata l’ammirata protagonista, ieri sera, 9/02, al Teatro Civico di Vercelli, della terza serata della stagione della Camerata Ducale: non è stato certo questo il suo primo recital (ha cominciato a suonare in pubblico a cinque anni!), ma quello di ieri sera, e per la difficoltà del pezzo eseguito e per l’”ufficialità” della serata, ha segnato una sorta di consacrazione definitiva di fronte al grande pubblico. Il programma affidava a Giulia Rimonda uno dei più celebri concerti per violino e orchestra della storia della musica: quello di Ciajkovskij. Celeberrimo, ma anche irto di difficoltà tecniche, per la presenza di numerosi passaggi di alto e temibile virtuosismo, che, com’è noto, lo fecero giudicare ‘ineseguibile’ a più di in solista dell’epoca. Il fatto che una sedicenne decida di affrontare il pubblico con un’opera simile è già prova di una virtù indispensabile per la carriera che Giulia Rimonda sta intraprendendo: il coraggio. Il titolo della serata, ispirato a quello di uno dei capolavori della narrativa russa, era “Padre e figlia”: il padre-maestro sul podio, la figlia nel ruolo di solista e si comincia subito benissimo, coi tempi e le dinamiche giuste: delicato e molto espressivo l’attacco orchestrale, fremente il crescendo e infine s’impone il violino. Fin da queste prime note si riconoscono le qualità della giovanissima interprete, che non si limita a eseguire la partitura, ma cerca una ‘voce’, un ‘suono’ personale, che emerge chiaro all’apparire del primo tema: un fraseggio incisivo, tornito con una cavata non esteriormente brillante, ma robusta e limpidamente disegnata, e al tempo stesso, come del resto vuole la migliore tradizione interpretativa, unita, in queste prime battute, a un che di riservato e quasi timoroso di dispiegarsi nel pieno canto trionfale del Re maggiore. Già da un esordio simile comprendiamo di trovarci di fronte a una violinista che sa il fatto suo. Senza scendere in una minuziosa analisi dei dettagli diremo di altre due qualità dello stile interpretativo di Giulia Rimonda che ci hanno sorpreso per la loro precoce maturità in un’adolescente. Anzitutto la sapiente gestione delle dinamiche, particolarmente importante in un’opera come il concerto per violino di Ciajkovskij, che è tutto un saliscendi di fortissimi e di brusche smorzature virate sul piano e il pianissimo, con effetti chiaroscurali di potente suggestione: banco di prova ne è soprattutto la sezione di sviluppo del primo tempo, dove il Verné 1983 della Rimonda ha disegnato in modo diremmo perfetto quelle sottili trame di luce e di ombra che ne sono il motivo essenziale. La seconda osservazione riguarda il possesso, anche in questo caso davvero sorprendente, di una già notevole intensità espressiva: ascoltando il canto dolente del violino, che si leva al suo ingresso nella Canzonetta centrale, si stentava a credere che a eseguirlo fosse una giovane allieva di conservatorio, per quella venatura di pathos sottilmente malinconico che l’archetto dell’interprete riusciva ad infondervi con delicata sensibilità. Insomma, un’interpretazione più che convincente e degna di sincera ammirazione, sorretta da un possesso già completo della tecnica violinistica, che ha consentito a Giulia di superare le più impervie pagine della partitura, con una disinvoltura che traspariva dalla serenità concentrata e imperturbabile del suo volto angelico; doppie corde, armonici, colpi d’arco martellati e picchettati in ritmi travolgenti, strappate violente e rapinosi salti d’ottava, nulla turbava la giovanissima interprete. Impeccabile l’accompagnamento orchestrale con perfetti sincronismi tra strumento solista e le varie sezioni dell’orchestra (ove però ci è parso talora un po’ debole il flauto). Alla fine del concerto, uno tsunami di applausi del gran pubblico presente in sala ha tributato il giusto omaggio a Giulia Rimonda, che ha risposto con un bis, la Sarabanda dalla Partita n. 2 per violino solo di J. S. Bach. In vera serata di grazia, la Camerata Ducale ha eseguito nella seconda parte del concerto, un'altra composizione di Ciajkovskij, La Suite dello Schiaccianoci: Si è trattato di una bellissima esecuzione, guidata da Rimonda (Guido) con leggerezza e grazia mozartiane, capaci di ricreare quell’atmosfera incantevole di favola che è la cifra della meravigliosa musica per balletto del sommo compositore russo. Raramente abbiamo ascoltato numeri come la Danse de la Fée Dragée o la Danse Arabe, suonate con così dolce leggerezza e lo stesso fin troppo celebre Valzer dei fiori è risuonato come trasfigurato da un’aerea levità, in cui l’aspetto puramente “ballabile” che rischia di renderlo volgarotto se prende il sopravvento, si dissolveva nei lievi arabeschi disegnati da una timbrica stupenda, con tutta la sezione fiati in gran spolvero. I due bis concessi dall’orchestra, il Pas de deux, sempre dallo Schiaccianoci e la ripetizione del Trepak-danza russa hanno coronato degnamente una serata di musica destinata ad abitare a lungo la casa dei nostri ricordi. 10 febbraio 2019 Bruno Busca
Il nuovo Concerto per violino di Fabio Vacchi in Auditorium con Nordio e Boccadoro Il concerto ascoltato ieri sera in Auditorium prevedeva oltre a due noti lavori di Mendelssohn quali l'Ouverture da Le Ebridi Op.26 e la Sinfonia n.3 Op.56 "Scozzese", il recente Concerto per violino del compositore bolognese Fabio Vacchi. Il brano, da alcuni mesi revisionato e ribattezzato col titolo Natura naturans, era in prima esecuzione italiana ma già eseguito negli ultimi mesi del 2018 a Budapest ed a New York. Tre classici tempi hanno definito un lavoro dove la componente solistica, sostenuta in modo esemplare da Domenico Nordio, era particolarmente presente e molto pregnante nel marcato segno musicale. Il riferimento al Concerto per violino di Berg, segnalato dallo stesso Vacchi nelle note di sala, risulta evidente in tutta l'atmosfera tardo-romantica ed espressionista di cui il complesso brano è impregnato. A mio avviso l'ottimo concerto di Vacchi trasuda di un linguaggio personale che riflette tutta l'evoluzione del genere concertistico del secolo scorso, con una componente melodica ampliamente rimarcata ed evidenziata dalle scultoree note di Nordio e dalle armonie perfettamente sincronizzate degli ottimi orchestrali della Sinfonica Verdi. Ottima la direzione di Carlo Boccadoro che ha trovato pane per i suoi denti nel contrastato brano dove la componente più intensamente melodica dell' Allegro moderato iniziale e soprattutto dell' Andantino centrale, ha nel terzo ed ultimo movimento, Presto brillante, motivi di contrasto ritmico e dinamico. Il virtuosismo iniziale, sia orchestrale che solistico, nella perfetta integrazione delle componenti musicali, ha avuto timbriche chiare ed espressive nel voluminoso violino di Nordio. Nelle note finali il ritorno all'origine, con una dilatazione musicale di maggior respiro melodico, ha portato il lavoro in linea con le prime battute. I riferimenti a certa musica americana, con ritmiche particolarmente coinvolgenti, sono risultati evidenti nel movimento finale, in contrapposizione al mondo più europeo- soprattutto germanico- dei primi due. Grande successo al termine della riuscita interpretazione con Fabio Vacchi e tutti i protagonisti saliti più volte sul palcoscenico dell'Auditorium. Domenica alle ore 16.00 si replica. Da non perdere! 9 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Prossimo appuntamento a Vercelli A Vercelli prossimamente il secondo appuntamento della rassegna GREEN TIES 2019 avrà luogo domenica 10 febbraio 2019 alle ore 11 presso la Sala Parlamentino, Palazzo dell'Ovest Sesia a Vercelli. Cristian Lombardi al flauto e Claudio Longobardi alla chitarra. In programma musiche di Carulli, Piazzolla ecc. 8 febbraio 2019 dalla redazione Marianne Crebassa e Fazil Say alla Scala Dopo aver ascoltato il pianista turco Fazil Say in Conservatorio qualche sera prima, l'averlo potuto riascoltare presso il Teatro alla Scala nel doppio ruolo di accompagnatore del mezzosoprano Marianne Crebassa e in brani solistici suoi e di autori francesi ha reso ancor più importante la conoscenza di questo compositore-interprete. Domenica scorsa, (scusate il ritardo ma l'influenza mi ha schiantato a letto) un programma soprattutto francese ha unito le ottime timbriche della celebre cantante di Montpellier alla sensibilità del pianista che ha interpretato anche due suoi lavori, il primo, in solitaria, la Sonata per pianoforte op.52 denominata Gezi Park 2, e il secondo con la rilevante e sostenuta voce di Marienne, Gezi Park 3. Nella prima parte della serata le Trois Mélodies di Claude Debussy avevano introdotto il recital mettendo in luce l'ottima timbrica della Crebassa in sinergia con il pianismo di Say molto adeguato al mondo francese di fine Ottocento e di primo Novecento come già recentemente detto. Bene la scelta di alternare brani vocali con brani solo pianistici e valido lo stacco col morbido e profondo Erik Satie del quale Say ha eseguito le celebri Trois Gnossiennes per poi incontrare sempre autonomamente ancora Debussy con due Preludi dal primo libro. Il rientro in scena della Crebassa ci portava sul versante di Ravel con la versione per voce e pianoforte di Shéhérezade e di Vocalise-étude. Esecuzioni di pregnante rilievo espressivo. Ancora vocali i brani che si sono susseguiti prima con Fauré tra cui Cygne sur l'eau e poi con il più raro Henri Duparc. La Sonata di Say, tre parti senza interruzioni, ci ha mostrato ancora una volta l'originale ed eclettico linguaggio di Say, che come detto recentemente, accosta momenti di melodicità tutti europei ad altri di intensa e spesso tagliente espressività utilizzando la tastiera in modo molto completo con effetti amplificanti che rimandano a timbriche dai sapori orchestrali. C'è una visione più ampia nella musica di Say che spesso esce dalla sola dimensione pianistica. Più intimo e decisamente più "orientale" il suo brano Gezi Park 3 eseguito in modo deciso ed espressivo dalla Crebassa. Questo lavoro uscendo dalle modalità più gentili tipiche francesi ha trovato nella strada mediterranea una ragione di rilevante espressività estetica. Bravissimi i due e fragorosi applausi con un bis di splendida classicità: dalle Nozze di Figaro di Mozart un sublime Voi che sapete. Da ricordare! 2 febbraio 2019 Cesare Guzzardella Prossimamente Padre e figlia al Teatro Civico di Vercelli Sabato 9 febbraio 2019 alle ore 21 presso il Teatro Civico di Vercelli ci sarà il concerto denominato PADRE E FIGLIA. Protagonisti: Giulia Rimonda, violino solista, l'Orchestra Camerata Ducale e il direttore Guido Rimonda. In programma di Pëtr Il’i č Čajkovskij Concerto per violino e orchestra op. 35 e Suite dallo Schiaccianoci op. 71a2 febbraio 2019 dalla redazione
GENNAIO 2019 Al Teatro Coccia di Novara l' Orchestra del Conservatorio Cantelli Ieri sera 30/01, sul palcoscenico del Teatro Coccia di Novara, si sono esibiti in concerto gli allievi del locale Conservatorio, intitolato a uno dei più grandi direttori d’orchestra italiani del ‘900, il novarese Guido Cantelli, prematuramente scomparso in un incidente aereo nell’ormai lontano 1956. I giovani concertisti erano guidati, di fronte al pubblico delle grandi occasioni, dal loro docente preparatore, il direttore orchestrale Nicola Paszkowski, che ha proposto un programma impaginato su composizioni di piacevole ascolto, ma tutt’altro che banali: l’Ouverture del mozartiano Idomeneo re di Creta, KV 366, il Concerto per violoncello e orchestra in Do maggiore n.1 Hob VIIb:1 di F. J. Haydn, Le creature di Prometeo op.43 di Beethoven e a chiudere trionfalmente uno dei più celebri poemi sinfonici lisztiani, Les Préludes. Graditissima “ospite” la ventenne violoncellista romana Erica Piccotti, solista nel concerto haydniano. Prima di commentare la serata, ci si consenta un plauso sincero al Cantelli e ai suoi dirigenti e docenti, per la lodevole iniziativa di educare i loro giovani allievi, fin dagli studi di Conservatorio, alla musica d’insieme, in particolare a quella orchestrale, consentendo loro un’esperienza di fondamentale importanza per la loro formazione professionale e dunque per il loro futuro. Dal concerto di ieri sera siamo usciti con due convinzioni. La prima è che questi giovani allievi del Cantelli sono ben preparati, sia sotto il profilo della tecnica individuale nel singolo specifico strumento, sia nell’affiatamento in una formazione orchestrale. Partita un po’ in sordina, con un Idomeneo dal suono piuttosto piatto, cui sfuggivano le complesse sfumature e la densità costruttiva di questa non semplice partitura, sospesa sin dall’inizio fra trionfale fanfara in Re maggiore e dolente profilo motivico gravitante sul Sol minore, la giovane orchestra, trascinata dalla bravissima Piccotti, si è ripresa nel concerto di Haydn, in cui i giovani del Cantelli hanno dato ottima prova di sé: in particolare i i fiati nel primo movimento, capaci di quelle sfumature espressive che la partitura richiede e gli archi nel terzo tempo, ove soprattutto i primi violini hanno sfoggiato suono brillante e ottime dinamiche, nel ritmo travolgente della scrittura. I giovani maestri, sotto l’attenta guida di un Paszkowsky dal gesto autorevole e preciso nello stacco dei tempi e molto attento all’evidenza timbrica dei piani sonori, hanno dato il meglio anche nella composizione beethoveniana e nel poema lisztiano, efficacemente interpretato sia nelle sezioni più solenni, sia in quelle di più disteso lirismo. Qui si sono ben destreggiati gli ottoni, in particolare i corni, dal bel suono romantico, evocativo di misteriose, remote lontananze. Certo, si tratta pur sempre di studenti, che debbono ancora maturare pienamente sul piano tecnico e interpretativo: qualche entrata non sempre puntuale, un suono non sempre pulito (specie tra gli ottoni gravi) si sono sentiti, ma nel complesso i giovani del Cantelli hanno offerto al pubblico una prova che definire dignitosa è forse troppo poco. La seconda convinzione, che è per noi anche una bella scoperta, è che Erica Piccotti è già più di una semplice promessa. Sotto le sue dita, le quattro corde del violoncello Francesco Ruggeri 1692 hanno fornito un’eccellente interpretazione del gioiello di Haydn: In possesso di una tecnica già agguerrita, con cui domina disinvoltamente passaggi difficili, come nei rapidissimi spiccati del finale o nei vari salti di ottava, brusche variazioni dinamiche e agogiche disseminate nella partitura, la Piccotti si distingue per un suono morbido e caldo, capace di un intenso e coinvolgente lirismo nello stupendo adagio centrale. Veramente brava, anche nel bis: un pezzo molto bello per violoncello solo del grande violoncellista e compositore spagnolo del ‘900 Gaspar Cassadò. Dopo il bis richiesto con insistenza da un pubblico tripudiante (il finale de Les Préludes), la giovane orchestra del Cantelli si è congedata, con un arrivederci alla prossima esibizione il 20 maggio prossimo. 31 gennaio 2019 Bruno Busca Lutto per la Società del Quartetto La storica Società del Quartetto di Milano è in lutto. L’avvocato Antonio Magnocavallo si è spento Sabato 26 gennaio 2019, dopo una lunga malattia combattuta con coraggio e tenacia. Avrebbe compiuto 82 anni l’11 aprile. Presidente della Società del Quartetto di Milano dal 2006, nei decenni precedenti ne aveva retto le sorti come vice presidente esecutivo. Ne era Socio fin dall’infanzia. Aveva fatto parte del Consiglio direttivo del Quartetto a partire dagli anni Ottanta, significativi per la trasformazione del Quartetto: Magnocavallo( foto di Vico Chamal) si era battuto con tenacia e generosità per riconquistare l’apertura della Società al pubblico, non più ai soli Associati, in continuità con i suoi originari scopi statutari della fondazione nel 1864. “Il Quartetto” amava sostenere “è un privilegio per tutti!” E’ del 2003 la fusione dei Concerti del Quartetto con la Società del Quartetto che da allora è aperta alla città. Il progetto di Antonio Magnocavallo si era attuato. 26 gennaio 2019 dalla redazione Winterreise coreografato da Angelin Preljocaj alla Scala È stata un'eccellente idea quella di Angelin Preljocaj di mettere in scena i lieder di Franz Schubert della celebre raccolta Winterreise in questa nuova produzione scaligera. Il "doppio spettacolo"', quello donato dal basso-baritono Thomas Tatzl e del pianista James Vaughan e quello del Corpo di ballo del Teatro alla Scala, ha rivelato un valore aggiunto dall'unione musicale con le movenze intimiste e discrete create ad hoc dal coreografo francese. L'atmosfera cupa, non appariscente e con colori uniformi molto vicini alla visione schubertiana dei 24 lieder ha rivelato l'aspetto più nascosto e sofferente della vita. Non per nulla l'ultimo canto del ciclo, Der Leiermann - L'uomo dell'organetto- con il lento schierarsi di tutti i bravissimi 12 ballerini ( prime due foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala), riassume in modo perfetto il clima di profonda autenticità, con tutti i dubbi e le domande senza risposta che questo viaggio d'inverno vuole evidenziare. Valida l' idea di fare entrare in scena l'eccellente Thomas Tatzl passando per il palcoscenico con il primo celebre canto Gute Nacht sino a raggiungere la sua postazione laterale e di farlo tornare nel centro del palcoscenico insieme ai danzatori a circa metà ciclo per poi riprendere la sua posizione fissa. Quest'idea di unione tra due forme d'arte, il canto e la danza ha centrato l'obiettivo con uno spettacolo raffinato che ha però bisogno di un pubblico, come quello che ha assistito ieri sera in Scala, disposto ad intraprendere un percorso introspettivo. Un lavoro di straordinaria autenticità quello di Preljocaj, nato dall'ascolto delle impareggiabili note di Schubert e dai mirabili testi di Wilhelm Müller. Un plauso a tutti i ballerini: Albano, Vassallo, Ballone, Di Clemente, Fiandra, Lunardi, Montefiore, Agostino, Fagetti, Gavazzi, Messina, Lepera, Risso. Assolutamente da vedere. 26 gennaio 2019 Cesare Guzzardella Monica Bacelli e il Trio Metamorfosi prossimamente a Vercelli Lunedì 28 gennaio 2019 alle ore 21 presso il TEATRO CIVICO di Vercelli si terrà un concerto protagonisti il Trio Metamorphosi e il mezzosoprano Monica Bacelli. Verranno eseguiti brani di Haydn e di Beethoven- dalla redazione 25 gennaio 2019
Fazil Say per la Società dei Concerti E' da molti anni che il pianista turco Fazil Say torna a Milano in Conservatorio impaginando programmi variegati nei quali la sua musica occupa uno spazio preponderante. Say, anche compositore di successo, è molto apprezzato nel suo paese d'origine per le sue sonorità al confine tra oriente ed occidente. Ieri, tra Debussy e Beethoven ha inserito nell'impaginato due suoi lavori, uno di questi, Black Earth, è oramai diventato un classico anche nelle sue serate in Sala Verdi. Ha fatto bene Fazil ha introdurre il concerto con sei Preludi di Claude Debussy, musicista a lui congeniale per sensibilità e per caratteristiche timbriche. L'esecuzione dei Preludi è stata di grande rilievo musicale. Say mostra di riflettere su quello che sta eseguendo e questo si riscontra anche osservando la sua gestualità particolarmente accentuata, significativa e mai gratuita. Le timbriche ottenute, da quelle più delicate, molto presenti nel compositore francese, a quelle più incisive, sono rilevate da un sapiente uso delle pause spesso evidenziate dal suo gesto a conclusione delle frasi. Dopo i Preludi, tutti eccellenti nei rapporti dinamici, l'inizio del suo primo brano ,Yürüen Kösk, ha portato i numerosi ascoltatori di Sala Verdi in un'atmosfera sonora simile, almeno nella parte iniziale del brano. Il recente lavoro di Fazil è un unico movimento articolato in più sequenze contrastanti. Dalle situazioni più melodiche ricche di riferimenti alla cultura classica occidentale di primo Novecento - tutti i francesi e anche gli chansonier- alla tradizione folcloristica dei Bartòk o a certo jazz per il ritmo e gli accenti che ad un certo punto risultano contrastare le linee musicali più intime. Ottimo lavoro! Il breve ma significativo Black Earth lo conosciamo bene, e sottolineamo l'intelligente uso delle note più gravi con effetto percussivo ottenuto toccando la tavola armonica per un risultato timbrico complessivo di grande suggestione che sottolinea la bella linea melodica caratterizzante l'originale lavoro. Dopo l'intervallo, Say ha affrontato con grande personalizzazione una delle pagine più "evolute" di L.v.Beethoven, l'Op.106. La Sonata in Si bem. Maggiore ha una serie innumerevole d'interpretazioni entrate nella storia e naturalmente nell'ascoltare la versione del pianista quarantottenne di Ankara non dobbiamo fare confronti impossibili, ma vedere la sua visione di Beethoven mediata dalla sua sensibilità di compositore. Quello che mi è maggiormente piaciuto nella sua originale reinvenzione è la coerenza legata al suo modo d'intendere la musica, un divenire sonoro trasformabile che è tipico dei pianisti-compositori, quelli più creativi e meno legati alla storia interpretativa. Due i bis concessi: un eccellente Chopin con il celebre Notturno in Do# minore postumo, splendido anche perch é differente dal consueto, ed il finale Rondò.Allegro della Sonata Patetica di Beethoven eseguito con energia e passione tutta "alla Say". Grande musicalità per un grande artista!24 gennaio 2019 Cesare Guzzardella Le percussioni di Simone Rubino per la Società del Quartetto Un concerto inconsueto ma molto interessate quello di ieri sera in Conservatorio organizzato dalla Società del Quartetto. Sul palcoscenico di Sala Verdi il percussionista torinese Simone Rubino ha riempito il grande auditorio con ritmi frenetici ma anche con soffici armonie da quattro diverse postazioni di strumenti a percussione: rullante, set percussivi, vibrafono, marimba e un po' di elettronica si sono alternati per l'esecuzione di brani di sei diversi compositori tra i quali spiccano i più conosciuti Astor Piazzolla con i celebri Libertango, Oblivion e Verano Porteno eseguiti in lodevoli trascrizioni per marimba, e il greco-francese Iannis Xenakis, celebre compositore di musica elettronica e concreta della seconda metà del '900, con esperienze rilevanti nel mondo ritmico percussivo. Suo il brano Rebond B per set di percussioni magistralmente percosse dal giovane interprete. Del compositore torinese Roberto Bocca, abbiamo ascoltato due ottimi brani: Esegesi per vibrafono, sei minuti col quale si avvicina al mondo del jazz, genere che spesso utilizza il vibrafono sia per i potenziali melodici che per quelli ritmici. Rubino ne ha esaltato ogni potenzialità dinamica e ritmica. Nel secondo brano Sintesi per percussioni ed elettronica, il virtuosismo percussivo ha alternato il vibrafono e la marimba in un lavoro che ricorda certe sperimentazioni del rock progressivo anni '70 alla Mike Oldfield. Il concerto era iniziato con un brano particolarmente ridondante ed efficace del giapponese Maki Ishii con Thirteen drums per set percussivo e nel corso del concerto due interessanti lavori per solo rullante, il primo di Alexej Gerassimez, Asventuras, e di Wolfgang Reifeneder, Cross Over, hanno esaltato le qualità percussive di questo splendido percussionista che ha meritato al termine tutti i fragorosi applausi ottenuti da parte di un pubblico non numerosissimo ma certamente intenditore. Particolarmente efficace il bis gestuale concesso nell'ambiente oscurato dove il corpo fermo di Rubino e le sue mani muovevano lentamente e velocemente una bacchetta colorata, rossa fluorescente con movimenti sincroni alla musica concreta preregistrata nobilitata da voci particolarmente suggestive. Eccellente questa perfomance che ha unito in modo intelligente il gesto con il suono-rumore. Applausi sentiti e uscite ripetute di Rubino con volto particolarmente soddisfatto. 23 gennaio 2019 Cesare Guzzardella Chailly e la Sesta Sinfonia di Mahler alla Scala L'ultima replica scaligera della Sesta Sinfonia di Gustav Mahler ascoltata ieri sera ha avuto ancora un meritato successo di pubblico. La Filarmonica della Scala e il suo direttore stabile Riccardo Chailly hanno trovato il giusto equilibrio espressivo in un lavoro, quello del compositore boemo-austriaco, che fortunatamente abbonda ancora di grandi direzioni ed esecuzioni in tutto il mondo. La durata dell'interpretazione , 88 minuti con le brevi pause - circa trenta secondi tra i quattro movimenti - è nella media delle durate più lunghe di questa monumentale Sinfonia in la minore, composta per un organico molto ampio, tipico delle grandi orchestrazioni di fine Ottocento e primo Novecento. Ci è piaciuto molto il taglio interpretativo del direttore milanese, specie nel celebre Allegro moderato finale ricco di contrasti e con momenti qualitativi stravolgenti. Le sezioni orchestrali - splendida quella delle percussioni in generale- hanno trovato una valida intesa anche se le timbriche emerse a volte un po' secche- ma questo dipende anche dal palcoscenico forse relativamente stretto per l'ampia compagine orchestrale- hanno isolato parzialmente i colori orchestrali delle sezioni meno voluminose (archi) con contrasti non sempre eccellenti. Qualche spigolatura del timbro - primo corno- si è notata. Certamente di valore l'interpretazione complessiva. Ricordiamo i prossimi concerti di questa serie sinfonica con una Nona di Bruckner prevista per il 13-14 e 17 febbraio per la direzione di Dohnányi e una Quinta di Mahler per il 28 febbraio e 1-2 marzo sempre col Maestro Chailly. Da ricordare. 20 gennaio 2019 Cesare Guzzardella A Vercelli entra nel vivo il 21° Viotti Festival Dopo i sapidi aperitivi prenatalizi, ieri sera, sabato 19/01, nell’abituale sede del Teatro Civico ha avuto ufficialmente inizio a Vercelli la stagione 2019 del Viotti Festival. E migliore inizio non poteva esserci: a celebrare l’evento, dinanzi ad un Civico vicino al tutto esaurito, quella vera festa della Musica (sì: di quella con la maiuscola!) che sono le composizioni di J. S. Bach, a cominciare dai concerti, sintesi suprema di geometrica razionalità e squisito gioco di timbri, ritmi, linee melodiche: un mondo di ideale perfezione, calato nello stampo storico del concerto grosso barocco. Monograficamente bachiano, dunque, l’esordio del Festival vercellese, impaginato su tre perle dei quasi innumerevoli concerti di J. S. Bach: il BWV 1044 in la minore per flauto, violino, clavicembalo, archi e basso continuo, il BWV 1056 in fa minore per clavicembalo, archi e basso continuo e infine quel capolavoro originalissimo che è il quinto Concerto Brandeburghese, il BWV 1050 in Re maggiore per flauto, violino, clavicembalo, archi e basso continuo. A eseguire il programma gli archi della Camerata Ducale e tre solisti di grande qualità e solida fama: Guido Rimonda al violino, Massimo Mercelli al flauto e quel simpatico hobbit della tastiera che è Ramin Bahrami al pianoforte, in sostituzione del clavicembalo, secondo una prassi ormai generalmente ammessa (con qualche residuale resistenza). La trasparenza del suono, la leggerezza dello stile galante del miglior tardo-barocco, il fraseggio nitido e al tempo stesso come sospinto da una energia propulsiva incessante, l’eleganza affettuosa del dialogo tra ripieno e concertino e dei solisti fra loro; queste le qualità del mondo musicale evocato ieri sera a Vercelli, cui sia gli archi della Ducale (sempre di ottimo livello nel suono e nel fraseggio, nonostante i frequenti cambiamenti nell’organico orchestrale: ad ogni serata si vedono volti nuovi, in genere giovani), sia i tre solisti hanno dato il loro contributo: Rimonda con una cavata aggraziata e dal fraseggio sempre perfettamente tornito e limpido anche nei legati , Mercelli con il timbro cristallino del suo flauto, che spruzzava d’argento il fluido scorrere delle note, Bahrami con un’infaticabile presenza dovuta al doppio ruolo del clavicembalo/pianoforte nel BWV 1044 e nel BWV 1050: basso continuo, ma anche un rilievo strumentale inedito per i tempi, che ha il suo culmine nella straordinaria, lunga cadenza del primo tempo del BWV 1050. A questo punto, qualche osservazione sullo stile esecutivo di Bahrami s’impone: com’è noto il Bach del maestro italo-iraniano ha molti devoti cultori ( ed erano presenti in gran numero anche ieri sera) e molti aspri detrattori. A noi di Bahrami piace la cantabilità, il suono caldo e leggero, tuttavia siamo disposti ad ammettere che non tutto e sempre “funzioni” nelle interpretazioni di Bahrami: la cadenza del BWV 1050 ascoltata ieri non ci ha convinti troppo: il ritmo incalzante, unito ad un uso talora eccessivo del pedale, ha creato un flusso omogeneo e quasi indistinto, al limite della confusione. Così, almeno, a noi è parso. Comunque il pubblico è andato in visibilio, ottenendo due bis: in ordine, il secondo e il terzo tempo del BWV 1050. In generale un’altra di una serie ormai lunga di bellissime serate di musica che la Camerata Ducale ha donato al suo numeroso e affezionato pubblico. 20 gennaio 2019 Bruno Busca Prossimamente all'Auditorium Fratelli Olivieri di Novara Fulvio Luciani e Massimiliano Motterle Domenica 27 gennaio 2019 alle ore 17 all'Auditorium Fratelli Olivieri un Concerto insolitamente di domenica per la Giornata della Memoria per la stagione dei Concerti del Cantelli 2018/2019. Decimo concerto con l’esule Castelnuovo-Tedesco con protagonisti: Fulvio Luciani, violino e Massimiliano Motterle, pianoforte. Musiche di Castelnuovo-Tedesco (incluse rielaborazioni da Brahms e Chopin). dalla redazione 20 gennaio 2019 Uto Ughi e I Filarmonici di Roma alle Serate Musicali Da anni lontani il violinista bustocco Uto Ughi viene in Sala Verdi. Ieri sera, accompagnato da I Filarmonici di Roma ha impaginato un programma vario ma tipico del suo più frequentato repertorio. L'introduzione solo orchestrale de I Filarmonici, con Antiche Arie e Danze, terza suite di Ottorino Respighi ha evidenziato tutte le splendide qualità coloristiche di questa formazione cameristica, qualità che sono tipiche del modo più italiano d'espressione. Respighi, maestro d'orchestrazione, ha concepito i movimenti di questa Suite per un ritorno alla tradizione antica della musica, con sequenze melodiche mirabili per nitore espressivo. Col Concerto per violino e orchestra BWV 1041 in la min. di J.S.Bach è entrato in scena Ughi per un'esecuzione valida in cui la perfetta integrazione del violino con gli archi ha migliorato l'esecuzione. Con Gaetano Pugnani e il suo celebre Preludio e Allegro nella trascrizione di Fritz Kreisler il violinista ha giocato una delle sue carte vincenti. Il noto brano di Pugnani, musicista vissuto per tutta la seconda parte del '700, è altamente melodico ed acquista in bellezza in questa versione con orchestra d'archi. La seconda parte del concerto, in crescendo qualitativamente, ha visto inizialmente una rarità esecutiva come il Concerto per violino e archi in re minore di Mendelssohn. Il brano, in tre movimenti, è nettamente meno eseguito dalla celebre Op.64 ma certamente interessante e con momenti topici come il delizioso Allegro finale eseguito benissimo. Con Pablo De Sarasate il Maestro Ughi è tornato alla classica riduzione strumentale dalla Carmen di Bizet. De Sarasate con questa formidabile trascrizione delle celebri arie d'opera ha esaltato le qualità dello strumento ad arco e Ughi ha sapientemente sottolineato con speciale virtuosismo i dettagli del brano. Il suo suono, altamente espressivo, ha trovato momenti di lievi carenze d'intonazione che non hanno comunque disturbato la sua classe interpretativa resa tale dalla consolidata esperienza in questo repertorio. Classe riconfermata nei numerosi bis da lui concessi dopo i fragorosi applausi tributati alla fine del programma ufficiale. Prima uno splendido Astor Piazzolla con il meraviglioso Oblivion, quindi la classica e da lui stra-eseguita Ridda dei folletti di Bazzini ed infine, a luci completamente accese, la melodica e profonda Humoresque di Antonìn Dvoràk. Grande successo con fragorosi e meritati applausi e poi l'attesa nel foyer per gli autografi sui Cd. Da ricordare. 18 gennaio 2019 Cesare Guzzardella La musica russa di Olga Kern per la Società dei Concerti Da molti anni la pianista russa, naturalizzata americana, Olga Kern è ospite della Società dei Concerti ed è come sempre attesa dal numeroso pubblico di abbonati e non. Ieri sera un programma interamente russo incentrato su Rachmaninov, ma con altri musicisti di contorno quali Čaikovskij, Skrjabin, e nel fuori programma, Liadov, Mussorgsky, Prokof'ev, Balakirev, Rimsky-Korsakov, ecc., ha messo in risalto il repertorio più riuscito di questa bravissima e bella pianista. La Kern cura molto sia l'estetica del linguaggio musicale, ricco di virtuosismi sottolineati da una solida e collaudata esperienza -specie nei russi-, sia la sua estetica a dimostrazione della quale il cambio dell'abito tra la prima e la seconda parte del concerto è diventata cosa attesa e gradita da tutti i fedeli ascoltatori. Abiti sgargianti ma raffinati e splendidamente indossati da un fisico alto e snello. Il primo, color panna con inserti floreali neri a contrasto, e il secondo: un bel rosso vermiglio che ben si addice alla sua carnagione chiara. I colori dei suoi abiti sono anche i colori della sua musica: timbri forti, a volte viscerali, che trasudano di intensità espressiva non disdegnando momenti di pacato lirismo e di grazia. Ieri nel vario programma dominato da Rachmaninov ma seguito da una decina di brani di altri russi, tra programma e bis, la bionda interprete ha rivelato ancora una volta il suo pianismo completamente interiorizzato, dalle caratteristiche in apparenza improvvisatorie ma legate in modo preciso alla notazione musicale. La Kern è una pianista tout-court: vuole divertirsi suonando e sente come il pubblico la segue quando restituisce in modo intelligente e funzionale la sua formidabile tecnica espressa dalle sue forti e composte mani. Tra i numerosi brani eseguiti segnaliamo certamente la Sonata n.2 op.36 di Rachmaninov di intensa espressività, i celebri Preludi Op.32 n. 5 e12 di estrema delicatezza, il Preludio Op.23.n.5 cavallo di battaglia di grandi pianisti ed eseguito con efficace grinta dalla Kern, validi Cajkovskij con Méditation op.72 n.5 e gli Studi di Scriabin con l'Op.42 n.4 e 5; di grande impatto sonoro Islamey, Fantasia orientale di Balakirev. Notevoli i quattro bis concessi con il delicato e incantevole Music Box op.32 di Anatoly Liadov, il galoppante Gopak di Mussorgsky-Rachmaninov, il celeberrimo e rapidissimo Volo del calabrone di Rimsky-Korsakov e lo Studio n.4 di Prokofiev. Un concertone da ricordare. 17 gennaio 2019 Cesare Guzzardella L'Ottavo Concerto per la Stagione dei Concerti del Cantelli a Novara Sabato 19 gennaio 2019 alle ore 17 presso l' Auditorium Fratelli Olivieri per la stagione dei Concerti del Cantelli 2018/2019 si terrà l'Ottavo concerto con Preziosismi cameristici e l’amalgama delle percussioni. I protagonisti sono Benedetta Ballardini, flauto, Sonia Candellone, pianoforte e violoncello, Davide Broggini e Stefano Ricchiuti, percussioni, Tiziana Ravetti, soprano e Gigliola Granziera, pianoforte. Musiche di Casella, Debussy, Dutilleux, Friedman, Samuels, Knipple, Weill, Poulenc, Bernstein 17 gennaio dalla redazione. Un quartetto musicale inconsueto ed eccellente Un programma diversificato e valido quello offerto ieri sera in Conservatorio da Alexander Lonquich et family. Sottotitolato "Convivium", l'impaginato prevedeva brani di sei compositori differenti, con un occhio di riguardo per il '900 e una particolare attenzione per Igor Stravinskij di cui abbiamo ascoltato, in posizione centrale nel programma e con eccellente interpretazione, la celebre Sagra della primavera nella versione per pianoforte a quattro mani con, oltre Lonquich, Cristina Barbuti. Il noto brano, con la pianista nella parte sinistra/bassa della tastira, era stato preceduto da una rarità sempre del grande russo quale i Tre pezzi per Quartetto d'archi nella versione anche questa a quattro mani e ben eseguita dalla coppia -anche nella vita- di pianisti. Altri due strumenti erano in gioco nel concerto organizzato da Serate Musicali: il flauto di Irena Kavcic e il clarinetto di Tommaso Lonquich. Due i lavori proposti di Claude Debussy per clarinetto: il primo, Petite Pièce per clarinetto, ha introdotto la serata, quindi la Prima Rapsodia per clarinetto e pianoforte, con padre e figlio in perfetta sintonia, ha concluso le esecuzioni del celebre francese. Tommaso ha da subito espresso ottime qualità musicali con un dosaggio dinamico efficace e con colori timbrici delicati ed espressivi. Il flauto è entrato in gioco grazie a Camille Saint-Saëns e alla sua Tarantella op.6, brano dal sapore molto rossiniano, eseguito benissimo non solo dalla flautista ma anche dai due Lonquich. Irene Kavcic si è rilevata un'ottima interprete pure nei lavori di André Jolivet con la Sonatina per flauto e clarinetto, brano di mirabile virtuosismo, con Frank Martin e la sua Ballade per flauto e pianoforte e, a conclusione del programma ufficiale, con una rarità contemporanea di certo Guillaume Connesson (1970). Techno-Parade per flauto, clarinetto e pianoforte è un brano spettacolare nella diversificazione ritmica per poche note espressive e accentate in ogni combinazione, sottolineate splendidamente dal flauto, dal clarinetto e dal pianoforte di Lonquich padre. Grande regalo finale dei quattro interpreti con un bis: una rilevante trascrizione per piano a quattro mani, flauto e clarinetto del noto Prelude a l'apres midì d'un faune di Debussy. Bellissimo. Da ricordare a lungo! 15 gennaio 2019 Cesare Guzzardella Un violino e un pianoforte per una musica che sconfina Transiti - Musica che sconfina, è il titolo scelto per il pomeriggio musicale domenicale dello Spazio Teatro89. L'accogliente auditorium di via Fratelli Zoia 89 ha ospitato ieri il duo formato dalla giovanissima violinista Francesca Bonaita e dal pianista Andrea Rebaudengo. Il programma, interessante e diversificato, è stato pensato dai due interpreti e da Luca Schieppati -organizzatore della fortunata rassegna pomeridiana - per essere trasversale ai generi musicali, almeno in quei frangenti dove si riconoscono elementi che hanno caratterizzato la musica popolare del mondo zigano, del blues americano e della musica rock. L'esecuzione di due brani di Maurice Ravel quali la Sonata per violino e pianoforte, dove il secondo movimento e titolato Blues e di Tzigane, celebre brano "zigano" del compositore francese, ci ricorda i primi due riferimenti, mentre per il rock, nella fattispecie del celebre gruppo dei Led Zeppelin e del loro brano Immigrant Song, il riferimento è stato dato da una nuova composizione di Giorgio Colombo Taccani, commissionata per l'occasione da Schieppati per la nuova stagione di concerti e titolato From the land of the ice and snow. Dopo un breve e non evidente riferimento alle celebri grida di Robert Plant, il brano del compositire milanese ha espresso un percorso ben diverso dal mondo rock. A conclusione, di Sergej Prokof'ev sono stati eseguiti Cinque melodie Op.35 bis e la Sonata n.2 Op.94 bis. Ma veniamo ai protagonisti: la milanese Francesca Bonaita, classe 1997, ha rivelato splendide qualità musicali attraverso una lettura intensa ed espressiva di tutti e tre i lavori proposti. L'impaginato, teoricamente di grande difficoltà tecnico-espressiva, si è rivelato non solo alla sua portata, ma ha trovato un'interprete precisa nel tocco, perfetta nell'intonazione con timbro scavato e netto, ed articolata e strutturata nell' organizzazione complessiva delle parti. Coadiuvata dal bravissimo Rebaudengo, pianista di robusta e precisa espressività, Francesca ha risposto al voluminoso pianoforte con altrettanta voluminosità timbrica, per un equilibrio corretto e vario nelle dinamiche e con ottima successione delle scansioni melodico- armoniche. Pregnante di espressività soprattutto nel Blues e in Tzigane di Ravel ed ancora di altrettanto valore nella celebre Sonata n.2 di Prokof'ev. Il brano del compositore milanese Giorgio Colombo Taccani è una sorta di dialogo tra il violino ed il pianoforte nel quale la breve componente tematica melodica del violino, sostenuta ottimamente dalla Bonaita, si ripete più volte nel corso dei circa sei minuti del lavoro. Brevi pause mettono in risalto maggiormente l'intervento solistico sostenuto con sicurezza e compattezza dal valido pianoforte di Rebaudendo. Un lavoro che rimanda, a mio avviso a certe modalità espressioniste alla Berg, con una forte incidenza espressiva personale del mondo compositivo di Giorgio Colombo Taccani. Applausi fragorosi al termine del concerto ai protagonisti e applausi anche al compositore salito sul palcoscenico. Da ricordare. 14 gennaio 2019 Cesare Guzzardella Alexandre Tharaud e la Sinfonica Verdi in Haydn, Mozart e Schmidt Non avevo ancora ascoltato live il pianista francese Alexandre Tharaud e devo dire che insieme all'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Claus Peter Flor, in un programma che prevedeva i celebri Concerti n.11 di Haydn e il K.467 di Mozart, mi è piaciuto assai. Tharaud è un pianista molto conosciuto - spesso in Tv- ed apprezzato in Francia, soprattutto per le sue interpretazioni di Couperin, Rameau, Scarlatti, Bach e dei francesi Satie e Ravel. Ieri sera in un Auditorium con moltissimo pubblico - ma ci attendiamo il pienone per la replica di domenica - ha mostrato sensibilità e raffinatezza nei classicissimi Haydn e Mozart, mettendo in risalto ogni frangente delle due partiture. Il suo tocco deciso, asciutto e dinamicamente vario, con una mano destra sempre in risalto nel definire la linea melodica presente, ha evidenziato in modo magistrale il Poco adagio di Haydn e il celeberrimo Andante di Mozart nei movimenti centrali ed il noto Rondò all'ungherese che conclude il Concerto n.11 in re maggiore del maestro di Rohrau e l'altrettanto Allegro vivace assai del Concerto n.21 in do maggiore del genio di Salisburgo. Insomma un'interpretazione scavata, ricercata, ricca di accenti che ha avuto come corona un meraviglioso bis solistico: la nota Sonata K 141 scarlattiana eseguita con maestria e con sintesi discorsiva estrema. Tharaud stesso mi ha rivelato durante l'intervallo che Scarlatti è un necessario coronamento a Mozart. Applausi interminabili al grande interprete coadiuvato dall'eccellente direzione di Flor. Nella seconda parte della splendida serata, tutta orchestrale, abbiamo ascoltato una rarità del poco eseguito compositore austriaco - nativo però di Bratislava- Franz Schmidt (1874-1939). Vissuto a cavallo di due secoli, Schmidt fu allievo di Anton Bruckner. La personale Sinfonia n.4 in do maggiore, composta nel 1933, riassume le sue indubbie qualità compositive che stilisticamente rappresentano una mediazione tra tardo romanticismo particolarmente cromatico alla Berg e neo-classicismo. Il lavoro in quattro movimenti senza soluzione di continuità ha momenti d'importante lirismo a cominciare dalla tromba solista iniziale e terminale, sino al bellissimo solismo del violoncello e del violino. Ottima l'interpretazione di Claus Peter Flor che ha esaltato i dettagliati colori della bravissima Orchestra Sinfonica Verdi. Da ricordare. Replica, da non perdere, domenica alle ore 16.00. 12 gennaio 2019 Cesare Guzzardella Succede anche al Conservatorio... ...che si rompa una corda di violoncello mentre si sta suonando un brano di Shostakovich. E' capitato l'11 dicembre 2017 nella sala Verdi del Conservatorio milanese. La scena è stata ripresa e messa su youtube e sta diventando virale anche grazie alla segnalazione di un noto giornale di musica classica britannico, The Strad. Steven Isserlis (Londra, 1958), infatti, proviene proprio da quelle parti, e ha commentato divertito su Twitter "non sapevo di essere filmato e faccio fatica a ricordare l'episodio. La corda G tende a rompersi sempre quando si suona Shostakovich." https://youtu.be/VyGlkLVHYeo 5 gennaio 2019 Alberto Guzzardella Ancora meritato successo per l'Attila del nuovo anno al Teatro alla Scala Col nuovo anno al Teatro alla Scala ultime repliche dell' Attila verdiano. Anche ieri sera l'ottima direzione di Riccardo Chailly, la riuscita messinscena per la regia di Davide Livermore, le scene curate da "Giò Forma" con le luci di Antonio Castro, i video D-Wok e i costumi di Gianluca Falaschi, hanno entusiasmato il pubblico presente in un teatro al completo; pubblico che al termine della rappresentazione, per circa dieci minuti ha tributato ripetuti e fragorosi applausi a tutti i protagonisti, compreso naturalmente il Maestro Bruno Casoni e il suo splendido coro. Un successo quindi eccellente per la prima opera in cartellone nella Stagione 2018-19, dovuto soprattutto ad uno straordinario lavoro di gruppo e alle ottime voci soliste a cominciare da quella di Ildar Abdrazakov, Attila re degli Unni . Di questi era stato annunciato, prima dell'inizio, una forte costipazione con raffreddore che a nostro avviso non ha influito sulla sua straordinaria resa vocale. Ricordiamo naturalmente ( prime due foto di Brescia-Amisano-Archivio Scala) anche Saioa Hernández, Odabella, George Petean, Ezio, Fabio Sartori, Foresto, Francesco Pittari, Uldino e Gianluca Buratto, Leone, tutti bravi. Simpatici i corali Auguri tributati al pubblico dal Maestro Chailly e dai solisti. Un inizio d'anno ottimo che speriamo sia di buon auspicio per il prosieguo. Ultime repliche previste per il 5 e l'8 gennaio. Da non perdere. Buon Anno a tutti i lettori! 3 gennaio 2018 Cesare Guzzardella |